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Autore: NyxTNeko    29/08/2021    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 119 - La quiete prima della tempesta -

4 ottobre (12 vendemmiaio anno IV) 

Il clima di quei giorni di inizio autunno era sinistro, in particolare quella domenica, grigia, fredda e piovosa; rispecchiava pienamente l'atmosfera pesante che, al pari di una cappa, incombeva non solo su Parigi, ma sull'intera Francia. Era come condizionato dagli umori dei cittadini che avevano cominciato a protestare lungo le vie, ribellandosi a misure e decisioni che erano considerate altamente impopolari.

L'istituzione del Direttorio, che sarebbe diventato effettivo solo a fine ottobre, non era affatto gradita da molti, in quanto era vista come debole e corrotta, poiché costituita da due terzi dei rappresentanti della Convenzione, proprio per impedire ai monarchici di riacquistare terreno; tra i ribelli vi erano in particolare i realisti che speravano di attuare la controrivoluzione, assieme agli inglesi e le altre potenze europee e riportare, così, sul trono il legittimo sovrano, ossia il conte di Provenza, fratello del re ghigliottinato. Il piccolo Luigi XVII era morto lo scorso giugno - Abbassiamo i due terzi - si sentiva risuonare per le strade, quasi quotidianamente.

Alcune sezioni della città si erano sollevate, dopo aver saputo del risultato positivo del plebiscito che era servito a confermare la nuova costituzione. Ai monarchici si erano uniti anche alcuni moderati, liberali e persino dei comuni cittadini, che desideravano cambiamento e stabilità, oltre a risultati concreti che, dalla caduta del Terrore, erano stati miseri. A metà settembre la situazione militare, lungo il Reno, non era affatto migliorata, al contrario, gli Austriaci avevano riconquistato terreno. Nel Mezzogiorno l'esercito era in perenne stallo.

Napoleone percepiva distintamente questa sensazione di tensione crescente, era più che palpabile "Nessuno qui ha davvero il coraggio di annientare quei traditori, perché non vogliono compromettersi, eppure non capiscono che lo sono già, dal momento in cui hanno deciso di schierarsi dalla parte della rivoluzione!" si diceva ogni qualvolta ne avvistava qualcuno, tra la spessa nebbia. I suoi aiutanti erano sempre pronti ad agire per proteggerlo. In quel momento il suo pensiero si rivolse a Jean-François de Menou, il comandante dell'Armata dell'Interno, uno dei pochi aristocratici che si era messo al servizio della Rivoluzione e della Repubblica "È un debole" sentenziò "Non resisterà molto alla pressione e cederà".

Un brivido di freddo lo scosse da cima a fondo, si strinse nel suo logoro cappotto grigio, la nebbia si era diradata nel frattempo, il vento si stava rafforzando e delle grosse gocce iniziarono a cadere dal cielo. Napoleone sollevò la testa verso quella coltre plumbea, che da giorni celava agli uomini la luna e le stelle. La pioggia gli bagnava il viso e i capelli. Chiuse gli occhi, improvvisamente uno strano silenzio era calato sulla città, interrotto solamente dallo scroscio sempre più intenso e dei tuoni in lontananza. Ma era solo una sua impressione, la città non aveva smesso di agitarsi, chiaccherare, urlare. Il generale controllò l'ora, guardò Junot e Muiron e assieme a loro si avviò al teatro, con particolare urgenza, scomparendo al suo interno.

Intanto, quasi ventimila ribelli, a cui si era aggiunta la Guardia Nazionale, pur non avendo un piano comune, si stavano radunando e preparando ad attaccare il governo, la Convenzione, che aveva mandato il generale Menou a contrastarli; quest'ultimo tuttavia, non aveva intenzione di usare le armi e gli eserciti contro di essi, addirittura cercava di parlamentare per evitare una carneficina e una guerra civile che, una reazione troppo dura, avrebbe potuto scatenare. Aveva già occupato una delle vie di Parigi, rue Vivienne con la fanteria e la cavalleria, ma i tamburi rullanti dei nemici risuonavano. Provò a contattaccare con una mossa un po' più decisa, ma non ebbe l'effetto sperato.

- Carnot! - esordì Fréron, spalancando la porta del piccolo e sobrio ufficio; lo vide chino sulle innumerevoli carte di Parigi - Carnot! - ripeté alzando il tono della voce. Il rugoso uomo dagli occhi chiari sollevò la testa e si trovò davanti il collega dal fisico possente che lo aveva appena chiamato, mentre si avvicinava.

