L’ultimo canto dell’o’o di Kauai
We couldn't decipher the things that you said
The only one left with time to go
You wandered the earth, were seen but not heard
No matter how far you went
The story's behind us, not today
As careless with every step
Too hard to believe
Blanco White, Kauai
O’o
Un racconto sulla fine
che non è mai davvero fine
Abdul teneva in mano il suo tomo da un tempo indecifrabile,
ma non aveva alcuna voglia di leggere. Lo stringeva sulle ginocchia, seduto
come di consueto sotto il ciliegio in fiore che condivideva coi suoi compagni
di eternità, immobile, lussureggiante e cinto da una fascia arancione sulla
quale era ricamata una chiave della vita, non ancora aperto.
Non era raro che sui rami si posassero gli uccelli e gli insetti delle specie
più disparate coi loro colori e i loro versi e il loro frullo di ali. Qualche
volta Iggy poggiava le zampe anteriori sul tronco per abbaiarvi contro,
ricevendo come risposta dei versi striduli di scherno o il tonfo sordo di un
esoscheletro che cadeva sul carapace di Coco Jumbo. In quel momento, però,
sembrava che sugli spiriti del cane e della tartaruga fosse calata una sorta di
letizia oziosa, forse la stessa della quale l’indovino era caduto preda, che li
inducevano stare rintanati all’ombra dell’albero in posizione prona, ad
ascoltare la canzone perduta della coppia di volatili che aveva deciso di
esibirsi proprio sotto le loro teste.
Abdul sollevò il capo in direzione del suono: due batuffoli del colore della
grafite facevano gorgheggiare a turno le loro voci, prima una e poi l’altra, seguendo
uno spartito musicale che solo quella specie conosceva. Il maschio dava inizio
al duetto e la femmina rispondeva, probabilmente inconsci del loro non essere
più ma uniti nella gioia di dichiarare all’Aldilà il loro essersi ritrovati. E
qualcun altro, oltre all’indovino e al cane, sempre un maschio e una femmina,
ascoltava quel frammento di natura spazzato via dalla cupidigia di chi abitava
il mondo materiale.
«Era ora che una coppia di ‘o’o venisse a farci visita».
Kakyoin, disteso al sole poco distante da Iggy e con indosso la camicia, staccò
una ciliegia dal pistillo e lo porse a Polnareff, sedutagli accanto a gambe
incrociate, che lo rigirò tra le dita sottili fino a quando il frutto non
ricomparve alla sua estremità, identico a quello che il ragazzo teneva
incastrato fra i denti.
«Come sai che quelli si chiamano… come hai detto che si chiamano?» domandò lei
senza smettere di giochicchiare con la ciliegia, il rosso scuro che si sposava
col candore della mano.
«’O’o di Kauai» ripeté lui prendendo in mano un’altra ciliegia dalla coppa
sempre piena «quando il maschio cercava una compagna per la vita iniziava a
cantare, e se la femmina rispondeva si formava una nuova coppia. Non ricordo di
preciso dove l’ho letto, ma non importa… Lo senti? questo è il maschio».
Kakyoin si ammutolì per lasciare che il silenzio venisse riempito dal richiamo
del passeraceo. Poi anche quest’ultimo si interruppe per permettere alla piccola
consorte di esprimersi.
«E questa è la femmina».
Polnareff chiuse gli occhi e ascoltò la melodia, la ciliegia ancora tra le dita
e la giacca della divisa di Kakyoin piegata sul ventre. Li riaprì solo quando i
due uccelli smisero di cantare, al che corrugò leggermente le sopracciglia e si
voltò verso chi gli aveva fornito l’informazione.
«Se noi riusciamo ad ascoltarli significa che laggiù non ne sarà rimasto
neanche uno».
Kakyoin non parlò subito: aveva incrociato le braccia dietro la nuca e lasciato
che una cetonia gli camminasse sullo stinco destro, confondendosi col verde dei
pantaloni prima di dischiudere le elitre e librarsi in aria.
«Infatti» disse. «mi è rimasto impresso perché si estinto l’anno prima che io e
Mohammed ci conoscessimo».
«Oh» Polnareff inclinò il capo e si sistemò una ciocca scura dietro l’orecchio,
pensosa.
Sentendosi nominato, Abul, che non si era perduto una parola di quel dialogo
espresso con un miscuglio melodicamente strano di giapponese e francese,
sorrise a labbra chiuse. Osservando meglio la ragazza si accorse di un
dettaglio che prima non aveva notato, per cui assottigliò le iridi scure e le
piantò su quelle chiare di lei con fare sospettoso.
«Cherry… ?».
