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Autore: SkysCadet    29/08/2021    0 recensioni
La cittadina di Filadelfia sembra un borgo tranquillo, in cui la gente comune passa la giornata senza occuparsi degli strani avvenimenti che accadono da diverso tempo. Tuttavia, Simon si ritrova - suo malgrado - a combattere per la salvezza delle anime sfuggite al potere dei Lucifer. Tra questi c'è Joshua, un ragazzo con un dono particolare. Il giorno in cui Ariel - una matricola impulsiva dell'università di Filadelfia - lo incontra per la prima volta, capisce che in lui c'è qualcosa di diverso dagli altri ragazzi. Solo un nome sembra in grado di cambiare il corso degli avvenimenti, un nome che i Lucifer non possono nominare...
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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"Degli schiavi dominano su di noi
e non c'è chi ci liberi dalle loro mani "

(Lamentazioni 5,8)

"Nel mio Nome scacceranno i demoni."

(Gesù Cristo)

 

***

«Quel nome...

Sai, dovrebbe essere il semplice nome di un uomo vissuto nella Galilea intorno al 30 d.C.

Un semplice nome. Addirittura, un nome molto comune all'epoca.

Ma quel nome... quel nome, ogni volta, ogni singola volta, provocava in mio padre una furia disumana, incontrollata.

E non so, non so davvero perché.

Durante gli incontri nel retro del locale Lithium, dove solitamente si riuniva insieme ai membri del gruppo Lucifer, io dovevo rimanere nel bar. Avevo poco più di dieci anni, ma è un ricordo molto fumoso e indefinito, quasi come se lo vivessi dall'esterno del mio essere. Ma fa parte di me, ormai.

A volte, lo sentivo urlare e il barman, ormai addestrato a dovere, intimava il dj di turno di alzare il volume di quella musica assordante.

Non ho mai saputo cosa succedeva in quelle riunioni, se non quando vi partecipai per la prima volta.

Era la sera dove tutti festeggiano in strada mascherati, con una luna pallida e tonda. Avevo appena compiuto diciotto anni. Era la sera della mia iniziazione ed era da un anno passata quella di Lilith, mia sorella.

Ma quella sera era diversa: tutto dentro di me remava contro il loro volere, inspiegabilmente. Qualcosa, in me, voleva rimanere libero da quelle logiche, dai quei riti.

E l'ignoto era il mio più grande terrore.

Mia sorella non mi disse mai quel che era successo quella notte. So solo che, da allora, ella acquisì delle strane capacità: divenne più aggressiva, tormentata da incubi e orrende visioni, fino a quando mi mostrò il suo potere: trasfigurarsi fino a divenire uno spirito invisibile, capace di incarnarsi nell'animale da lei prediletto: il gatto.

"Potrai farlo pure tu, un giorno..." mi aveva predetto.

Ma io non ci volli credere.

Quella notte, dicevo, mentre la mia anima anelava la fuga da quel locale, un uomo, un cliente del bar, si alzò in piedi urlando come un generale che ordina ai suoi sottoposti di adempiere alle sue volontà; o almeno è così che lo avvertì il mio cuore.

E la sua volontà era di vedere ogni ginocchio piegato e ogni lingua confessare che... Quel Nome era il Signore.

E lo vidi, vidi la potenza di quel nome.

Tutti, uno per uno, gli adepti del gruppo si ritrovarono in ginocchio, senza però riuscire a pronunciare alcunché...» concluse Acab, fissando il vuoto, con sguardo assente, mentre i vari flashback gli provocavano tremori e pelle d'oca.

L'avevano messo di guardia quella sera.

La notte era inoltrata e non v'era luce in quel luogo, se non il lieve luccichio della sigaretta del giovane dai capelli corvini e gli occhi color zaffiro e un neon guasto che emanava luce intermittente.

Si trovava diversi metri sotto terra, appoggiato al muro di pietra sudicio di un viscidume indefinito, in un tunnel sotterraneo e dall'aria rarefatta, mentre il gelo dell'anima era più pungente di quello delle pareti.

«G... Gesù Cristo... vorrai dire... »

«Hai ancora fiato per parlare, tu?» rispose a quel giovane che gli dava le spalle, mostrando una schiena nuda lacerata da graffi e contusioni. L'avevano condotto lì la sera del primo novembre. Una sera piovosa e tremendamente umida.

«È già venuta mia sorella a darti il resto, o provvedo io?» lo provocò Acab, osservandolo da quel muro dirimpetto alla sua cella, gettando in terra il mozzicone di sigaretta.

Gli si avvicinò e, posando il gomito su uno dei ferri orizzontali di quella che sembrava una gabbia per uccelli, si piegò sulle ginocchia per guardarlo e parlargli più da vicino.

Le catene ai polsi del giovane partivano dai lati della struttura in ferro e facevano in modo da tenerlo in ginocchio e con le braccia aperte, mentre la testa andava di qua e di là, a penzoloni.

