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Autore: All_I_Need    25/08/2021    3 recensioni
Vi ricordate di quel mercoledì che John ha dimenticato perché Sherlock gli ha messo qualcosa nel té? John non lo ricorda. Però torna a sconvolgere la sua vita.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mary Morstan, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: AU, Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13

Baker Street, dolce casa

Capitolo 13

L'atmosfera pacifica non durò a lungo.

Solo due settimane dopo, la pazienza di Mary stava per finire.

"Hai trascorso pochissimo tempo con me, di recente. È sempre Sherlock, Sherlock, Sherlock. Mi ha stancato, John. Si è divertito e ovviamente siete di nuovo amici quindi per favore, vai a fargli firmare quelle dannate carte."

John sapeva che non aveva senso discutere. Mary aveva ragione. Era andato avanti abbastanza a lungo. Lui aveva fatto tutto ciò che Sherlock aveva chiesto e aveva del tutto adempiuto alla propria parte del loro accordo. Ora tutto quello che restava era che Sherlock rispettasse la sua parte.

Tuttavia, prima che potesse sollevare l'argomento con Sherlock, furono chiamati per un nuovo caso e trascorsero i due giorni successivi a Soho e impedirono un atto di sabotaggio ai danni di un teatro.

Mentre stavano concludendo i dettagli del caso a Scotland Yard, quella sera tardi, John si scusò perché doveva andare in bagno. Aveva appena finito di asciugarsi le mani quando sentì la voce di Lestrade fuori e si fermò.

"Allora, com'è la situazione del marito?" domandò il DI.

"Invariata." Quello era Sherlock e John sbatté le palpebre sorpreso; non sapeva che Sherlock avesse parlato al DI dei loro problemi.

"Sai, mi piacerebbe davvero incontrare questo ragazzo, – ribatté Lestrade – Solo per potergli inculcare un po’ di buon senso."

John si rilassò un po'. Era chiaro che Greg non ne aveva idea. Bene, allora era tutto a posto. Si preparò a uscire in corridoio, ma poi Sherlock parlò di nuovo.

"Non farebbe differenza, Lestrade. È... molto saldo nelle proprie decisioni."

Il DI sospirò e John lo sentì inserire diverse monete nel distributore automatico fuori dai bagni: "Sì, hai detto che vuole sposare qualcun altro. È ancora così?"

"Sì."

"Mi dispiace, amico."

"Non è colpa tua," affermò Sherlock, mentre Lestrade, a giudicare dai suoni, pescava qualcosa dalla macchinetta, imprecando e brontolando.

"No, ma fa schifo lo stesso. In primo luogo, perché ti ha persino sposato, allora?"

Questo bloccò John sul posto. Perché l'aveva fatto?

Ci fu una pausa più lunga e poi Sherlock rispose, con voce morbida e stranamente vulnerabile: "Non lo so."

Lestrade gli diede una pacca sulla schiena in modo udibile: "Beh, ci dev'essere stato un motivo. Coraggio, ragazzo. Hai pensato di parlarne con John? Potrebbe avere un'idea migliore su ciò che potresti fare."

"Temo che questo vada oltre la capacità di John di aiutare,” ribatté Sherlock, che John pensò fosse una risposta molto diplomatica. Aiutare con che cosa, comunque? Non c'era bisogno di aiuto. Tutto quello che Sherlock doveva fare era firmare quei maledetti documenti e farla finita.

"Sì, beh, provare non può far male. Dio sa che non mi dirai niente al riguardo."

"Sai più della maggior parte delle altre persone, – gli ricordò Sherlock – Dai, voglio concludere il caso e tornare a casa prima di mezzanotte, per cambiare."

"Ciò detto dall'uomo che non dorme mai, – borbottò Lestrade – Va bene, vieni allora. Credo che John sia andato alla caffetteria per una tazza di tè. Aspettiamolo nel mio ufficio."

