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Autore: AlsoSprachVelociraptor    25/08/2021    0 recensioni
Anche durante l'Apocalisse, nella disperazione più totale, le anime pure possono trovare degli amici inaspettati, e un principe può trovare il suo Cavaliere.
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LIBRO DELL'APOCALISSE!AU
Un mio AU nel fandom (disabitato) di Dennis Pennis, non bisogna conoscere serie e film da cui sono tratti i personaggi per leggere questa storia.
Basata sul Libro dell'Apocalisse e frammentato in diverse one-shot. Questa è la prima che ho scritto, ma non la prima in ordine cronologico.
Il protagonista è Cliff Starkey da Blackball(2003)
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basata sulla canzone "Aegian Sea" degli Aphrodite's Child
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La spiaggia, poco tempo prima- mesi, o anni, ormai non lo ricordava più- era dorata. Non un bel color oro, quello che si vedeva nei film sulle Hawaii, in cui l’acqua verde e cristallina si adagiava placidamente su essa, quello no, quello mai; tuttavia, era un colore caldo, confortante contro il freddo color acciaio del mare della Manica in tempesta.

La spiaggia non era più dorata. Ora era un colore sporco, putrido e nerastro, e il mare era completamente diventato nero.

Cliff osservò il cadavere di un pesce galleggiare fino alla spiaggia color morte, adagiarsi tra le onde nere come la pece ai suoi piedi. 

L’estate ora era fredda, il cielo perennemente incolore, la pioggia mancava per mesi e poi, nel giro di qualche giorno, scendeva dal cielo tutta assieme, spazzando via qualsiasi cosa si trovasse sotto quelle nuvole infuriate. 

La famiglia di Cliff non se l’era mai vista molto bene dal punto di vista economico, e ora come ora era a pezzi. Il nonno di Cliff e, prima che morisse, il padre di Cliff, avevano un’impresa di ristrutturazioni. Ma ora a nessuno interessava rimaneggiare casa quando non c’erano soldi nemmeno per cibarsi. 

Da quando i Cavalieri dell’Apocalisse erano scesi sulla terra, il mondo non era più stato lo stesso, e anche la breve vita di Cliff era mutata per sempre.

Crisi economiche, pandemie e mutamenti climatici, era davvero la fine del mondo come Cliff l’aveva sempre vissuto- ma lui stava bene, dopotutto.

Passava la giornata a giocare a bocce da solo, nei parchi desertici e di terra secca e spaccata. Gli piaceva giocare a bocce in modi più inconsueti, come facendo saltare le bocce tra un crepaccio nella terra secca e l’altra, che rompevano il terreno una volta fangoso ed erboso come piaghe virulente.

E, come suo solito, gli piaceva fare un giro per la spiaggia, quando il tramonto grigiastro rendeva la sua ombra lunga e spaventosa come un fantasma sulla sabbia.

Cliff si era seduto a gambe incrociate in riva al mare, ma non abbastanza vicino perchè l’acqua tossica e densa gli cingesse le caviglie. Al fianco della sua ombra sottile, se ne accostò una molto più grossa, larga e scura.

Cliff alzò lo sguardo, il cappellino quasi gli cadde dalla testa piena di capelli lunghi e spettinati. Fissò la figura dietro e sopra di sé, imponente e inumana, dalla pelle scura come quel mare e gli occhi viola luminosi, e un paio di grosse corna che come rami di alberi morti si aprivano la loro strada tra la pelle della fronte, e si inerpicavano nell’aria fredda del tramonto.

Cliff lo guardò con curiosità. Aveva visto quell’uomo al telegiornale, ogni tanto.

“Hey amico, tutto ok?”

L’uomo sopra di lui annuì. Cliff sorrise. “Io ho un po’ fame, possiamo fare solo un pasto al giorno, però sto bene. Sai che prima qua era bellissimo? Cioè, era carino.”

Il grosso uomo vestito di una lunghissima tunica nera e gioielli argentati dalle gemme scure e brillanti alzò un suo grosso braccio, strappò un qualcosa dalle sue corna da cervo a forma di rami d’alberi e allungò la sua grossa mano a Cliff. 

Era una mela! Cliff non mangiava frutta da chissà quanto! Il ragazzino si alzò in piedi tutto felice, aggrappandosi al frutto come se ne valesse della sua stessa vita, e la azzannò con fame- era buonissima, e succosa e dolcissima!

Cliff si lasciò scappare un gridolino di felicità, affrettandosi a finire quel delizioso pasto, al fianco dell’uomo. Il grosso individuo si lasciò scappare un sorriso addolcito nella reazione di Cliff.

