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Autore: paige95    29/08/2021    4 recensioni
La guerra in Afghanistan è il filo rosso che lega il destino di due uomini e due famiglie, due mondi distanti che non sanno di essere molto vicini tra loro.
Nell'estate del 2018, in pieno conflitto, il tenente comandante dei Navy SEALs Christian Richardson e l'inviato speciale del Los Angeles Times Samuel Clark verranno chiamati al fronte, lasciandosi alle spalle vissuti, affetti e i vasti territori californiani.
[Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Destino'
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Controllo mancato




 
Ospedale di Charikar - a tre quarti d’ora da Kabul, 21 settembre 2018
 
Quando Christian fece il suo ingresso nella stanza di Flores, impiegò tutto il rispetto di cui era capace. I medici avevano raccomandato prudenza, sforzi fisici o tensioni eccessive avrebbero potuto peggiorare le sue precarie condizioni di salute; necessitava dei giorni di riposo opportuni per una completa riabilitazione, perciò dai piani alti non avevano esitato a sostituirlo per portare a termine quantomeno la missione più urgente che prevedeva l'apertura dell'ospedale agli alleati. I sanitari avevano comunicato al seal quanto il generale non fosse lieto di essere ancora in vita, si limitava alla gratitudine verso coloro che lo avevano liberato da un'acuta sofferenza. Non aveva appetito e i traumi riportati con la ferita erano responsabili solo in parte. Il seal ricordava le parole del superiore agonizzante, non erano rassicuranti, ma nel momento concitato dell'attacco non vi aveva posto grande attenzione. 
Se avessi la certezza di rivedere lei, non chiederei altro che non fosse la morte. Se ne è andata così.
Non era certo di poterlo capire fino in fondo, riusciva solo ad essere egoista e a rallegrarsi per la sua salvezza, ma si impose uno sforzo di comprensione davanti a lui. Stava bene, era ciò che contava a seguito di un assalto che avrebbe desiderato annientarlo; l'idea che i nemici avessero incassato almeno una sconfitta avrebbe dovuto rasserenarlo: lui respirava ancora e la speranza non era dissolta. Christian non era certo di sapere come affrontare il passato dell'uomo senza risultare indiscreto, ma immaginò necessitasse di qualcuno che confortasse la sua anima, perché, con ogni probabilità, la sua personale fiducia in tempi migliori era svanita ormai da tempo. L'impotenza che il marine scorse dal profilo chiaroscuro del comandante accantonò ogni tipo di rancore accumulato nei suoi confronti e lo destabilizzò. Era abituato a ricevere ordini da lui, nell'ultimo mese era diventato un solido punto di riferimento che gli aveva concesso di tornare nel rigido ordine di idee dopo un lungo periodo di astensione bellica. Era diventato un mentore senza che lui ne fosse consapevole, realista e a tratti spietato, ma funzionale alla loro missione in Afghanistan; il tenente non rimase indifferente all'insolito stato di vulnerabilità del superiore. Portava con dignità negli occhi la morte, avrebbe dovuto scorgere quel dettaglio comune durante il loro primo incontro. Entrambi erano stati segnati dalla tragica scomparsa di cari, Christian era stato solo più fortunato, il futuro aveva in parte oscurato il suo vissuto. Era stato superficiale, aveva gli strumenti per identificare le radici della sua austerità, ma non li aveva sfruttati.
Il generale aveva avvertito la presenza del sottoposto; avrebbe preferito non mostrarsi in uno stato indecoroso - debole e bisognoso. Il malessere lo costringeva a letto, l'unico contatto con il mondo era rappresentato dalla finestrella dell'ospedale che si affacciava sulla arida città di Charikar, un panorama che non avrebbe potuto risollevare il suo umore. Eppure continuò a puntare lo sguardo oltre le madide vetrate per svuotare la mente da qualunque pensiero compromettente sulla sua posizione di comando. Il destino aveva deciso ancora una volta ai suoi danni, il desiderio di raggiungere Isabel ovunque si trovasse lo aveva sfiorato davvero, gli aveva donato la certezza che rivederla sarebbe stata la migliore ricompensa per la sofferenza che lo avrebbe guidato verso la morte. Si sentiva inutile tra le lenzuola logore e macchiate del suo stesso sangue; lui era vivo, mentre giovani compagni d'armi avevano perso la vita, il fatto che si fossero offerti volontari per la resistenza non lo preservava dalle responsabilità. 
Flores avvertì passi lenti e incerti avanzare verso la sponda della lettiga. Il seal fece scivolare la busta firmata a nome del generale sopra un tavolino sul quale erano poste medicazioni pronte all'uso. Al capitano era stato ordinato di allontanarsi dal luogo dell'attacco per portare in salvo il soldato Ward, non era solito fuggire senza voltarsi indietro verso la scia di sangue che rischiava di lasciare e che effettivamente aveva lasciato alle sue spalle. In passato aveva consentito ai commilitoni di salvare la propria vita senza alcun indugio, stavolta un ufficiale che esibiva più gradi di lui gli aveva impartito un ordine contrario ai propri intenti. Nemmeno per un istante Christian aveva pensato di scaricare le esclusive responsabilità sul comandante. A lasciarlo perplesso furono piuttosto le rivelazioni di Elijah sull'esperienza in Vietnam di Flores; non aveva la pretesa di entrare in confidenza con lui né di conoscere ogni aspetto della sua carriera militare, ma lo scosse l'ipotesi che la sua integrità avesse ceduto di fronte a crimini di guerra.
