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Autore: kikketta_directioner    24/08/2021    0 recensioni
"Cominci a pensare a come sarebbe stato se fossi stata più dura, se tu avessi portato maggior rispetto nei tuoi confronti... se avessi messo te prima di lui, prima di tutti.
E ti chiedi perché hai così tante paure da cui devi scappare.
Paura di restare sola.
Paura ad andartene... non sapresti nemmeno come elencarle. Non sapresti nemmeno se dargli importanza.
Ma cominci a pensare che oggi è una bella giornata, e lui... lui non è qui a renderla migliore.
Lui non è qui."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SEI

 

Sono passati tre giorni da quella sera; giusto il tempo per potervi organizzare e confermare il vostro viaggio di studio.

Andrete in Puglia, precisamente ad Otranto, e l’idea di dover affrontare un viaggio di cinque ore già ti stressa.

Elena intanto ha già preparato la sua valigia e ora sta preparando la colazione, mentre tu sei rimasta con l’asciugamano tra i capelli e una maglietta troppo corta a coprirti il seno.

<< Lo vuoi il caffè nel latte? >> ti domanda aprendo la porta. Cerchi di capire cosa devi portare esattamente, perché la valigia che hai è troppo piccola per i tuoi gusti e i tuoi libri occupano la metà dello spazio. 

<< Si va bene >> rispondi senza nemmeno pensare.

<< Prima di uscire riordina la stanza. Ci sono vestiti sparsi ovunque >> ti fa notare, e già ti irrita.

<< È il mio modo per concentrarmi, e poi è la mia stanza e te non sei mia madre >> borbotti senza nemmeno guardarla. Proprio non riesci a capire perché non guardi più Elena con gli occhi di prima, e come mai lei sia così distante seppur vicina. 

<< Ti ho solo detto che hai la camera in disordine>>

<< E io ti ho solo detto che questa è la mia stanza e che quindi non è compito tuo gestirla >> ti fermi per guardarla, perché finora non hai fatto altro che camminare a piedi nudi per la camera in cerca di qualcosa che ancora non hai trovato.

Sai che c’è, Giulia? Che sono stanca di vederti sempre agitata, arrabbiata, triste e fortemente fragile. È diventato ansioso persino guardarti, persino sentirti. Io che riesco a vederti dentro, non riesco a trovare nemmeno un briciolo di quiete: sei una tempesta.

Hai questa voglia di urlare, piangere, andare via, poi tornare. Hai rabbia, paura, ansia e pensi sempre che nessuno è in grado di capirti. La verità è che tu non ti sei mai spiegata. Per lo meno ci hai provato, ma hai sempre pronunciato metà delle parole che ti covi dentro, e quella metà non erano nemmeno le parole giuste da dire.

Anche quando ridi, ma ridi forte, lo vedo che vorresti che qualcuno ti bloccasse e ti dicesse che, quella rosa bianca che hai inciso sulla pelle, sarà colorata da qualcuno in grado di farlo; d’altronde è il motivo per la quale l’hai fatta, eppure quando tutti ti chiedono perché è rimasta incompleta, rispondi sempre: mi piaceva così. No, non ti piaceva affatto così.

<< Quando ti deciderai a calmarti, ma per davvero Giulia, sappi che il tuo caffè-latte è sul tavolo >>.

Trattieni un respiro e chiudi gli occhi. Anche stavolta ti sei sentita incompresa.

Avresti potuto dirglielo, che ti manca. 

Avresti potuto dirle che hai bisogno di aiuto, perché la tua felicità sta dipendendo da un messaggio che non arriva mai e da un paio di occhi che ora non ti guardano più.

Avresti potuto riaprire la porta e abbracciarla, magari chiederle scusa se a volte rispondi in modo acido e freddo, ma spiegarle che è un comportamento non voluto e infrenabile.

Come ti dicevo, avresti potuto spiegarti invece di rimanere zitta a trattenere respiri con gli occhi chiusi.

Riprendi a respirare solo quando il nodo alla gola sembra essersi sciolto, così riapri gli occhi e ti indirizzi di nuovo verso l’armadio semi vuoto. Afferri le prime cose che ti capitano fra le mani, sperando che starai più tempo a studiare per l’esame, ma nel dubbio metti in valigia anche un costume e un vestito da sera, non si sa mai.

Stai per chiudere le ante, quando la tua attenzione si sposta su un panno grigio, piegato accuratamente all’ultimo piano dell’armadio.