“Grazie.” gli disse Cliff, tutto sorridente. “Ne hai altre due? Voglio portarle a mio nonno e il mio amico Trevor. Mio nonno è vecchio, e non c’è molto da mangiare…”

Il sole nero e freddo era ormai sprofondato nel mare privo di vita, e la luna, rossa come il sangue, aveva preso il suo posto nel cielo profondo e sconosciuto. 

Cliff si aggrappò al braccio dell’uomo, incurante di chi fosse. Sapeva cos’era, ma non aveva nessun motivo per dubitare di lui, davvero. Gli aveva offerto da mangiare! “No, non possiamo passare per la città. Non sai quanta brutta gente c’è là, coi loro numeri strani tatuati in fronte, aspettano solo che qualcuno passi e…” continuò il ragazzino, ma l’uomo gli rivolse un sorriso, ampio e sicuro. 

“Non ti sarà torto un capello, finchè io sarò al tuo fianco.”

Cliff annuì. Fianco figurativo o letterale? Non aveva importanza, pensò, aggrappandosi al largo forte braccio dell’uomo, trottando al suo fianco per stare al suo passo, le gambe molto più corte delle sue.

La città era deserta, spoglia e vuota, l’erba che cresceva tra le crepe dell’asfalto e gli edifici erano pallidi e spogli come ossa, sanguinolenti sotto la luna cremisi che macchiava tutto di rosso nella sua luce pallida e maligna, le scritte rovesciate e i numeri incisi sull’intonaco che brillava di una luce strana, più brillante e rosso della luna stessa.

Sembravano disabitate, ma Cliff sapeva che, nelle viscere di quelle case, c’erano persone che come lui soffrivano la fame e la paura proprio come lui. Anime in pena, marchiate da un numero oscuro, che riempivano il silenzio della città con flebili singhiozzi e cantilene lontane.

Cliff alzò lo sguardo sull’uomo, che camminava sicuro e veloce al suo fianco. La sua pelle scura e color piombo non era intaccata dalla luce rossa dell’astro, e i suoi occhi scintillavano di un viola profondo e davvero strano. La bilancia d’argento e preziosi tintinnava appesa alla sua cintura a ogni suo passo, e Cliff avrebbe voluto prenderla e giocarci, se solo non avesse saputo che era qualcosa di più che una semplice bilancia umana, così tenne le sue mani strette attorno al bicipite del Cavaliere.

Si fermò proprio davanti alla casupola di Cliff, senza che lui gli dicesse niente. Sulla facciata della casa del nonno di Cliff non c’era nessuna scritta.

“Io abito qui!” disse Cliff, inutilmente, ma voleva proprio far sapere quell’informazione all’accompagnatore. “Grazie per avermici portato, ah, signor… uh…”

Carestia, il Cavaliere Nero dell’Apocalisse.” disse lui con la sua voce forte come il tuono ma gentile come la brezza. Cliff gli sorrise ancora, il viso tanto giovane e ingenuo coperto in parte dai capelli scompigliati. 

“È un nome un po’ ostico, non ti pare? Io sono Cliff il Principe delle Bocce, anche questo è un po’ altezzoso in effetti… Cavaliere e Principe, ci sta bene! Potresti diventare il mio Cavaliere personale, eh? Che ne dici.” continuò Cliff al suo nuovo amico.

Il Cavaliere Nero sorrise ancora, come addolcito dal comportamento tanto frizzante del ragazzino. “Potrei.” gli rispose, decisamente divertito.

Si chinò a terra, ora a malapena più basso di Cliff. Alzò la visiera dalla sua testa, rivelando la fronte pallida, immacolata, priva di scritte. “Facciamo così. Sarò il tuo Cavaliere personale finchè quella fronte rimarrà linda e pulita.”

I puri di cuore  non soffriranno più la fame, non soffriranno più la sete.

“Niente marchi. Hm?”

“Ok, questo è un patto.” ridacchiò Cliffy, sicuro di aver fatto un grande affare. Carestia si rizzò in piedi, spingendo delicatamente il ragazzino verso la sua porta d’ingresso. Cliff lo salutò con la mano e rientrò in casa, tutto saltellante e gioioso. Fece per togliersi il cappottone di feltro vecchio che apparteneva al suo deceduto padre, quando sentì che pesava molto di più di quanto avrebbe dovuto.

Frugò nelle tasche vuote, e si ritrovò con un delizioso grappolo d’uva tra le dita.

Un secondo di silenzio.

“Nonno!” gridò Cliff, realizzando che le sue tasche erano piene di frutta e pomodori e verdure freschissime. “Nonno! Trevor! Non indovinerete mai chi è il mio nuovo amico!” gridò il ragazzino, energico come mai, correndo e saltando nella sala dove l’amico e il nonno lo stavano aspettando.

   
 
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