«Mi ha salvato la vita, non posso negarlo. Grazie, anche se avrei preferito combattere al suo fianco. Ma questo lo sa già»
Flores si voltò in direzione del seal, fu costretto a spostare con flebile energia un'asta portaflebo inutilizzata per poter agganciare lo sguardo riconoscente del sottoposto. Gettò un'occhiata anche alla busta intonsa; Richardson era un uomo di parola, come da lui richiesto in mancanza della sua morte aveva ignorato le parole scritte di getto sotto la pressione di un attacco imminente. Non riuscì però a comprendere la gratitudine, a lui risultava l'esatto contrario, era stato Richardson a strapparlo da morte certa - purtroppo, la situazione attuale in cui si trovava non lo soddisfava. Il comandante riaccomodò la nuca sulla barella accompagnando il gesto con un sospiro sofferente.
«Non la vedo felice di essere ancora tra noi, signore»
Era certo che il marine fosse già al corrente della sua ribellione alla vita, glielo aveva confessato lui stesso in un momento di debolezza. I sentimenti gli avevano annebbiato la coscienza prima ancora che agisse il dolore sulla psiche e sulla sensorialità. Non aveva mai mosso accuse infondate a Richardson, aveva vissuto sulla pelle quanto fosse rischioso abbassare la guardia in nome dell'amore. 
«Il colonnello Keller mi ha confidato che lei non desidera arrendersi, lo ha dimostrato con coraggio in quella base. Non lo faccia, generale, abbiamo bisogno della sua esperienza. La vittoria di questa guerra può diventare un suo personale riscatto»
Percepì un leggero stupore nello sguardo di Flores. La poca propensione alle confidenze lo spinse ad ignorare l'indiscrezione del cognato e insieme ad essa la dichiarazione di stima. Christian era pronto ad avvalorare il suo pensiero, ma la freddezza e la chiusura dell'ufficiale gli impedirono di portare il conforto di cui era certo avesse bisogno, anche se forse non era la persona desiderata.
«So che una collega della Marina è giunta in suo soccorso, ora prendete ordini da lei. È qui per portarmi qualche aggiornamento?»
Al seal non rimase che rassegnarsi, il militare era disposto solo ad un confronto sul mero piano militare. Christian sbuffò con discrezione e ricompose nella mente i pezzi disordinati di una missione che si era rivelata ancora più ardua e urgente del previsto.
«Il comandante Reyes desidera avviare un'offensiva nel minore tempo possibile. Stiamo lavorando agli itinerari dei rifornimenti per infiltrarci tra le loro truppe»
«Allora sta perdendo tempo, vada a formare un'unità armata funzionale alla missione. Non devo essere io a dirle come gestire un reggimento di soldati, era nel suo curriculum. E interroghi Campbell, può aiutarvi»
«È molto provato, gli ho concesso qualche giorno»
«Lo sa meglio di me, il tempo è un'arma letale in guerra»
Non riuscì a sostenere lo sguardo critico di Flores; aveva sempre una marcia in più di lui, lo riportava sulla via della logica ogni qualvolta il cuore decideva di prendere il sopravvento. 
«Le persone rinchiuse avranno bisogno di assistenza, dobbiamo pensare anche alle loro cure»
A Flores sfuggì un sorriso di scherno, la fitta avvertita allo stomaco non nascose il suo disappunto. 
«Ha sbagliato mestiere, capitano, il missionario le si addirebbe di più. Rispetti i ruoli e si occupi di debellare l'assedio della milizia jihadista, al resto penseranno altri»
Christian non era altrettanto divertito, era serio e in pena per decine di vite che avevano poche aspettative all'infuori di loro. Parlò a bassa voce dispiaciuto, era così semplice capire un punto di vista umano e forse altrettanto sconveniente in simili situazioni limite. Eppure Christian ne era convinto, entrare con armi e portare disordine sarebbe stato rischioso per l'incolumità di civili infermi e di soldati provati dalla prigionia di svariati giorni; non mancava di ripeterlo a Beatriz, importava poco che colleghi e superiori non fossero d'accordo con lui.
«Lo pensa anche il comandante Reyes, mi ripete di essere razionale»
I pensieri si posarono sull'espressione contrariata della collega che bocciava ogni possibile intento umanitario che non prevedesse in primis la neutralizzazione del nemico.
Fu la voce di un infermiere loro connazionale a spezzare la conversazione. L'uomo aveva raggiunto la stanza del generale trafelato e senza porsi problemi si rivolse a Christian con tono affannato.
«Tenente, una giovane civile afghana la sta cercando. Comprende la lingua americana, le vuole parlare con urgenza»
Flores invitò con un cenno infastidito della mano Christian ad accogliere il bisogno della ragazza, sicuro fosse nei suoi desideri. Nessuno dei due sapeva di chi potesse trattarsi, ma il generale fu sollevato di riuscire ad evitare ulteriori argomenti scomodi.