- Ditemi pure cittadino Fréron - emise tranquillamente Carnot, poggiandosi sullo schienale della poltrona - Dalla vostra espressione noto una certa preoccupazione, deduco che sia per la prossima insurrezione dei realisti... - teneva le dita incrociate sulle gambe.

- È esattamente per questo, cittadino - ammise l'altro, annuiva allarmato - Il generale Menou non sembra concludere molto, anzi, sta facendo rafforzare le fazioni nemiche - cominciò a camminare lungo la stanza, il passo era tremolante, aveva davvero paura per la propria incolumità - In molti stanno cominciando a credere che in realtà stia complottando per passare dalla loro parte e tra questi ci sono anch'io...

- Il generale Dumas che avete fatto richiamare si è appena messo in viaggio dalla sua postazione - comunicò Carnot quasi meccanicamente, vide il volto rotondo e grasso di Frèron illuminarsi per qualche istante, il comandante dell'Armata delle Alpi era la speranza su cui stava cercando disperatamente di aggrapparsi per non cadere nella disperazione - Ma purtroppo non arriverà in tempo... - dovette ammettere, anche lui, con molta fatica. Si torturava le dita, perché sapeva chi sarebbe stata l'alternativa. E quell'uomo non gli andava particolarmente a genio.

- Allora se non ce la farà dobbiamo nominare comandante dell'Armata dell'Interno il cittadino Barras - emise Fréron, guardò fisso Carnot che gli pareva più teso di prima, probabilmente perché era consapevole del fatto che tra i due non ci fosse un buon rapporto, ma non potevano perdere altro tempo, ogni secondo era di vitale importanza - E arrestare Menou come complice dei realisti e traditore...so che ci speravate quanto me cittadino, ma non si è dimostrato all'altezza del suo compito, a quanto pare è efficiente solo quando gli si danno ordini precisi...

- Capisco...capisco - lo frenò Carnot alzandosi in piedi, un moto di rabbia lo aveva scosso - Tuttavia siete al corrente del fatto che Barras non abbia una preparazione militare da ben prima dello scoppio della Rivoluzione... l'arresto di Robespierre non si può certo considerare tale...sicuri di volervi affidare ad uno come lui? - gli ricordò, senza perdere il controllo o la pazienza.

- Non abbiamo altra scelta Carnot - ribadì Fréron - Ci possiamo affidare solo a lui, magari riesce a reclutare degli uomini che possono aiutarlo dal punto di vista militare e...

L'altro lo frenò, non voleva sentire altro, convincere gli altri deputati ad aspettare Dumas era praticamente impossibile; sarebbe stato peggio del suicidio, quindi doveva accettare la loro decisione - Va bene, ho capito, in questo momento dobbiamo pensare a salvare la Rivoluzione e la Repubblica, soprattutto, quindi sono disposto a soprassedere alle ostilità tra me e lui per il bene comune 

- Questa vostra affermazione mi fa ben sperare cittadino - rivelò Fréron che ebbe l'impressione di sentirsi più leggero dopo aver udito quelle parole da parte sua. Carnot era uno dei migliori strateghi di Francia e averlo ancora dalla loro parte lo rincuorò. Ora si doveva organizzare il resto, forse si poteva ancora salvare la Repubblica.

Barras accolse con enorme entusiasmo e determinazione l'incarico che i suoi colleghi gli avevano affidato. Tuttavia era consapevole del fatto che non sapesse nulla di tattica e strategia militare, per questo, con inaspettata umiltà da parte sua, che stupì non poco i suoi colleghi, comunicò che aveva bisogno di delegare l'effettivo compito di sedare la rivolta ad altri ufficiali - Che conoscono il loro mestiere ben più di me, cittadini

- Avete qualche nome? - domandò Tallien, uno dei deputati che non riusciva a nascondere la sua angoscia nei confronti di tale situazione.

- Certamente, cittadino - fu la pronta risposta di un impetuoso Barras - Ma devo fare presente che sono degli uomini compromessi dai precedenti governi e che quindi per alcuni di voi potrebbero risultare sconvenienti - ci tenne a precisare, guardandoli rapidamente, uno per uno, stando in piedi, al posto designato al comandante dell'Armata dell'Interno.

- Non sembra il caso di fare gli sdegnosi in un momento tanto critico cittadino - replicò un altro collega, che stava perdendo la pazienza - Diteci questi nomi...

- Perfetto - disse Barras sorridendo leggermente - Con immenso piacere - si sistemò la cravatta per aiutare la voce ad essere più tuonante - Ebbene i cittadini che desidero convocare sono i cittadini Carteaux, Brune, Dupont, Loison e Buonaparte - lo nominò per ultimo proprio per vedere le reazioni di ognuno di loro. In quell'istante un lampo si schiantò ed illuminò la stanza. "Anche quando aveva riconquistato Tolone ,c'è stato un tempaccio simile" ricordò nel mentre risuonava cupo il tuono in lontananza "Forse è un segno favorevole".