È la sua felpa, rimasta lì dentro insieme a tutte quelle cose che non riesci a dirgli, insieme a tutto ciò che avresti voluto si realizzasse.

Ti chiedi se lui tiene ancora la tua, o se l’avesse dimenticata, persa, oppure buttata. Ti sei sempre domandata se l’avesse presa perché gli piaceva, o perché il tuo odore rimasto in quel panno gli avrebbe fatto pensare a te.

“Mi piace il tuo profumo”. Ricordi. Sono le prime parole che ti sono rimaste in testa. Le prime parole che hanno cominciato a prendere forma nei tuoi pensieri quando la notte e il silenzio ti accompagnavano a fine giornata.

Pensare poi, che per ricordarti di lui ti basta respirare. Pensare che lui, per ricordarsi di te, deve vederti.

Spontanea è la convinzione che, evidentemente, ricordarsi di te non è uno dei suoi interessi.

Sei “felice” quando vedi che lui è felice, nonostante non sia più tu il motivo.

<< Venti minuti e arrivano, quindi finisci di prepararti >>. A farti tornare con i piedi per terra è sempre lei, Elena. 

È strano come ti basta pensare che fra poco lo vedrai di nuovo e già il tuo battito cardiaco ha ripreso ad accelerare insieme al tremolio delle mani. Questo non è amore, è quasi una malattia.

Ti asciughi di corsa i capelli e infili le ultime cose nella borsa. Tutto sembra essere pronto.

<< Come stai? >> ti domanda quando porti la valigia e il borsone in salotto. Ti infili le scarpe e la guardi con la coda dell’occhio. Hai l’aria di una persona tranquilla, l’opposto di quello che in realtà stai provando.

<< Perché me lo chiedi di continuo? >> dici, e non sai che risposta darle alla sua domanda.

<< Seriamente, oggi meglio di ieri? >> continua.

Resti in silenzio per cinque secondi.

<< Ho ritrovato la sua felpa. Quando me l’ha data tirava vento e faceva freddo. Io ero vestita con abiti leggeri perché volevo fare colpo; lui la indossava con dei jeans chiari e con una collana nera che ne riprendeva il colore delle scarpe. Anche oggi tira vento, ma non fa tanto freddo… quindi suppongo che oggi sia meglio di ieri >> parli e nemmeno ti rendi conto di quello che dici.

Oggi è peggio di ieri, e i pensieri che hai sono troppi per un solo cervello.

<< Meglio, sono passi avanti almeno >> dice e torna a riordinare le ultime cose prima di partire.

Non c’hai capito niente!” pensi, stringendo i lacci delle scarpe. Anche stamattina avresti voluto svegliarti altrove.


L’hotel ha l’aria di un palazzo del seicento, nonostante il suo interno sia abbastanza moderno ed elegante.

Il viaggio in macchina oltre ad essere stato estremamente lungo, si è rilevato meglio di quanto pensassi. Hai recuperato il sonno e ringrazi il cielo che Michele sia stato davanti anziché dietro con Elena, così da evitare sguardi e complimenti di troppo.

La vostra camera è ampia e il balcone affaccia sull’atrio dell’edificio. I letti sono singoli e i muri color panna sembrano tranquillizzarti. 

Avete passato mezza giornata ad ordinare le vostre cose e a fantasticare su cosa farete domani, dimenticando il motivo principale di questo viaggio: lo studio.

<< Il letto vicino alla finestra è mio >> hai annunciato appena hai messo piede nella stanza. Seppur spaziosa, la camera sembra essere molto piccola, ma per te non è un problema. Hai sempre preferito una stanza piccola, racchiusa. Ti fa sentire in qualche modo protetta.

<< Il tavolino fuori al balcone è perfetto per studiare >> vi fa notare Elena, che intanto si è già raccolta i suoi capelli lunghi in una crocchia disordinata.

<< Siamo appena arrivati e già pensi allo studio! >> si lamenta Marco. Ridacchi mentre apri la porta-finestra cercando di vedere il mare.

Nel frattempo Michele sta osservando ogni tuo spostamento. Sai come ti guarda? Come se fossi troppo piccola da amare, e troppo grande per tenere il tuo stesso passo.

<> se ne esce all’improvviso e quasi non ti strozzi con la tua stessa saliva.

