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Autore: Ananke_ildestino    24/08/2021    0 recensioni
[Fugou Keiji Balance: Unlimited]
Una raccolta di extra ispirati alla long-fic So Close So Far. Sebbene collegate alla storia principale ci saranno anche one-shot leggibili come stand alone. HaruDai (Kato x Kambe).
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le storie di questa raccolta sono tutte collegate alla long-fic So Close So Far (che potete leggere qui), questa in particolare va letta al termine della storia principale.


MASCHI CHE SI BACIANO


Era un’afosa domenica di luglio e Akito imbronciato, sedeva in un angolo del salotto. Sarebbe dovuto andare alla piscina pubblica con i suoi amici, ma la mamma aveva deciso di festeggiare il suo compleanno e, di conseguenza, non gli aveva dato il permesso. Solo l'arrivo inaspettato dello zio Haru gli aveva ridato il sorriso, non lo vedeva spesso, ma da quando l'aveva portato a Disneyland era diventato il suo preferito. Gli aveva fatto anche un bel regalo per il compleanno! Gli era precipitato incontro, buttandosi tra le sue braccia. Lo zio, che secondo Daisuke-san era un poliziotto forte e capace, non ebbe problemi a prenderlo al volo e sollevarlo.
- Akito! Che modi sono! - lo richiamò immediatamente la mamma, ma lo zio lo difese rimettendolo a terra: - Non c'è problema, Natsuko. - poi si rivolse direttamente a lui: - Ciao Akito, è un po' che non ci vediamo. -
Gli mise una mano sulla testa regalandogli un sorriso aperto. Sì, lo zio Haru era proprio il suo preferito!
Anche lui, però, era venuto per la mamma. Le diede il regalo e sedette con gli altri adulti. Inizialmente Akito mise su un plateale broncio, ma non ottenendo alcun risultato decise di passare all'azione. Si avvicinò allo zio e iniziò a tirargli la maglia, invitandolo ad andare a giocare con lui.
- Va bene, Akito, vengo, ma non per molto che ho un impegno più tardi.- gli rispose mentre s'alzava. Il bimbo sorrise, ignorando completamente l'occhiataccia della madre.
Purtroppo, l'ora concessagli dal poliziotto volò in un lampo. Con sguardo mogio il bambino ripose il gioco che aveva usato in camera sua. Quando tornò nel salotto lo zio si era già volatilizzato. Volendo a tutti i costi salutarlo calorosamente, così che magari sarebbe tornato presto da lui, Akito corse verso l'ingresso. Trovò i due fratelli che discutevano tra loro, ma si bloccarono immediatamente quando si accorsero della sua presenza.
-Bene, io vado. - annunciò il poliziotto, prima di mettergli una mano sulla testa a spettinarlo. -Ci vediamo Akito. - gli disse con un sorriso.
Il ragazzino aveva già gli occhi che brillavano, ma venne anticipato dalla madre nella risposta: -Dovresti salutare anche me, Haru!-
-Ovviamente Natsuko. Ancora buon compleanno!-
Mentre un leggero nervosismo si notava nell'espressione dell'uomo, la donna si era lasciata andare a uno sbuffo. -Grazie. Per quella cosa ti faccio sapere, ok?- gli disse misteriosa.
Akito la guardò perplesso: -Quale cosa?-
La madre lo zittì subito: -Cose da grandi.-
Mentre il bambino metteva il broncio alla risposta sbrigativa, lo zio salutò ancora una volta e uscì.

Dovettero passare altri giorni prima che Akito riuscisse a scoprire di cosa avevano parlato i due adulti. Un pomeriggio, mentre la sorella Chifuyu stava giocando con la nonna nel giardino, la mamma l'aveva avvicinato e seduti l'una accanto all'altro gli aveva chiesto: -Akito, lo zio mi ha chiesto se poteva portarti in gita in montagna due giorni, ci andresti?-
Il bambino era scattato in piedi e quasi urlato: -Sì! Certo!-
La madre lo aveva preso per un polso e l'aveva rimesso seduto: -Dovrai stare via a dormire, senza né la mamma né il papà. Ti va bene comunque?-
Che domande! Non vedeva l'ora di vivere un'avventura da grande! Annuì con entusiasmo, cercando di mostrare tutta la sua sicurezza.
-Va bene, allora informerò lo zio. Però ricordati: dai sempre ascolto allo zio Haru, non fare niente di pericoloso e stai attento. Se quando ritornerai scoprirò che hai disobbedito potrai scordarti di uscire per il resto dell'anno, siamo intesi?- Gli disse con severità. Ma Akito ormai era sulla luna e continuò ad annuire senza dare troppo peso alle minacce. Si sarebbe comportato bene, con lo zio non si sarebbe annoiato comunque, ne era sicuro!

La data fissata per la partenza era un sabato d'inizio agosto. Dopo una settimana di preparativi e assillanti raccomandazioni da parte della madre Akito era eccitatissimo, tanto che quella mattina non fu necessaria la sveglia, s'era svegliato quasi all'alba! Mentre l'aiutava a vestirsi e lo assisteva nel controllare che nella borsa non mancasse nulla di necessario, la mamma continuava anche a avvertirlo di non sottovalutare nessun rischio. Il bambino l'ascoltava, ma solo a metà, l'altra parte del suo cervello era già pronta a correre sui prati e scalare rocce!
Anche durante il tragitto in auto la donna non smise di fargli raccomandazioni di ogni genere. Il bambino sopportava perché sapeva che di lì a poco sarebbe iniziata un’avventura sicuramente indimenticabile! Non era mai stato lontano dai suoi genitori così a lungo! Non vedeva l'ora di scoprire come potesse essere una sera senza la mamma che lo mandava a letto presto, come poteva essere la montagna, che animali avrebbe visto e incontrato. Inizialmente aveva pensato che avrebbe dormito in una tenda, sull'erba e sotto un cielo stellato, la madre gli aveva spiegato che invece sarebbero stati ospiti a casa di Daisuke-san. Avrebbe preferito poter riposare tra i grilli che cantavano, ma sicuramente anche la casa di Daisuke-san sarebbe andata bene.
Il bimbo osservò dal finestrino la strada farsi pian piano sconosciuta. Erano in un quartiere della città in cui probabilmente non aveva mai messo piede. Infine si fermarono davanti a un enorme cancello, il più grande e maestoso che Akito avesse mai visto. Rimase a osservarlo con occhi sgranati mentre lentamente si apriva, senza che nemmeno la madre uscisse dalla macchina per suonare il campanello. Diede un'occhiata alla mamma anche lei sembrava leggermente agitata, di certo non per l’entusiasmo come il figlio. Appena oltre il cancello incrociarono un signore vestito elegantemente che gli fece segno di seguirlo, prima di salire su un mezzo elettrico.
Percorsero un ulteriore viale alberato, molto lungo. Sembrava di essere già nel bosco, come poteva esserci una foresta del genere nel mezzo di Tokyo? Il bambino aveva già la bocca aperta dallo stupore. Se la gita iniziava così non avrebbe potuto essere altro che fantastica!

Quando gli alberi si diradarono per lasciar spazio a uno spiazzo, si ritrovarono vicino a una piazzola d'atterraggio. Natsuko fermò la macchina accanto alla golf cart che li aveva guidati sin lì e scese per prima. Akito fremeva, ma sapeva che sua madre non voleva che scendesse senza permesso e ora che il suo viaggio era così vicino non voleva farla arrabbiare per nessun motivo. Distratta a sua volta dall'ambiente incredibile in cui si trovavano, la donna girò attorno all'auto per aprirgli la portiera. Il bambino scese con un balzo, correndo poco avanti alla macchina ad ammirare l'elicottero nero che si stagliava davanti a loro.
- Ehi Natsuko! - sentì gridare da poco lontano. Distolse lo sguardo lentamente, verso la sua destra, dove vide lo zio Haru e accanto a lui Daisuke-san con altre persone. Una era una ragazza perché portava la gonna e aveva i capelli lunghi, l'altro era un uomo vestito come quello che li aveva accompagnati là. Nuovamente colmo d'eccitazione superò la mamma e si buttò tra le braccia dello zio.
- Ciao Akito. - gli rispose assorbendo l'urto del suo abbraccio come se nulla fosse.
Il saluto dello zio venne però nascosto dall'urlo della madre: - Akito! Non correre in quella maniera! Comportati bene! -
Stava anche per partire uno scappellotto, ma venne salvato in extremis da Haru, che lo strinse a sé: - E dai Natsuko, è solo un po' agitato, lo puoi capire, no? -
- No. - rispose secca, ma lanciò uno sguardo che lasciava intendere altro al figlio.
Senza che quasi se ne accorgessero il padrone di casa aveva fatto un passo verso di loro, con un elegante inchino si rivolse prima alla donna: - Buongiorno Koshikawa-san. È un piacere conoscerla. -
Daisuke-san era sempre elegante e calmo! Anche la mamma sembrava un po' in difficoltà, come lo era stato lui la prima volta che lo aveva incontrato. Si era raddrizzata imbarazzata, poi aveva fatto un profondo inchino: - Buongiorno a lei, Kambe-san. Mi scuso per il disturbo che le arrecherà mio figlio... e mio fratello. - aggiunse poi alzando gli occhi sullo zio.
- Ehi, Natsuko! - gridò subito l'altro uomo, facendo sorridere soddisfatta la sorella.
Kambe s'intromise subito: - Sono certo che Akito mi darà molti meno problemi di suo zio. -
- Ah! Non mettertici anche tu, Daisuke! -
Altro sorrisetto sarcastico, questa volta sul viso del padrone di casa. Lo zio sembrava pronto a esplodere, quando si fece avanti la ragazza che aveva notato poco prima. Akito era solo un bambino, ma sapeva riconoscere le belle donne, e quella era la donna più bella che avesse mai visto! Quando parlò anche la voce gli sembrò bellissima: - Daisuke-sama, posso presentarmi? -
- Certo. Anzi, permettimi... - rispose Daisuke-san prima di voltarsi verso i due Koshikawa: - Koshikawa-san, Akito-kun, vi presento mia cugina Kambe Suzue. Sarà lei a pilotare l'elicottero che ci poterà alla villa in montagna quest'oggi. -
Akito era incantato: era una donna bellissima, con una voce angelica e sapeva anche pilotare gli elicotteri! Di colpo la mano della madre gli spinse la testa in un inchino, mentre lei faceva la stessa cosa: - Molto piacere Suzue-san, le affido mio figlio. -
Appena la presa della mamma cedette, Akito rialzò di scatto la testa: - Quindi andiamo con quello, Daisuke-san?! - domandò eccitatissimo indicando l'elicottero.
- Sì. L'elicottero è il mezzo più rapido e comodo. -
- E qualcuno l'altra volta sembrava tanto interessato agli elicotteri... - suggerì lo zio spettinandogli i capelli.
- Daisuke-sama, io vado a iniziare la procedura di decollo. - disse quindi Suzue-san avviandosi al mezzo.
La mamma la seguì con lo sguardo, impensierita. Probabilmente aveva paura che sarebbe potuto succedere qualcosa. D'improvviso Akito ebbe paura che potesse decidere di non lasciarlo più andare! Era già pronto a piangere fino all'ultima lacrima per farla capitolare, quando intervenne Daisuke-san: - Koshikawa-san, immagino sia preoccupata, ma stia tranquilla, Suzue ha anni d'esperienza e ore di volo. Inoltre la giornata è splendida e ho fatto ricontrollare appositamente l'elicottero in ogni singolo componente ieri. Io per primo non voglio che accada nulla a suo figlio o a suo fratello. -
La mamma l'aveva guardato un po' stupita, forse credeva che non si notasse la sua espressione turbata? Poi aveva solo annuito.
D'improvviso a spezzare il silenzio s'alzò il rumore del motore che s'avviava e le grandi eliche iniziarono a girare. La madre s'acquattò davanti a lui e gridò per farsi sentire: - Mi raccomando, Akito, fai il bravo. Ascolta lo zio e Kambe-san. Non fare i capricci e non dimenticare mai il cappello, ok?! -
- Sì! - urlò forte affinché la mamma lo sentisse. Questa lo trascinò verso di sé e gli scoccò un bacio rapido sulla guancia. Istintivamente sentì di dover fare lo stesso e si sporse per ricambiare. Poi si ritrovò di colpo delle cuffie davanti agli occhi.
Lo zio gliele stava facendo dondolare davanti mentre indossava le sue. Daisuke-sama stava invece mettendole stando attento a non spettinarsi. Akito le guardò per un attimo confuso, poi la mamma le prese tra le mani e gliele pose sulle orecchie.
- Mi senti bene, Akito? - sentì la voce dello zio forte e chiara.
- Sì! Benissimo! - rispose eccitato, senza attendere che la madre sistemasse il microfono davanti alla sua bocca.
- Bene, Akito-kun, ricorda di non toglierle mai fino a che non te lo diremo noi, ok? - anche la voce di Daisuke-san si sentiva bene.
- Va bene. - rispose deferente.
- Daisuke-sama, siamo pronti a decollare. - era la ragazza bellissima a parlare, la sentiva come se fosse lì, accanto a lui, ed invece era sull'elicottero con i comandi tra le mani.
Kambe diede uno sguardo allo zio e poi alla mamma, prima d'avviarsi verso il mezzo. Lo zio invece si tolse un attimo un auricolare e gridò qualcosa alla sorella, Akito non riuscì però a capire cosa. La mamma fece solo sì con la testa. Lo zio andò alla ricerca della mano del nipote e tenendola stretta s'avviò. Akito ebbe appena il tempo di girarsi ancora verso la madre e salutare con la mano, così come stava facendo lei.