Il seal si lasciò guidare dall'infermiere attraverso i corridoi dell'ospedale. Impiegarono un paio di minuti per raggiungere l'ingresso principale, presso cui stava attendendo una giovane impaziente, velata quasi totalmente da un niqāb color cenere. Christian si avvicinò a lei preoccupato, gli parve subito di riconoscerla. L'irruenza del marine che avanzava a passo celere nella sua direzione la spaventò e la fece trasalire, benché non fosse un volto inedito e intimidatorio per lei. I pessimi ricordi che ruotavano intorno ad una divisa erano ancora troppo freschi per non lasciare ripercussioni sulla sua mente. Maryam aveva trovato il coraggio di affrontare traumi passati solo per il giornalista in pericolo, gli doveva più di un favore. Era stanca, aveva corso. Era stata lievemente colpita e la gravidanza la stava prosciugando di forze. 
«Tranquilla, non ho cattive intenzioni. Tu sei amica di Samuel?»
Christian alzò le mani, le mostrò a lei con dolcezza. Era una ragazzina intimorita, una natìa e lui non poteva immaginare il suo vissuto, ma decise comunque di usare tatto. Maryam affermò con un cenno del capo le ipotesi del seal. La macchia scarlatta che si allargava sul gomito della giovane era ben visibile su uno sfondo chiaro e non passò inosservata al militare. 
«Sei ferita»
L'uomo ebbe l'istinto di sfiorare il punto leso per accertarsi del suo stato, ma lei indietreggiò scontrandosi contro una parete di cemento. L'inconscio le suggerì di accostare un palmo sul ventre per non limitare la protezione a se stessa in caso di eventuale minaccia. A Christian non sfuggì il gesto familiare e per lui ebbe un'unica interpretazione; diverse volte Katherine in attesa della figlia aveva avuto l'istinto di proteggerla e non necessariamente in situazioni di reale pericolo.
«Ci hanno sparato, Samuel è grave. Mi ha chiesto di cercarti, abbiamo bisogno di un mezzo per raggiungere l'ospedale e ha pensato tu potessi aiutarci»
Christian avvertì nel timbro candido della ragazza un forte accento afghano che lo riportò spaventato con la mente a Kabul. 
«Accompagnami da lui»
 
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Christian non perse di vista l'amico, gli rimase accanto. Avevano scortato la barella su cui Samuel era adagiato quasi incosciente d'urgenza verso la sala operatoria. Il seal parlava all'amico per essere certo che non si facesse sopraffare dal torpore. Il giovane soffriva in silenzio, tentava di ridurre il respiro al minimo per avvertire meno le fitte lancinanti all'altezza delle ferite. Christian, al suo fianco, gli offriva consigli, era già passato attraverso simili inconvenienti, anzi spesso i colpi ricevuti creavano problemi a distanza di tempo; era certo che il reporter sarebbe sopravvissuto, non poteva essere altrimenti. Samuel continuava a ripetere al tenente di non dimenticarsi di Margaret, di avvertirla di persona, di non lasciare che ricevesse una notizia così dolorosa per telefono, nel caso non fosse tornato vivo a Los Angeles. Si sentiva in colpa per non averla chiamata più spesso dal fronte, ma nonostante tutto non riusciva a sentire i morsi del pentimento per essere partito, il popolo afghano aveva un bisogno vitale di occidentali che avessero il coraggio di raccogliere le loro testimonianze e denunciare le loro privazioni. Margaret l'avrebbe odiato, maledetto fino allo sfinimento per aver distrutto i suoi sogni, ma lei sapeva di non potersi aspettare altro dal fidanzato, nel bene e nel male lo conosceva come solo poteva fare la sua più fedele amica; amica che pur di non tormentarlo in guerra aveva atteso il suo ritorno per informarlo delle condizioni del padre.
La notizia peggiore raggiunse il marine: l'ospedale non disponeva di altri anestetici. Samuel non comprese le parole dei medici, era stordito dalla sofferenza. Christian sentì il terrore nel petto per ciò che avrebbe dovuto vivere l'amico nelle ore a venire; un giornalista non era addestrato a sopportare un simile dolore, si impose sui dottori che gli consentirono di seguire l'operazione da vicino, accanto al ragazzo per provare a rendere più leggera la sua anima e più sostenibile un intervento in piena sensibilità. Samuel scorse il sorriso preoccupato di Christian sfumato da una luce abbagliante; immaginò che la situazione fosse disperata se lui non accennava a congedarsi per lasciare i medici al loro lavoro. Il giovane strinse il braccio del seal, non aveva avvertito alcuna flebo sotto pelle, non c'erano macchinari intorno a lui; comprese da solo che era come trovarsi nel mezzo di una strada sterrata e non in un ospedale. Percepì le mani di dottori e infermieri sfiorarlo freneticamente. Ebbe paura, come non ricordava di averne mai avuta.
«C-Christian»
L'ufficiale non aveva dubbi che avrebbe intuito le condizioni drammatiche prima ancora di percepirle addosso. Si abbassò verso l'infermo, si appoggiò alla sua barella e tentò un sorriso più convinto.
«Sarà questione di poco tempo, non te ne accorgerai»
«Quante ferite ho? Sono gravi?»
Christian non le distinse, ma se fossero state letali Samuel non avrebbe avuto la facoltà di parlarne, se qualche organo vitale fosse rimasto leso sarebbe spirato subito o avrebbero dovuto rianimarlo; così non era stato, respirava in autonomia, il suo cuore batteva e si ritrovò a ringraziare qualsiasi entità celeste lo avesse ascoltato lungo le giornate trascorse al fronte. Si rivolse all'amico con serietà e pacatezza.