Non aveva dimenticato quegli occhi gelidi ed infuocati che aveva incrociato il giorno del loro primo e burrascoso incontro a Tolone. Lo aveva affrontato di petto, senza nessun tentennamento o paura. Mai gli era capito di incontrare un individuo simile. Un concentrato di arroganza, capacità e determinazione "Ed è proprio l'uomo che serve in una situazione come questa, l'unico che può compiere un'azione del genere senza farsi troppi scrupoli". Quei secondi prima di sentire il brusio gli parvero secoli.

"Buonaparte ha detto?" fece Frèron, gli altri nomi non gli dicevano nulla, in quanto erano prevedibili e conosciuti. Ma quel cognome così insolito e poco francese, gli accese un qualcosa, gli era familiare, lo aveva già sentito e letto. Stava scavando nella memoria per ricercarlo. Poi si ricordò: era una di quelle famiglie corse a cui aveva dato una sovvenzione dopo essere scappati dall'isola. Addirittura si era invaghito di una delle sue sorelle, l'affascinante Paolina, che aveva avuto modo di conoscere anni prima ed era rimasto colpito dalla sua bellezza, nonostante fosse ancora giovane. "Sì è quel giovane corso che ha liberato Tolone, come ho fatto a dimenticare un individuo del genere?"

"Ma Buonaparte non è quel giovane ufficiale che è stato assunto da poco all'agenzia topografica?" Pensò Carnot; i colleghi che erano con lui gli avevano parlato di questo artigliere sveglio e capace, in grado di apprendere e replicare le nozioni con una facilità impressionante. Lo aveva visto di sfuggita, eppure gli aveva dato l'impressione di una persona dinamica, precisa e dalla grande volontà. Forse Barras era arrivato prima di lui alla risoluzione del problema.

- Posso comprendere le perplessità su alcuni di loro - la voce profonda di Barras aveva interrotto il silenzio creatosi - Ma vi posso assicurare che non possiamo affidarci ad altri, in Francia, o volete soccombere a quei ribelli, dando ragione a loro sulla nostra presunta incompetenza? - sbattè la grosse mani sul bancone - Io non voglio che le conquiste della Rivoluzione siano gettate alle ortiche! - Era sicuro di ciò che stava facendo, era certo di star puntando tutta la sua carriera sulla persona giusta, fremeva dalla testa ai piedi "Gli altri ufficiali che ho nominato gli saranno da aiuto, è lui che voglio più di chiunque altro, conoscendo il suo carattere individulista, so che vorrà fare di testa sua, che non vorrà essere intralciato da altri ordini e sono disposto a concedergli l'effettivo comando delle truppe, se servirà a convincerlo".

La Convenzione approvò all'unanimità la decisione di convocare questi ufficiali per porre fine a questo effettivo stato d'assedio, che si sarebbe tramutato in guerra civile se non fossero riusciti a disperdere i ribelli in fretta. Subito si erano mobilitati per andare a rintracciarli - Qualsiasi cosa stiano facendo, interrompeteli, è più importante la difesa della Convenzione e della Nazione che le loro faccende! - aveva ribadito agli uomini incaricati, i quali percorsero ogni strada e viuzza di Parigi per chiamarli.

I primi quattro furono facilmente raggiungibili ed erano già arrivati da Barras, stavano aspettando l'ultimo arrivato, ossia Buonaparte, che invece sembrava irreperibile - Come sarebbe a dire che non riuscite a trovarlo da nessuna parte? - sbottò Barras adirato e preoccupato - Dev'essere per forza a Parigi, gli è stato impedito di lasciare la capitale, per cui perquisite ogni angolo, vicolo della città, voglio Buonaparte qui, andate ora!

Carteaux, che era seduto accanto agli altri colleghi, aveva tremato nell'istante in cui aveva udito quel nome che era stato il suo tormento per mesi nel sud della Francia. Non aveva nessuna intenzione di rivederlo nuovamente - Perdonate cittadino Barras ma non vale la pensa aspettarlo, possiamo già cavarcela noi no? Altrimenti che ci avete convocato a fare? - emise, non riusciva a mettere da parte il livore che provava nei riguardi di quel ragazzo che gli aveva rovinato la reputazione.

- No generale Carteaux abbiamo bisogno di tutto il supporto possibile - emise il collega Dupont, al suo fianco, che cercava il consenso degli altri ufficiali con cui avrebbe collaborato...