Arrivati al mezzo il rumore era tanto forte che si sentiva anche attraverso le cuffie. Lo zio lo prese per la vita e lo sollevò, aiutandolo a salire. Una volta a bordo Daisuke-san gli allacciò un sacco di cinture di sicurezza, mentre anche lo zio si metteva a sedere. I portelloni si chiusero un attimo dopo e anche gli adulti allacciarono le cinghie.
- Daisuke, hai ricordato ai tuoi domestici che devono riaccompagnare mia sorella al cancello, vero? -
- Certo che sì. -
Akito si era immediatamente voltato a guardare la madre dal finestrino e salutarla ancora, lei non si era ancora mossa, non sembrava intenzionata ad andare via.
- A proposito di domestici, hai mantenuto la tua promessa, vero? Solo il minimo indispensabile? -
Uno sbuffo provenne dalle cuffie amplificate: - Stai forse dicendo che non sono una persona di parola, Haru? -
- Non ho detto quello! -
- Comunque sì, minimo indispensabile: un cuoco, un aiuto e sei camerieri. -
- Perché sei?! - sentì lo zio urlare, mentre gli si sovrapponeva la voce di Suzue-san: - Iniziamo ad alzarci. -
L'elicottero si staccò da terra e in un attimo la mamma e le altre persone fuori dal finestrino divennero sempre più piccole e lontane. Akito cercò di sporsi un po' di più, per continuare a salutare la madre, ma le cinture lo tenevano contro il sedile. Poi la sua attenzione fu attratta dall'azzurro del cielo tutto attorno a sé. All’improvviso si rese conto che stava volando e l'eccitazione salì ancora di più. Gli occhi fissi fuori dal finestrino, non sentiva nemmeno più di cosa stessero parlando i due adulti apparentemente disinteressati a quel panorama. La città di Tokyo enorme e caotica si stagliava sotto di loro, poteva distinguere alcuni punti focali e anche la baia, laggiù in fondo.
- Akito-sama. - si sentì chiamare - tutto bene? -
Ci mise un attimo a registrare la domanda: - Sì, sì, tutto bene. È bellissimo! -
- Se ci fosse qualche problema, Akito, dimmelo. - si raccomandò lo zio. Ma lui stava benissimo, anche più di prima! Chissà se i suoi amici gli avrebbero creduto quando tornato a scuola gli avrebbe raccontato di essere andato in vacanza in elicottero!
- Dillo a Suzue, piuttosto, che è più affidabile di tuo zio. - aggiunse Daisuke-san, che già aveva accavallato le gambe e guardava sornione verso l'altro uomo.
- Ehi! - fu l'unica risposta offesa dello zio.
Akito li osservò per un attimo scambiarsi occhiate silenziose. Rispetto alla gita a Disneyland sembrava che tra i due fosse cambiato qualcosa. Non riusciva bene a capire cosa, ma c'era un'atmosfera diversa tra loro.
- Stiamo per uscire dall'area metropolitana di Tokyo. - annunciò Suzue e allora la sua attenzione venne nuovamente attirata dal paesaggio sottostante, dove le case e le strade stavano lentamente lasciando spazio ai boschi.
Il terreno sotto di loro iniziò ad alzarsi, colline e monti toglievano spazio a strade e case. Anche il loro volo prese quota, Akito riusciva a sentire la sensazione di salire sempre più in alto, nonostante la guida sicura e senza scossoni di Suzue.
Il paesaggio si fece rapidamente sempre più montuoso, solo qualche strada o fiume tagliava la distesa di alberi verdi che ricopriva completamente il terreno. Notò solo un paio di paesi mentre sorvolavano il parco nazionale di Chichibu-Tama-Kai.
Rimase a fissare estasiato fuori dal finestrino per diversi minuti, ma pian piano il ripetersi continuo di boschi e prati lo annoiò un po'. Tornò quindi a interessarsi a quanto accadeva nel velivolo. I due adulti stavano discutendo, pareva, ma le loro espressioni erano molto rilassate. Sentiva i loro discorsi attraverso le cuffie, ma non ne capiva il senso. Daisuke-san sedeva ancora con le gambe accavallate, la testa leggermente reclinata poggiata su un gomito. L'attenzione del miliardario era tutta per l'uomo che gli sedeva di fronte, proprio accanto ad Akito. I suoi occhi blu non sembravano volersi staccare dallo zio, che al contrario distoglieva spesso lo sguardo, per poi tornare al punto di partenza. Akito ricordava molto bene la prima volta che aveva visto quei due insieme. Lo avevano portato a Disneyland per una giornata indimenticabile per quanto improvvisata. Anche allora avevano litigato, tante volte, eppure la discussione a cui stava assistendo era diversa. Lo zio, come la mamma, solitamente scoppiava e alzava la voce, questa volta stava invece facendo delle strane espressioni e rispondendo seccato, ma sembrava rilassato e tranquillo. Anche Daisuke-san sorrideva, molto più di quanto ricordasse dall'estate precedente.
Quando al parco lo zio li aveva lasciati soli Akito aveva sfrontatamente chiesto al miliardario perché aveva deciso di accompagnarli a Disneyland anche se non gli interessavano i giochi. Kambe era rimasto per un attimo in silenzio, poi lo aveva avvicinato e gli aveva detto: - Ti svelerò il perché, ma deve restare un segreto tra noi, sei disposto a giurarmi che non lo rivelerai ad anima viva? -
Il bambino sentitosi trascinare in un gioco di misteri e segretezza aveva giurato senza indugio. Aveva sperato in qualche missione segreta da poliziotti o spie, invece aveva ricevuto la più banale ma sorprendente rivelazione: - Voglio avvicinarmi il più possibile a tuo zio, voglio diventare una persona speciale per lui, quanto lui lo è per me. -
Il bimbo non aveva bene capito cosa intendesse con "persona speciale", ma non volendo sfigurare con quell'uomo di cui suo zio si fidava così tanto da lasciarli soli decise di sorvolare e cambiare argomento. Il miliardario gli aveva sorriso, allora, e aveva volentieri continuato a chiacchierare con lui, dandogli anche il permesso di chiamarlo per nome.
Aveva rispettato la sua promessa, non aveva mai raccontato quella cosa a nessuno. Non che avesse motivo per farlo. A chi sarebbe mai interessata una cosa così banale? Eppure ora, mentre osservava i suoi due accompagnatori, le parole di Kambe gli erano tornate in mente. Che fosse riuscito nel suo intento? Ancora non sapeva cosa "persona speciale" significasse, ma probabilmente era solo un modo da nobile per dire che voleva diventare il migliore amico dello zio. Effettivamente ora i due adulti sembravano molto più amici di prima.
Mentre cercava di capire cosa gli desse quell'impressione lo zio si accorse del suo sguardo.
- Ti stai annoiando Akito? - gli chiese.
S'affrettò a negare: - No, no. -
- Tra un attimo saremo arrivati, stai tranquillo. - la voce pacata di Daisuke-san s'intromise. Ebbe una scusa per spostare nuovamente la sua attenzione sul miliardario. Sì, ora era più sorridente e rilassato di quanto lo ricordasse. Anche se al primo incontro si era un po' spaventato e sentito in soggezione aveva imparato in fretta che Kambe era gentile e disponibile. Eppure ora gli sembrava ancora più aperto.
Sorrise ai due adulti, prima di tornare a guardare fuori dal finestrino, così da non impensierirli. Il panorama non era cambiato, ancora boschi a perdifiato. Di un verde più intenso forse e ancor più fitti.
Dopo pochi minuti come aveva preannunciato il miliardario Suzue annunciò: - Stiamo per arrivare, inizio le procedure di atterraggio. -
L'elicottero volo sempre più basso, le cime degli abeti si distinguevano ora con chiarezza. La ragazza doveva essere veramente brava: non ci fu nessun colpo secco, nessuno sbalzo. Con rinnovato interesse il bambino si aggrappò al finestrino come se la vista potesse sfuggirgli dalle mani. Vide un lago riflettere chiaramente il cielo azzurro, gli passarono molto vicino, poi ancora bosco. Con una virata Suzue fece inclinare leggermente il mezzo, Akito si trovò sul lato interno, schiacciato contro la parete in metallo poteva vedere chiaramente una villa con un giardino curatissimo stagliarsi nel mezzo del bosco. Il velivolo si rimise completamente in orizzontale, ormai le punte degli alberi erano pochi metri, forse nemmeno due, sotto di loro. Dopo poco un altro spiazzo si aprì, c'erano anche delle altre strutture e un’intera pista d'atterraggio. L'elicottero iniziò la sua discesa verticale, mentre Akito si rendeva conto che quelli accanto erano degli hangar: chissà se c'erano anche degli aerei!?
Con un urto non particolarmente accentuato Suzue fece atterrare il velivolo. Appena il mezzo fu completamente poggiato a terra Daisuke-san fece aprire il portellone. Nel frattempo lo zio gli stava slacciando le cinture: - Ora non fare di testa tua, Akito. Può sembrare un gioco da ragazzi scendere da un elicottero, ma non è così. Seguimi e fai come ti dico. -
Lui annuì e cercò di frenare il suo istinto di correre sulla pista. Kambe era già a terra, lo aiutò a scendere e accanto a lui attese che anche Haru mettesse piede sulla piattaforma d'atterraggio. Lo zio gli prese immediatamente la mano e s'incamminarono lontano dall'elicottero con ancora le eliche che ruotavano vorticosamente. Proprio davanti a loro un uomo elegante li stava aspettando accanto ad una jeep.
Appena furono vicini all'auto il miliardario si voltò, fece un cenno con la mano e poi disse: - Puoi andare Suzue. Buon rientro. -
- Grazie, Daisuke-sama, - giunse la voce della ragazza - Buon fine settimana anche a voi. -
Akito perplesso si girò verso lo zio: - Ma non viene anche lei con noi? -
- Suzue ha da fare, Akito, ci verrà a prendere domani sera. - gli rispose l'adulto, che ancora non aveva lasciato la sua mano.
- Spero si diverta, Akito-sama. - aggiunse la donna alzando una mano dalla sua cabina di pilotaggio per salutare il bambino. Lui rimase un po' imbambolato, era la prima volta che una donna tanto bella si rivolgeva a lui soltanto e in modo tanto formale. Arrossendo alzò solo un braccio titubante.
- Buon viaggio, Suzue-san - aggiunse Kato un attimo prima che l'elicottero riprendesse quota e sparisse in cielo.