I loro passi scomparvero lungo il corridoio e John rilasciò un respiro, una volta che se ne furono andati. Incontrò il proprio sguardo confuso nello specchio. Di che cosa si era trattato? Non sapeva che Sherlock e Lestrade parlassero di altre cose oltre al lavoro, ma quella era stata una conversazione decisamente amichevole sulla vita privata di Sherlock, cosa che John non gli aveva mai visto fare. Diavolo, Sherlock parlava a malapena con lui di ciò, anche quando erano stati coinquilini!

Tuttavia, le parole di Sherlock continuavano a tornargli in mente: 'Non lo so.'

Non aveva senso: lui doveva saperlo! Era l'unico dei due ad avere ogni ricordo del giorno del loro matrimonio, dopotutto. Non era possibile che non sapesse perché John avesse apparentemente deciso di sposarlo. Avevano giocato a un gioco? Fatto uno stupido scherzo che si era trasformato in qualcosa di serio? C'erano infinite possibilità. Di sicuro non erano usciti e l'avevano fatto senza almeno un qualche motivo?

Ma c'era stato qualcos'altro nel tono di Sherlock, qualcosa che tormentava John.

Era il modo in cui era suonato, così stranamente perso, come se la sua mancanza di conoscenza non fosse limitata ai motivi di John, ma includesse la domanda sul perché qualcuno dovrebbe volere essere sposato con lui. Come se lui ci avesse pensato e rimuginato e non fosse stato in grado di trovare la minima ragione. L’idea stessa fece a John delle cose che non poté descrivere e scosse la testa prima di potersi perdere nei propri pensieri.

Si lavò di nuovo le mani, tanto per fare qualcosa, raddrizzò le spalle e annuì a se stesso. Avrebbe trovato un modo per mostrarlo a Sherlock. Per fargli sapere che c'erano un milione di ragioni perché una persona dovrebbe volerlo sposare.

"Perché – ragionò John, del tutto ignaro dell'ironia dei propri pensieri – chi non vorrebbe sposare Sherlock?

*****

Sherlock era confuso. Negli ultimi due giorni, John era stato... diverso. Non c'era davvero altra parola. Comunicativo? Di certo anche quello. Gli aveva sorriso molto e gli aveva fatto più complimenti che perfino all'inizio della loro amicizia tanti anni prima, quando sembrava che ogni singolo pensiero che Sherlock avesse avuto fosse sorprendente.

Ma questo era diverso.

Negli ultimi quattro giorni, John si era complimentato con lui per la sua intelligenza, il suo umorismo, i suoi capelli, la sua abilità nel fare il tè e una dozzina di altre cose che Sherlock aveva accuratamente archiviato nel proprio palazzo mentale.

Non sapeva che cosa stesse succedendo o perché, ma era di sicuro bello essere apprezzato in quel modo e così Sherlock aveva optato per essere perplesso, ma anche contento.

Stavano giusto ripulendo, dopo aver invitato la signora Hudson a cena, e al momento stavano lavando i piatti uno accanto all'altro. Lei aveva cercato di partecipare, ovviamente, per ringraziarli dell'adorabile sera, e Sherlock l'aveva informata in modo aspro che la sua serata sarebbe stata più adorabile ancora se lei non avesse iniziato a fare nessun lavoro adesso e si fosse rilassata. La signora Hudson l'aveva tradotto con 'vada di sotto e si faccia una canna' e l'aveva prontamente fatto, lasciandolo del tutto solo con John.

Cosa che, ammettiamolo, probabilmente aveva voluto fare in ogni caso. Ora che Sherlock ci stava pensando, aveva ceduto con fin troppa facilità.

E ora erano soli e stavano lavando i piatti, come due perfetti casalinghi. Non riusciva a ricordare l'ultima volta in cui avevano fatto qualcosa insieme che richiamava così tanto il tempo in cui vivevano insieme. E di certo avrebbe preferito che qualcuno gli sparasse piuttosto che attirare sulla cosa l'attenzione di John.