<< Michè non entriamo in due >> ride, e tu li guardi con la coda dell’occhio, come se volessi davvero non guardarli e non sentirli.

<< Uniamo i letti >>

<< Sai cosa unisco, invece, io? I miei pugni sulle vostre facce! >> scleri senza rendertene conto, e quasi sembri più agitata del mare che ora è mosso e scuro.

<< Stiamo scherzando, Giulia >> ti dice Elena guardandoti storto. Maledici di essere partita, stare a casa ti avrebbe consentito di studiare meglio e di stare lontana da quel sorriso e da quelle mani che vorresti stringere e non lasciare più.

<< Vado a farmi un giro per l’hotel >> dici senza aspettare risposte. Ma invece attraversi la strada e scendi in spiaggia, sedendoti sulla riva del mare.

Servirebbe. Di chi sto parlando lo sai già.

“Le cose le faccio con sentimento”. Ripensi alle sue parole e ti viene da ridere. Ti viene da piangere. 

Pensare poi, a come ti sei impegnata per non affezionarti, per andarci piano, per non farti del male.

Pensare che, adesso, appena ti svegli accendi il telefono solo per vedere se lui ti ha scritto.

“Sarebbe bello poterti prendere e portarti via “. Ti ricordi? Appena hai letto quel messaggio non hai fatto altro che ridere. Solo io mi accorsi di quanta speranza c’era che lui lo facesse sul serio in ogni tua risata.

Di stare bene con lui te ne sei accorta solo dopo.

Di stare bene con lui lo sapevi fin dall’inizio, ma non volevi accettarlo per paura di stare male.

<< Sapevo che eri qui >>. La sua voce ti interrompe i pensieri, ma non ti volti per guardarlo. Lui si siede accanto a te cercando di guardare oltre il confine del mare.

<< È più bello il mare quando è agitato >> confessa, e lasci che il suo gomito ti sfiori il braccio.

<< Penso anche io >> assecondi. 

<< Ti ricordi la prima volta che siamo andati al mare insieme? >> ti domanda, lasciandosi uscire una risatina. Tu accenni un sorriso e abbassi lo sguardo.

<< Mi ricordo persino com’eri vestito e di che colore era il tuo telo da mare >>

<< Evitavi ogni mio bacio quel giorno >>

<< Non volevo accontentarmi di essere solo una “cosa così” per te >>

<< Chi ti ha detto che fossi solo quello? >>. Cala il silenzio e allunghi le gambe, appoggiandoti sui gomiti.

<< Era celeste >> dici ripensando al suo telo da mare che era talmente corto e stretto che a un certo punto hai preferito startene in piedi.

<< Perché non volevi baciarmi? >> insiste, mettendosi di fronte a te, costringendoti a guardarlo.

<< Riprendeva il tuo giacchetto blu >>. Sorride e ti circonda i fianchi con le mani, per poi sollevarti e stringerti in un abbraccio.

<< Sei stata una stronza >> ti dice, ma lui non capisce che non volevi farlo perché più lo baciavi più ti innamoravi, e non poterlo vivere come volevi tu ti portava a fare passi indietro, desiderando che lui ti seguisse. 

<< E tu un cretino, perché ancora non mi hai detto quali intenzioni hai con me >>. 

Forse hai rotto la magia che c’era fra voi due. La tua insicurezza e la voglia continua di definire il vostro rapporto lo ha frenato. Avresti dovuto lasciarti andare con più leggerezza, viverti i vostri momenti senza chiederti cosa saresti stata per lui il giorno seguente. Ma ti capisco quando le risposte che cerchi non arrivano mai.

Ti sciogli dall’abbraccio dandogli le spalle.

<< Dove te ne vai? >>

<< Shh… ascolta il mare >>.

L’acqua che ti bagna i piedi, il vento che ti sposta i capelli e un profondo blu da ammirare.

Ascolta il mare quando le voci delle persone avranno lo stesso suono dei colpi di pistola. Quando le tue paure ti avvolgeranno il corpo come fossero coperte.

Ascolta il mare quando penserai che l’amore sia introvabile e porti soltanto dolore. Non è l’amore che è sbagliato e ingiusto, ma le persone.

Ascolta il mare quando la sua mancanza sarà più forte di ogni altra presenza.

Il tuo orologio segna le diciotto e un quarto.

Lui si è spostato di un passo.

Tu non te ne sei andata mai.









 
  
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