Baker Street, dolce
casa
Capitolo 13
L'atmosfera pacifica non durò a lungo.
Solo due settimane dopo, la pazienza di Mary stava per
finire.
"Hai trascorso pochissimo tempo con me, di recente. È
sempre Sherlock, Sherlock, Sherlock. Mi ha stancato, John. Si è divertito e
ovviamente siete di nuovo amici quindi per favore, vai a fargli firmare quelle
dannate carte."
John sapeva che non aveva senso discutere. Mary aveva
ragione. Era andato avanti abbastanza a lungo. Lui aveva fatto tutto ciò che
Sherlock aveva chiesto e aveva del tutto adempiuto alla propria parte del loro
accordo. Ora tutto quello che restava era che Sherlock rispettasse la sua parte.
Tuttavia, prima che potesse sollevare l'argomento con
Sherlock, furono chiamati per un nuovo caso e trascorsero i due giorni
successivi a Soho e impedirono un atto di sabotaggio ai danni di un teatro.
Mentre stavano concludendo i dettagli del caso a Scotland
Yard, quella sera tardi, John si scusò perché doveva andare in bagno. Aveva
appena finito di asciugarsi le mani quando sentì la voce di Lestrade fuori e si
fermò.
"Allora, com'è la situazione del marito?" domandò
il DI.
"Invariata." Quello era Sherlock e John sbatté le
palpebre sorpreso; non sapeva che Sherlock avesse parlato al DI dei loro
problemi.
"Sai, mi piacerebbe davvero incontrare questo ragazzo, –
ribatté Lestrade – Solo per potergli inculcare un po’ di buon senso."
John si rilassò un po'. Era chiaro che Greg non ne aveva
idea. Bene, allora era tutto a posto. Si preparò a uscire in corridoio, ma poi
Sherlock parlò di nuovo.
"Non farebbe differenza, Lestrade. È... molto saldo nelle
proprie decisioni."
Il DI sospirò e John lo sentì inserire diverse monete nel
distributore automatico fuori dai bagni: "Sì, hai detto che vuole sposare qualcun
altro. È ancora così?"
"Sì."
"Mi dispiace, amico."
"Non è colpa tua," affermò Sherlock, mentre
Lestrade, a giudicare dai suoni, pescava qualcosa dalla macchinetta, imprecando e
brontolando.
"No, ma fa schifo lo stesso. In primo luogo, perché ti
ha persino sposato, allora?"
Questo bloccò John sul posto. Perché l'aveva fatto?
Ci fu una pausa più lunga e poi Sherlock rispose, con voce
morbida e stranamente vulnerabile: "Non lo so."
Lestrade gli diede una pacca sulla schiena in modo udibile:
"Beh, ci dev'essere stato un motivo. Coraggio, ragazzo. Hai pensato
di parlarne con John? Potrebbe avere un'idea migliore su ciò che potresti fare."
"Temo che questo vada oltre la capacità di John di
aiutare,” ribatté Sherlock, che John pensò fosse una risposta molto diplomatica.
Aiutare con che cosa, comunque? Non c'era bisogno di aiuto. Tutto quello che Sherlock doveva fare era firmare quei maledetti documenti e farla finita.
"Sì, beh, provare non può far male. Dio sa che non mi
dirai niente al riguardo."
"Sai più della maggior parte delle altre persone, – gli
ricordò Sherlock – Dai, voglio concludere il caso e tornare a casa prima di
mezzanotte, per cambiare."
"Ciò detto dall'uomo che non dorme mai, – borbottò
Lestrade – Va bene, vieni allora. Credo che John sia andato alla caffetteria
per una tazza di tè. Aspettiamolo nel mio ufficio."
I loro passi scomparvero lungo il corridoio e John rilasciò
un respiro, una volta che se ne furono andati. Incontrò il proprio sguardo
confuso nello specchio. Di che cosa si era trattato? Non sapeva che Sherlock e
Lestrade parlassero di altre cose oltre al lavoro, ma quella era stata una
conversazione decisamente amichevole sulla vita privata di Sherlock, cosa che
John non gli aveva mai visto fare. Diavolo, Sherlock parlava a malapena con lui di ciò, anche quando erano stati
coinquilini!
