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Autore: Helen_Rose    29/08/2021    1 recensioni
Seconda fanfiction solamente IRocco con cui mi cimento. Ho ascoltato questa canzone per la prima volta nel film "Nemiche amiche", mi ha catturata e il fatto che fosse uscita nel 1967 mi è sembrato un segno del destino, dal momento che questa storia è ambientata a fine 1968, epoca in cui il rapporto - ipotizzato da me e altre fan - degli IRocco sta per essere ravvivato da un'altra figlia: Diana. Perciò, mi è venuto naturale immaginare questo scenario, in cui è partecipe anche Diego, il bimbo creato dalla penna della meravigliosa Ambra. Fanfiction dedicata ancora una volta a lei, Virginia e Verdiana - se scrivo degli IRocco, è soprattutto per voi - ma anche a chiunque abbia voglia di leggere questa storia. A presto!
Genere: Comico, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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"Rocco! Rocco!" lo chiamò Irene, eccitata, precipitandosi dentro casa e chiudendo la porta con vigore. Per quel giorno, suo marito avrebbe dovuto accontentarsi di quel saluto che somigliava più a una chiamata a rapporto in stile militare. In mano, Irene teneva l'agognatissimo disco di "Ain't no mountain high enough", uscita già da diversi mesi, che appoggiò momentaneamente di fianco al giradischi, immancabile in una casa abitata da Irene Cipriani, con buona pace di suo marito.
"Finalmente sono riuscita ad avere il disco! Era sempre esaurito. Guarda qua!" riprese, svendolandoglielo davanti come fosse il suo trofeo più prezioso.
"Ho visto, amò, ho visto. Non ti agitare in questo modo, che Diego sta giocando e non vorrei mai che smettesse di farlo per assalirci. E poi, lo sai che non ti fa bene" protestò lui, dal canto suo, accarezzandole dolcemente una pancia al sesto mese già abbastanza visibile. Aspettavano il loro secondogenito ... O secondogenita: chi avrebbe potuto prevederlo, nel 1968.
"Lo sai che non mi piace quando mi chiami 'amò'; ti ho già detto più volte di smetterla" si schermì lei, che neanche sotto tortura avrebbe ammesso che quel soprannome così poco ... Nordico, la facesse impazzire.
"Come no, Irè: lo sacciu pur'io che fai solo finta per non darmi soddisfazione, avà" replicò Rocco, che ovviamente, l'aveva già sgamata da tempo, dato che la conosceva come le proprie tasche, se non meglio. 

"Bando alle ciance: questo" proseguì, mostrandone per bene la copertina a Rocco "è un capolavoro, e voglio, anzi no, PRETENDO che impariamo la canzone alla perfezione per Diego, e anche per quando nostro figlio ... O figlia, sarà nato ... O nata"
"Impararla? E picchì, Irè? Io non lo sacciu l'inglese e manco mi interessa saperlo" ribattè Rocco, perplesso e infastidito. 
"Per cantarla ai bimbi, ovviamente! Io e te. Ha un significato stupendo, oltre a essere molto orecchiabile e divertente da cantare" rispose prontamente lei, ignorando di proposito la propensione del marito ad apprendere qualunque cosa potesse, meno le lingue straniere; non lo capiva.
"Cantarcela? Non sacciu manco cantare, io.
E poi, che ne sai tu, amò, del significato? Vedi che è tutta in inglese, ah, mica solo alcune frasi come quelle che studi tu" la prese in giro Rocco, pur essendo in realtà molto orgoglioso del fatto che Irene e Roberta frequentassero un corso d'inglese una volta a settimana, lavoro e famiglia permettendo: ormai, Diego Armando aveva cinque anni, mentre Vittoria Emma aveva quasi tre anni ed era leggermente più autonoma che da neonata, benché questo non avesse mai frenato Roberta dal migliorarsi in ogni senso, compreso quel corso d'inglese. Entrambe, come ogni donna (e uomo) della loro generazione e classe sociale - dal momento che chi poteva permetterselo, studiava varie lingue - , a scuola avevano studiato il francese, odiato, se non profondamente detestato da entrambe, che trovavano l'inglese molto più interessante, moderno e dinamico.
"Mooolto divertente" ribattè lei, facendogli una linguaccia. "Ho chiesto all'insegnante del corso se potessimo ascoltarla e tradurla insieme, e ha acconsentito, essendo un ottimo esercizio per la lingua. Poi, Roberta mi ha promesso che, se ne avessi bisogno, ripasseremo insieme la pronuncia. Sai, Helen, la madrelinguista ..."
"La madreche?"
"È sempre l'insegnante, Rocco: però non è italiana, bensì la sua lingua madre, ovvero d'origine, è l'inglese" spiegò velocemente Irene, ansiosa di arrivare in fretta al punto. 