Quando il velivolo fu sufficientemente lontano lo zio gli disse: - Ora puoi toglierti le cuffie, Akito. -
Il bambino si portò subito le mani agli auricolari e con prontezza se li tolse. All'improvviso un mondo di suoni che non si era nemmeno accorto mancassero gli riempì le orecchie. Il bosco non era fatto solo di silenziosi e alti alberi, c'erano uccellini che cantavano, fruscii e lo stormire delle fronde al leggero soffiare del vento. Si guardò attorno meravigliato: era veramente in montagna, nel mezzo della natura, non in un giardino pubblico o una qualche altra imitazione per bambini.
- Akito, andiamo? - lo richiamò lo zio, che già aveva aperto la portiera della jeep per lui. La sua borsa veniva messa in quel momento nel bagagliaio dall'uomo in completo che aveva visto poco prima attenderli.
- Chi è il signore? - domandò mentre saliva sul sedile posteriore.
Il poliziotto si girò un po' titubante e allora si intromise Daisuke-san: - È uno dei miei domestici, starà con noi questi due giorni. Si chiama Otsuka. -
- Piacere Otsuka-san - inchinò il capo cercando di mostrarsi educato come la mamma gli aveva raccomandato d'essere. I'uomo sorrise mentre ricambiava: - Onorato. -
Solo dopo un attimo tirò la maglia allo zio: - Zio, cos'è un domestico? -
Haru alzò gli occhi al cielo. - Daisuke, non potevi usare delle parole più semplici? -
- Quindi ora è colpa mia se tuo nipote ha delle lacune? - gli rispose immediatamente l'altro che sedeva sul sedile anteriore.
Akito continuava a guardare interdetto il parente, non capendo nemmeno la risposta di Daisuke-san. L'uomo si grattò la nuca pensoso: - Vediamo... come posso dirlo in modo più semplice senza risultare scortese... -
- Cameriere? - lo anticipò Kambe.
- Ah! Sì lo so cos'è un cameriere! Ma guidano i camerieri? -
Otsuka-san nel frattempo aveva messo in moto e l'auto si stava avviando per un sentiero che attraversava la foresta. Con un sorriso divertito stava seguendo tutta la discussione; evidentemente a lui poco importava della parola con cui veniva definito.
- Haru, spiegagli direttamente cosa fa un domestico. - concluse il miliardario, mentre l'altro adulto era ancora alla disperata ricerca di una risposta adatta.
- Non darmi ordini. - scattò guardando con fastidio verso la nuca corvina dell'amico.
Poco dopo però iniziò a spiegare confusamente quali fossero i compiti di Otsuka. Akito non capì proprio tutto, ma riuscì a farsi una idea.
Lo zio riuscì a concludere la discutibile spiegazione quando l'auto aveva svoltato in uno spazio più aperto, ora la villa che prima avevano sorvolato si vedeva chiaramente.
Daisuke-san si girò verso di loro: - Haru, io mi occupo di far scaricare i bagagli, tu se vuoi mostragli il giardino. -
- Ok. Allora ti aspettiamo là. -
Lo zio fece un sorriso incredibilmente radioso per essere uno che si era offeso solo un attimo prima. Ciò che però aveva improvvisamente realizzato colpì Akito come una freccia ben scoccata: si chiamavano per nome! Forse era troppo eccitato quella mattina per accorgersene, ma a ripensarci non avevano mai nascosto la cosa! L'anno precedente si erano sempre rivolti l'un l'altro solo per cognome, si ricordava bene lo stupore dello zio quando l'aveva sentito usare "Daisuke-san"! Li guardò entrambi, con occhi stupiti, poi scoppiò a ridere. A quanto pare il miliardario era veramente riuscito a diventare il miglior amico dello zio! Non c'era altro motivo per cui avrebbero dovuto iniziare a usare i loro nomi. Era molto contento per Daisuke-san, e anche per lo zio. Akito si sentiva sempre molto fortunato e felice di avere Sasaki, il suo migliore amico, accanto, non doveva essere diverso per lo zio.
- Che ti prende Akito? - gli domandò Haru colto di sorpresa.
Tra le risate gli rispose: - Sono solo contento. -
- Avrai fatto qualche espressione idiota come sempre. - lo canzonò Kambe rimettendosi composto sul suo sedile.
- Ehi Daisuke! - s'infuriò lo zio, senza però ottenere risposta. Il bimbo rise ancora un po' a quella scenetta, poi s'impose di smettere per non far arrabbiare il parente.
Un attimo dopo la macchina si fermò e fu facile archiviare l'accaduto. La jeep li lasciò vicino alla villa, vi si incamminarono a piedi lungo un sentiero in terra battuta perfettamente curato. Quando furono davanti al porticato il padrone di casa s'avviò alla porta, mentre loro due si diressero lungo un altro vialetto che attraversava aiuole e fiori ordinatissimi. Al centro si trovava una fontana altissima. Sembrava il parco di uno di quegli anime ambientati in Europa che tanto piacevano alle bambine. Visto dall'elicottero il giardino non era sembrato molto grande, invece la fontana che si notava già dall'ingresso della villa era più lontana di quanto pensasse! Da vicino il rumore dell'acqua e lo spettacolo delle cascate artificiali gli strapparono un'esclamazione stupefatta. Girò varie volte attorno alla struttura in pietra decorata, mentre lo zio lo guardava seduto su una panchina. Sembrava non entusiasmarsi tanto quanto lui, che frequentare Daisuke-san lo avesse abituato a certe cose tanto straordinarie?
- Zio, zio. - lo chiamò - c'è un uccellino lassù! - gli indicò il piano più alto, dove un pettirosso stava bevendo a brevi sorsi.
Haru s'alzò e gli andò vicino. - Non urlare troppo, Akito, oppure lo spaventerai. -
Si chinò accanto a lui con gli occhi fissi sul volatile.
- Zio, che uccello è? -
Il poliziotto fu preso alla sprovvista, Akito poteva leggergli in faccia che non sapeva rispondere. Solo dopo un attimo abbassò la testa sconfitto da sé stesso: - Non lo so. - ammise, ma poi si riprese: - Facciamogli una foto, magari Daisuke sa rispondere, oppure lo farà fare a HUESC... anzi! Facciamolo fare noi a HEUSC! -
Il bambino rimase perplesso dinanzi a quel fiume di parole, per lo più sconosciute, che lo zio stava dicendo.
- A chi? - azzardò.
- A HEUSC. È un’intelligenza artif... insomma è un computer che sa tutto e ti risponde. -
Lo zio aveva estratto il telefono mentre parlava e scattato una foto all'uccellino che ancora incurante di tutto e tutti beveva allegramente.
- Tipo il cellulare che gli parli e fa le cose? - domandò ancora Akito.
- Sì, tipo, ma HEUSC è meglio. - concluse lo zio, tornando accanto a lui e mostrandogli la foto, non proprio bellissima. Poi armeggiò con l'orologio che portava al polso e disse ad alta voce: - HEUSC dimmi il nome dell'uccello che compare nella mia ultima foto. -
Akito continuava a guardarlo dubbioso, perché chiedere all'orologio e non al telefono?
Dopo una frazione di secondo una voce suadente rispose: - Si tratta di un luscinia akahige, comunemente detto pettirosso o komadori. -
Gli occhi del bimbo si sgranarono. Dall'orologio dello zio sembrava aver parlato una persona vera! Era incredibile!
- Zio! Ma è bellissimo!! Puoi rifarlo? Possiamo chiedergli qualsiasi cosa?! - Il bambino saltò quasi tra le braccia di Haru, arpionandogli il braccio.
- Chiedere a chi? - entrambi quasi balzarono nel sentire la voce piatta di Kambe intromettersi. Non si erano nemmeno accorti del suo arrivo. Akito lasciò la presa, mentre Kato si raddrizzava: - Ho solo mostrato a Akito come funziona HEUSC. -
- Era necessario? - gli rispose l'altro incrociando le braccia. Il poliziotto si limitò ad alzare le spalle, mentre il ragazzino partiva alla carica: - Daisuke-san, tu lo sapevi che lo zio poteva chiedere le cose al suo orologio?! -
Il miliardario inclinò la testa incerto: - Certo, gliel'ho dato io. -
- Davvero?! - Ora il bimbo era ancora più interessato, ma una mano dello zio gli schiacciò la testa verso il basso, cercando di riportarlo sulla terra.
- Akito, perché invece che parlare di un computer non andiamo a vedere la tua camera? - E così dicendo lo indirizzò verso la villa.
Daisuke non mancò di correggerlo: - È un AI maggiordomo, Haru. -
- Quel che è. Devo farmi capire da Akito, non da te! - gli rispose l'altro mentre camminandogli accanto scortava il nipote.
- Come vorrei che ti impegnassi così anche con me. - sospirò teatralmente il miliardario. Anche Akito s'era accorto che era una esagerazione, ma lo zio sembrò prenderla sul serio: - Io mi impegno! -
- Daisuke-san, non capisci lo zio? - domandò più per cercare di inserirsi nella conversazione che altro.
Kambe gli rivolse un sorriso: - No, io lo capisco, è lui che non capisce me. -
- Sei tu che sei complicato e non dici mai quel che ti passa per la testa! - ribatté a stretto giro il poliziotto. I due si scambiarono occhiate cariche. Per quanto Akito cercasse di partecipare sembrava che fossero finiti in un mondo che apparteneva solo a loro. Decise che tanto valeva lasciarli fare, con uno scatto corse in avanti verso l'edificio. Era liberatorio poter correre così, lì in montagna la temperatura era anche più mite, non si sentiva affatto accaldato come a casa.
Arrivò al porticato molto prima dei due adulti, che nel frattempo avevano continuato il loro battibecco amichevole. Si era seduto sull'ultimo gradino della scala ad attenderli. Era una sua impressione o adesso erano più attaccati? Le loro mani sembravano quasi sfiorarsi; che avessero qualcosa di segreto da dirsi, così vicini?
Quando furono a pochi metri da lui, come accortisi della sua presenza, si divisero lentamente. Arrivati alla scala Daisuke-san prosegui, mentre lo zio gli diede una mano per aiutare ad alzarsi. Entrarono nella villa e per Akito fu un nuovo shock. Era gigantesca! Piena di cose lussuose e stravaganti! Non avrebbe saputo spiegare il perché, ma sapeva perfettamente che tutto ciò che vedeva valeva una marea di soldi. A bocca aperta si guardò attorno, ancora all'ingresso, ruotando su sé stesso varie volte. Nel frattempo su un lato della stanza sei persone stavano in fila, tra loro riconobbe anche Otsuka-san.
- Akito. - lo fermò Haru, prendendolo per le spalle. Capendo di star reagendo in modo esagerato il bambino si sforzò di calmarsi e comportarsi in modo educato. I sei, tutti vestiti uguali, lo guardavano con uno sorriso. S'inchinò per scusarsi, poi la voce di Daisuke lo fece rialzare: - Akito-kun, questi sono i sei domestici che ci assisteranno in questi due giorni: Otsuka-san, che hai già conosciuto, Kaneda- san, Uchihara-san, Inagawa- san, Sayano-san, Shinohara-san -
Il miliardario snocciolò tutti i nomi facendo una breve pausa tra l'uno e l'altro. C'erano tre donne e tre uomini, ma Akito non era affatto sicuro di riuscire a ricordare tutto. Stava cercando di imprimere a fuoco in memoria ogni viso associandolo al giusto cognome, quando Daisuke-san continuò: - Per non crearti problemi ognuno di loro avrà un cartellino con il nome appeso al petto, non ti preoccupare. Saranno in servizio solo in due alla volta, questa mattina con noi ci saranno Otsuka-san e Uchihara-san. -
- Molto piacere. - disse facendo un nuovo inchino, a cui tutti e sei risposero con un movimento identico ma estremamente più elegante.
- Potrai rivolgerti a loro in qualunque momento, sono persone di cui mi fido. - concluse il miliardario.
Aveva dei camerieri a sua disposizione! Si sentiva di colpo come un piccolo lord! I suoi sogni a occhi aperti vennero bruscamente interrotti dallo zio: - Bene, Akito, ora lasciamo che tornino alle loro occupazioni e noi andiamo in camera, ok? -
Gli prese la mano e quasi lo trascinò verso la scalinata che portava al piano superiore. Nel frattempo Akito guardò con la coda dell'occhio i sei domestici che ancora restavano perfettamente in fila.
- Perché non vanno via? - domandò poi, girandosi verso lo zio.
Fu però Daisuke che li seguiva a rispondere: - Perché non è educato che un domestico esca dalla stanza prima del padrone, se non gli è stato dato preciso ordine di farlo. -
- Oh! - commentò assorto. Se aveva capito bene quindi si sarebbero mossi solo quando Daisuke-san fosse uscito dalla loro visuale. Sembrava veramente una cosa da nobili!
Sentì lo zio sospirare, mentre saliva l'ultimo gradino. A volte somigliava veramente tanto alla mamma, quel sospiro significava che non approvava, ma non poteva fare altro che accettare le cose come stavano. Cos'era, però, che non andava? Che ci fossero dei domestici? O che fossero così educati?
La questione passò subito in secondo piano quando il bambino mise piede nel nuovo ambiente. Il corridoio che portava alle camere sembrava veramente uscito da un castello. C'erano anche le lampade dorate alle pareti e il tappeto rosso!
Lo zio, che sembrava incredibilmente pratico del luogo, lo portò davanti alla prima stanza.
- Ecco, Akito, questa è la tua stanza. Abbiamo scelto la prima così la puoi trovare facilmente. -
Il bimbo annuì, mentre l'adulto abbassava la maniglia. Ormai convinto di essere in un castello senza torri, Akito si era aspettato una camera meravigliosa, ma le dimensioni lo stupirono lo stesso. Aveva in mente l'appartamento dello zio, e in quella stanza probabilmente ci sarebbe stato tutto quanto! Al centro c'era un letto matrimoniale con un baldacchino degno dei libri di fiabe.
Con gli occhi che luccicavano si era avvicinato indicandolo: - È tutto per me?!? -
- Sì, certo. - gli aveva risposto Daisuke, mentre andava ad aprire un armadio in legno massiccio: - E qui ci sono le tue cose. -
Della sua borsa ora non gli interessava, ancora meravigliato aveva messo le mani sul copriletto morbidissimo. Si era poi girato verso lo zio: - Posso salire? -
Haru aveva riso prima di rispondere: - Certo, Akito, non vorrai dormire sul tappeto, spero. -
Ancora titubante aveva poggiato entrambe le mani e si era issato sul materasso, molto più alto di quello di casa. Era fantastico! Sembrava super elastico! Istintivamente avrebbe voluto saltarci sopra per provarlo, poi aveva pensato alle urla di sua madre ogni volta che saltava sul letto. Era a casa di Daisuke, doveva comportarsi bene.
- Va bene, Akito-kun? - gli chiese il padrone di casa.
Il ragazzino annuì energicamente: - Benissimo! -
Nel frattempo lo zio si era allontanato verso una porta laterale: - Akito, vieni qui. -
Scese immediatamente per affiancarsi allo zio.
- Qui c'è il tuo bagno in camera. Vedi? C'è anche la vasca, ma non usarla da solo, ok? -
Somigliava alla mamma anche nel preoccuparsi, evidentemente.
- Sì, zio. Ma il bagno è solo mio? Voi ne avete un altro? - Faticava ad immaginarsi una casa con due bagni.
Lo zio sembrò stranamente in difficoltà: - Sì, le ville della gente ricca sono tutte così, ognuno ha il suo bagno. Sono esagerati. -
- Sono comodi, Haru. - s'intromise Kambe.
- ... esagerati ma comodi, mi tocca ammetterlo. - concluse lo zio. Un lieve sorriso comparì sul viso di Daisuke-san, che però non commentò oltre.
Gli lasciarono ancora un paio di minuti per contemplare la sua stanza, poi il poliziotto, mani ai fianchi lo invitò ad uscire: - Su Akito, adesso andiamo, prima pranziamo prima partiamo per la nostra prima gita. -
Nel sentir parlare di gita le orecchie gli si drizzarono e in un lampo schizzò in corridoio. Dietro di lui i due adulti se la presero molto più comoda.
Akito fece per mettere un piede sul primo gradino della scala, quando un dubbio lo assalì.
- Ehi zio, dove sono la tua camera e quella di Daisuke-san? -
Senza nessun preavviso Haru si bloccò come una statua e arrossì palesemente. Il nipote sbatté gli occhi incredulo. Che cosa aveva detto di strano?
A quel punto Daisuke-san passò accanto all'amico, dandogli una leggera sberla sulla nuca: - Perché lo chiedi Akito-kun? -
- Beh, se avessi bisogno di qualcosa... - si sentiva anche lui intimidito.
Il miliardario si chinò davanti a lui: - Non ti preoccupare, c'è un campanello sul comodino, suona quello e arriverà un domestico immediatamente. Se poi vorrai comunque lo zio lo chiamerà lui. -
- Ok...- mormorò il bambino. Non avrebbe voluto disturbare tanta gente, era meglio che non si facesse prendere dalla paura quella notte. Inaspettatamente la mano di Kambe si posò delicatamente sul suo capo leggermente chino. Era una sensazione completamente diversa da quella che le pacche dello zio gli davano!
- Rilassati Akito, non vogliamo darti troppe informazioni che potrebbero confonderti. Andrà tutto bene. Sei un bambino grande, ormai. -
Il ragazzino alzò gli occhi, il suo sguardo fisso in quello di Daisuke-san. Le sue parole gli diedero tutta la sicurezza di cui aveva bisogno. Era vero, ormai aveva otto anni, una notte da solo non era la fine del mondo! Sarebbe andato tutto bene!
Con un gesto deciso della testa confermò le parole dell'uomo che gli sorrise prima di alzarsi e togliere la confortante mano dalla sua testa. Nel frattempo anche lo zio si era ripreso da quel misterioso imbarazzo, anche se ancora si grattava la nuca incerto. Scambiò un'occhiata con Daisuke-san, poi sospirò come ad arrendersi e s'incamminò verso il piano inferiore prendendo il nipote per mano.

Il pian terreno della villa si rivelò un mezzo labirinto, Akito non avrebbe saputo rifare lo stesso percorso a ritroso se glielo avessero chiesto. Il pranzo fu servito all'esterno, in un cortile coperto da un grande gazebo e circondato su tre lati dall'edificio. Nonostante fossero fuori tutto sembrava elegantissimo. Il cibo poi era straordinario! Non aveva mai mangiato niente di così buono in vita sua! Le porzioni però erano così piccole che non poté certo abbuffarsi, ma forse era meglio così, riuscì ad assaggiare tutto quanto! Mentre lui si godeva le specialità del cuoco della famiglia Kambe lo zio e Daisuke-kun avevano iniziato a discutere sul menu della cena. Il bambino non li capiva, mancavano ancora così tante ore alla cena, perché preoccuparsi adesso? La questione lo riguardò d'improvviso quando il miliardario si girò verso di lui: - Akito-kun, a te va bene la cucina europea? -
- Daisuke! Sono sicuro che non abbia mai mangiato nulla di straniero, lascia che si senta a suo agio! - s'intromise lo zio.
Ma Akito era già stanco di quel discorso, e soprattutto non gli importava affatto che cosa avrebbe mangiato, bastava fosse buono: - Mi va bene! - rispose di getto.
- Akito... traditore... - mugugnò Haru, mentre l'altro adulto lo guardava sogghignando.
Avevano sicuramente uno strano rapporto, pur essendo amici. Lui non litigava tanto con Sasaki. Se però a loro andava bene così...
- Adesso andiamo? - domandò intromettendosi in uno dei loro strani discorsi silenziosi. Si girarono entrambi verso di lui leggermente sorpresi, poi sorrisero.
Il primo a muoversi fu il poliziotto, alzandosi disse: - Va bene, una bella passeggiata favorisce la digestione! -
Il bimbo balzò immediatamente in piedi pronto a partire così com'era, occhi che luccicavano all'idea della prima avventura del fine settimana. Con molta più calma anche il padrone di casa si rialzò, chiamò vicino a sé uno domestico e gli disse qualcosa. Poi si rivolse a loro due: - Bene, possiamo andare. - così dicendo s'avviò verso una delle tante porte che s'affacciavano sul cortile. Seguendo passo passo Kambe riuscì a tornare all'ingresso senza perdersi. Iniziarono entrambi a mettersi gli scarponcini, nuovissimi per Akitio, quando lo zio li richiamò: - Ehi voi due, non vorrete uscire così, vero? -
Era in piedi dietro di loro con le mani ai fianchi e li fissava in tralice, il miliardario e il bambino si guardarono l'un l'altro cercando di capire quale fosse il problema. Erano vestiti in modo adatto sin dal mattino e si stavano mettendo le scarpe giuste, non c'era nulla che fosse fuori posto in loro.
- Ah! Ho capito! Aspettatemi qui! - quasi urlò lo zio girandosi e prendendo la via delle scale.
Akito tornò a guardare Daisuke-san: - Cosa abbiamo sbagliato? -
- Non ne ho idea. - gli rispose piatto il miliardario tornando ad allacciarsi le calzature. A quel punto anche il bimbo decise di fare lo stesso, lanciando però frequenti sguardi indagatori verso l'adulto rimasto con lui. Sembrava calmissimo, nonostante nemmeno lui capisse cosa passasse per la testa dello zio.
Come avesse letto nel suo pensiero Kambe riprese: - Non ti preoccupare, tuo zio ogni tanto ha di questi momenti. Sarà sicuramente qualche sua idea balzana alla quale dovremo adattarci, ma nulla di grave. -
- Non è una idea balzana! - Si sentì protestare dietro di loro, mentre Kato scendeva velocemente i gradini, portando con sé qualcosa. Si avvicinò velocemente ai due che uno accanto all'altro lo attendevano in piedi davanti all'ingresso, con un movimento rapido di entrambe le mani mise loro in testa due cappelli.
- Non osate uscire di qui senza cappello, capito? Dico anche a te Daisuke! -
In risposta l'altro incrociò le braccia sbuffando. Akito invece cercò di risistemarsi il copricapo senza levarlo. Senza dar peso all'espressione infastidita dell'amico Haru si chinò per mettersi a sua volta rapidamente le scarpe.
- E perché tu no? - domandò leggermente risentito il miliardario.
Haru, si rialzò mostrando il capello alla pescatora che portava legato al collo e gli ricadeva sulla schiena.
- Ma non l'hai in testa. - continuò la rimostranza con una testardaggine piuttosto sciocca, secondo Akito. Lo zio non se ne lamentò, con un gesto si pose sul capo il cappello.
- Ecco. Come sto? Mi dona? - gli sorrise avvicinandosi ad abbassare leggermente con un dito la visiera del copricapo di Kambe. Questi si ritrasse imbarazzato, rispondendo comunque atono: - Per nulla. -
- Non è vero, sei arrossito un po', - continuò allegro lo zio andando a sfiorare una guancia dell'amico - quindi non mi sta così male. -
Il ragazzino non capiva cosa stesse succedendo, ma in ogni caso stavano perdendo tempo, che importanza ha tra maschi l'aspetto fisico? Quelle erano cose per donne!
- Zio, andiamo? - domandò tirando il parente per la maglia.
Haru sgranò gli occhi voltandosi, poi fu lui ad arrossire profusamente. Daisuke-san alzò gli occhi, prima di dargli anche questa volta uno scappellotto e prendere la mano del bambino.
- Su, andiamo. E lasciamo quell'idiota di tuo zio a pensare alla sua mancanza di comprensione della situazione. -
Desideroso di uscire il prima possibile il bimbo non si fece pregare e si mise al passo.
Una volta all'aperto azzardò una domanda: - Cosa è la comprensione della situazione? -
- La capacità di capire quando è il momento di fare le cose e come farle. -
- E lo zio non è capace di capirlo? -
- Evidentemente no. -
D'improvviso un urlo s'intromise tra loro: - Sì che lo capisco! Mi sono solo lasciato prendere! Non offendermi davanti a mio nipote! -
L'uomo si frappose tra loro anche fisicamente, prendendo la mano di Akito sfilata da quella del miliardario. Sembrava seriamente offeso, ma Daisuke-san, anziché scusarsi, sorrise ancora più beffardamente: - Fai tutto da solo, Haru. -
Inizialmente il poliziotto parve intenzionato a non lasciarsi scalfire dall'annotazione, tenne lo sguardo fisso davanti a sé e allungo leggermente il passo, poi di colpo si fermò mettendo la mano libera sul viso: - Ah! Lo so! -
Akito rimase frastornato da quella reazione imprevista, notò a malapena la compostezza di Daisuke-san che s'affiancò al collega, gli batté leggermente sulle spalle come a consolarlo e gli disse: - Vorrà dire che ci metterò una pezza anche la prossima volta. -
Lo zio fece solo una smorfia infastidita prima di borbottare un "grazie".