«Cerca di non pensarci, fa' respiri corti e lenti»
Samuel ascoltò la voce del seal, il quale gli porse una carezza sulla spalla per incentivarlo a continuare a respirare piano e a provare a rilassarsi. Sentì i muscoli del reporter irrigidirsi sotto il movimento preciso dei ferri che lo stavano operando. Il viso contratto del ragazzo restituì sofferenza e impegno a resistere immobile; le iridi del giovane erano annacquate, ma Christian fu fiero di lui. 
«Stai andando benissimo. Senti, non mi hai mai detto come vi siete conosciuti tu e Margaret»
Samuel gli lanciò un'occhiata polemica e tornò a stringergli il polso.
«È un modo per distrarmi?»
«È il modo migliore per distrarti»
Il giornalista tentò di sorridergli, ma il tentativo fu spezzato dal suo stesso grido; serrò strette le palpebre per le fitte provocate dai medici.
«Samuel, guarda me»
Christian cercò di scongiurare che svenisse. L'infermo mantenne lo sguardo su di lui, ma sudore e debolezza non gli consentirono di mettere a fuoco la figura ambrata e slanciata dell'amico.
«C-ci … siamo conosciuti in redazione, prima che diventassi giornalista. Mio suocero è un collega. Margaret era un'amica»
«Un amore che nasce da un'amicizia si fonda su presupposti validi»
«Immagino sia così»
 
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Era ormai una triste abitudine di Karim avere le mani umide di sangue. Aveva prestato i primi soccorsi a Samuel, imbrattandosi egli stesso dell'emorragia che metteva a serio rischio la vita dell'amico. Lo aveva affidato alla professionalità di medici americani e alla fermezza di un navy seal, non poteva arrendersi circondato da così tanto aiuto. Indugiò qualche istante sulla soglia della sala operatoria, sarebbe rimasto in quella posizione per ore in attesa di buone notizie. L'immagine di Maryam seduta più avanti, appoggiata contro il muro e con lo sguardo rivolto al cielo lo convinse a sciogliere poco dopo il suo solitario raccoglimento.
Si inginocchiò accanto alla ragazza, posò le braccia sulla sedia vuota davanti a lui e puntò l'espressione stanca e sconsolata sul pavimento. Maryam seguì i gesti rammaricati dell'uomo, ebbe la tentazione di posargli una mano tra i capelli per infondergli forza, ma si trattenne, non le era consentito davanti ad occhi estranei; sarebbe forse stato strano anche per lo stesso Karim, anche se, era certa, non avrebbe mai pensato di ribellarsi.
«Avrei dovuto impedirgli di aiutarci, la sua nazionalità era una condanna sufficiente a Kabul. Ho messo a repentaglio anche la tua vita. Mi dispiace, tuo padre deve ritenermi l'unico responsabile»
«Karim, tu vuoi sempre salvare tutti, ma nessuno possiede questo potere. Allah forse, ma non si volta mai verso di noi»
Il medico le gettò un'occhiata complice. In situazioni diverse l'avrebbe rimproverata, era un sacrilegio mettere in dubbio l'operato di un'entità divina.
«Vieni, ti medico la ferita»
 
La condusse in un ambulatorio libero e provvisto di strumenti sterili. La invitò a sedersi sul lettino, mentre lui si occupava di lavarsi le mani e di recuperare dagli armadietti ciò che gli sarebbe servito.
«Forse dovrei farmi medicare da una dottoressa. Non trovo conveniente sia tu a farlo»
Si fidava di Karim e non aveva alcun problema ad affidarsi alle sue cure, ma in quell'ospedale non erano soli, non mancava infatti di gettare occhiate in direzione della porta per assicurarsi che nessuno li avesse visti. La fissò severo e la rimproverò con fare paterno. 
«Accomodati e sposta la manica del niqāb»
Seguì il suo suggerimento titubante. Karim la affiancò quasi subito; divise l'attenzione tra la ferita scoperta e il disinfettante da preparare imbevendo cotone idrofilo. Gettò acqua ossigenata pura sulla parte lesionata e fece pressione sulla ferita, pulendo in un unico gesto il sangue rappreso rimasto sul braccio. La sentì irrigidirsi e lamentarsi per il dolore. Karim ritrasse subito la mano per darle sollievo, non si era accorto di essere stato indelicato. La udì sorridere piano oltre il velo, mostrava una spensieratezza smorzata dall'apprensione.
«Sei per caso arrabbiato con me?»
«Certo che no. Scusa, stavo pensando»
Non colse i tentativi della ragazza per distendere la tensione. Si riscoprì inaspettatamente a disagio con lui, le stava offrendo una protezione che non gli spettava, il destino che Karim aveva progettato per loro non era condiviso da lei, sulla proposta del medico aveva ancora libertà di scelta. Lo vide servirsi dei denti per strappare la busta della garza e aprire un tubetto con un po' di pomata chiara che lui applicò subito sulla ferita pulita. L'uomo notò con sollievo che non erano necessari punti di sutura. Era provato mentre lavorava, ma non si tradiva nei gesti, stavolta fu più prudente e la sfiorò con dolcezza e accortezza.
«Karim? Posso farti una domanda?»
La fissò con un leggero sospetto.
«Come ti sei sentito quando l'ospedale di Kabul è caduto in mano ai talebani e tu non hai più potuto aiutare quelle persone?»
