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Autore: Golden Bonnie    28/08/2021    0 recensioni
Pensava di farcela. Pensava che sarebbe riuscito a tenere tutto sotto controllo. Pensava che le sue precauzioni fossero state abbastanza. Pensava che si sarebbe portato il suo segreto nella tomba. Pensava male.
Pensava di farcela. Pensava che sarebbe riuscito a resistere alla tentazione. Pensava che sarebbe riuscito a mantenere la sua promessa. Pensava che sarebbe riuscito a mettere la sicurezza e gli interessi degli altri prima dei propri desideri. Pensava male.
Gabriel ed Adrien hanno ormai da tempo imparato a convivere una seconda vita nascosta agli altri. Una vita misteriosa ed insospettabile. Ma la verità viene sempre a galla prima o poi. E più essa viene repressa, più mostruosi saranno i suoi effetti.
Genere: Avventura, Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nathalie Sancoeur, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 – Il quadro

Il Sole sorgeva su un nuovo giorno. La luce rosa dell’alba invadeva le strade. In quel momento la città sembrava come chiusa in una sorta di sonno profondo, in attesa di essere destata. Le primissime ore del mattino erano il suo momento preferito della giornata. Quella Parigi, semideserta, immersa nella quiete e nel silenzio, ancora dal putiferio e dal viavai di ogni giorno, gli ricordavano tempi migliori. Quante volte erano usciti mano nella mano, quante volte avevano attraversato quelle strade, ammirato il cielo del primo mattino, visitato le località ed i monumenti storici, quando ancora le orde di turisti non erano lì ad accalcarsi l’uno sull’altro per prendere qualche foto. Era ormai l’unico in casa a svegliarsi così presto. Adrien e Natalie stavano ancora dormendo. Si portò la mano al petto. Per quanto ancora avrebbe dovuto provarci? Per quanto avrebbe dovuto tenere tutto un segreto? Non ne aveva idea. Aveva avuto recentemente qualche pensiero, una lieve tentazione, di spiegare tutto ad Adrien, ma non sapeva come lui avrebbe reagito. Sarebbe riuscito a tenere la bocca chiusa? Non ne poteva essere completamente sicuro. Era troppo onesto. Proprio come sua madre, pensò con un sospiro. La luce del Sole si faceva sempre più intensa, e le strade stavano iniziando a riempirsi dei primi passanti.

 

Thibault spinse il piede sul freno. Era arrivato alla sua meta. L’edificio che si trovava di fronte era immenso, tanto grande da sembrare uno dei grattacieli di New York. Dalle varie finestre si poteva vedere gente affaccendarsi e lavorare all’interno. Un grande cartello con il disegno di un fiocco di neve di colore nero e la scritta SnowBlack Signal Television sovrastava la costruzione di mattoni. Erano passati anni da quando aveva visto per la prima volta quel cartello, eppure osservarlo gli procurava sempre un certo orgoglio. Gli avevano detto che non ce l’avrebbe fatta, che sarebbe stato tutto un flop, che sarebbe finito in bancarotta. Ed invece, ce l’aveva fatta. La sua compagnia aveva ottenuto un immenso successo, e lui era diventato uno degli uomini d’affari più rispettati di Parigi. Certo, negli ultimi tempi qualche problema c’era stato, ma era sicuro che non sarebbe stato nulla di impossibile da risolvere. Scese dalla sua macchina, ed entrò all’interno dell’edificio, attraversando quei corridoi stretti e senza finestre. Molti li trovavano brutti e spogli, ma lui era sempre stato convinto che un’azienda seria non dovesse investire sull’apparenza, ma sulla praticità. I soldi che sarebbero potuti essere usati per ristrutturare ed abbellire il posto erano, almeno secondo lui, meglio spesi assumendo nuovo personale. Guardò l’orologio. Erano le quattro. Fra circa un quarto d’ora sarebbe iniziata la riunione con il consiglio di amministrazione. Non gli rimaneva che aspettare.