L’interpellata, dapprima conturbata da una nuvola di avvilimento, si riscosse
quasi immediatamente.
«Oui?»
«Quelli che hai alle orecchie sono gli orecchini di Tenmei?».
Sentendo quella domanda, Kakyoin si drizzò di scatto, guardò prima Polnareff e
poi Abdul e infine divenne di porpora.
«Sì, cioè, sono carini e me li ha reg- prestati» balbettò lei «perché?»
«Capisco» Abdul non smetteva di sorridere «ditemi un po’, siete entrati nel
giardino di Mitra?»
«Te l’ha detto Caesar, vero?» ribatté Kakyoin piccato «La prossima volta che lo
vedo gliela faccio pagare»
«Ma va, ce l’avete scritto in fronte! E poi lo avevano capito tutti. Comunque sia,
immaginavo… ehi!» Abdul afferrò al volo un nocciolo di ciliegia lanciatogli all’improvviso
da Kakyoin, che ridivenne subito frutto «Dicevo, immaginavo quando qualcuno che
conosciamo verrà da noi e vi vedrà per la prima volta… Lo shock sarà talmente
grande che si reincarnerà per la disperazione».
I due ragazzi di fronte a lui abbandonarono l’imbarazzo e trattennero a stento
una risata.
«Mon dieu, Cherry! Cos’è questa storia?» Polnareff si mise le mani nei
capelli, spalancò gli occhi e simulò un anglaise perfetto «E tu,
maledetto ciuffetto! Fare questo alla mia sorellina! J'arrive pas à croire!».
Kakyoin dimenticò la vendetta contro Caesar e scoppiò a ridere.
«Sono onesto, un po’ mi manca quello scemo di tuo fratello» disse subito dopo asciugandosi
un accenno di stilla dal ciglio e volgendo lo sguardo alla tartaruga che
riposava all’ombra.
«Se vogliamo accantonare lo scherzo per un attimo» Abdul tornò quasi serio «il
suo compito laggiù stava per volgere al termine se non fosse stato per quel
pazzoide in tonaca… Mi sa che la cena gliela offrirà un altro me stesso mentre
a me toccherà aspettare ancora. Vero Iggy? L’avevo promessa anche a te».
Per tutta risposta il cane emise uno sbuffo e si girò dall’altra parte.
«In realtà potrei offrirla a tutti quando ci riuniremo, anche a quei ragazzi
che sono venuti con Coco Jumbo… Voglio sentire da loro com’è cambiato il mondo
all’inizio del nuovo millennio».
«Le divinazioni non ti bastano?» chiese Kakyoin piegando la testa di lato, il
mento poggiato mollemente su un pugno chiuso.
«Non è questo, è che… quando ascolti una storia da chi l’ha vissuta in prima
persona assume un altro valore».
Pronunziate quelle parole, Abdul incrociò le braccia e tese nuovamente
l’orecchio alla coppia di ‘o’o.
«Sai» Polnareff si rivolse a Kakyoin, mentre distrattamente lisciava le pieghe
della divisa che teneva ancora stretta a sé «non penso farà il melodrammatico,
sarà sereno e basta, magari piangerà quando rivedremo insieme i nostri
genitori, ma dopo sarà solo sereno come tutti quelli che ho incontrato qui».
Kakyoin annuì senza profferire nulla. Era solo questione di tempo perché ciò
che aveva detto Cherry si avverasse, che fosse stato tra dieci, quindici o
cinquant’anni terrestri. Ma tal pensiero venne subito sostituito da ciò che
stava per accadere: senza motivo apparente Iggy si era rizzato sulle zampe e aveva
preso ad annusare in giro con circospezione.
«Sta per arrivare qualcuno?» gli domandò Abdul perplesso.
Il cane sollevò la testa e lo guardò con la sua solita strafottenza, poi volse
il muso verso l’orizzonte e si lanciò in una corsa a perdifiato abbaiando come
un forsennato.
«Ok, sta arrivando qualcuno che verrà qui a lamentarsi di un furto subito da
Iggy, tutto regolare» fu il commento di un Kakyoin più confuso che sorpreso «ma
chi sarà mai?».
Abdul, che non si era mosso dalla propria postazione all’ombra, chiuse gli
occhi ed entrò in tranche per una manciata di istanti. Quando li riaprì sul suo
volto era dipinta eccitazione pura.
«Sono cinque persone… No, sei… Vengono dalla spiaggia. Nessuno di loro ha raggiunto
i cinquant’anni di vita terrena… Siete sicuri di non voler vedere anche voi?».