Continuò a fissarla a tratti e con diffidenza, mentre distendeva con precisione la benda coprendo il gomito.
«Ci preoccupiamo per loro, tu ti preoccupi per noi, ma chi si preoccupa per i tuoi sentimenti? E non dire che non sono importanti, perché lo sono per me»
«Maryam»
Era saggia oppure solo poco razionale a causa della sua giovane età, qualcuno l'avrebbe accusata di essere illogica in quanto donna, ma non lui.
«Non puoi avere il controllo su tutto per il semplice fatto che sei solo un uomo, un essere umano e non puoi addossarti il destino di un popolo intero»
Sussurrò a lui con comprensione, gli sfiorò appena la mano con cui la stava medicando. Karim la fissò consapevole del fine ultimo del suo discorso; immaginò che lei gli stesse sorridendo, lo intuì dalle rughe intorno alle sue iridi celesti.
«È stato Samuel a farmi aprire gli occhi, non rendo vano il suo sacrificio. Non lascerò che tuo padre continui a toglierti la libertà. Sono un dottore innanzitutto e non è nella mia natura accettare di perdere vite, la tua compresa»
«Karim, ciò che vuoi fare per me è troppo. Non puoi dedicarmi la tua vita»
Le rivolse un sorriso sincero.
«Sai, ricordo di aver fatto un giuramento quando sono diventato medico, tu non eri nemmeno nata. Ho promesso che non avrei mai voltato le spalle al prossimo»
«Non lo stai facendo»
«Se non ti aiuto, sì. Samuel ha ragione»
«Karim, non lo stai facendo! E Samuel ha non so quanti proiettili addosso per aver sostenuto una simile assurdità. Quante persone dovranno ancora soffrire?!»
Alzò il tono zittendolo per la sorpresa e la terribile verità dietro le sue parole.
«Non è necessario inventare che è tuo figlio, non terrò questo bambino»
Omise di sapere che era sterile, non sarebbe cambiato il loro pensiero, così opposto e contrastante. Karim interpretò la sua pericolosa volontà, lei non pensava affatto a tecniche simili all'aborto, per giunta illegali e insicure in Afghanistan.
«Non ti consentirò di dirlo al mullà»
«Peccato tu non abbia alcun diritto su di me, almeno non tu. Non desideravo che tu lo sapessi. Avrei voluto lo scoprisse il promesso che mi è stato destinato da mio padre. Non mi sarebbe importata la sua reazione. Tu dovevi restarne fuori, non c'entri nulla, sei solo un medico»
Karim si accigliò contrariato, avrebbe voluto imporsi su di lei, costringerla, anche con la forza se ciò avesse potuto salvarle la vita. Non gli piacque affatto il disprezzo con cui aveva apostrofato la sua professione per accentuare la sua estraneità ai fatti.
«Ascoltami bene, yaftaqid[1]»
Un violento tremore intorno a loro gli impedì di proseguire il fermo rimprovero che le avrebbe riservato e che le avrebbe impedito di ribellarsi ulteriormente. Maryam lo fissò spaventata a pochi centimetri da lui, come se cercasse nell'amico la causa del rumore che entrambi avevano udito chiaro. Le pareti del nosocomio vibrarono come se un terremoto si fosse abbattuto su Charikar e forse su tutta l'Afghanistan, non riuscivano a valutarne l'entità. Il medico si affacciò lesto alla finestra e scorse in cielo aerei che sfrecciavano in direzione della sua amata Herat.
«È l'esercito americano»
Proferì le parole con malinconia, un'emozione che non sfuggì alla sensibilità di Maryam. Notò una lacrima scendere lungo il mento del dottore. Provò ad asciugarla subito affinché lei, giunta al suo fianco, non la scorgesse. Lo fissò con insistenza in cerca di risposte. 
«Ho paura per la mia famiglia, non so dove siano coloro che sono sopravvissuti alla guerra. Si sono precipitati verso Herat tre aerei militari, temo sia successo qualcosa laggiù»
Lo vide fragile e impotente, proprio lui che aiutava tutti senza alcun indugio. Non gli fece mancare affetto, l'unico beneficio di cui disponeva; lo cinse prendendolo alla sprovvista, tanto che lui non riuscì a ricambiare il gesto. Maryam non si offese per l'abbraccio mancato, immaginò fosse quella la reazione del medico. Karim aveva gradito però, era da tanto che non sentiva calore umano, ma non osò commentare lo slancio della giovane. Attese che lei si allontanasse di poco per poter fuggire verso la porta.
«Torno da Samuel, ti tengo aggiornata»
La lasciò con l'accenno di un passato di cui non le aveva mai parlato. Si rese conto che il loro rapporto era sempre stato volto a proteggerla, era sempre stato quello l'obiettivo di Karim. Non la trattava da amica leale, ma da figlia. 