Dopo quello strano siparietto iniziale le cose si normalizzarono. Seguirono un sentiero ben battuto, lo zio dopo poco lo lasciò anche libero di correre qui e là, restando a portata di sguardo. I due adulti lo seguivano affiancati, solo ogni tanto parlottavano tra loro, spesso restavano semplicemente in silenzio, eppure sembravano a loro agio. Almeno così pareva ad Akito, per quel poco d'attenzione che gli concesse. Tutta il suo interesse era per ciò che lo circondava: la natura nel suo massimo splendore! Era nato e cresciuto nella metropoli, le occasioni per poter stare nel mezzo del verde così erano state fin ora rarissime e spesso in luoghi ben più affollati. Qui per la prima volta invece poteva sentire il vero rumore di una foresta, gli uccellini che cantavano, il ronzio degli insetti, il frusciare delle foglie. Poi c'erano così tanti animaletti! Anche quelli conosciuti gli sembravano diversi! Le formiche, le mosche, tutto sembrava più autentico! Quando una libellula gli tagliò la strada rimase sorpreso dai suoi movimenti rapidi e scattanti. Vide anche uno scoiattolo che scendeva da un albero, ma nel notarli fece immediata retromarcia. Sentirono anche dei versi particolari provenire da un qualche punto nel bosco più a monte e Daisuke-san gli disse che erano probabilmente dei cervi sika. L'idea di poter vedere un cervo selvatico dal vivo gli mise le ali ai piedi, ma alla fine quel giorno non ne videro.

La passeggiata che gli adulti avevano deciso di fare quel pomeriggio non era particolarmente impegnativa. In poco tempo raggiunsero il laghetto che si trovava vicino alla villa. Non era particolarmente grande, stando a quanto diceva il miliardario, ma per Akito era comunque bellissimo: soprattutto perché c'erano molti più animali da ammirare e cercare d'avvicinare senza molto successo.
Se lui si sentiva disposto a correre attorno a tutto il lago almeno un paio di volte, i due uomini che lo accompagnavano se la stavano invece prendendo comoda. Un po' Akito scalpitava, ma poi ricordava la promessa fatta alla madre di comportarsi bene e si accucciava in qualche angolo a studiare lo svolazzare assurdo delle libellule oppure si metteva vicino alla riva a scrutare i pesci che incuranti sguazzavano tranquilli. Non dovevano esserci molti pescatori da quelle parti.
Stavano seguendo la stradina che circondava completamente lo specchio d'acqua, non erano distanti dal completare il giro, quando lo zio, vista una spiaggetta di sassi lo chiamò.
- Akito. Fermiamoci un attimo. Facciamo un gioco. - gli disse dirigendosi deciso verso la riva.
Immediatamente incuriosito il bambino lo seguì. Dietro loro arrivò anche Daisuke. Lo zio si era subito chinato a cercare qualcosa, dopo un attimo si rialzò con una pietruzza tra le mani.
- Ecco qui, Akito, guarda bene. -
Si mise di fianco, non lontano dall'acqua, e poi con un movimento rapido lanciò il sasso. La pietra schizzò veloce sull'acqua, la colpì una, due, tre volte prima di inabissarsi.
- Oh! - riuscì solo a dire meravigliato.
- Non era un gran lancio. - commentò Daisuke-san. Ma per il bimbo era già incredibile quel che aveva visto.
- Zio, zio! Come si fa? Posso imparare? - domandò eccitato appena si riprese dalla meraviglia.
La mano di Haru si posò sul suo capo, come a fermare la molla che era diventato: - Certo che puoi. Prima di tutto devi cercare una pietra bella piatta; più piatta e liscia che puoi. -
Il bambino si mise subito in cerca. Fece varie proposte che vennero scartate, lui e lo zio s'aggirarono con la schiena piegata per alcuni minuti. Infine vennero raccolti una decina di sassi considerati adatti, che non bastarono però per la lezione. Riuscì solo a far fare un fortunoso balzo all'ultima che lanciò. Esaltato dall'ormai insperato mezzo successo, Akito si rimise a scrutare il terreno.
- Haru, - chiamò il miliardario in quel momento - ti va una sfida? Tre tentativi a testa. Chi riesce a far fare più rimbalzi vince. -
Akito incuriosito alzò lo sguardo, allo zio non servì nemmeno pensare, gli occhi gli ardevano: - Ci sto. -
Entrambi gli adulti si misero a scansionare il terreno: Daisuke-san si chinava solo per raccogliere i pezzi che considerava migliori, mentre Haru studiava ogni singola pietra inclinandola e passandola più volte tra le dita.
Il ragazzino intanto aveva nuovamente raccolto una manciata di pietre per sé.
- Zio, prima posso provare ancora io? - chiese, temendo che la competizione avesse ormai preso il sopravvento.
Il parente alzò gli occhi su di lui e sorrise- Certo, Akito. Anzi, facciamo un bel video per la mamma? -
Akito abbassò lo sguardo e strascicò i piedi: - Ma se non riesco... -
Un'altra volta la mano del poliziotto gli si posò sulla testa: - Gli invieremo solo il video dove ci riesci. Sono sicuro che farai un bel lancio questa volta. -
Il volto del bimbo s'illuminò: - Ok! Allora vado? -
- Ah, aspetta! - lo richiamò Haru - fammi cercare un'ultima pietruzza per la sfida con Daisuke, poi sono da te. -
Akito si mise ad attendere allora in riva, giocando con l'acqua, quando Daisuke gli si avvicinò:
- Prima di tutto, Akito, fai un po' di esercizio con il polso. Il segreto sta nel muoverlo velocemente. Così. - gli mostrò il gesto rapidissimo. Il ragazzino lo fissò: - Daisuke-san, sei bravo con questo gioco? -
- Quanto basta. -
Cosa voleva dire? Tanto o poco? Iniziava a pensare che forse aveva ragione lo zio a dire che non era colpa sua se faticava a comprenderlo, Daisuke-san a volte parlava veramente in modo complesso.
- Eccolo! - urlò in quel momento lo zio.
- Direi che ha trovato quel che cercava. - commentò il miliardario dandogli una mano per rialzarsi.
I due contendenti misero le loro sei pietre su un fazzoletto poco distante, poi tornarono dal bambino per aiutarlo nei suoi tentativi. Prima di iniziare Akito fece un tentativo nel muovere il polso a vuoto come Kambe gli aveva suggerito. Fu corretto un paio di volte, ma infine il miliardario sembrò soddisfatto. Lo zio lo mise poi in posizione: gambe allargate, torso leggermente piegato verso il basso. Gli mosse il braccio lentamente, cercando di fargli memorizzare il movimento ancora una volta. Poi si spostò indietro e prese il cellulare.
- Bene Akito, ora inizio a filmare, tu prova. Daisuke ti darà una mano al posto mio. Poi manderemo alla mamma il lancio migliore. -
Il bambino annuì improvvisamente teso.
- Rilassati, non siamo obbligati a mandare nulla. - gli disse allora Kambe. Forse era difficile da capire, ma sicuramente lui comprendeva bene gli altri. Fece un profondo respiro, poi iniziò i suoi tentativi. Non aveva trovato tantissime pietruzze e le vide quasi tutte andare subito a fondo senza nemmeno rimbalzare una volta.
Era deluso, voleva tanto fare bella figura con la mamma, e mostrargli che aveva imparato qualcosa di nuovo, che anche lui poteva fare le cose dei grandi. Daisuke-san gli si avvicinò da dietro.
- Akito, sei troppo macchinoso, devi essere più fluido. Lascia un attimo quella pietra e segui i movimenti che ti faccio fare io. -
Con gentilezza gli prese il polso, gli fece ulteriormente allargare le gambe, gli disse esattamente in che momento lasciare la pietra. Gli fece ripetere da solo tutto un paio di volte. Poi gli diede un primo sassolino.
- Prova ora, quando te lo dico io lascia la pietruzza, ok? -
Era troppo serio per fare l'insegnante, eppure Akito sapeva di potersi fidare.
Fece un primo tentativo che non andò a buon fine. Un secondo: il sasso rimbalzò solo leggermente e poi finì in acqua. Lo zio gli fece comunque i complimenti e lo esortò a provarci ancora.
Aveva ancora solo due tentativi. Prese un bel respiro profondo, chiuse gli occhi e ripensò alle istruzioni che i due adulti gli avevano dato. Quando li riaprì era profondamente concentrato, sentì appena il "lascia" di Daisuke-san. Mollò la pietra che questa volta volò velocissima verso la superficie dell'acqua, rimbalzò una volta, poi due inabissandosi. Akito urlò di gioia saltando felice. C'era riuscito! Aveva tentato tante volte, vero, ma c'era riuscito da solo, senza nessuno che lo facesse al posto suo!
I due adulti gli fecero i complimenti applaudendo.
- Che dici Akito, fai un altro tentativo o mando questo alla mamma? -
Di colpo il ragazzino si sentì come svuotato, non aveva più voglia di provare ora che aveva raggiunto il suo scopo: - Manda questo, adesso sono stanco. Voglio vedere voi! -
Nessuno dei due adulti fece commenti e lo zio si mise subito ad armeggiare con il cellulare per tagliare il video.
- Ehi, Daisuke. Perché non ci riesco? - domandò dopo un attimo. Il miliardario sospirò mentre gli si avvicinava, senza troppe cerimonie gli prese il telefono dalle mani: - Perché sei un incapace, ecco perché. -
Si notava subito che il collega era decisamente più pratico. Mosse rapidamente le dita sullo schermo e in pochi attimi riconsegnò lo smartphone al suo legittimo proprietario.
- Ecco fatto, puoi inviare. -
Haru lo riprese guardandolo di traverso, ma ringraziò comunque. Risolta la questione messaggio alla mamma, i due si prepararono alla loro grande sfida.
- Akito, vai a cercare due fili d'erba, uno più corto e uno più lungo, per favore. - gli disse lo zio, mentre si toglieva il cappello e si sistemava la maglia, come se stesse per fare un enorme sforzo fisico.
Il bimbo tornò in un batter d'occhio. Chi avrebbe preso il più lungo avrebbe iniziato per primo. Akito strinse i pugni a nascondere l'estremità sottostante prima di girarsi verso i due adulti e farli pescare. La sorte volle che cominciasse per primo il miliardario. Haru gli batté sulle spalle nel vedere il suo viso non contento: - Tranquillo Daisuke, sarò buono e mi limiterò a batterti di soli due balzi. -
Quindi lo zio poteva addirittura modulare il tiro?! Incredibile!
Kambe rispose con freddezza: - Vedremo. - e s'apprestò a tirare.
Non si preparò molto, poi con un guizzo lanciò il suo primo sassolino: riuscì a fare ben quattro salti prima di affondare.
Akito era strabiliato, eppure il miliardario non sembrava soddisfatto.
Lo zio si mise al suo posto, con l'espressione di chi sa che vincerà facilmente, fece un paio di movimenti di riscaldamento con le braccia, un respiro profondo e si mise in posizione. Lanciò ma la pietra fece solo due rimbalzi. Akito era allibito, quando gli aveva fatto vedere era riuscito subito a farne tre.
Daisuke invece rise soddisfatto: - Non dovevi battermi, Haru? -
- Era solo il primo tiro! Mi devo scaldare! - gli rispose il poliziotto seccatissimo mettendosi da parte.
Ripreso il solito contegno Kambe si posizionò e ancora una volta con una rapidità incredibile lasciò andare il sasso che rimbalzò rapidissimo ben cinque volte!
- Bravissimo Daisuke-san! - Esclamò Akito estasiato. Quello era un vero colpo da campione!
Il miliardario rispose educatamente con un piccolo inchino: - Grazie mille. -
Poi regalò un sorriso beffardo al collega che lo stava sostituendo. Haru gli fece una smorfia, si mise in posizione e ispirò profondamente due volte prima di fare il suo colpo: due lunghi rimbalzi, ma al terzo la pietra affondò.
Schioccò la lingua infastidito all'amico che questa volta non fece commenti. Evidentemente era stato un buon lancio, nonostante tutto, si disse Akito. Guardò con intensità il miliardario mettersi per l'ultima volta in posizione e senza attendere un attimo lasciar andare il suo ultimo sassolino. Quattro balzi, uno in meno di prima.
Toccava nuovamente allo zio, il bambino aveva voglia di urlargli un incoraggiamento, ma aveva paura di rovinare la sua concentrazione. Aveva appena imparato che era una componente importantissima di quel gioco. Perciò rimase seduto sulle pietre, stringendo con forza le ginocchia al petto. Sperava di incanalare in qualche modo le sue forze verso lo zio.
Haru si preparò nuovamente con calma, solo quando si sentì veramente pronto scattò nel movimento che aveva insegnato al nipote. La pietra filò quasi sibilando: un salto, due, tre, quattro! Ma non ci fu un quinto.
Il poliziotto che aveva quasi incitato il sasso a saltare oltre di sua volontà, si era afflosciato in avanti: - Ammetto la sconfitta. - aveva detto con un filo di voce.
- Haru, puoi parlare più ad alta voce? Non ho capito. - lo rimbeccò subito il miliardario con un sorriso ironico. Daisuke-san era una persona gentile, ma forse non era lo sfidante ideale con cui perdere. Sembrava divertirsi molto a pungolare lo zio.
Il parente intanto si era raddrizzato con impeto, chiaramente arrabbiato. Aveva fissato Kambe nei suoi profondi occhi blu senza dire una parola, infine aveva deglutito prima di ripetere ad alta voce: - Ammetto la sconfitta, contento? -
- Molto. - ammise candidamente il collega, prima di girarsi verso Akito: - Bene, credo sia il momento di tornare a casa. -
Così dicendo s'incamminò stranamente solo verso il sentiero principale. Nipote e zio rimasero sulla spiaggetta, in quel momento il bambino s'avvicinò all'uomo tirandogli la maglia: - Non fa niente se hai perso zio, sei stato comunque bravissimo secondo me! -
Voleva tirargli su il morale. Era vero che Daisuke-san era stato più bravo, ma senza lo zio lui non avrebbe mai imparato quel gioco! Forse Daisuke-san era stato solo fortunato, dopotutto.
Haru si voltò verso di lui, con un sorriso intenerito, gli spettinò i capelli: - Grazie Akito. L'importante è che ti sia divertito. -
- Mi sono divertito tantissimo! Ma tanto tanto! - continuò, mentre entrambi si mossero per raggiungere il miliardario che li stava aspettando pazientemente qualche decina di metri più in là.