«Non parli più, eh? Figlio di Dio?» lo schernì, sputandogli ai piedi nudi. «Certo, è facile sentirsi Dio in terra quando c'è il pastore, non è vero... Joshua

«Tu... T... Tu che ne sai?»

«So abbastanza...» rispose, fissandolo con un ghigno, soddisfatto della situazione di quel ragazzo che si era creduto eletto e senza macchia alcuna.

«Dove l'hai lasciato il leoncino?»

La chiara allusione alla giovane Ariel, che Joshua aveva lasciato settimane prima nei cortili di Filadelfia, bastò a far vibrare le catene che lo reggevano, mentre i muscoli delle spalle davano degli spasmi quasi impercettibili.

«Ops...» sorrise Acab. «Toccato un tasto dolente?» ghignò, con occhi vispi. «Non vedo l'ora di averla tra le braccia...» confessò al giovane, bagnandosi le labbra con la lingua, balzando in piedi successivamente, scostandosi la polvere dai pantaloni scuri.

«N... N... No...» gemette Joshua, in preda al panico e al dolore che gli provocò il tentativo di alzarsi.

«Fai piano! Se ti rompi quelle belle spalle, come farò a divertirmi?»

La risata di Lilith, seguita dall'incedere della sua camminata su tacchi a spillo, echeggiò rimbalzando tra le pareti di pietra, colpendo lo stomaco di Joshua. In cuor suo, maledì quella sera in cui si era addentrato nel pub Lithium.

Era lì che l'aveva conosciuta, quando si era seduta accanto a lui, con fare dolce e occhi da gatta.

Lo spirito che l'aveva condotto in quel luogo, non aveva nulla a che vedere con quello che lo aveva mosso in precedenza. E questo lo sapeva bene.

Sembrava un pub come tutti gli altri ma era lei ad essere diversa dalle altre ragazze che occupavano quei divanetti, posti agli angoli del locale dalle luci a led che percorrevano tutto il mobilio moderno di cui era arredato.

Era rimasto colpito dai suoi occhi chiari, che smorzavano il nero cupo dei suoi cortissimi capelli; occhi cangianti a seconda della diversa luce soffusa che colpiva le sue iridi celesti: occhi d'un tratto blu come il mare profondo, dove fu inevitabile sprofondare, seguendo la linea morbida del suo viso in cui esplodeva il rosso fuoco delle sue labbra.

E fu inevitabile iniziare a parlare e scherzare, lasciando scivolare le mani sulla sua pelle, mentre lei gli parlava sussurrando all'orecchio parole che aveva ascoltato solo in una vita passata.

Aveva ordinato diversi drink, senza accorgersi dell'occhiata complice della ragazza al barman, che, al suo comando, aveva versato nel drink del giovane una polverina bianca.

La musica del Lithium creava una cassa di risonanza nel suo torace, che vibrava nelle note di quella musica martellante, le cui alte frequenze gli facevano perdere il respiro e accelerare i battiti di un cuore ormai incontrollabile, mentre lei si infiammava di desiderio verso quel mandato.

«Cosa ci fa qui, nel mio locale, un figlio di Dio?» domandò sarcastica, mentre cercava di tirarlo verso il centro della pista da ballo del locale, tendendogli la mano.

«Come scusa?» il giovane non riuscì a comprendere appieno le sue parole, nel vano tentativo di riuscire a reggersi in piedi, mentre la nausea percorreva il suo esofago.

«Andiamo... » lo colpì alla spalla, prima di avvolgere le braccia al collo del ragazzo, obbligandolo a piegarsi per ascoltare ogni sua singola parola, lasciando che saggiasse quel profumo femminile, intenso e destabilizzante.

«Non dirmi che non sai che questo è il nostro luogo di ritrovo! Il tuo dovrebbe essere abbastanza diverso: luci ovunque, ampie vetrate, cori angelici e... Una croce.»

«Ma tu che ne sai?» le aveva domandato sbarrando gli occhi fino all'inverosimile, allontanandosi di un passo per poi scrutare i suoi lineamenti, tanto simili al ragazzo dal cuore di ghiaccio che lui conosceva già bene.

«Noi vi staniamo a distanza, ma adesso è troppo facile, sei tu, che sei venuto volontariamente da noi...»

«Ma tu chi sei?» aveva urlato, tentando di sovrastare la musica che spingeva tutti i ragazzi a dimenarsi e abbandonarsi a varie effusioni.

Quel luogo buio, smorzato di tanto in tanto da laser di luci che andavano dal fucsia al rosso acceso, stava comprimendo il suo essere, che si sentiva braccato in un vortice di suoni, ombre e figure confuse.

«Povero agnellino, non conosce nemmeno i suoi nemici.» la sentì ridere, mentre si allontanava senza difficoltà tra la folla, tenendolo sempre d'occhio.