San Diego, 21 settembre 2018
 
La notte rappresentava per Fabian il momento peggiore della giornata, specie quando le sue ore lavorative si concludevano al crepuscolo. Negli ultimi giorni la mente non aveva avuto fonti di distrazione, le notizie avevano occupato i pensieri e casa sua somigliava ad una prigione più che a un gradevole focolare nel quale rifugiarsi. Nel silenzio della luna si godeva l'intenso frusciare della pioggia che si abbatteva sulle ante serrate delle finestre. Seguiva il veloce scorrere dell'acqua sui vetri scrutando il panorama desolato, accomodato sul davanzale. Restava a luci spente, i lampi illuminavano a giorno la tazza di camomilla tiepida che stringeva nei palmi. I tuoni lo tenevano saldamente ancorato alla realtà, anche in quella situazione in cui era inconsapevolmente scivolato. Sorseggiava la tisana senza fretta, la preoccupazione stava divorando la fermezza che era stato addestrato a padroneggiare; gestiva qualunque difficoltà, stava dimostrando una buona dose di resilienza nel Coronado in assenza del co-comandante Richardson.  Era diverso nel momento in cui veniva coinvolta la sua famiglia, nel caso specifico era addirittura stata messa in discussione. Non era la stabilità del suo matrimonio a spaventarlo di più, voleva credere non fossero cambiati i requisiti fondanti, almeno quelli, anche se forse erano meno solidi di quanto pensasse. Avvertire le autorità competenti aveva trascinato la sua famiglia sotto un'onda di processi e mediaticità. I giornali locali come il San Diego Union-Tribune lo descrivevano come colui che aveva riportato alla luce un relitto, lo avevano scambiato per un archeologo, forse, desideroso di condividere una scoperta che ai suoi occhi risultava ogni giorno più agghiacciante. Aveva rifiutato ogni sorta di intervista, ma l'articolo era uscito comunque in prima pagina con la gigantografia della sua postazione di lavoro e il titolo in corpo maggiore recitava:
 
Sorprendente ritrovamento sui fondali del Pacifico dopo ventitré anni di silenzio
 
Si faceva solo un breve cenno alle vittime, come fossero ossa e nulla di più, centinaia di scheletri senza nome. Lo irritava la superficialità di coloro che valutavano l'evento dall'esterno, non avevano gli strumenti opportuni per capire e giudicare. Fabian era stato discreto, aveva evitato che la copia di giornale venisse intercettata dalla moglie. Venivano rivelati i nomi dei piloti e le loro foto; erano entrambi molto giovani, non avevano compiuto nemmeno trent'anni, Sophie era rimasta vedova giovanissima. L'idea che l'incidente potesse essere stato causato dalla loro inesperienza lo sfiorò; ripensando ai suoi primi anni di servizio, non era certo di essere in grado di pilotare alla perfezione un aereo civile di quelle dimensioni, in aeronautica le taglie dei velivoli erano inferiori, ma pur sempre complesse da gestire.
Non avendo ricevuto notizie fresche, la giornalista aveva compiuto la sua medesima operazione, aveva cercato negli archivi informatici e aveva costruito ipotesi del tutto prive di credibilità. Aveva accennato a Sophie, alla curiosa relazione tra il pilota e colei che dalla torre di controllo avrebbe dovuto sorvegliare il volo; avrebbe attirato gli appassionati delle tragedie romantiche, anzi l'inviata si era lanciata alla ricerca della donna per riesumare i peggiori dolori sepolti, senza troppo successo però, Fabian era stato più scaltro.
Aveva solo voglia di bruciare il giornale, lo indisponeva già abbastanza essere stato costretto a riaprire le dolorose ferite della moglie e del collega. Lo ripiegò stropicciandolo con una mano; lo lasciò distrattamente sul davanzale udendo alcuni rumori provenire dal soggiorno che alzarono la sua allerta; nel silenzio notturno della casa i suoni furono accentuati. Fabian si fece accompagnare dalla sua camomilla e scorse appena oltre l'arcata della parete la moglie in tenuta da notte intenta a smontare la sua pistola semiautomatica, appoggiandosi al tavolo. Il tenente si accostò allo stipite e continuò a sorseggiare piano la tisana. La fissò con interesse, amore e apprensione.  Colse a memoria ogni gesto che la donna compiva; manovrava l'arma con automatismo, era attenta ma non troppo, in fondo fino a quel momento era sola, non rischiava di mettere in pericolo qualcuno. Smontava la Beretta 98FS nelle sue parti fondamentali, lasciando cadere il caricatore sul ripiano rigido; diede un colpo secco al retro del carrello e recuperò la cartuccia che era sfuggita al suo blando controllo.
Fabian era certo fosse al corrente della sua presenza, era però ben attenta a non intraprendere un confronto con lui. Avrebbe potuto continuare a mantenere tra loro l'ombra del silenzio in cui lui si trovava, lei non lo avrebbe di certo reclamato. Non avevano speso più molte parole sull'argomento, Sophie era stata limpida gettandosi addosso in pochi istanti un'omissione di anni. Da quel giorno la questione pesava sul loro rapporto, benché il seal facesse di tutto per ignorare ciò che era successo, specie in presenza dei figli. Fabian lasciò la luce soffusa proveniente dalla finestra, si avvicinò piano a lei e posò la mano libera sul calcio della pistola, resa innocua, che stava smontando. 
«Avevo dimenticato di scaricarla»
Non alzò lo sguardo su di lui, sussurrò e non riprese nemmeno l'operazione che stava compiendo finché lui non tolse la mano per consentirglielo. 
«Non è da te lasciare le munizioni nel fondello»
«Forse in realtà non sono la persona che pensavi di conoscere»
Lo sfidò con le stesse parole con le quali lui l'aveva attaccata in un istante di rabbia alla base. Sfiorò con durezza l'espressione del marito, ma l'uomo non voleva raccogliere la sua sfida.