"Ti rendi conto che aiuti in modo automatico la signora Hudson ad alzarsi dalla sedia ogni volta che si alza?" domandò John.

Sherlock si voltò verso di lui, sorpreso sia dalla dichiarazione sia dal fatto che sembrava che John avesse notato qualcosa del genere: "Davvero?"

"Sì. Sei... gentile e premuroso con lei, in modo spontaneo. – John fece una pausa – Certo, fai ancora uno sforzo cosciente per essere il più pungente possibile, ma non ti sento scattare con lei da anni."

Sherlock si strinse nelle spalle. "Sì, beh, non posso davvero permettermi di farla arrabbiare con me, ora, giusto?"

Si morse il labbro prima di poter aggiungere: "Se lo facessi, non avrei più nessuno nella mia vita."

John aveva idea di quanto Sherlock si fosse addolcito grazie a lui? Quanto era cambiato come persona semplicemente perché John esisteva?

"Beh, ci stiamo avvicinando a Pasqua, sarebbe orribile se lei decidesse di revocare il tuo privilegio per i biscotti, – scherzò John – Tu e il tuo debole per i dolci sareste persi senza di lei."

Sherlock sorrise, decidendo di andare avanti con la battuta: "Sì, beh, Natale e Pasqua sono le uniche volte dell'anno in cui mi sembra di ingrassare."

"Hmm, credo davvero che questa sia l'unica ragione per cui non sei ancora collassato. Eri magro in modo spaventoso, quando ci siamo incontrati per la prima volta. Mi piace pensare che mangi di più in questi giorni."

"Penso che sia perché non ho davvero scelta, – ribatté Sherlock – Continui ad apparire e a fare in modo che io mangi a pranzo, a cena, a colazione e quant'altro e la signora Hudson mi riempie sempre di pasticcini in questi giorni. Penso che lei creda che se mi tiene nutrito, non sparirò ancora."

John sbuffò: "Beh, spero che abbia ragione. Non voglio affrontarlo mai più."

Sherlock sospirò, sentendo il peso di tutto ciò che aveva fatto: "John... sai che sono dispiaciuto, vero? Perché lo sono. Se ci fosse stato un altro modo..."

"Lo so, – lo interruppe John – Lo so. Ne abbiamo parlato, ricordi? Lo capisco, anche se io non potrò mai dire che mi piaccia. Ma ti sono grato per tutto quello che hai fatto e sono oltremodo felice che tu sia di nuovo qui con me. D’accordo?"

Sherlock annuì, un piccolo nodo in gola. Deglutì, cercando di allentarlo: "Anch'io sono contento di essere tornato qui con te, John."

Si sorrisero l'un l'altro e Sherlock si chiese se stesse immaginando il modo in cui sembrava che l'aria si fosse addensata tra di loro, se era solo la sua fantasia a far sembrare che fossero più vicini l’uno all’altro di quanto non fossero stati un attimo prima.

Un bicchiere scivolò dalla mano di John e cadde nel lavandino con un tonfo, spaventandoli entrambi. Sherlock sbatté le palpebre e voltò la testa, concentrandosi di nuovo sull'asciugatura dei piatti.

"Mi sei… mancato. Mentre ero via, – si sforzò di dire – L'unica cosa che mi ha fatto andare avanti in questi due anni è stata la consapevolezza che tu fossi al sicuro e che ti avrei rivisto, se solo fossi sopravvissuto a quella missione. Era tutta la motivazione di cui avevo bisogno."

Decise di non menzionare quanto dolore gli avesse procurato la reazione di John e la conseguente mancanza di comunicazione.

Forse qualcosa nella sua espressione o semplicemente il suo silenzio sull'argomento lo tradirono, perché John si asciugò la mano destra e gli strinse il braccio.