 

La campanella suonò. “D’accordo, ragazzi” disse la professoressa, iniziando a raccogliere tutte le sue cose nella borsa. “Arrivederci e buone vacanze”. Furono in pochi però ad ascoltarla, ed ancor meno a rispondere al saluto, perché tutti, o quasi tutti, sembravano già avere per la testa i mesi di riposo che li aspettavano. Alcuni stavano preparando lo zaino in fretta e furia, altri erano già usciti. Adrien era l’unico che non aveva fretta. Fu l’ultimo a lasciare la classe, e, quando aveva raggiunto l’uscita della scuola, tutti erano ormai all’esterno. Salutò da lontano i suoi compagni, e, con passo lento, si diresse verso la porta lasciata aperta. Un’ombra lo affiancò. Adrien si rese conto che si trattava della signorina Bustier. “Salve” lo salutò “Vedo che sei rimasto l’ultimo” disse. “Sembra proprio di sì” rispose Adrien, fermandosi e girandosi nella direzione della sua interlocutrice. “Se posso chiederlo, come hai intenzione di passare le vacanze? Certamente una famiglia ricca come la tua potrà permettersi di spendere molto” disse sorridendo “Purtroppo non abbiamo nessun programma. Mio padre non ha intenzione di lasciare Parigi e non mi farà andare da nessuna parte senza di lui” rispose Adrien. Abbassò gli occhi e si mise a fissare il pavimento. “Mi dispiace” disse lei. “Tranquilla” rispose Adrien “Per me non è un problema”. Mentiva. Gli sarebbe piaciuto così tanto. Tutti, in un modo o nell’altro, lo avevano invitato a passare le vacanza con loro. Chloé gli aveva addirittura proposto di passare con lei una vacanza a Madrid, con tanto di pernottamento ad un hotel costosissimo, visite a musei privati e cene in ristoranti a cinque stelle. Ma lui si era ritrovato costretto a rifiutare. Suo padre aveva reso chiaro che non glielo avrebbe mai permesso. “A proposito” chiese la signorina Bustier, “So che potrebbe apparire un po’ fuori luogo, ma per caso potresti procurarti un autografo di tuo padre? Fra qualche giorno sarà il compleanno di mia nipote, e lei ama le sue creazioni. La farebbe davvero contenta”. “Nessun problema” rispose Adrien “Dove posso trovarla nei prossimi giorni?”. “Sempre a scuola, purtroppo” rispose, con un sorriso “Mi devo ancora occupare di fare le pagelle ed organizzare gli esami. La vita non è mai semplice per gli insegnanti”. “D’accordo, arrivederci” disse Adrien. “Arrivederci anche a te e grazie” lo salutò lei.

 