Sia Kakyoin che Polnareff scossero il capo. Non gli era mai piaciuto osservare
le vite dei mortali perché per loro significava restare ancorati al dolore di
ciò che avevano provato attraverso la corporeità. Tuttavia non fecero nulla per
nascondere una certa curiosità.
«Quando sei arrivato tu ti ho visto inseguire Iggì che ti aveva rubato
la sciarpa» la ragazza si era alzata in piedi e adesso scrutava l’orizzonte
cercando l’animale con lo sguardo «solo allora aveva corso così velocemente,
sono sicura che si tratti di qualcuno che conoscete bene»
«Probabile» anche Kakyoin si era alzato per osservare il paesaggio alla ricerca
di quella macchiolina pelosa e pestifera, ma di fronte a loro si stagliava la
placidità del campo dei caduti con la sua disomogeneità di flora, fauna ed
etnie.
«Eccolo che arriva» Abdul prese Coco Jumbo in braccio e assottigliò lo sguardo
«cos’ha in bocca?».
Non era passato molto, o forse era trascorsa un’eternità intera, che Iggy stava
già tornando al suo pezzo di territorio preferito con qualcosa di un orribile color
melanzana tra i denti. Non appena giunse a destinazione guardò in rassegna le
quattro anime col quale condivideva il ciliegio in fiore più bello dell’intero
paradiso, si scrollò di dosso dei rami di vite e fece cadere a terra un
cappellino viola con una vistosa stella verde stampata davanti.
«Ma questo…» Kakyoin aggrottò la fronte e recuperò il cappello «questo non
dovrebbe trovarsi qui. Chi lo indossa non dovrebbe essere qui, ha ancora tanti
anni davanti a sé»
«Ed è così infatti» chiosò Abdul posandogli una mano sulla spalla «le cose che
sono successe laggiù hanno fatto sì che le loro anime venissero sostituite
affinché si godessero ancora le gioie e i dolori di una vita lunga. Davvero inconsueto
devo dire».
In lontananza si udirono degli schiamazzi allegri, dapprima appena udibili, poi
sempre più fragorosi, fino a che riempirono del tutto la quiete del luogo.
Persino gli ‘o’o si erano zittiti per assistere alla scena.
Un gruppetto di persone attraversava il campo con la gioiosità appartenente a
chi si scopriva immortale per la prima volta, capeggiato da una figura di
ragazza alta e snella con una acconciatura alquanto bizzarra che aveva staccato
di almeno un metro tutti gli altri. Rideva e al tempo stesso si voltava in
direzione dei compagni facendo ondeggiare la treccia tinta di lime. Rideva e al
tempo stesso urlava qualcosa come «too slow!» al più anziano che non
rispondeva ma seguitava a correre e ad avvicinarsi al ciliegio.
Poco prima che la ragazza toccasse il tronco dell’albero, Kakyoin colse un
fiore da uno dei rami più bassi e lo lasciò cadere sul terreno: questo venne
assorbito dall’erba e sparì alla vista.
«Un messaggio di buona fortuna alle controparti terrestri» spiegò facendo
spallucce, indossando il cappello in testa e godendosi gli ultimi attimi di
calma prima della festa grande, che terminarono non appena la più celere fra i
nuovi arrivati toccò la fascia arancione trionfante.
«Prima! Mi spiace ma quel cane ha fatto bene a toglierti quella roba dalla
testa!» la udirono esclamare prima che si accorgesse della loro presenza.
Quando finalmente lo fece staccò immediatamente la mano dal tronco «Chiedo scusa!»
si affrettò ad aggiungere interdetta «È vostro…? Ne ho uno identico nel
giardino di casa!» si voltò a guardare chi stava indossando il cappello «Perdona
la franchezza ma…»
«Trovi che mi stia bene?» domandò Kakyoin con non troppa velata ironia per
nascondere l’emozione.
Il loro primo approccio fu quello di esaminarsi con minuzia in un attimo che
parve infinito, avvertendo di provare già mutuo affetto.
«Trovo che ti stia… veramente di merda!».
A quelle parole, sia lo studente che la nuova arrivata scoppiarono a ridere.
«Girl, where do you think you’re going?» la rimproverò Abdul con
dolcezza, guardando l’espressione divertita sul volto di lei. «Vieni, anzi,
venite, abbiamo un sacco di aneddoti da scambiarci, e poi tra non molto
pioverà».