«Non credo»
Sorrise canzonatoria verso l'amore che lui continuava a nutrire per lei e che tentava di esprimere in qualsiasi occasione propizia. Non era arrabbiato, era in pena, per ciò che aveva vissuto e che aveva subìto un brusco risveglio. Non avrebbe voluto che i ricordi vincessero su di lei, eppure riaffiorò il giorno peggiore della sua vita, non riuscì più ad oscurarlo con i pensieri positivi che aveva conosciuto accanto a Fabian. La colpa tornò ad annidarsi nel suo cuore, non era certa di essere estranea alla causa del disastro, alla quale non erano mai stati così vicini. Era viva in lei la voce dell'uomo che aveva amato e che continuava ad amare, le sue ultime parole martellavano non dandole pace; eppure era così importante ricordarle per non perderlo mai davvero, per provare a ricercare in esse le cause dell'incidente. Le aveva esplicitato le sue difficoltà a tenere in volo l'aereo, lei aveva controllato che non vi fossero anomalie. Non si era accorta di alcun problema, era tutto regolare da terra, il problema era sorto dopo il decollo. Ricordava di essere spaventata, la sua mente aveva realizzato solo in ultimo e solo insieme a lui il tragico epilogo. Fabian non avrebbe potuto comprendere il senso di impotenza che l'aveva assalita, la preghiera che stesse solo vivendo un incubo, un dannatissimo sogno dal quale si sarebbe svegliata. Aveva chiamato i soccorsi totalmente in apnea con la certezza di non riuscire a salvarlo, aveva solo la speranza di recuperarlo. Il destino aveva deciso che non le fosse consentito nemmeno rivederlo un'ultima volta. Erano passati più di vent'anni, ma il pensiero di quel giorno persisteva ad annientarle l'anima. Dopo l'incidente continuavano a ripeterle che aveva subìto un forte trauma e che gli incubi erano i sintomi di un disturbo post traumatico da stress. Credeva di aver affievolito la sintomatologia grazie al tempo e all'affetto della sua famiglia. Era impossibile soffrire meno se Brian non si era mai mosso di un millimetro dal suo cuore, esattamente come aveva comunicato a lui durante il loro addio.
«Le condizioni erano favorevoli, non ho riscontrato anomalie, i monitors me le avrebbero segnalate, ho guardato più e più volte per esserne certa e recuperare in tempo la disfunzione. Ero convinta di rivederlo, non ho avuto il più piccolo dubbio, ci eravamo dati appuntamento, il giorno successivo sarebbe tornato da me senza alcuna difficoltà»
Il turbamento emotivo rimase nella mente di Sophie, dalle sue labbra uscì un racconto fermo e limpido.
«Non deve essere stato per forza un errore umano tuo o suo, potrebbe anche essere stata una tragica fatalità. Può capitare che le condizioni perdano attendibilità all'improvviso e noi non possiamo controllare tutto»
Fabian proferì le parole con leggerezza rispetto ad un evento di cui non conosceva i dettagli che sarebbero sorti da un'analisi più approfondita, eppure era animato da una onesta convinzione. 
«Avete trovato i suoi effetti personali? Ricordo la sua divisa, era pulita quella mattina, me ne sono occupata io stessa. Quando è uscito di casa aveva con sé le chiavi dell'auto con cui ha raggiunto l'aeroporto. Ho impiegato tre giorni a cercare il mazzo di scorta per aprirla, non ho voluto venisse forzata la serratura»
Sophie fu costretta a fermarsi per non cedere al malessere che stavolta fu chiaro al marine al suo fianco. L'uomo stava per sorreggerla fisicamente, ma lei dimostrò di non averne bisogno continuando lo sfogo da dove lo aveva interrotto. 
«Aveva in tasca il cellulare, il portafogli e le chiavi di casa nostra. Le chiavi sono ormai inutili, quella casa non è più mia. Vorrei avere indietro ciò che è ancora possibile recuperare»
«Li stanno esaminando per le indagini. Era il primo pilota, qualsiasi indizio può essere utile. È passato tanto tempo e non è facile ricostruire le dinamiche in queste condizioni»
Il tatto del marito non bastò a placarla, anzi la irritarono le sue ovvietà.
«Ed io ero sua moglie! L'ho pianto per ventitré anni su una tomba vuota, credo di avere il diritto di riaverlo almeno a pezzi! Cosa pensate di scoprire? Brian era pulito, non mettetevi in testa assurdità»
Urlò a pochi centimetri da Fabian, come se fosse lui il responsabile delle disposizioni delle autorità o avesse esposto una qualsiasi ipotesi che potesse compromettere la reputazione del pilota. Non lo avrebbe fatto in alcun caso, almeno fino a prove che confermassero il contrario, ma chiaramente lo aveva sfiorato di recente il pensiero che i piloti non fossero nelle condizioni migliori per decollare, aveva solo scelto la discrezione per non angustiarla e alterarla. Il tenente impiegò qualche istante per trovare le parole più consone. Sua moglie aveva pianto per un altro uomo per vent'anni e lui non si era accorto di nulla, ciò metteva in seria discussione il suo spirito d'osservazione e l'attenzione che riservava alle persone a lui più care. Gettò uno sguardo in direzione delle camere dei figli per essere certo che la madre non li avesse svegliati. 