“Chi è?” chiese Natalie, col suo tono freddo e distaccato come al solito. “Sono io” rispose Adrien. Dopo qualche secondo, il portone si aprì ed il giovane entrò all’interno. Casa Agreste era immensa, tanto che per molti ospiti la sua struttura poteva apparire quasi labirintica. Mentre per chi, come Adrien, ci aveva vissuto la maggior parte della propria vita era assai facile orientarsi al suo interno, per un ospite trovare i bagni o le camere poteva essere difficile. L’immenso edificio fungeva sia da abitazione che da sede lavorativa per suo padre, che poteva permettersi di continuare a cimentarsi nelle sue creazioni anche senza mai lasciare il posto. Nel corso degli ultimi anni, erano state fatte molte riparazioni e restaurazioni all’edificio, che, nonostante l’età, sembrava proprio come nuovo. Erano anche stati avviati, a quanto aveva sentito da una discussione fra suo padre ed un ingegnere molto tempo prima, progetti una serie di cunicoli e passaggi sotterranei, anche se non sapeva se quest’ultima idea fosse andata in porto o fosse finita per essere scartata. “Scusami, Natalie?” chiese Adrien. “Sì?” rispose la donna senza troppo entusiasmo. “Ti dispiacerebbe di….”. Una musichetta squillante lo interruppe. Natalie tirò fuori dalla tasca il suo telefono. “Un minuto” disse, premendo un pulsante sul cellulare e portando il dispositivo vicino al proprio orecchio “Ho una chiamata piuttosto importante”. Adrien si allontanò, alla ricerca di suo padre. La signorina Bustier era sempre stata così gentile con lui. Consegnarle l’autografo di Gabriel Agreste era il minimo che potesse fare per ricambiare. La chiamata di Natalie si protrasse a lungo, e pertanto Adrien si mise a cercarlo in moltissime stanze della casa. Invano, perché suo padre non era in nessuna di esse. Dopo che ebbe perlustrato tutte le altre, capì che Gabriel doveva essere nel suo studio. Ciò non lo sorprese affatto, considerando che lui spendeva lì gran parte del tempo, ma Adrien voleva essere sicuro che effettivamente fosse lì. Suo padre era molto possessivo riguardo ai suoi spazi. Odiava l’idea che qualcuno entrasse nel suo studio quando lui non c’era. Adrien arrivò di fronte alla porta, e fece per bussare, ma si fermò. E se stesse lavorando? pensò. Non voleva disturbarlo. Decise di guardare dallo spioncino della porta per capire se quello fosse il caso. E ciò che vide lo lasciò senza parole.

Gabriel osservava il quadro. Era un quadro bellissimo, degno del miglior ritrattista. E non era solo un quadro. Era la porta verso un altro reame della sua esistenza, verso un’identità a cui era finito per dare più tempo ed attenzione di quella reale. La porta verso la speranza che gli aveva infuso coraggio e determinazione, permettendogli di attraversare in modo deciso e pragmatico il suo periodo più buio. Un periodo che ancora stava vivendo, ma, da cui, forse, si sarebbe riuscito presto a liberare, come se tutto fosse stato solo un brutto ricordo. Premette i pulsanti sul quadro, e la pedana dove si trovava, apparentemente parte del pavimento, scese sempre di più, portandolo verso il suo nascondiglio.

Adrien osservava basito ciò che aveva visto. La sua mente stava fabbricando moltissime domande, ed altrettante possibili soluzioni a quell’enigma, ma nessuna di queste ultime suonava convincente. Chissà cos’era quel meccanismo, e dove era finito suo padre. Avrebbe certamente provato a capire in qualche modo. Chiederglielo era inutile. Gabriel era abilissimo ad evitare le domande. Avrebbe dovuto provare ad indagare lui stesso. Provò a tenere a mente la combinazione di pulsanti che suo padre aveva usato. “Adrien” lo chiamò una voce alle sue spalle. Era Natalie. “Cosa voleva dirmi?” chiese lei. “Nulla di importante” rispose Adrien “C’era una persona a scuola che mi aveva chiesto se potevo portarle un autografo di mio padre”. “D’accordo” disse Natalie “Glielo comunicherò il prima possibile. Ora per favore però non lo disturbi, è impegnato”.

Adrien entrò nella sua camera, e si sedette sul letto. Non avendo praticamente niente da fare, decise di vedere cosa c’era in TV. Dopo aver fatto zapping per un po’, si fermò a guardare il telegiornale. Ascoltò distrattamente il riepilogo delle notizie, mentre si sdraiava sul letto. Sbadigliò. Effettivamente non gli avrebbe fatto male una dormita. Chiuse gli occhi e provò a rilassarsi.