Conclusero il giro completo del lago e rientrarono per la stessa strada che avevano percorso alcune ore prima. Akito non si era reso conto dello scorrere del tempo, ma era ormai quasi sera. Appena rientrato gli venne offerto un ghiacciolo, che consumò all'ombra degli alberi sul retro dell'immensa villa, mentre silenziosamente attendeva di vedere qualche scoiattolo scendere dai rami per raccogliere delle nocciole che aveva lasciato per loro. Lo zio era seduto accanto a lui sull'erba e giocherellava con il suo smartphone. Daisuke-san invece aveva dovuto rispondere ad una telefonata. Quando ormai stava perdendo le speranze che succedesse qualcosa, finalmente un musetto comparì dalle fronde. Il bambino trattenne il respiro e allungò una mano verso il braccio dello zio. Non staccò un attimo gli occhi dalla scena, temendo che l'animale scomparisse improvvisamente. Lo scoiattolino scese lentamente, sempre all'erta, si avvicinò al punto in cui erano state messe le nocciole sgusciate. Le osservò tentennante, poi le annusò e infine, evidentemente convinto, ne prese una e la mise in bocca. Ne fu tanto soddisfatto che ne agguantò immediatamente altre due e le portò via di corsa.
- Zio le ha mangiate! - esclamò Akito quando l'animale scomparve sull'albero.
Kato sorrise: - Ho visto. Ma non fare troppo rumore, potrebbe tornare a prendere anche le altre. -
E infatti un attimo dopo, questa volta con decisione, lo scoiattolo tornò a prendere altro cibo e fare piazza pulita delle esche messe per attirarlo.
Quando la bestiolina scomparve del tutto alla vista il bambino si girò di nuovo verso lo zio: - Zio, possiamo rifarlo?! -
- Certo, magari domani però. Non vorrei farlo mangiare troppo. -
In quel momento sentirono dei passi dietro di loro, era Kambe che stava tornando.
- Ehi Daisuke, tutto ok? - domandò il poliziotto gettando indietro la testa. Il miliardario gli si avvicinò, mise una mano tra i suoi capelli e lo spinse a rimettersi diritto: - Sì, era solo una noiosa telefonata per alcune autorizzazioni formali. -
Akito lo guardò perplesso, non aveva capito nulla tranne "noiosa".
- Cose da miliardari, Akito, non farci caso. - aggiunse lo zio che si beccò una occhiataccia da Daisuke-san.
L'ultimo arrivato decise però di non dar peso alle parole dell'altro uomo: - Come è andata con lo scoiattolo? -
- Benissimo! - balzò subito in piedi Akito. - È venuto due volte e ha portato via tutte le nocciole! -
Kambe sorrise leggermente: - Si starà abbuffando allora. -
- Ehi Akito guarda. - lo richiamò lo zio che ancora armeggiava con il cellulare - ha risposto la mamma. -
Gli passò il telefono e sullo schermo lesse il commento entusiasta della madre che gli faceva i complimenti. Un sorriso luminoso gli apparve in viso.
A quel punto, il padrone di casa che stava ancora in piedi, s'intromise: - Tra un ora circa verrà servita la cena, sarebbe indicato fare un bagno prima. -
- Giusto. - gli rispose lo zio alzandosi dalla sua sedia. - Akito, se ti facciamo preparare la vasca sai lavarti da solo o hai bisogno di me? -
Il bimbo si prese del tempo per rispondere. Era grande, sapeva lavarsi da solo ovviamente, però si sentiva improvvisamente un po' insicuro. Si morse un labbro, non sapeva cosa fare. Farsi aiutare dallo zio anche se ormai aveva otto anni?
Prima che lui trovasse una risposta Haru si chinò verso di lui: - Facciamo così, ti facciamo preparare la vasca, poi io resterò ad aspettarti in camera, se avrai bisogno basterà chiamarmi, ok? -
Akito annuì energicamente, era una soluzione perfetta. Che lo zio avesse capito cosa stesse pensando? In ogni caso, meglio così.
Daisuke-san mise una mano all'orecchio e disse a HEUSC di far preparare le vasche. Come facesse HEUSC, se era un computer, a farlo Akito non lo capì. Si avviarono poi senza fretta verso le loro stanze.

Come promesso lo zio andò con lui in camera. Lo aiutò a svestirsi e a rimettere tutto in ordine, poi lo invitò a entrare nell'enorme bagno privato. In quella villa era tutto così ordinato e pulito, non voleva fare brutta figura, quindi si lavò con molta attenzione. Poi si buttò nella vasca che era grande il doppio di quella di casa. La mamma sarebbe stata felicissima di poterne avere una così! Se la godette per un po', poi si ricordò dello zio che lo aspettava nell'altra stanza e uscì di fretta. Si asciugò con cura e quasi si precipitò nella camera. Lo zio era seduto su una poltrona vicino a una finestra e guardava il paesaggio, chissà a cosa stava pensando. Sentiti i suoi passi si voltò verso di lui: - Già finito, Akito? Pensavo ci mettessi di più. -
- Non volevo farti perdere tempo, devi lavarti anche tu. - gli rispose mentre andava a issarsi sul letto.
- Nessun problema, tanto Daisuke ci metterà una vita come solito. - gli rispose sovrappensiero alzandosi per asciugargli meglio i capelli.
Akito lo guardò senza capire: - Non c'è il bagno nella tua camera? Devi usare quello di Daisuke? -
Improvvisamente l'asciugamano gli cadde sugli occhi e le mani dello zio lo obbligarono a distogliere lo sguardo. L'adulto non rispose subito, si schiarì la voce prima.
- Non è per quello... - iniziò e si fermò.
- Puoi usare il mio bagno se vuoi, zio. - gli disse, pur senza capire per quale motivo non potesse usare il suo.
Le dita del parente iniziarono finalmente a massaggiargli la testa, poi la voce nuovamente calma di Haru riprese: - Non ti preoccupare Akito. Non voglio che tu stia solo, tutto qui. -
E non poteva dirlo sin dall'inizio?
- Nessun problema zio! Starò qui in camera! Ho un manga da leggere in borsa! -
Il poliziotto gli tolse il panno dagli occhi e gli chiese: - Sicuro? -
- Certo. - voleva farsi vedere affidabile. Aveva già iniziato ad abituarsi a quel posto, doveva solo mettersi sul letto o in poltrona a leggere e si sarebbe anche dimenticato d'essere solo. Poi, come aveva detto Daisuke-san c'era sempre il campanello sul comodino per ogni evenienza.
Kato lo guardò per un attimo, poi tornò ad asciugargli i capelli: - Va bene, allora, finisco qui e vado. -
Sembrava contento, sperava che fosse almeno un po' orgoglioso del fatto che aveva deciso di restare da solo.
Non ci mise molto a terminare il lavoro, un paio di minuti e lo zio s'era già rialzato, aveva messo a posto l'asciugamano e si era avviato alla porta: - Allora io vado, mi raccomando, per qualunque cosa chiama i domestici, ok? -
Lui annuì e guardò l'adulto uscire richiudendo la porta alle sue spalle. Akito si stese allora sul letto, guardando il baldacchino sopra di lui. La prima gita era stata breve, ma si era divertito già tantissimo! Era anche riuscito a far rimbalzare la pietra sull'acqua! Chissà cosa l'aspettava il giorno dopo! Lo zio aveva detto che avrebbero fatto una camminata più lunga e più faticosa, ma non gli importava della fatica: non vedeva l'ora!
Di scatto si rialzò, aveva detto che avrebbe letto il manga che si era portato. Andò all'armadio e cercò tra le sue cose, erano state tutte riordinate per bene: lo aveva fatto lo zio o i camerieri di Daisuke-san? Trovò facilmente il fumetto, appoggiato su un ripiano in bella vista, lo prese, quasi si lanciò i nella poltrona che aveva usato il parente e s'immerse nella lettura.

Era arrivato alle ultime pagine, quando sentì bussare alla porta. Lo zio aprì appena senti la sua voce dire "avanti".
- Posso finire? Sono solo un paio di pagine. - disse guardando il manga che aveva tra le mani.
Haru annuì, proprio mentre accanto a lui comparve anche Daisuke-san: - Ti aspettiamo qui fuori. - gli rispose mentre richiudeva la porta. Si ributtò rapido nella lettura e dopo pochi minuti gettò il volume sulla poltrona mentre si fiondava alla porta. I due adulti erano proprio lì fuori, lo zio era poggiato di schiena alla ringhiera delle scale, mentre il miliardario era esattamente davanti a lui, vicino, estremamente vicino. Che volessero parlare tra loro ma avessero paura di disturbarlo?
- Sei stato veloce. - gli disse il padrone di casa allontanandosi di un passo e facendosi di lato.
Haru si rizzò e lo perse per mano: - Su, andiamo a cena. -

Cenarono sempre all'esterno, sotto lo stesso gazebo in cui avevano mangiato a pranzo. Questa volta gli vennero serviti dei piatti mai visti e assaggiati. Non era molto pratico di posate occidentali, ma lo zio l'aiutò a tagliare la carne, mentre Kambe gli insegnava come si tenevano in modo elegante. Era la prima volta che se ne accorgeva, ma Daisuke-san aveva quella bizzarra mania di infilarsi il tovagliolo nel colletto quando mangiava, Era quasi buffo. Era suo ospite, quindi s'impegnò a non sghignazzare. Terminarono il pasto con una coppa di gelato fantastica. Era la prima volta che mangiava una cosa tanto dolce e fresca. Suo zio gli pulì la bocca con un tovagliolo quando ebbe finito: - Era buono, vero, Akito? -
- Sì, buonissimo! - confermò.
Daisuke-san si sporse sul tavolo, come a fargli una confidenza: - È uno dei dessert preferiti di tuo zio. -
Akito guardò verso il parente, non pensava che allo zio piacessero le cose dolci! Alle feste a casa solitamente rifiutava le torte, era sempre la mamma a costringerlo con le cattive a mangiarle. Certo, le torte che comprava la mamma non somigliavano molto a questo gelato.
- Lo zio ha dei buoni gusti, allora. - disse senza pensare, mentre riponeva il cucchiaio che ancora stava tenendo in mano.
- Ovvio! - ammise trionfante Haru, pavoneggiandosi un po'. Kambe si poggiò su un gomito, lo guardò in modo strano e poi disse con dolcezza: - Sì, ha buon gusto. -
Subito il poliziotto distolse lo sguardo e lo riportò sul bambino: - Akito, sei stanco? Non è il caso d'andare a dormire? -
- No, non sono per niente stanco! Facciamo ancora qualcosa! - rispose energico! La mamma non lo faceva stare sveglio tanto dopo cena, voleva tanto provare a farlo ora che ne aveva l'occasione!
Lo zio lo guardò lievemente deluso. Forse non sapeva cosa proporre? Il bimbo tentennò un attimo, poi si riprese subito: avrebbe proposto lui. - Perché non facciamo qualche gioco da tavolo? -
Haru ancora non sembrava convintissimo, ma il miliardario rispose prontamente: - Per me non c'è problema. Che gioco avevi in mente? -
Il ragazzino venne preso alla sprovvista, aveva avuto una idea estemporanea, ma non ben chiara. Provò a disimpegnarmi: - Beh, quello che c'è... -
- Ce ne sono molti, prova a suggerire quello che preferisci. - Daisuke-san era incalzante.
Akito decise di sparare il primo titolo che gli veniva in mente: - Monopoli? -
Questa volta fu lo zio a mettersi in mezzo: - Akito, sinceramente non vorrei giocare a monopoli con un ultra miliardario. -
Improvvisamente ebbe un’idea, scaricare la pressione sullo zio: - Tu zio a cosa vorresti giocare? -
L'adulto ebbe un palese attimo di confusione, forse non s'aspettava di essere tirato in mezzo, poi si mise a pensare senza successo, sino a che Kambe non risolse la situazione: - Akito, sai giocare a hanafuda? È molto che non gioco, mi piacerebbe fare una partita.
L'hanafuda lo conosceva ovviamente, capitava spesso di giocarci a capodanno, ma non lo ricordava benissimo. Era però ospitato da Kambe, era giusto fare quello che lui preferiva.
- Sì, ci gioco a capodanno di solito. - rispose, nascondendo poco l'insicurezza. Ancora una volta lo zio venne in suo soccorso: - Akito, perché non giochiamo io e te contro Daisuke? Facciamogli vedere cosa sappiamo fare! -
Nuovamente sicuro Akito spostò rapidamente la sua sedia vicino al parente.
- Prima però, - gli disse, mentre lo sollevava di peso - andiamo a mettere il pigiama, così sarai più comodo, ok? Intanto Daisuke farà portare le carte. -
Per Akito non c'era nessun problema, quindi seguì lo zio senza lamentarsi. Tornarono in un lampo, non vedeva l'ora di sfidare Daisuke-san. Voleva assolutamente aiutare lo zio ad avere la sua rivincita dopo la sconfitta al lago.
Il miliardario li attendeva seduto su una poltroncina, poco distante dal tavolo che avevano usato per cenare e stava già mescolando le carte. Alzò gli occhi su di loro e li invitò ad accomodarsi di fronte a lui con un gesto elegante.
Mentre Akito si guardava attorno alla ricerca di una terza poltrona o almeno di una sedia, lo zio si sedette e lo prese per la vita, issandolo sulle sue ginocchia.
- Così vedrai meglio le carte. - gli disse, mentre iniziava a prendere le carte che Daisuke stava distribuendo sul tavolino che li divideva.

Si accordarono per fare tre partite, ognuna di dodici mani. La prima riuscirono a vincerla loro sette a cinque. Festeggiarono molto, ma Daisuke li interruppe bruscamente ricordandogli che c'erano ancora due partite da giocare. Della seconda Akito ricordò solo le prime quattro mani, di cui tre andate al padrone di casa, poi la stanchezza ebbe il sopravvento e lentamente s'addormentò tra le braccia dello zio.