Tuttavia, le parole di Sherlock continuavano a tornargli in
mente: 'Non lo so.'
Non aveva senso: lui doveva saperlo! Era l'unico dei due
ad avere ogni ricordo del giorno del loro matrimonio, dopotutto. Non era
possibile che non sapesse perché John avesse apparentemente deciso di sposarlo.
Avevano giocato a un gioco? Fatto uno stupido scherzo che si era trasformato in
qualcosa di serio? C'erano infinite possibilità. Di sicuro non erano usciti e
l'avevano fatto senza almeno un qualche motivo?
Ma c'era stato qualcos'altro nel tono di Sherlock, qualcosa
che tormentava John.
Era il modo in cui era suonato, così stranamente perso, come
se la sua mancanza di conoscenza non fosse limitata ai motivi di
John, ma includesse la domanda sul perché qualcuno dovrebbe volere essere sposato con lui.
Come se lui ci avesse pensato e rimuginato e non fosse stato in grado di trovare
la minima ragione. L’idea stessa fece a John delle cose che non poté descrivere e
scosse la testa prima di potersi perdere nei propri pensieri.
Si lavò di nuovo le mani, tanto per fare qualcosa, raddrizzò
le spalle e annuì a se stesso. Avrebbe trovato un modo per mostrarlo a
Sherlock. Per fargli sapere che c'erano un milione di ragioni perché una
persona dovrebbe volerlo sposare.
"Perché –
ragionò John, del tutto ignaro dell'ironia dei propri pensieri – chi non vorrebbe sposare Sherlock?
*****
Sherlock era confuso. Negli ultimi due giorni, John era stato...
diverso. Non c'era davvero altra parola. Comunicativo? Di certo anche quello.
Gli aveva sorriso molto e gli aveva fatto più complimenti che perfino
all'inizio della loro amicizia tanti anni prima, quando sembrava che ogni singolo
pensiero che Sherlock avesse avuto fosse sorprendente.
Ma questo era diverso.
Negli ultimi quattro giorni, John si era complimentato con
lui per la sua intelligenza, il suo umorismo, i suoi capelli, la sua abilità
nel fare il tè e una dozzina di altre cose che Sherlock aveva accuratamente
archiviato nel proprio palazzo mentale.
Non sapeva che cosa stesse succedendo o perché, ma era di
sicuro bello essere apprezzato in quel modo e così Sherlock aveva optato per
essere perplesso, ma anche contento.
Stavano giusto ripulendo, dopo aver invitato la signora Hudson a
cena, e al momento stavano lavando i piatti uno accanto all'altro. Lei aveva cercato
di partecipare, ovviamente, per ringraziarli dell'adorabile sera, e
Sherlock l'aveva informata in modo aspro che la sua serata sarebbe stata più
adorabile ancora se lei non avesse iniziato a fare nessun lavoro adesso e si fosse
rilassata. La signora Hudson l'aveva tradotto con 'vada di sotto e si faccia una canna' e l'aveva prontamente fatto, lasciandolo
del tutto solo con John.
Cosa che, ammettiamolo, probabilmente aveva voluto fare
in ogni caso. Ora che Sherlock ci stava pensando, aveva ceduto con fin troppa facilità.
E ora erano soli e stavano lavando i piatti, come due
perfetti casalinghi. Non riusciva a ricordare l'ultima volta in cui avevano
fatto qualcosa insieme che richiamava così tanto il tempo in cui vivevano
insieme. E di certo avrebbe preferito che qualcuno gli sparasse piuttosto che attirare sulla cosa l'attenzione
di John.
"Ti rendi conto che aiuti in modo automatico la signora
Hudson ad alzarsi dalla sedia ogni volta che si alza?" domandò John.