“Buongiorno, signor Jacquete” lo salutò Caudron. “Buongiorno” rispose Thibault “Allora, perché avete insistito tanto per anticipare questa riunione?”. “Ecco vede” disse Caudron, aggiustandosi gli occhiali “Le cose non stanno andando proprio bene, e questo crede lei lo sappia già. Gli ascolti sui nostri canali sono in calo”. Si notava una sua certa agitazione nel pronunciare queste parole, proprio lui che era sempre così calmo e impassibile. C’era qualcosa di strano in lui, e Thibault se ne accorse subito. “E quindi, che cosa volete fare?” lo incalzò “Se necessario possiamo lavorare insieme ad un piano per migliorare le prestazioni e…”. “Signor Jacquete” lo interruppe Caudron. Seguirono alcuni secondi di silenzio. Nessuno osava aprire la bocca. Poi Caudron continuò “Abbiamo deciso di comune accordo che c’è bisogno di un cambio direzionale”. “E questo vuol dire?” chiese Thibault, ansioso. Temeva di aver compreso cosa ciò significasse. Ma si augurava con tutto il cuore di aver capito male. “Vuol dire che è licenziato. Le diamo diciotto giorni per sgomberare il suo ufficio e portare via i suoi oggetti personali. Mi spiace, ma è chiaro a tutti noi che i suo piano di investimento alla lunga si è rivelato fallimentari. Sarà sostituito da qualcuno più adatto ad assumere il suo ruolo”. Caudron si sedette. Gli altri membri del consiglio d’amministrazione abbassarono lo sguardo. Evidentemente consideravano inevitabile uno scatto di rabbia dell’ormai ex-amministratore delegato. Ed invece, Thibault uscì senza dire nemmeno una parola. Non poteva crederci. Cacciato dalla sua stessa compagnia, dal sogno che ci aveva messo anni a creare e rendere una realtà. Ritornò nel suo ufficio, e sbatté la porta. Era furente a dir poco. Lo avevano scaricato come fosse un poveraccio qualunque, quegli ingrati. Osservò con sguardo mesto quella stanza che presto avrebbe dovuto lasciare ad un altro. Guardò quelle pareti bianche, quella piccola scrivania con un computer vecchio modello, lo stesso che aveva usato ininterrottamente da quattordici anni. Guardò la piccola statuetta sul tavolo, rappresentante un fiocco di neve, il carissimo regalo di un amico scultore, che lo aveva inspirato per il nome ed il logo della compagnia. In meno di un mese, avrebbe dovuto abbandonare tutto ciò. Il solo pensiero lo faceva andare sui nervi. Sbatté i pugni sul tavolo in uno scatto di rabbia. Thibault fece per alzarsi ed andarsene, quando vide qualcosa che catturò la sua attenzione: una piccola falena di colore violaceo che si stava avvicinando verso di lui. “Sciò, sciò” disse, agitando le mani nel tentativo di scacciare l’insetto, che, tuttavia non mostrava segno di voler demordere. Thibault prese la statua rappresentante il fiocco di neve nero e provò a colpirla con quello. Non appena l’animale venne in contatto con l’oggetto, sembrò sparire nel nulla. Thibault, confuso, rimase immobile per qualche secondo, poi sentì qualcuno che gli stava parlando. “Ciao, Mister Snowblack” disse una voce calda e carismatica “Io sono Papillon. Ti darò il pieno controllo sulla tua compagnia, e tu in cambio recupererai per me i miracoulous di Ladybug e Chat Noir”. Di fronte agli occhi dell’imprenditore apparirono per qualche breve attimo le immagini di due bellissimi gioielli: un anello grigio e degli orecchini rossi a pois neri. “Sembra proprio che tu abbia un ottimo senso per gli affari” disse Thibault, mentre una nube di un viola scuro tendente al nero avvolgeva il suo corpo, preparandolo per la sua trasformazione.


Angolo autore: Ciao, ragazzi, questa è la mia nuova storia. Sono ancora solo un novellino (questa è la mia seconda fanfiction in generale) quindi non aspettatevi certo un capolavoro. Spero che vi piaccia, e sono aperto a qualunque (più che meritata) critica per fare di meglio.

   
 
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