"Mi dispiace. So che la mia reazione non è stata... beh, non è stata buona. Mi sono fermato sulla tua tomba e ti ho chiesto di tornare indietro e poi quando l'hai fatto, ti ho quasi ucciso io stesso. Non è andata bene. E non è stato giusto tagliarti fuori per così tanto tempo. Tu hai provato a spiegare che cos'era successo ed io avrei dovuto ascoltarti. Ma ero così arrabbiato e così ferito... non hai idea di come sia stato, pensare che tu fossi morto. Niente aveva più senso, il mondo intero era diventato grigio e inutile. Ed io allora... riaverti è stato esaltante, ma anche terrificante. Lo è ancora, se devo essere onesto. Ho bisogno che tu ti prenda più cura di te stesso, Sherlock. Perché non posso affrontarlo di nuovo."

Quella era più onestà e decisamente più conversazione sui sentimenti di quanto Sherlock fosse abituato.

"Lo prometto, – affermò, assicurandosi di incrociare lo sguardo di John questa volta – Prometto che non ti farò mai più provare quel dolore, in modo deliberato. Sappiamo entrambi che non possiamo evitare i pericoli del lavoro, ma è davvero molto più sicuro per me averti lì al mio fianco. Mi sono abituato ad avere dei rinforzi. Mi hanno quasi catturato due volte, mentre ero via, perché avevo dimenticato che tu non eri lì a guardarmi le spalle. Ma ce l'ho fatta. E sono tornato a casa. Questo è tutto ciò che conta."

John annuì a scatti: "Sì, sì lo è."

Sherlock annuì in risposta: "In ogni caso, non me ne andrò mai più, John. Sarò sempre qui, a Baker Street. E sarò sempre…"

Si fermò e scosse la testa, trattenendo le parole che sapeva che John non avrebbe voluto sentire.

"Sempre che cosa?" chiese John.

Sherlock scosse di nuovo la testa: "Non importa. Sarò sempre qui, è questo il punto. Quindi ogni volta che tu avrai bisogno di me, saprai dove trovarmi."

John sorrise: "Va bene. Lo apprezzo, davvero. Io, uh, non credo di avertelo davvero detto, ma sono contento che tu sia a casa. Sono contento che siamo di nuovo amici."

Sherlock ricambiò il sorriso, sollevato: "Anch'io, John."

Ci fu una pausa, mentre continuavano con i piatti, finché non li ebbero lavati tutti e a lasciato uscire l’acqua dal lavandino.

"Me lo racconterai?" domandò John.

"Raccontarti che cosa?"

"Del tempo che sei stato via, – ribatté – Avrei dovuto chiederlo quando sei tornato. Volevo chiedertelo da tanto tempo, ma avevo così paura di quello che avrei potuto sentire. Ma ho... ho visto le cicatrici sulla tua schiena e tu continui a menzionarne alcune parti e io... voglio sapere. Se me lo racconterai."

Sherlock esitò. Non si aspettava che succedesse quella sera. Ma d'altra parte, quando sennò?

"Non sei obbligato, ovviamente, – disse John in fretta, notando la sua esitazione – Quando sei pronto."

"No. – Sherlock fece una pausa, deglutendo – No, hai ragione. Io... vorrei raccontartelo. Ma non è una bella storia e potrebbe volerci un po' di tempo."

John gli fece un mezzo sorriso e indicò il salotto: "Ho tempo."

Così si sedettero nelle rispettive poltrone e Sherlock finalmente gli raccontò tutto.

Quando il suo racconto fu arrivato alla fine, erano passate le due del mattino e John decise di dormire sul divano.

Sherlock lo guardò sistemarsi con il vecchio afgano avvolto per bene intorno al corpo compatto, e affidò l’immagine alla memoria. John, tornato al luogo a cui apparteneva, anche se solanto per una notte. Come avrebbe dovuto essere.

 

 

 

NdT

Evviva!! Hanno finalmente parlato. E di ciò dobbiamo ringraziare Lestrade, per l’aiuto involontario.

Grazie a chi stia leggendo. Grazie per le recensioni a garfield73 e T’Jill.

A mercoledì prossimo.

Ciao ciao.

 

   
 
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