"Dicevo, Helen ci ha detto che l'esercizio tramite canzoni e, se possibile, film, è il migliore per apprendere la lingua in modo naturale, ascoltando come viene parlata nella quotidianità. E ha aggiunto che io e Roberta siamo le migliori della classe" concluse, con un'espressione che stava a significare che non sarebbe diventata modesta neanche qualora avesse perso la memoria e la percezione di sé e degli altri.
"E capirai, quando ti metti qualcosa in testa tu, picciò" replicò lui, sogghignando.
"Ma è mai possibile che non si riesca mai a estorcerti un complimento vero? Sono profondamente offesa, Rocco Amato" protestò, imbronciata, a braccia conserte, quasi tentata di pestare i piedi per dispetto.
"Lo sacciu dove vuoi arrivare, Irè. Vuoi dire che Marcello riempie Roberta di elogi. Ma idda non 'si loda e s'imbroda', com'è che si dice?... Insomma, è più modesta"
"Quindi, ora, una donna sicura di sé stessa deve quasi sentirsi in colpa! Benissimo!"
"Se vuoi metterla come 'sicura di sé stessa' ". Rocco stava cercando di non soffocarsi, mentre la rimbeccava sadicamente.
"Dai, vieni qua, amò. Vieni da me, picciò" finse di cedere, magnanimo, riempiendole il collo, poi la guancia di baci delicati.
"Intelligentissimissima, sveglissimissima e bravissimissima sei" scandì, sorridendo. "Vabbuò? Lo sai che lo penso, non c'è bisogno di ripetertelo ogni santa volta"
"Intanto, con questa scusa, a me vengono i complessi e penso che tu non mi ami più". Si concedeva di essere lamentosa e bramosa di attenzioni solo se era certa che fosse ben chiaro l'intento scherzoso.
"Picchì ti piaci fare 'a traggedia, amò" rise lui, "mi alleno persino col superlativo del superlativo per farti contenta, avà"
"Ricordati, però, che 'ottimissimo' non si dice" (*1) puntualizzò lei, beandosi del contatto fisico con Rocco docciato e profumato.
"Lo sacciu, mamma mia, che pesantezza"
"Ohi ohi ohi, la tua ignoranza non è più così tanto sublime, (*1) AMÒ" calcò lei, dandogli un bacio per addolcire la 'fase maestrina dalla penna rossa' che Rocco detestava quanto amava, ovviamente facendo di tutto per non dimostrarlo. Non darsi soddisfazione a vicenda era la più grande missione del loro matrimonio, ma dopo così tanti anni, i risultati di tale pratica erano quasi nulli.
"Ma pensa tu quanto sono fortunato: ho sposato una donna che sa fare tutti i mestieri possibili e immaginabili; anzi, è talmente brava che li ruba agli avutri. Fare l'insegnante non era il lavoro di Elena? E pure di Helen, avà, c'hanno lo stesso nome"
"Eh, ma io conosco bene l'alunno in questione ... Con i suoi punti di forza ... E i punti deboli". Sapeva bene che un bacio appassionato fosse l'unico modo per rabbonirlo e sperare che l'assecondasse. 