Si risvegliò tranquillamente, nel silenzio più totale. Si girò un paio di volte nel letto e una sensazione diversa dal solito lo convinse ad aprire gli occhi. La prima cosa che vide fu un materasso che si estendeva ben oltre le sue braccia. Poi di colpo si ricordò che era nella villa di Daisuke-san in montagna. Si girò supino, fissando per un attimo il baldacchino sopra di lui. Ai lati delle leggere zanzariere bianche erano state chiuse, probabilmente per farlo dormire in pace. Ma come era finito a letto? Non ricordava di esserci entrato. L'ultima cosa che ricordava era la partita ad hanafuda con lo zio, poi tutto s'annebbiava. Si rese conto d'essersi addormentato tra le sue braccia, che vergogna! In solitudine arrossì. Si tirò il lenzuolo sul viso come a nascondere a qualcuno il rossore.
Non c'era niente da fare, si disse poi, l'unica soluzione era scusarsi. Si alzò dal letto e guardò l'orario sulla sveglia del comodino: le 7:07. Era ancora presto rispetto all'orario per cui si erano accordati i due adulti durante la cena della sera prima. A quanto aveva capito Akito, Daisuke-san era un dormiglione e quindi avevano deciso di fare colazione insieme per le 8:00. Si guardò attorno, cosa poteva fare in quell'ora? Il manga ormai l'aveva letto e di stare a guardare il soffitto non ne aveva voglia. Quasi quasi poteva andare a cercare lo zio, lui era uno che si svegliava presto! Magari avrebbero potuto aspettare Daisuke-san insieme!
Uscì in corridoio convinto sul da farsi, con le ciabattine ai piedi e il pigiama ancora stropicciato. Quando si ritrovò sul tappeto rosso circondato da porte sconosciute e mai aperte però ebbe un tentennamento. Quale poteva essere la stanza dello zio? E se come al piano di sotto una porta ne avesse nascoste altre due? Se si fosse perso? Sarebbe passata un'altra ora prima che qualcuno iniziasse a cercarlo.
Deglutì e si guardò indietro, la sua porta spalancata era l'unico luogo conosciuto a cui ancorarsi. D'improvviso si ricordò del campanello. Daisuke-san gli aveva detto che avrebbe potuto usarlo per farsi accompagnare dallo zio se voleva. Tornò rapidamente nella sua stanza e s'avvicinò al campanello antiquato. Insicuro provò ad appoggiarci la mano, si sentì solo un leggero tintinnio. Riprovò più deciso: lo scampanellio fu solo un poco più forte. Osservò perplesso l'oggetto metallico che pareva uscito da un film d'epoca: come poteva un suono così delicato chiamare dei camerieri che stavano chissà dove?!
Eppure, mentre ancora cercava di convincersi che forse era il caso di tentare la ricerca dello zio, sentì bussare alla porta.
- Avanti? - chiese con un po' di paura. Chi poteva essere? Forse lo zio?
Lentamente la porta si aprì, sulla soglia comparve una signora vestita come tutti gli altri domestici della casa. Lo salutò con un radioso sorriso: - Buongiorno Akito-sama, ha bisogno? -
- Ah! - chissà perché aveva ormai deciso che non sarebbe arrivato nessun cameriere. Velocemente si ricompose e rispose educatamente: - Buongiorno a lei. -
Non ricordava il nome della donna e da così distante non riusciva a leggere il cartellino. La domestica fece un altro sorriso e poi con dei passi leggeri e mai affrettati entrò chiudendo la porta alle sue spalle. Ora che era più vicina poteva leggere cosa c'era sull'identificativo: "Shinohara".
- Shinohara-san, ecco... - iniziò impacciato, non sapeva come doveva comportarsi con un domestico, il giorno prima avevano sempre interagito solo gli adulti, lui si era limitato a ringraziare.
Lei notò il suo imbarazzo: - Mi dica, Akito-sama, ha dormito bene? -
- Sì, benissimo! - rispose istintivamente.
La donna s'avvicinò ancora: - Quindi non mi ha chiamata perché ha dei problemi a dormire. Ne sono felice. -
- No, va tutto bene. - l'atmosfera gli suggerì di continuare senza vergogna - mi sono svegliato presto e non so cosa fare prima di colazione. Volevo andare a cercare lo zio, ma non so dov'è la sua camera. -
Shinohara-san lo guardò intenerita: - Non c'è problema Akito-sama. Che ne dice se prima l'aiuto a vestirsi? Poi l'accompagno da Kato-sama, se sarà sveglio. -
Tranquillizzato dalla calma e sicurezza della cameriera Akito accettò la proposta: - Va benissimo. Grazie Shinohara-san! -
Mentre il bimbo si lavava, la donna preparò i vestiti per la giornata, aveva già ricevuto ordine di vestirlo in modo che fosse pronto all'uscita in montagna. Quando il ragazzino tornò lo aiutò a sistemarsi al meglio. Akito era capace di farlo, ma era piacevole non essere completamente solo, perciò accettò volentieri l'aiuto.
- Akito-sama, - gli disse infine - vado a chiedere se vostro zio si è svegliato. Mi potete attendere un attimo? -
- Va bene. - disse un po' demoralizzato all'idea di restare solo.
Lei sorrise e gli fece un occhiolino: - sarò il più veloce possibile. -
In effetti il tempo che passò seduto sulla poltrona a guardare dalla finestra il giardino fiorito fu brevissimo. In un lampo Shinohara-san tornò: - Mi spiace Akito-sama, suo zio ancora non è uscito dalla sua camera. Vuole che lo chiami lo stesso? -
Pensò di rispondere affermativamente, ma poi si bloccò. Shinohara-san era molto gentile e non era educato svegliare in anticipo chi dormiva. Magari poi lo zio se ne sarebbe lamentato con la mamma. Provò ad azzardare: - Shinohara-san, potrebbe farmi compagnia lei prima di colazione? Non voglio svegliare lo zio, ma non mi piace stare da solo. -
Lei sorrise e si avvicinò per prendergli la mano: - Volentieri, Akito-sama. Che ne dice di una passeggiata nel giardino? -

Passò il tempo restante nel parco antistante la villa, a guardare i giardinieri che sfruttavano le prime ore della mattina per lavorare senza il solleone a martoriarli. Shinohara-san lo accompagnò mentre si faceva spiegare i nomi e le proprietà delle piante, poi si sedette su una panchina a guardarlo giocare con l'acqua della fontana e gli uccellini che vi facevano il bagno. La temuta ora passò in un lampo.
A un certo punto uno suono come di campanello giunse da una tasca della domestica.
- È ora di rientrare Akito-sama. Il signore e vostro zio vi attendono per la colazione. -
Al bimbo dispiacque un po', avrebbe voluto passare qualche minuto in più con Shinohara-san. Era però il giorno della gita più lunga, non poteva far attendere i suoi accompagnatori. Prese la mano della donna e si fece accompagnare sino al gazebo.
- Buongiorno Akito! - lo salutò allegro lo zio, mentre gli indicava il suo posto a tavola.
- La ringrazio Shinohara-san per essersi presa cura di lui tutto questo tempo, mi hanno detto che è sveglio dalle sette. - concluse rivolgendosi alla signora.
Akito s'intromise: - Le 7:07! -
- Si figuri Kato-sama. Mi ha fatto piacere stare con Akito-sama, i miei figli sono ormai grandi, mi ha fatto tornare giovane. - rispose sinceramente lei.
Haru le sorrise: - Grazie lo stesso. -
A quel punto Akito si rese conto che la donna stava per andare via: - Grazie mille Shinohara-san, - disse di fretta inchinando il capo - Mi ha fatto molto piacere stare con lei. -
- Grazie Akito-sama. Siete molto educato. - Lo salutò con una carezza sulla testa, poi si ritirò in casa.
Quando il bimbo rialzò lo sguardo vide lo zio che lo fissava, questa volta l'orgoglio era ben chiaro nella sua espressione. Si gongolò un po' d'essere riuscito nel suo intento, mentre cercava di capire cosa prendere per colazione tra le mille proposte che c'erano in tavola.
Non si era nemmeno accorto della mancanza di Kambe, che arrivò un attimo dopo, quando finalmente il bambino aveva iniziato a mettere qualcosa nel suo piattino. Il miliardario li raggiunse con una certa flemma, mentre ancora si sedeva un domestico già gli aveva portato un caffè nero, che pareva bollente.
- Buongiorno Akito. - mormorò quando lo notò.
Il ragazzino non riuscì a rispondere, perché il poliziotto al suo fianco si mise in mezzo: - Daisuke, vedi di svegliarti, non abbiamo tempo da perdere, la montagna non aspetta. -
- Lo so. - rispose semplicemente mentre sorseggiava dalla sua tazzina.
Akito lo guardò preoccupato: - Daisuke-san, non hai dormito bene? -
Ancora una volta Haru, che pareva di ottimo umore, s'intromise: - Ha dormito benissimo, è solo un riccastro viziato. Se non dorme le sue otto ore a notte poi sembra uno zombie. -
Il caffè doveva aver già iniziato a fare effetto perché la risposta secca di Kambe sembrò fredda e calcolata come solito: - E di chi credi sia la colpa? Tua. -
Il bambino si sarebbe aspettato una reazione irritata dello zio, invece quello si limitò a scrollare le spalle con un sorriso.
Ma come faceva ad essere colpa dello zio se Daisuke-san era andato a dormire tardi? Ci pensò un attimo, poi ebbe una illuminazione: - Ah! Avete giocato fino a tardi ieri sera?! -
- Non direi... - iniziò a rispondere Haru, ma gli si sovrappose la voce chiara del miliardario, che fissava con i suoi occhi blu intenso lo zio in modo strano: - Oh sì, abbiamo giocato parecchio. -
Il volto del poliziotto avvampò, divenne rosso intenso ma le sue iridi non si staccarono per un secondo da quelle del collega.
Ancora una volta Akito non capiva cosa stesse accadendo. Guardò lo zio che muto e immobile sembrava essere incapace di distogliere lo sguardo dal sorrisetto misterioso dell'altro uomo. Perché imbarazzarsi tanto per aver giocato a carte fino a tardi? Poi si ricordò della mamma che lo sgridava sempre quando non andava a letto all'orario che lei aveva stabilito. Forse lo zio trovava vergognoso aver fatto tardi proprio quando era con il nipote. Ma per lui non c'erano problemi! Lo zio era grande, poteva fare quello che voleva. Avrebbe voluto anche lui provare l'emozione di stare sveglio più del solito.
- Zio, - lo richiamò, tirandogli la maglietta.
Come risvegliato da un sogno il poliziotto si girò verso di lui: - Sì, Akito? -
Sembrava essere tornato alla normalità, quindi decise di cambiare argomento: - Quando partiamo? -
Lui gli mise la sua classica mano sulla testa: - Lascia che Daisuke finisca di fare colazione, poi partiremo subito. -

Il miliardario non si trattenne molto a tavola, in poco più di mezz'ora si ritrovarono tutte e tre sotto il porticato, cappello in testa perché lo zio non sindacava a riguardo, e pronti a partire. Questa volta s'addentrarono quasi subito nel bosco, seguendo un sentiero molto più stretto, chiaramente percorribile solo a piedi. Rispetto alla gita del giorno prima c'era sicuramente più da faticare. Nelle sue fantasie aveva pensato di correre liberamente come aveva fatto andando al lago, ma aveva dovuto arrendersi alla realtà, correre in salita e su quel percorso non era consigliabile. L’ascesa fu comunque fantastica! Avevano visto ruscelli e tanti animali diversi. Inoltre la foresta più fitta regalava molte più sorprese: bastava girare un attimo attorno a qualche grande albero, scostare un cespuglio e d'improvviso il paesaggio cambiava o ti rivelava una macchia fiorita che fino a un attimo prima non potevi nemmeno immaginare fosse lì. Lo zio e Daisuke-san furono molto pazienti, lo attendevano quando con il suo passo da bambino rimaneva un po' indietro, o quando s'infilava nella boscaglia all'inutile inseguimento di qualche bestiolina. La salita si rivelò impegnativa, ma non sentiva la stanchezza. Dopo alcune ore di cammino giunsero a una piccola radura, da cui si poteva vedere tutta la valle.
Appena Kambe sbucò dal sentiero si rivolse allo zio: - Alla fine arrivi sempre qui. -
Haru che guidava il gruppo in quel momento s'era fermato ancora all'ombra degli alberi: - Ti dispiace? -
Akito aveva capito subito che stavano parlando di qualcosa che non lo riguardava ma non riuscì a frenare la curiosità: - Siete già venuti qui? -
Daisuke andò a sedersi su una roccia al limite della foresta, mentre gli rispondeva: - Sì, un paio di volte. A tuo zio questo posto piace molto. E per rispondere a te, Haru: no, non mi dispiace affatto. Mi evoca dei ricordi piacevoli, dopotutto. -
Il parente si concesse solo un sorriso soddisfatto, ma forse nello sguardo che lanciò al miliardario c'era anche altro. Al bambino però non interessava, era chiaro che non gli avrebbero detto di più, preferiva poter correre finalmente su un prato aperto.
Si lanciò in avanti, ma subito gli giunse la voce del poliziotto: - Akito, stai attento. Non siamo ai giardini pubblici, ok?! -
- Sì! - gli urlò di rimando, continuando la sua corsa liberatoria.
Mentre lui girovagava nella piccola radura, Kato era andato a sedersi ai piedi della roccia su cui era accomodato il miliardario e aveva parlottato con lui di chissà cosa.
Il ragazzino si era invece spinto più avanti, in pieno sole. Stanco si era messo a terra, a un metro dallo strapiombo che delimitava il prato. Era incredibile quanto distante si potesse vedere! E quanto piccolo sembrasse ora l'aeroporto in cui erano arrivati. La villa invece non si vedeva nemmeno. Per qualche minuto rimase a terra a contemplare il paesaggio con il fiatone, poi si girò per chiamare a gran voce lo zio.
Haru s'alzò e lo raggiunse: - Cosa c'è Akito? -
- Zio, puoi fare una foto del paesaggio e mandarla alla mamma?! - gli chiese.
Voleva che in qualche modo la sua famiglia fosse testimone di quella gita meravigliosa. Anche se non erano lì con lui magari sarebbero stati contenti di vedere almeno un poco di quello che aveva visto lui.
- Certo che sì, vado a prendere il telefono. - gli rispose, tornando da Daisuke-san. Il bimbo intanto studiò la vista migliore da fotografare, quando lo zio tornò gli disse convinto: - Fotografa quelle montagne là! -
Non fu semplice accontentarlo. Lo zio non riusciva mai a inquadrare la veduta come avrebbe voluto Akito. Al quinto scatto rifiutato Daisuke-san si avvicinò, prese il telefono dalle mani di Haru con un gesto rapido.
- Faccio io, cosa vuoi fotografare Akito? - gli domandò, mentre teneva a bada un brontolante Haru.
Il bambino indicò gli stessi monti che aveva indicato allo zio. Con calma, studiando un po' la luce e il riflesso, il miliardario fece il suo tentativo.
- Va bene? - chiese passando lo smartphone al ragazzino che s'illuminò. Quella sì che era una fotografia fatta bene!
Con un sorriso esagerato ringraziò: - È perfetta! Grazie Daisuke-san! -
Lo zio si lasciò andare a un grugnito infastidito. La mano del miliardario si mosse rapida a spettinargli leggermente i capelli. Stranamente quel gesto cambiò quasi completamente l'umore del parente.
Inviata la foto alla madre, Haru estrasse un dolcetto; un antipasto, disse, per aiutarli in un ultimo sforzo verso la destinazione di quel giorno.
Ripresero il cammino subito dopo, inoltrandosi nuovamente nel bosco e proseguirono lungo un sentiero ancora più stretto del primo. Ci vollero altre due ore affinché raggiungessero la meta decisa dallo zio. Il mezzogiorno era passato da molto, Akito era affamato, nonostante l'abbondante colazione e il dolce di qualche ora prima.
- Zio, manca tanto? - domandò mentre lo stomaco brontolava.
Il poliziotto s'era girato verso di lui con un sorriso: - No. Lo senti questo rumore? - gli disse chinandosi accanto a lui e indicando verso destra.
Il bambino si fermò e drizzò le orecchie, ora lo poteva sentire anche lui quel suono diverso e nuovo che non aveva mai sentito e sembrava un rombo leggero. Si dimenticò del tutto della fame, era di nuovo eccitato. La curiosità gli mise le ali ai piedi, Haru poté anche allungare il passo perché ora il bimbo lo seguiva senza problemi. Man mano che s'avvicinavano il rumore diventava sempre più forte. Ormai erano vicinissimi e qualunque altro suono era coperto da quel rombo. Svoltarono ancora una volta, poi si fecero largo attraverso degli alti cespugli e davanti ad Akito si stagliò una serie di tre cascate consecutive. Non erano molto alte, ma erano comunque maestose. L'acqua che zampillava arrivava in piccole goccioline fino a loro, c'era un forte odore di bagnato, ma soprattutto il rumore e il vorticare delle acque.
Akito rimase colpito, e a bocca aperta fissò il torrente che si buttava verso il basso per alcuni minuti. Chissà se sotto c'era pure una caverna, come in tutti i libri d'avventura. Preso dalla voglia di scoprirlo fece un passo in avanti, ma venne immediatamente preso per un braccio dallo zio.
- Fermo lì, Akito. Il terreno qui è scivoloso, non lasciare la mia mano. -
Il bambino guardò a terra per la prima volta, effettivamente c'erano rocce piene di muschio e lucide d'acqua poco distanti. Si voltò allora verso il parente: - Volevo solo vedere se sotto c'è una caverna. -
La smorfia sul viso dello zio disse chiaramente che non capiva di cosa stesse parlando. Daisuke-san invece si fece avanti: - Non c'è. Credo che non possano esserci caverne al di sotto di cascate così piccole. -
Quella cascata era piccola? Com'era allora una cascata grande? Non riusciva proprio ad immaginarsela. Finora aveva creduto che nei film quando si sentiva la gente urlare per parlarsi vicino ad una cascata fossero solo esagerazioni, ma ora capiva che invece era una cosa realistica.
Kato lo tirò delicatamente verso di sé: - Akito, che ne dici se andiamo a pranzare e torniamo dopo a vedere la cascata? -
Il bimbo non avrebbe voluto andare via, ma ora che lo zio ne aveva parlato il suo stomaco aveva ricominciato a brontolare.
- Dobbiamo andare distante? - domandò deluso.
La solita mano consolate dello zio si posò sulla sua testa: - No, dobbiamo solo spostarci dove il rumore non è troppo forte, prima dobbiamo guadare il ruscello però. -
All'idea di dover superare quel fiumiciattolo saltando sui sassi Akito tornò subito di buon umore.
Senza lasciargli la mano lo zio lo accompagnò più a valle dove Daisuke-san li stava aspettando. La cascata era ancora bene in vista, ma il torrente scorreva più lento lì e le rocce affioravano con regolarità.
- Vado io per primo. - annunciò Kambe. Non era un gran fiume da superare, probabilmente lo zio in due passi lo avrebbe scavalcato, ma per Akito era più complicato, inoltre i sassi coperti di muschio non davano tanto appiglio.
Il miliardario fece un primo passo verso l'altra riva, scegliendo con attenzione dove mettere i piedi, poi si voltò: - Vieni Akito. Metti i piedi lì. -.
Gli indicò esattamente dove poggiarsi, erano appigli alla portata della falcata ridotta del ragazzino. Lo zio gli tenne comunque saldamente la mano, mentre con un primo e poi un secondo balzo s'avvicinava al miliardario, che a quel punto diede il cambio al collega, prendendo la mano libera del bimbo. Quando anche lo zio si mosse, più vicino a lui, allora Daisuke continuò la traversata raggiungendo la riva opposta. Nuovamente seguendo le sue istruzioni e tenendosi saldo allo zio, Akito proseguì, fino a trovarsi a un balzo dalla riva. Rassicurato dall'aver concluso il momento più critico saltò, senza considerare il terreno fangoso che avrebbe trovato. Per sua fortuna Daisuke-san aveva degli ottimi riflessi e lo afferrò al volo prima che scivolasse a terra, o addirittura in acqua.
Arrossendo si rimise in equilibrio: - Grazie mille, Daisuke-san. -
Il miliardario lo guardò dolcemente: - Quando arrossisci assomigli molto a tuo zio. -
Non riuscì a domandargli se vedeva spesso lo zio arrossire, perché quest'ultimo arrivò di slancio, quasi investendo Kambe, che se lo ritrovò addosso e quasi non finì a terra.
Haru rise dell'espressione scioccata del miliardario, che al contrario si limitò ad un'occhiataccia, ma non ci fu altro tra i due, al contrario di quel che si sarebbe aspettato il bambino.