Ed era veramente così. Nuvole gravide avanzavano alla ricerca della frazione di
cielo più adatta per dare alla luce le lacrime di coloro che piangevano la
perdita di altre vite. O forse provenivano dagli stessi viventi che avevano
dedicato loro il ciliegio, i girasoli, le rose bianche, le zagare e altri fiori
dalle forme infinite come lo spazio e la quiete che solo le anime più nobili e
giuste avevano diritto di godere, ma nessuno di loro si porse simili domande. Si
sapeva soltanto che una volta riconosciutisi si sarebbero abbracciati,
avrebbero condiviso la gioia di essersi trovati e ritrovati e infine avrebbero
condiviso i loro pezzi di esistenza con chi gli era affine, scoprendosi e
riscoprendosi tasselli piccoli ma inestimabili di quel mosaico meravigliosamente
complicato che era il destino e ascoltando il canto degli ‘o’o di Kauai senza
mai saziarsene. Sempre e per sempre fino alla notte degli ellebori.
L’ultimo canto dell’o’o
di Kauai
FINE?
Si riscosse dal dormiveglia che lo aveva colto a metà del
lavoro. La guancia si era incollata alla terza pagina della relazione che aveva
iniziato a leggere controvoglia. Se la staccò dal viso e sbadigliò: l’orologio
al polso segnava le quattro del pomeriggio e tra non molto avrebbe ricevuto
visite.
Nell’attesa cercò quindi di rendersi presentabile; si stiracchiò sulla
poltrona, si raddrizzò il cappello sulla testa e si massaggiò la schiena
all’altezza dei reni cercando di dare sollievo alla colonna vertebrale. Fu
allora che si accorse del fiorellino rosa posato accanto alle foto di famiglia.
Si girò a guardare la finestra: la vista gli mostrava il vialetto di casa
ingrigito dalla pioggia e il ciliegio decorato con una fascia arancione sulla
quale era visibile un ankh, entrambi regali di sua madre. Le imposte erano
chiuse, per cui non si capacitava di come avesse fatto a finire sulla
scrivania, ma era troppo assonnato per potercisi raccapezzare. Si limitò quindi
a farlo girare tra il pollice e l’indice rimembrando il sapore di quel liquore
italiano che aveva bevuto nel deserto per la prima volta, la prima di una lunga
serie di sbronze in compagnia di sopravvissuti scapestrati che amava come la
sua famiglia.
Il rombo di un’automobile e il suono di un clacson annunciarono l’arrivo della
figlia e del fidanzato di lei, allontanandolo dai suoi pensieri. Trasse un
respiro profondo, rimise il fiore dove lo aveva trovato e si apprestò a
lasciare la calma del proprio studio, mentre il clacson strombazzava per la
seconda volta.
«Sì Irene, arrivo» mugugnò concedendosi un altro sbadiglio.
FINE
***
Musica in Jojo: Kauai O'o è una canzone di Blanco White uscita nel 2020. Trae spunto dalla registrazione del richiamo dell'ultimo esemplare maschio dell'o'o di Kauai, estintosi ufficialmente nell'agosto del 1987, l'anno precedente all'avvio delle vicende di Stardust Crusaders.
Retroscena: Come in Rimpatriata, l'ispirazione mi è stata fornita da qualcosa che non ha niente a che fare con Jojo. La storia dell'estinzione dell'o'o di Kauai mi ha colpito a tal punto da identificarlo col mio personaggio preferito dell'universo di Araki per scriverci sopra il racconto conclusivo. Una creatura destinata a vivere la sua breve vita nella solitudine, che invia il suo ultimo messaggio nella speranza che possa essere recepito. L'idea della crack ship con Cherry mi è venuta in mente così: solo nella morte l'o'o di Kauai troverà una compagna con la quale duettare, una creatura dolce e gentile spirata via per colpa della brutalità dell'essere umano.
In conclusione: Sarò onesta, non mi aspettavo di terminare questa raccolta. Credevo che l'avrei abbandonata in corso d'opera a causa della mancanza di ispirazione, ma grazie al cielo sono felice di aver avuto torto a riguardo. Sotto i cieli di Afrodite si conclude qui, ma Jojo in Heaven proseguirà ancora per un po': come annunciato su Instagram (a proposito, se non l'avete ancora fatto seguitemi, troverete tanti post stupidi e meme scemi sulle cose che scrivo) una tri-shot-barra-mini-long con protagonisti due (più altri) dei personaggi già incontrati è in lavorazione e vedrà la luce, indicativamente parlando, per settembre inoltrato, quindi per vostra sfortuna mi avrete ancora tra i piedi.
Per ultimo, ringrazio chi ha letto, seguito, preferito e commentato la storia. Senza il vostro feedback questa pazzidea di un paradiso bizzarro almeno la metà delle avventure di Jojo non avrebbe mai visto la luce. Grazie davvero e a presto.
Green Star 90.