«Mi dispiace, Sophie. Mi dispiace per averlo ritrovato e averti inferto un nuovo dolore, avrei potuto evitartelo. Come avrei potuto evitare la tensione tra noi che presto o tardi i ragazzi avvertiranno»
«A te dispiace solo vivere all'ombra di un altro uomo»
«Può essere e non puoi biasimarmi. Ciò però non toglie che mi dispiaccia per la tua sofferenza e la sofferenza che ho portato in questa casa. Tu avresti continuato a nascondere il tuo doloroso passato, avresti continuato a piangere in silenzio e a sorridere davanti a tuo marito e ai tuoi figli. Come se tutto andasse bene»
Era pacato ed estremamente razionale e asettico. L'amarezza aveva però preso il sopravvento e si era scagliata contro la sua stoltezza o presunta tale.
«Anzi no, sai cosa ti dico? Non mi dispiace affatto conoscere la verità, avresti dovuto immaginare che un giorno l'avrei scoperta. Capisco facesse male ricordare, ma non ti avrei imposto alcuna fretta. Non voglio tu senta alcun tipo di pressione da parte mia»
Era stata ingiusta, ma aveva saputo tenerle testa. Sophie tornò a concentrarsi sulla pistola ricomposta accertandosi di aver svolto un buon lavoro prima di riporla in cassaforte. Fabian le concesse qualche secondo, poi le sfiorò la mano posata sul tavolo.
«Posso proporti una tazza di camomilla?»
«Non sono nervosa, non mi serve»
«Consentimi di dubitarne»
Il maggiore Lefebvre non scostò la sua mano, gradì il suo contatto e tutto il calore fisico e morale che emanava. Rese la sua voce un semplice sussurro e la dolcezza con cui si rivolse al marito fu sintomo di una nuova confidenza. 
«L'ho sognato, mi sono spaventata e non sono più riuscita a riaddormentarmi. Non ti ho trovato al mio fianco e ho immaginato non riuscissi a prendere sonno nemmeno tu, se ci fosse stata qualche emergenza nel Coronado mi avresti svegliata.  Mi è sorto il dubbio di aver lasciato la pistola carica. Sono distratta in questi giorni, forse dovrei prendermi una pausa dal lavoro, rischio di commettere gravi errori»
Le rivolse un sorriso comprensivo senza la certezza che lei nella penombra lo scorgesse; il seal però notò la fronte umida della moglie, sintomo dell'incubo che aveva appena vissuto. Gli stava inviando una velata richiesta di supporto e di consiglio. 
«Sophie, se hai bisogno di prenderti tempo lontano dal lavoro o da noi lo capisco, ma non escludermi dai tuoi pensieri. Affronteremo il processo insieme. Ogni volta che me lo hai permesso, abbiamo superato qualunque difficoltà»
Attese una risposta che non giunse, desiderava una conferma da parte di sua moglie, ma lei rimase in ascolto, si limitò a quello.
«Posso garantirti che non sono arrabbiato per avermi nascosto il tuo passato e nemmeno deluso da te. Ho avuto una reazione eccessiva e ti chiedo scusa»
«Qualunque altro uomo se ne sarebbe andato»
Allontanò la mano da quella di suo marito porgendole sul dorso una carezza.
«Ti ho nascosto il mio stato civile, c'erano gli estremi per lo scioglimento del matrimonio»
«Non l'ho pensato nemmeno per un istante»
Sophie sorrise amareggiata, la certezza non le offriva la serenità che avrebbe dovuto infondere sapere di non aver perso il compagno. 
«Vedi? Sei migliore di me. Sei onesto e comprensivo. Io ho lasciato che la mia famiglia vivesse nella menzogna»
Prese un respiro sofferente accorgendosi di aver ferito le persone che l'avevano riportata alla vita nel corso degli anni.
«Quando si terrà il processo?»
«Non si conoscono ancora i dettagli»
«Mi interrogheranno? Non ho altro da aggiungere»
«Ripeti ciò che hai sempre sostenuto. Andrà tutto bene, tu e Christian avrete giustizia»
Le aveva rivolto parole convinte, gli era grata. Sophie gli sfiorò appena le labbra con un bacio casto che aveva il delicato sapore della promessa. Fabian le aveva assicurato che sarebbe stato paziente, perciò trattenne qualsiasi impulso a stringerla tra le sue braccia, non osò per il timore che potesse sfociare in qualcosa che lei non avrebbe desiderato quella notte. La lasciò libera di tornare a dormire, sperando più tranquilla dopo le sue rassicurazioni. Lui invece decise di riempirsi un'altra tazza di camomilla e bruciare davvero il giornale con l'articolo incriminato, prima che turbasse l'umore instabile della moglie. 

 

Ciao, cari lettori e care lettrici!
Stavolta le tempistiche per l'aggiornamento sono state inaspettatamente più accettabili, ma ho lasciato ancora molti punti in sospeso e soprattutto Samuel in grave pericolo.
Non vi tedio oltre, mi auguro solo che questa storia, nonostante l'inevitabile angst, riesca ancora a portare un messaggio di pace e di speranza.
Vi ringrazio di cuore per continuare a seguirmi con vivo interesse. <3 
A presto!
Un abbraccio
-Vale
 
 
[1] Signorina in lingua afghana
   
 
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