Sherlock si voltò verso di lui, sorpreso sia dalla
dichiarazione sia dal fatto che sembrava che John avesse notato qualcosa del
genere: "Davvero?"
"Sì. Sei... gentile e premuroso con lei, in modo
spontaneo. – John fece una pausa – Certo, fai ancora uno sforzo cosciente
per essere il più pungente possibile, ma non ti sento scattare con lei da anni."
Sherlock si strinse nelle spalle. "Sì, beh, non posso
davvero permettermi di farla arrabbiare con me, ora, giusto?"
Si morse il labbro prima di poter aggiungere: "Se lo facessi, non avrei più nessuno nella
mia vita."
John aveva idea di quanto Sherlock si fosse addolcito grazie
a lui? Quanto era cambiato come persona semplicemente perché John esisteva?
"Beh, ci stiamo avvicinando a Pasqua, sarebbe orribile
se lei decidesse di revocare il tuo privilegio per i biscotti, – scherzò John –
Tu e il tuo debole per i dolci sareste persi senza di lei."
Sherlock sorrise, decidendo di andare avanti con la battuta:
"Sì, beh, Natale e Pasqua sono le uniche volte dell'anno in cui mi sembra
di ingrassare."
"Hmm, credo davvero che questa sia l'unica ragione per
cui non sei ancora collassato. Eri magro in modo spaventoso, quando ci siamo
incontrati per la prima volta. Mi piace pensare che mangi di più in questi
giorni."
"Penso che sia perché non ho davvero scelta, – ribatté
Sherlock – Continui ad apparire e a fare in modo che io mangi a pranzo, a cena,
a colazione e quant'altro e la signora Hudson mi riempie sempre di pasticcini
in questi giorni. Penso che lei creda che se mi tiene nutrito, non sparirò ancora."
John sbuffò: "Beh, spero che abbia ragione. Non voglio
affrontarlo mai più."
Sherlock sospirò, sentendo il peso di tutto ciò che aveva
fatto: "John... sai che sono dispiaciuto, vero? Perché lo sono. Se ci
fosse stato un altro modo..."
"Lo so, – lo interruppe John – Lo so. Ne abbiamo
parlato, ricordi? Lo capisco, anche se io non potrò mai dire che mi piaccia. Ma
ti sono grato per tutto quello che hai fatto e sono oltremodo felice che tu sia
di nuovo qui con me. D’accordo?"
Sherlock annuì, un piccolo nodo in gola. Deglutì, cercando di
allentarlo: "Anch'io sono contento di essere tornato qui con te, John."
Si sorrisero l'un l'altro e Sherlock si chiese se stesse
immaginando il modo in cui sembrava che l'aria si fosse addensata tra di loro,
se era solo la sua fantasia a far sembrare che fossero più vicini l’uno
all’altro di quanto non fossero stati un attimo prima.
Un bicchiere scivolò dalla mano di John e cadde nel lavandino
con un tonfo, spaventandoli entrambi. Sherlock sbatté le palpebre e voltò la
testa, concentrandosi di nuovo sull'asciugatura dei piatti.
"Mi sei… mancato. Mentre ero via, – si sforzò di dire – L'unica
cosa che mi ha fatto andare avanti in questi due anni è stata la consapevolezza
che tu fossi al sicuro e che ti avrei rivisto, se solo fossi sopravvissuto a quella
missione. Era tutta la motivazione di cui avevo bisogno."
Decise di non menzionare quanto dolore gli avesse procurato la
reazione di John e la conseguente mancanza di comunicazione.
Forse qualcosa nella sua espressione o semplicemente il suo
silenzio sull'argomento lo tradirono, perché John si asciugò la mano destra e
gli strinse il braccio.