- E di qualcuno che non si faccia troppo scrupoli con quei maledetti bastardi dei realisti - aggiunse Brune, che aveva da sempre dimostrato ferocia nei confronti di quei nemici della rivoluzione.

- Giusto cittadino Brune, sono perfettamente d'accordo con voi - appoggiò Loison, a braccia conserte, cercando di asciugarsi un po' prima di tornare di nuovo in quell'inferno di acqua che era Parigi in quelle ore.

Barras non aveva ascoltato nessuno di loro, era immerso nei suoi pensieri, tentando di non cedere alla preoccupazione e a quel tarlo che cominciava a rodere il suo cervello "E se fosse passato ai realisti per ripicca nei confronti del governo?" Si morse le labbra "Non è la prima volta che cerca di attirare l'attenzione su di sé con decisioni assurde, come ad esempio quella di voler andare in Turchia presso il sultano" passò a torturare le unghie, la mezzanotte era passata da più di mezz'ora "Se davvero è passato dalla loro parte è la fine per noi, nessuno riuscirebbe a sconfiggerlo".

Improvvisamente dei passi cadenzati e rapidi risuonarono lungo il corridoio, Barras e Carteaux rivolsero lo sguardo in direzione della porta, quasi come se riconoscessero quel tipo di passo. Il deputato sperò con tutto se stesso che fosse davvero quello di Buonaparte, al contrario di Carteaux che invece, si augurava che fosse di qualcun altro. L'uomo si fermò di colpo e bussò alla porta - Avanti - gridò Barras. La maniglia ruotò e lo sconosciuto si rivelò, era colui che stavano aspettando con ansia -  Generale Buonaparte, finalmente siete arrivato!

Il giovane e sottile corso, zuppo fino ai piedi, avanzò verso Barras, volse la testa all'indietro, gettando una veloce occhiata agli altri colleghi che ricambiarono, chi con interesse, chi con paura ed ostilità. Poi piantò i suoi occhi grigi verso Barras e sorrise leggermente - Scusate se vi ho fatto aspettare, cittadino Barras - iniziò con tono basso e tranquillo, chinò lievemente la testa - Ma ero al Théâtre français de la rue Feydeau

- Eravate a teatro in una situazione simile? - domandò incredulo Barras, lo fissò dritto negli occhi. Non c'era traccia di esitazione e nemmeno di paura nella sua espressione.

- Sì cittadino, ad assistere ad una rappresentazione del Beverlei di Bernard-Joseph Saurin - rispose con naturalezza Buonaparte, per lui era assolutamente normale dedicarsi a passatempi culturari che arricchivano lo spirito, persino in un periodo di grande agitazione come quello in cui stavano vivendo - È li che i vostri uomini sono giunti per riferirmi di quanto stava accadendo nelle aule del potere e della vostra convocazione - stava ritto, tenendo il cappello sottobraccio.

- D'accordo cittadino generale vi credo - disse Barras - Ora seguitemi, desidero parlarvi a quattr'occhi, senza nessuno che possa disturbarci

Napoleone non se lo fece ripetere due volte e si accodò dietro al deputato che tremava per l'emozione e la paura. Comprese che per Barras quando stava avvenendo era una questione di vita o morte. Arrivarono ad una stanzetta piuttosto piccola ma confortevole e illuminata, molto intima - Accomodatevi pure - lo sentì dire - Non preoccupatevi per l'uniforme bagnata...sarete stanco...

- Mi va bene anche ascoltarvi in piedi, cittadino - gli riferì subitamente Napoleone, si mise a braccia conserte, appoggiato al muro, incrociando una gamba sull'altra - Ora riferitemi quello che dovete

- Come volete - ridacchiò Barras, con le braccia dietro la schiena - Allora, immagino sappiate dell'insurrezione realista che ci sarà a breve e che minaccia l'intera Francia - Napoleone annuì taciturno, non si scompose per nulla - Dunque conoscendo le mie scarse abilità militari, specialmente per quanto riguarda la tattica e la strategia, ho deciso di nominarvi mio secondo, vi concedo tre minuti per rifletterci generale, è un'occasione più unica che rara quella che vi si presenta

Quella proposta ebbe, su Napoleone, lo stesso effetto di quando Augustin Robespierre gli aveva proposto di seguirlo a Parigi, solo che allora sentiva di star facendo il passo più lungo della gamba, di cogliere un frutto ancora immaturo, ma adesso aveva l'impressione che il destino volesse da lui quest'impresa. Era la stessa sensazione che aveva avuto a Tolone. Come se lo avesse ostacolato per farlo giungere, come un dono del cielo, al posto giusto, nel momento giusto. Anche se, per un attimo, era tentato di rifiutare, solo per vederlo supplicare, dato che si era ricordato di lui soltanto adesso. Ma accantonò immediatamente tale pensiero, lo avrebbe compromesso definitivamente. Non passò nemmeno un minuto che Napoleone rispose - Accetto, ma ad una condizione, che mi concediate carta bianca, non prenderò ordini dalla Convenzione e da voi, intesi?