Poco distante attraversando ancora una volta alcuni cespugli si ritrovarono in uno spazio d'erba aperto, ma completamente ombreggiato dagli alberi circostanti. Non era particolarmente grande, ma sufficientemente perché lo zio potesse disporre la coperta da pic-nic che aveva portato con sé.
Si sederono tutti e tre a terra ed Akito scoprì di averne proprio bisogno. Le sue gambe gli furono riconoscenti di quella tregua, dopotutto erano in cammino da quasi quattro ore e avevano fatto solo delle brevissime pause.
Mangiarono un bento preparato appositamente per loro dal cuoco di Daisuke-san. Era tutto buonissimo, eppure il miliardario si lamentò che non l'aveva preparato lo zio. Anche la mamma diceva che lo zio cucinava bene, ma non pensava fosse così bravo da riuscire a superare il cuoco della famiglia Kambe! Iniziava a essere veramente curioso di assaggiare qualcosa. Mentre pranzavano Daisuke-san gli aveva raccontato che era diventato bravissimo anche con i dolci! Voleva veramente provare una torta fatta dallo zio, doveva trovare il modo di convincerlo a farne una per lui! Forse se si fosse alleato con Daisuke-san ci sarebbe riuscito. Magari più tardi gliene avrebbe parlato.

Mangiarono con calma, godendosi il fresco e l'ombra. Nonostante le rimostranze i bento vennero spazzolati via. La camminata era stata lunga e stancante anche per gli adulti. Terminato il pranzo lo zio mise via le scatole e si sdraiò sulla coperta.
- Dormirei qui. - disse sospirando.
Daisuke gli si avvicinò leggermente, spettinandolo con una mano: - Se vuoi puoi anche restare mentre io e Akito ce ne torniamo ai nostri comodi letti. -
Il bambino si sentì improvvisamente a disagio, mentre guardava i due uomini che si guardavano negli occhi come se al mondo esistessero solo loro due. Si alzò di scatto e si mise ad ispezionare gli alberi vicini, lasciando i due in pace. Facendo così però attirò immediata la reazione dello zio.
- Ehi Akito, vuoi andare a vedere la cascata più da vicino? - gli domandò. Subito il disagio di poco prima scomparve e annuì vigorosamente.
Daisuke-san si prese il compito di sistemare le ultime cose mentre zio e nipote si avviavano zaini in spalla verso la cascata. Dal lato opposto si poteva andare molto più vicino al torrente in caduta libera. Grazie al parente che lo teneva saldamente poté avvicinarsi sino a mettere la mano tra le acque turbinose. Era freddissima, nonostante fosse piena estate!
Rimase a osservare le acque per un po', fino a che non sentirono un fruscio particolarmente vicino. Daisuke-san si avvicinò a loro e gli fece cenno di restare in silenzio, mentre prendeva la mano di Akito sottraendolo allo zio. Con passi brevi e leggeri si spostarono appena lungo la riva, verso valle. Poi il miliardario si fermò e chinandosi alla sua altezza gli indicò un punto sul lato opposto del fiumiciattolo. Là un piccolo cervo si stava abbeverando tranquillo. Gli occhi del bambino si riempirono di meraviglia. Era un cervo sika, un cervo selvatico vero! Non quelli addomesticati! Ed era anche così vicino!
Inavvertitamente, cercando di richiamare anche lo zio, mosse un sassolino sotto i suoi piedi; subito l'animale se ne accorse, alzò lo sguardo che s'intrecciò per un attimo con quello del bimbo, poi rapidissimo si infilò nuovamente nella foresta.
- Zio hai visto! Era un cervo! Mi ha anche guardato! - esultò lui, ora libero di alzare la voce.
I due adulti si scambiarono un'occhiata soddisfatta. Evidentemente speravano di fargli vivere un'esperienza come quella.

A quel punto della giornata e con la stanchezza che iniziava a mostrasi sempre più palese in Akito, decisero di tornare alla villa. Tornarono al guado e questa volta più velocemente, ma con maggior attenzione, passarono all'altra riva senza problemi. Ripercorsero il sentiero che avevano fatto all'andata, evitando la deviazione verso la radura che piaceva tanto allo zio. Anche il tragitto di ritorno regalò al bambino tante belle sorprese, compreso l'inaspettato incontro con un piccolo scoiattolo volante che se ne stava aggrappato al suo ramo proprio vicino a dove passarono loro.
Quando furono però in vista della villa le gambe di Akito iniziavano a protestare, non aveva mai camminato tanto in montagna prima d'ora. La stanchezza gli aveva portato via anche l'entusiasmo, e gli ultimi passi furono veramente pesanti. Mancava poco, lo sapeva, ricordava quel pezzo di strada fatto la mattina, eppure non si sentiva in grado di continuare. Non si accorse nemmeno che lo zio aveva già capito tutto. D'improvviso si ritrovò la sua grande schiena davanti agli occhi.
- Salta su Akito. - gli disse, facendogli segno con le mani. Da un lato non avrebbe voluto approfittare dello zio, ma era troppo fiacco per fare l'educato. Più che salire sulle spalle, gli si gettò sopra sfiancato.
Ora che il bambino era saldamente a cavalcioni di Haru i due adulti proseguirono più spediti e in pochi minuti raggiunsero l'edificio della famiglia Kambe.

Decisero di fare una doccia veloce, e questa volta Kato si prese il compito di aiutare il nipote, mentre una domestica preparava dei vestiti puliti per il bambino. Nel frattempo anche Kambe era andato a rinfrescarsi e venne a dare il cambio allo zio mentre Akito finiva di vestirsi da solo.
Il miliardario attese con calma, poggiato a braccia incrociate allo stipite della porta. Quando finalmente il ragazzino si voltò, con i calzoncini e la maglietta ben indossati, il miliardario aprì bocca: - Akito-kun, perché non andiamo in salotto ad attendere lo zio? Mi ha inviato tutte le foto fatte oggi, possiamo riguardarle insieme e sceglierne una decina da inviare a tua madre. -
La proposta piacque subito al bimbo, che lo seguì volentieri al piano di sotto.
Il padrone di casa lo portò in una stanza nuova, c'erano alcuni divanetti attorno a un tavolino in vetro e oro. Su una parete spiccava un grande caminetto, probabilmente d'inverno avrebbe dovuto scaldare tutta quella stanza. Daisuke-san andò direttamente verso la parete opposta dov'era appeso un grande quadro raffigurante un giardino fiorito, senza dare nessuna attenzione alla tela la prese e la poggiò a terra, poco più in là. Si spostò davanti ad uno dei divani e fece cenno al bambino d'andarsi a sedere sull'altro che gli stava di fronte. Akito era confuso, non capiva bene perché entrare in una stanza e togliere un quadro, ma aveva ormai imparato a fidarsi di Daisuke-san. Mentre il bimbo s'accomodava, con un movimento fluido il miliardario si levò l'orologio da polso e lo poggiò sul tavolino che li divideva, con il quadrante rivolto verso il muro ormai spoglio.
- HEUSC - chiamò poi - mostraci una ad una le foto di oggi inviate da Haru. -
La parete s'illuminò di colpo e la prima delle foto scattate dallo zio apparve sul muro bianco.
Akito aprì la bocca strabiliato. Non c'era un proiettore, non c'era un computer, solo un piccolo orologio da polso e il computer speciale di cui gli aveva parlato lo zio solo il giorno prima. Era incredibile!
Stava ancora contemplando la meraviglia, quando s'accorse di Daisuke-san che lo fissava pensieroso: - Akito-kun, puoi promettermi che non dirai a nessuno di HEUSC? È un’invenzione speciale che ho concesso in uso solo alla polizia, per ora. -
Ora finalmente capiva perché era tanto straordinario! Non era una semplice cosa da telefono, era un programma supertecnologico che serviva per le missioni speciali della polizia! I criminali non dovevano sapere assolutamente che la polizia aveva uno strumento tanto incredibile, non ne avrebbe parlato con nessuno: - Non lo saprà nessuno Daisuke-san! Lo giuro! -
- Benissimo. - gli sorrise tornando a voltarsi verso lo schermo improvvisato - Diamo un’occhiata a queste foto. -
Iniziarono a sfogliare le immagini della giornata, non erano nemmeno a metà quando lo zio arrivò. Si sedette accanto al nipote e continuò con loro il lavoro di cernita. Gli scatti non erano molti, ma il bambino era parecchio indeciso. Infine riuscirono a selezionarne dieci, e con un ordine diretto a HEUSC vennero inviate alla mamma.
Completato anche quel compito la stanchezza tornò prepotentemente a farsi sentire in Akito. Involontariamente sbadigliò più di un paio di volte mentre parlava con i due adulti. La doccia, i vestiti puliti, il comodo divano, tutto gli faceva venir voglia di chiudere gli occhi, anche la luce soffusa che era stata ricreata nella stanza per vedere meglio la proiezione sul muro. Stava lottando per tenere gli occhi aperti, quando la mano dello zio si posò più delicatamente del solito sul suo capo: - Akito, perché non schiacci un pisolino? Ti sveglieremo noi quando sarà il momento di andare. Hai fatto un grande sforzo oggi, è normale essere stanchi. -
- No... - provò a biascicare, ma un altro sbadiglio lo interruppe. Lo zio gli sorrise, mentre gli sistemava un cuscino vicino.
Incapace di negare ancora si allungò sul divano, mentre il parente si rialzava per lasciargli spazio. In pochi minuti cadde in un sonno profondo e ristoratore.