"Mi dispiace. So che la mia reazione non è stata... beh,
non è stata buona. Mi sono fermato sulla tua tomba e ti ho chiesto di tornare
indietro e poi quando l'hai fatto, ti ho quasi ucciso io stesso. Non è andata
bene. E non è stato giusto tagliarti fuori per così tanto tempo. Tu hai provato
a spiegare che cos'era successo ed io avrei dovuto ascoltarti. Ma ero così
arrabbiato e così ferito... non hai idea di come sia stato, pensare che tu
fossi morto. Niente aveva più senso, il mondo intero era diventato grigio e
inutile. Ed io allora... riaverti è stato esaltante, ma anche terrificante. Lo
è ancora, se devo essere onesto. Ho bisogno che tu ti prenda più cura di te
stesso, Sherlock. Perché non posso affrontarlo di nuovo."
Quella era più onestà e decisamente più conversazione sui
sentimenti di quanto Sherlock fosse abituato.
"Lo prometto, – affermò, assicurandosi di incrociare lo
sguardo di John questa volta – Prometto che non ti farò mai più provare quel
dolore, in modo deliberato. Sappiamo entrambi che non possiamo evitare i
pericoli del lavoro, ma è davvero molto più sicuro per me averti lì al mio fianco. Mi
sono abituato ad avere dei rinforzi. Mi hanno quasi catturato due volte, mentre
ero via, perché avevo dimenticato che tu non eri lì a guardarmi le spalle. Ma ce
l'ho fatta. E sono tornato a casa. Questo è tutto ciò che conta."
John annuì a scatti: "Sì, sì lo è."
Sherlock annuì in risposta: "In ogni caso, non me ne
andrò mai più, John. Sarò sempre qui, a Baker Street. E sarò sempre…"
Si fermò e scosse la testa, trattenendo le parole che sapeva
che John non avrebbe voluto sentire.
"Sempre che cosa?" chiese John.
Sherlock scosse di nuovo la testa: "Non importa. Sarò
sempre qui, è questo il punto. Quindi ogni volta che tu avrai bisogno di me, saprai
dove trovarmi."
John sorrise: "Va bene. Lo apprezzo, davvero. Io, uh,
non credo di avertelo davvero detto, ma sono contento che tu sia a casa. Sono
contento che siamo di nuovo amici."
Sherlock ricambiò il sorriso, sollevato: "Anch'io,
John."
Ci fu una pausa, mentre continuavano con i piatti, finché non li ebbero lavati tutti e a lasciato uscire l’acqua dal lavandino.
"Me lo racconterai?" domandò John.
"Raccontarti che cosa?"
"Del tempo che sei stato via, – ribatté – Avrei
dovuto chiederlo quando sei tornato. Volevo chiedertelo da tanto tempo, ma
avevo così paura di quello che avrei potuto sentire. Ma ho... ho visto le
cicatrici sulla tua schiena e tu continui a menzionarne alcune parti e io...
voglio sapere. Se me lo racconterai."
Sherlock esitò. Non si aspettava che succedesse quella sera.
Ma d'altra parte, quando sennò?
"Non sei obbligato, ovviamente, – disse John in fretta,
notando la sua esitazione – Quando sei pronto."
"No. – Sherlock fece una pausa, deglutendo – No, hai
ragione. Io... vorrei raccontartelo. Ma non è una bella storia e potrebbe
volerci un po' di tempo."
John gli fece un mezzo sorriso e indicò il salotto: "Ho
tempo."
Così si sedettero nelle rispettive poltrone e Sherlock
finalmente gli raccontò tutto.
Quando il suo racconto fu arrivato alla fine, erano passate le due del mattino
e John decise di dormire sul divano.
Sherlock lo guardò sistemarsi con il vecchio afgano avvolto
per bene intorno al corpo compatto, e affidò l’immagine alla memoria. John,
tornato al luogo a cui apparteneva, anche se solanto per una notte. Come avrebbe dovuto essere.
NdT
Evviva!! Hanno finalmente parlato. E di ciò dobbiamo ringraziare Lestrade, per l’aiuto involontario.
Grazie a chi stia leggendo. Grazie per le recensioni a garfield73 e T’Jill.
A mercoledì prossimo.
Ciao ciao.