Erano quegli occhi ad averlo soggiogato. Sapeva di essere diventato ostaggio di quella che sembrava in tutto e per tutto la figlia di Judas, il traditore di Filadelfia, il capo spirituale della setta Lucifer.

Poi le sue falangi longilinee furono intercettate da quelle di Lilith, decorate con uno smalto nero, gelide come una lastra di ghiaccio.

E mentre la musica diveniva via via più lontana e ovattata, si accorse di essere stato condotto nel retro del locale, in un viottolo senza uscita, pieno di pozzanghere e sacchi di spazzatura buttati qua e là malamente.

Iniziò ad ispirare profondamente fino a far raffreddare ogni parte del corpo che non aveva fatto in tempo a realizzare il brusco cambiamento di temperatura.

Così, dopo aver stretto le braccia al petto, con del vapore che gli uscì tra i denti stretti, fissò la ragazza: nonostante le prime avvisaglie di freddo, mostrava le gambe e le spalle nude; quel tubino di pelle nero fasciava i fianchi e il busto, lasciando poco spazio all'immaginazione.

«Il desiderio di vendetta e una forte concupiscenza carnale ti hanno spinto oltre il limite della tua protezione...» era intervenuta, intenta ad accendersi una sigaretta «dov'è il tuo mandato, adesso?»

Il giovane, che ancora sentiva la testa vorticare, si era appoggiato con le spalle al muro di cemento umido che svettava di fronte alla porta in cui stazionava la ragazza, gettando fumo grigio dalle narici.

«Come fai a sapere tutto questo?» gli chiese, in una smorfia di dolore, avvertendo strane fitte alla fronte e alle tempie. «Perché non mi dici chi sei?»

«Lilith Damian» affermò, staccandosi dalla porta ferrosa, per avanzare di qualche passo nella sua direzione. «E sono qui...» proseguì, con passo felpato e occhi felini «per avverare ogni tuo desiderio.» concluse, prendendolo dalla nuca per stampare le sue labbra al collo del giovane.

Adesso sei mio.

L'aveva davanti, con quel petto che si alzava e si abbassava velocemente, mentre, sfiorando il collo con l'indice, avvertiva il pulsare del sangue nella giugulare.

Lo osservò a lungo prima di offrirgli le sue gelide labbra con lo sguardo più intrigante di cui era in possesso; sguardo di chi accompagna nel sonno e che culla nell'oscurità della notte, quella notte che aveva gli occhi color zaffiro e in cui, a Joshua, sembrò piacevole affogare.

Quel liquido rossastro dal sapore metallico, che aveva bevuto quando ancora erano seduti al bar, adesso attraversava le sue viscere, facendogli pulsare le tempie.

Quei baci intensi e avidi che solo Lilith sapeva di poter donare lo rimandavano in un oblio dove perdere la propria identità era stato facile, talmente facile da dimenticarsi di essere nati.

Allentando la presa dal corpo gelido della ragazza si rese conto di avere la testa come immersa nell'oscurità del mare, in una bolla di vuoto.

Lei lo spinse verso il muro per farlo reagire, avendo notato il suo sguardo assente.

Sta facendo effetto, eh?

Lo spinse nuovamente per poi prenderlo dal colletto della camicia e fargli sbattere la testa all'indietro, mentre il sudore gelido irrigava la fronte del ragazzo.

«C... Cosa stai facendo?» balbettò, preda della tachicardia, bloccandole i polsi, con quel poco di forza rimanente.

«Voglio vedere quanto mi resisti, piccolo Cristo.»

Lui la allontanò bruscamente, ma, mentre fece per andarsene, sentì la testa vorticare, tanto da farlo poggiare con la spalla alla parete umida dell'edificio antistante.

«Sei solo un pavido...» lo provocò, osservandolo di spalle piegato sulle ginocchia.

«Non c'è nulla del leone di Dio in te.» concluse, sapendo che l'orgoglio di Joshua era un trampolino di lancio per la sua definitiva caduta.

E infatti fu con quell'aggettivo che la forza latente dentro di sé lo avvolse, facendogli sbarrare gli occhi per rivolgerli austeri verso di lei che, in pochi secondi, se lo vide così vicino da sentire il suo respiro caldo sulle narici.

Le prese i polsi e la portò contro la porta del retro del locale, mentre sentiva esplodere un odio che gli portò alla mente gli occhi e le labbra di Ariel.

«E' fatta.» gli sussurrò Lilith ai lobi dell'orecchio, servendosi di un ultimo bacio per ghermire definitivamente le forze del giovane Joshua, che scivolò via dal suo corpo, sfiorandole i fianchi, finendo in ginocchio, mentre un rivolo di sudore freddo gli rigava gli zigomi e la vista gli si annebbiava, abbandonandolo poi del tutto sull'asfalto umido.

 

   
 
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