Si risvegliò da solo, ancora sul divano. Aveva una gran sete, sentiva la bocca impastata. Si mise a sedere ancora assonnato. Lo zio non c'era e nemmeno Daisuke-san, che fossero andati altrove per non disturbarlo? Si stropicciò gli occhi. Aveva proprio bisogno di bere. S'alzò e uscì in corridoio pensando di trovare lì un cameriere che lo avrebbe aiutato, invece sembrava che l'intero edificio fosse deserto. Rientrò nella stanza, alla ricerca di un campanello come quello che aveva in camera, ma non vide nulla del genere. Si mise a sedere nuovamente sul divanetto, indeciso: restare dov'era, solo e assetato, oppure andare alla ricerca di qualcuno ma rischiare di perdersi?
Si guardò attorno e notò un orologio antico poggiato su un mobile dietro di lui, se ricordava bene mancava ancora più di un'ora e mezza all'arrivo dell'elicottero che li avrebbe riportati a Tokyo.
S'alzò di slancio, quella sera sarebbe tornato alla sua solita vita in città, tanto valeva tentare un'ultima avventura e cercare almeno la cucina. Uscì più convinto di prima, ricordava di essere venuto da destra, ma non aveva visto nulla che somigliasse ad una cucina. Decise perciò di andare a sinistra. Cercò di concentrarsi per sentire i suoni provenienti dalle altre stanze, ma ancora sembrava di camminare in un castello abbandonato stranamente ben pulito e illuminato. A un certo punto però si accorse di una leggera melodia che proveniva dal fondo di un lungo corridoio. In assenza di altri indizi decise di seguire quel suono, avvicinandosi però cautamente. Sul fondo del passaggio una grande porta a due battenti era socchiusa e proprio da lì si sentiva fuoriuscire la musica. Man mano che s'avvicinava riuscì a capire che si trattava di un piano suonato dolcemente.
Arrivato al termine del corridoio decise prudentemente di spiare soltanto dalla fessura tra i due battenti. Non sapeva cosa o chi avrebbe potuto celarsi in quella stanza. Si accucciò a terra e senza toccare le porte diede un'occhiata al di là. Un ampio salone era illuminato da grandi finestre da cui si poteva ammirare la foresta con i suoi alti alberi e il fitto sottobosco. C'erano poi delle poltrone eleganti, ma ciò che attirava subito l'attenzione era il pianoforte a coda bianco che era posizionato proprio al centro. Ma non fu quello a far quasi sobbalzare Akito, piuttosto chi vi stava seduto. Aveva una visuale leggermente obliqua, vedeva soprattutto la schiena di suo zio accomodato sullo sgabello con le gambe larghe e le braccia strette attorno alla vita di Daisuke-san che seduto davanti a lui suonava con perizia. Perché erano messi così?! C'erano molti altri posti a sedere per lo zio, perché stava così attaccato a Daisuke-san? Il corpo del bambino si bloccò dov'era, l'istinto gli disse che non era affatto il caso d'entrare, anche se aveva trovato chi cercava.
Il ragazzino cercò di concentrare la sua attenzione sulla musica: il miliardario stava suonando con incredibile eleganza una melodia allegra, ma con una vena di dolcezza. Rimase stregato dal suono e ancora più dai movimenti rapidi e sicuri delle mani di Kambe sulla tastiera.
Si accorse leggermente in ritardo quando lo zio alzò lentamente un braccio e sfiorò delicatamente una guancia di Daisuke-san. Le sue dita poi proseguirono, quasi a tempo con la musica, lungo il suo collo, poi sotto il suo mento. Si sporse leggermente con il viso mentre spostava appena la testa del musicista per baciarlo teneramente sulle gote.
La musica si fermò, così come il respiro di Akito.
- Haru, mi spieghi come posso suonare con te che fai così? - domandò il miliardario, meno contrariato di quanto il bambino si sarebbe aspettato.
Lo zio sorrise tornando a carezzare il viso del padrone di casa: - Scusa, scusa. - gli disse senza nessuna convinzione.
- Come se non fosse abbastanza scomodo suonare seduto così. - continuò la lamentela Kambe cercando di riaccomodarsi.
Haru spostò le mani accanto a sé, come a puntellarsi sullo sgabello: - Vuoi che mi sposti? -
- No. - fu la risposta secca e decisa mentre Daisuke tornava a mettere le mani sulla tastiera.
Kato rise leggermente, tornò ad abbracciarlo e si sporse in avanti per dirgli direttamente all’orecchio : - Allora cos'è che vuoi? -
Il miliardario gli rifilò un'occhiataccia voltandosi verso di lui: - Dovrei chiederlo io a te: vuoi che suoni o che ti baci? -
Lo zio finse platealmente di riflettere sulla domanda, poi rispose mentre carezzava nuovamente il suo collega: - Ora come ora, credo di preferire i baci. -
Kambe sbuffò: - Volubile. -
Un'altra parola di cui Akito non conosceva il significato di cui in quel momento però non gli importava affatto: Daisuke-san fece per girarsi, proprio nella sua direzione. Rapidamente si nascose dietro a uno dei battenti della porta, restando però in ascolto dal suo nascondiglio.
Aveva sentito i loro vestiti frusciare, poi il miliardario riprendere soddisfatto: - Così sono decisamente più comodo. -
- Di là verità, ti piace solo perché puoi illuderti di essere più alto di me. - ridacchiò Kato.
- Potrei strappartela via quella lingua, lo sai? - fu la risposta piccata.
Sorprendentemente lo zio rise di gusto alla minaccia.
- Potresti, - ribatté infine, con un tono caldo e avvolgente che mai Akito gli aveva sentito usare - ma sono certo che preferisci che resti dov'è. -
Dopo quella frase non ne seguì un’altra, solo un suono leggero e mai sentito prima. Il bambino prese coraggio e tornò a sbirciare dalla fessura. Ora Daisuke-san sedeva sulle ginocchia dello zio, voltato verso di lui, le braccia di Haru lo stringevano ancor più stretto a sé, le mani del miliardario invece si erano infilate nei capelli dell'altro e lo spingevano verso di lui, mentre le loro bocche erano unite da un bacio profondo. Il bambino avvampò: quello era un bacio, un bacio vero, tra due maschi! Eppure lo zio aveva detto che non facevano quelle cose! Però era anche passato un anno da allora e anche Akito si era accorto quanto il rapporto tra loro fosse cambiato. Eppure che si baciassero era qualcosa di così inimmaginabile per il ragazzino!
Nonostante si sentisse le gote in fiamme per la vergogna non riusci a distogliere lo sguardo, fortunatamente entrambi gli adulti avevano gli occhi chiusi ed erano concentrati su loro stessi. Sasaki gli aveva raccontato di aver guardato i manga della sorella e di quanto facessero schifo tutti quei maschi che si baciavano, eppure, mentre spiava lo zio amoreggiare con Daisuke-san non vide nulla di brutto o vomitevole. Era imbarazzante essere lì e spiarli, ma quello che percepiva era tutt'altro che negativo: c'era affetto, dolcezza, desiderio. Si volevano bene e volevano dirselo in tutti i modi possibili. Nulla era fuori posto o sbagliato in quel bacio.
Anzi, si disse, c'era qualcosa di sbagliato: lui! Era chiaro che lo zio e Daisuke-san non volevano che li vedesse così, invece lui stava spiando come un criminale! Arretrò, distogliendo lo sguardo. Non aveva il diritto di stare lì a sbirciare. A gattoni s'allontanò lentamente lungo il corridoio. Sperava con tutto sé stesso che i due adulti fossero ancora tanto presi dal loro bacio da non accorgersi di nulla. A quanto pare la fortuna girò dalla sua parte. Quando ebbe messo tra lui e la porta almeno due stanze si rialzò e sempre in punta di piedi, il più rapidamente possibile, arrivò in fondo al lungo passaggio e svoltò in un'altra saletta. Si poggiò inspirando profondamente allo stipite di una porta.
Aveva visto qualcosa di proibito? O semplicemente qualcosa che lui, in quanto bambino, non doveva sapere?
No, lo zio non avrebbe mai fatto qualcosa di proibito, e non era nemmeno qualcosa di sbagliato, nessuna cosa sbagliata avrebbe potuto far sorridere lo zio così come aveva visto. Ne era certo, lo zio e Daisuke-san erano felici, li aveva visti molto più contenti e rilassati delle altre volte in quei due giorni, e ora sapeva perché: perché si volevano bene e se lo erano detti.
Era felice per loro, tanto, ma era anche tanto imbarazzato. L'amore e tutte quelle smancerie non erano cose da maschi, non sapeva come reagire.
Non sapeva nemmeno come comportarsi con loro! Anzi, lo sapeva benissimo, doveva far finta di niente, non avrebbe saputo come scusarsi per averli spiati così impunemente in un momento in cui volevano essere soli. Scosse la testa e decise di tornare nella sala dove si era addormentato, la sete ormai dimenticata.

Nonostante le buone intenzioni Akito si perse nella grande villa, era certo che svoltato l'angolo si sarebbe ritrovato nel corridoio che portava alla saletta, invece c'erano stanze completamente diverse! Si girò per ritornare sui suoi passi quando si ritrovò a incrociare lo sguardo con uno dei domestici. Istintivamente si mise a correre verso di lui.
- Avete bisogno di un aiuto, Akito-sama? - gli domandò l'uomo. Era così cortese da non mettere in evidenza l'ovvio, ossia che si era perso.
Il bambino alzò lo sguardo alla ricerca del cartellino con il nome: - Si, grazie Inagawa-san. Mi sono svegliato da solo e volevo trovare qualcosa da bere, ma mi sono perso. - Glissò completamente sul fatto di aver in realtà trovato suo zio in un momento scomodo.
Il cameriere si abbassò al suo livello: - Capisco, Akito-sama. La riaccompagno nella saletta e le porto qualcosa da bere. Vuole che vada anche a chiamare suo zio? -
- No! - urlò immediatamente. Non voleva che lo zio Haru fosse disturbato ora che era solo con Daisuke-san. Soprattutto non voleva che i domestici scoprissero il loro segreto!
Inagawa-san sembrò sorpreso dalla sua reazione, ma non fece domande: - Come desidera, Akito-sama. Venga, l'accompagno. Nel frattempo cosa desidera da bere? -
Akito prese la mano che gli veniva offerta: - Mmm... non lo so. Cosa c'è? -
- Possiamo offrirle moltissime bevande, Akito-sama. -
- Avete anche qualcosa alla fragola? -
Il domestico sorrise: - Sicuramente. Le porterò qualcosa alla fragola, allora. -

Il cameriere lasciò nuovamente da solo Akito nella sala in cui si era addormentato per pochi minuti, poi tornò con un bicchiere rosa estremamente invitante. Glielo poggiò con cura sul tavolino, poi rimase lì in attesa. Chiaramente voleva fargli compagnia.
- Akito-sama, vuole uscire in giardino dopo aver finito la sua bevanda? - chiese gentilmente.
Il bambino però si sentiva ancora confuso, non aveva voglia di giocare ora. Stava cercando di accettare quanto aveva visto poco prima. Prese la cannuccia tra le labbra e fece segno di no con la testa.
- Come desidera. - fu l'unico commento di Inagawa-san che non sembrava in alcun modo offeso.
Bevve lentamente, dapprima sovrappensiero, poi il sapore dolce della fragola lo riportò al presente e assaporò con gusto il resto della bevanda preparata apposta per lui.
Quando ebbe finito e riappoggiato il bicchiere sul tavolino, il domestico si fece nuovamente avanti: - Desidera altro, Akito-sama? -
Negò ancora una volta con la testa. Lanciò un'occhiata all'orologio dietro di sé, che non passò inosservata. Il cameriere capì subito i suoi pensieri: - Akito-sama, vuole che le faccia compagnia mentre attendiamo il signore e Kato-sama? -
Il bambino lo fissò sorpreso, non s'era aspettato di essere tanto evidente! Decise però di accettare l'offerta, la sua testa stava già scoppiando per il troppo pensare, meglio rilassarsi.
- Sì, Inagawa-san. Posso chiederle di giocare con me? -
- Certo, Akito-sama. Ha qualche idea in mente? - il domestico sembrava intenerito dalla sua educazione.
Il bimbo pensò un attimo. Doveva trovare un gioco divertente anche per un adulto, ma che non durasse molto, aveva visto l'ora e tra una cosa e l'altra adesso aveva circa mezz'ora. Era tanto assorto che non si accorse quando la porta si aprì.
- Oh, Akito, sei sveglio? - domandò Haru appena lo vide.
Notando lo zio e subito dietro Daisuke-san Akito divenne rosso come un pomodoro! Si vergognava così tanto d'averli visti quando non doveva!
Lo zio lo guardò perplesso: - Che è successo Akito? -
Lui nemmeno riuscì ad aprire bocca per rispondere, bloccato dall'imbarazzo. Vide Daisuke-san fare un cenno silenzioso al suo domestico che immediatamente spiegò: - L'ho trovato che girava per i corridoi cercando qualcosa da bere, si è svegliato da solo e non sapeva dove trovarvi. -
Sentita la breve spiegazione Haru gli si avvicinò, si chinò e gli mise una mano sulla testa: - Di cosa ti vergogni Akito? Anche io mi sarei perso in questa casa enorme! -
Gli fece un largo sorriso, allegro, ma così diverso da quelli che lanciava a Daisuke-san. Ora che sapeva cosa guardare era tanto evidente anche per lui! Inspirò profondamente, prendendo tempo e cercando di calmarsi. Nel frattempo Kambe s'era fatto avanti: - Haru, credo sia tempo di preparare le valige, se vogliamo essere puntali con Suzue. -
Akito vide in quelle parole la scappatoia che cercava!
- Giusto! Inagawa-san può aiutarmi a sistemare le mie cose? - domandò guardando il domestico. Lui sorrise: - Se per Kato-sama non è un problema. -
Il poliziotto alzò le spalle: - No problem. -
Il ragazzino sentì appena il commento piccato di Daisuke-san mentre usciva dalla stanza con il domestico: - Non parlare in inglese che mi vengono i brividi. –
Li lasciò a una delle loro solite discussioni e affrettò il passo per scappare il più lontano possibile da quei due.
Con l'aiuto di Inagawa-san la sua borsa venne ricomposta in un batter d'occhio, anzi era molto più ordinata di quando era partito! Con la scusa di voler provare ancora un po' il materasso del suo letto rimase ancora qualche minuto in più nella camera, facendo di tutto per tranquillizzarsi.
Probabilmente impiegò più tempo del previsto, perché ad un certo punto la testa dello zio fece capolino dalla porta: - Akito, non sei ancora pronto? -
Strinse i denti, ma poi s'alzò allegro: - Sì, sono pronto, grazie a Inagawa-san ho fatto in un lampo! -
Doveva essere naturale, proprio così. Non era cambiato niente in fondo. Lo zio era lo zio, e Daisuke-san era una persona gentile anche se dai modi un po' strani.
- Siamo pronti allora? - chiese Daisuke dal corridoio.
- Sì, arrivo. - rispose scendendo di corsa dal letto. Fece un inchino e un ringraziamento ancora al cameriere mentre prendeva da lui la borsa.
- Me la lasci pure, Akito-sama, devo accompagnarvi io all'eliporto. - gli rispose sorridendo.
Il poliziotto era entrato e s'era affiancato al nipote: - Mi spiace Akito, ma in questo mondo di ricchi non si capisce mai cosa devi e cosa non devi fare. -
Il bambino alzò lo sguardo, poco più in là Daisuke-san sospirò incrociando le braccia. Chissà che senso avevano quelle frasi tra loro due? Non l'avrebbe mai capito, ne era certo. Innamorarsi era una cosa troppo complicata.

Scesero in giardino, lo zio gli fece fare un'ultima visita alla fontana mentre Inagawa-san caricava le loro valige in auto. Gli dispiaceva andare via, si era divertito così tanto! E anche se solo alla fine aveva scoperto di non aver capito nulla o quasi di quei due, la loro compagnia era divertente, così diversa da quella degli altri adulti! Quando la voce di Kambe li chiamò, per dirgli che l'auto li aspettava s'immobilizzò. Voleva restare lì, con lo zio e con Daisuke-san. Non voleva ancora tornare dalla mamma. Sarebbe bastato solo un altro giorno Lacrime di testardaggine stavano per riempirgli gli occhi quando le mani dello zio si posarono teneramente sulle sue spalle - Su, Akito. È ora di andare. Ci torneremo un'altra volta. -
"Un'altra volta". Ci sarebbe stata un'altra occasione? Lo zio lo avrebbe ancora preso con sé per un'avventura speciale? Alzò lo sguardo pieno d'aspettativa.
- Basterà chiedere a Daisuke-san. Non ti preoccupare, quel tipo fa tanto il superiore e il distaccato, ma in realtà non è capace di negare un favore, men che meno ad un bambino. -
Akito annuì e seguì lo zio quando si rialzò per raggiungere la macchina che li attendeva.
Fecero il breve tragitto verso la pista d'atterraggio in silenzio, appena salito in auto aveva visto l'elicottero che scendeva poco oltre gli alberi e d'improvviso tutti i suoi patemi d'animo erano scomparsi. Solo quando fu sceso, nel vedere Daisuke-san che passava le cuffie allo zio ebbe un impeto: - Daisuke-san! Posso venire ancora qui? Con te e lo zio? -
L'uomo fu colto di sorpresa, ma dopo un breve momento si riprese, si chinò davanti a lui: - Certo che puoi, Akito. -
Così dicendo gli mise le cuffie sulla testa.
- Daisuke-san - gli disse di nuovo controllando che lo zio fosse ancora senza cuffie e lontano: - sei riuscito a diventare speciale per lo zio, vero? -
Era una domanda di cui conosceva già la risposta, ma voleva vedere quanto l'uomo si fidasse di lui.
- Sì. Ci sono riuscito. - gli rispose con un sorriso incredibilmente bello.
Akito gli si gettò al collo: - Congratulazioni! -
Avrebbe voluto dirlo anche allo zio, con tutto il cuore, ma non poteva smascherarsi così.
Il miliardario lo strinse a sua volta, ma poi si liberò dall’abbraccio per prepararsi alla partenza, lanciando un’occhiata al collega che li guardava incuriosito. A quello sguardo dello zio Akito rispose con una linguaccia divertita. Anche lui aveva un segreto con Daisuke-san!

Il viaggio di ritorno in elicottero fu meno emozionante dell'andata, forse per la stanchezza e i tanti pensieri che affollavano la mente del bimbo. Mentre volavano verso casa si era reso conto che, in fondo, era felice, veramente tanto. Erano stati due giorni emozionanti, pieni di scoperte, di avventure e divertimento. Con una inaspettata rivelazione finale: due maschi che si baciano non sono affatto una brutta cosa!

   
 
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