- Ma certo - fece Barras, aveva previsto quell'atteggiamento di arrogante sicurezza che aveva contraddistinto da sempre quell'ardente artigliere; i suoi occhi si illuminarono di gioia, voleva piangere, era consapevole, però, che fosse solo l'inizio. Tutta Parigi avrebbe potuto ammirare lo straordinario talento di Buonaparte e se avesse vinto, nessuno avrebbe potuto dubitare della sua elezione a direttore del nuovo sistema politico.

Dopodiché lo vide allungare la mano sull'elsa della spada e sguainare, similmente ad un fulmine, l'arma, che brillava al pari del suo sguardo tagliente e glaciale. La fermò sul suo volto e pronunciò - Non riporrò la spada nel fodero fino a quando la rivolta sarà sedata e l'ordine ricostituito, costi quel che costi - Barras era terrorizzato dalla sua determinazione, tuttavia non poteva rimangiarsi la parola data - Adesso vorrei parlare con il generale Menou, cittadino, devo sapere di quante forze disponiamo

- Ne abbiamo solamente cinquemila - gli riferì sospirando Barras, coprendosi il volto - Contro ventimila, se non addirittura di più, comprendete dunque quanto squilibrio ci sia tra le forze, è un'impresa disperata, se non addirittura impossibile...

- E di quanti cannoni disponiamo? - lo interruppe senza battere ciglio. Nessuna impresa era impossibile, se si usava la logica e si manteneva la calma.

- Cannoni? - si grattò la parrucca - Ehm non ne abbiamo che quaranta, almeno non qui, secondo il generale Menou erano di intralcio e quindi...

- Convocate un ufficiale di artiglieria e nemmeno avete il materiale con voi! - emise un profondo respiro - E dove si trovano?

- Al campo militare dei Sablons - rispose subitamente il deputato.

- Bene - fece Napoleone mettendosi il cappello in testa - Ora che ho le informazioni necessarie posso agire a modo mio... - spalancò la porta e si diresse, quasi correndo, all'uscita. Doveva far recuperare quei cannoni immediatamente, altrimenti il piano che stava già elaborando nella sua testa, non si sarebbe potuto mettere in atto e avrebbe fallito.

- Aspettate generale - lo seguì Barras, ansimante - Non mi avete detto quale sia la tattica che avete in mente! - i quattro colleghi si misero a disposizione del comandante in seconda, persino Carteaux, augurandosi che lo mandasse lontano.

- Per prima cosa devo recuperare quei cannoni, cittadino Barras - ammise concitato Napoleone, mentre si apprestava ad organizzare il tutto come lui voleva - Solo in seguito deciderò come piazzarli nei punti strategici della città... - si interruppe quando sopraggiunse un alto ed imponente ufficiale di cavalleria al suo cospetto - Nome e grado, cittadino - chiese scrutandolo.

L'aitante giovane dall'aria prestante e dai corvini riccioli che gli ricadevano armoniosi sulle spalle si mise in posizione e rispose prontamente - Capitano e comandante di squadrone del XII reggimento dei cacciatori a cavallo, Joachim Murat a vostra disposizione, cittadino comandante - abbassò gli occhi azzurri per incrociare lo sguardo rapace ed infuocato di quel giovane ufficiale che, a dispetto dell'aria trasandata, del fisico minuto, gracile e del viso smunto, delicato, gli trasmise un senso di autorità, come raramente gli era capitato. Comprese subito che era non un individuo comune, che non ammetteva disobbedienza e perditempo.

- Mi sembrate rapido e scattante, ebbene capitano Murat, prendete duecento cavalli, andate immediatamente alla piana dei Sablons, portate qui i quaranta pezzi! Li voglio! Sciabolate, se è necessario, ma portatemi qui quei cannoni! Voi me ne rispondete! Partite! - imperò secco, accompagnando la voce con gesti netti e bruschi.

Murat non scese nemmeno da cavallo, diede una speronata al suo cavallo e, dopo aver gridato l'ordine al suo reggimento, partì alla testa dei suoi, verso la destinazione indicata. Junot e Muiron, intanto, si erano affiancati al loro comandante, pronti a sostenerlo e ad obbedirgli. Mancavano poche ore all'imminente scontro.

 

   
 
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