"Allora, ti va se provo a tradurti più o meno le parole della canzone? Per capire un po' "
"E avanti, sentiamo. Siediti in braccio a me".
"Listen, baby. Devo tradurre anche questo?"
"Nca ciertu. Io tutto voglio sapere"
"Ma significa proprio 'Ascolta, amore' "
"Ah, guarda tu, sembra scritta apposta"
" 'Se hai bisogno di me, chiamami; non importa dove sei o quanto tu sia distante. Semplicemente, chiama il mio nome e sarò lì in un lampo. Non devi preoccuparti, perché non c'è montagna abbastanza grande, né vallata abbastanza profonda, né fiume abbastanza ampio da impedirmi di raggiungerti. Ricordati che, nel giorno in cui ti ho lasciato libero, ti ho detto che avresti sempre potuto contare su di me. E da quel giorno in poi, ho fatto una promessa: sarò da te quando mi vorrai, in qualche modo'. Poi si ripete il ritornello. 'Non c'è pioggia, né vento, né freddi inverni che possano fermarmi. Perché sei il mio amore, e se per caso ti trovassi nei guai, sarò lì in un attimo: basterà che mi mandi a chiamare. L'amore che provo per te è vivo in me, anche se siamo a migliaia di chilometri di distanza; se mai avessi bisogno di una mano, sarò lì il più velocemente possibile'. Ancora il ritornello. Che ne dici? Ti piace? C'è anche una tale quantità di 'amore e 'tesoro' di mezzo da non essere paragonabile a quella dei vezzeggiativi che ci siamo detti in questi anni, ovvero praticamente nulla; grazie al cielo, mi sento di aggiungere. Certe coppie hanno di quelle smancerie da far venire il latte alle ginocchia. Molto meglio così" conclude la vera capofamiglia, strizzando l'occhio a un marito compiacente solo in apparenza, poiché quell'idea sta iniziando a incuriosirlo. Non è forse stato un attore di fotoromanzi, come peccato di gioventù? Tutto per impressionare quella banderuola di Marina ... Se ci ripensa, si dà dello scimunito da solo. Quando avrebbe mai più ritrovato una donna esuberante quanto solida come la sua Irene? Appunto, mai. 

"Va bene. Mi sembra un bel testo, anche se più o meno dice sempre a stissa cosa, ah. Riprendiamo poi un'altra volta, avà"
"Come? No, no: sarà un lavoro lungo e faticoso imparare sia il testo che la melodia; dobbiamo cominciare subito"
"Subito? Ma ci sta pure Diego di là, avà, non hai paura di guastarci la sorpresa?" tentò di svicolare Rocco, speranzoso.
"Ora lo saluto e poi gli chiudo la porta, inventandomi una scusa e dicendogli di interromperci solo per questioni di vita o di morte. Ha cinque anni, è autosufficiente".
Rocco era sbigottito. Irene non era mai stata la tipica madre apprensiva - non sarebbe stato da lei - ma chiudere il figlio in camera gli sembrava troppo ... D'altronde, stavano pur sempre preparando una sorpresa anche per lui, cercò di tranquillizzarsi, raccontandosela. 

"Fatto. Allora, interrompo il disco alla fine di ogni strofa e proviamo a ripetere, ti va?"
"Come? No no, ma non ce l'hai un testo scritto, Irè? Così la impariamo tipo poesia"
"Rocco, ma che stai dicendo! Come fai a imparare una canzone come se fosse una poesia? Bisogna entrare immediatamente in confidenza con la melodia. Andiamo, cerchi sempre delle scorciatoie"
"Embeh? Le cose facili sono un male?"
"Se ti fossero piaciute le cose facili, non ti saresti sposato con me; lo sai anche tu. Forza e coraggio; ascolta e poi prova a ripetere dopo di me. Andiamo alla seconda strofa, perché la prima è come il ritornello. 'If you need me, call me, no matter where you are, no matter how far. Don't worry, baby. Just call my name, I'll be there in a hurry: you don't have to worry'. Ripetiamo"
"If iu nid mi" provò a pronunciare Rocco, in modo stentato. Il testo non l'avrebbe comunque aiutato: era tutto un altro modo di scrivere e di pronunciare, ovviamente.
"Bravissimo. Prova a proseguire, dai"
"Col mi, no me... Metter uer iu ar ... No metter ... Ma dove non dobbiamo mettere, e che cosa, Irè? Non ci capisco niente"
"Ma no, che dici? 'No matter' significa 'indipendentemente da', 'non importa' "
"A me importa di non diventare scemo appresso a sta lingua straniera, avà!"
"Non essere ostile, ti prego. Riprova"
"No metter au far ... Don ... Don uorri ... Mò che c'entrano i preti? Non ha senso" 
" 'Don't worry' significa 'non preoccuparti' " tradusse prontamente Irene per una seconda volta, cercando di non spazientirsi, per quanto le risultasse arduo.
"Ancora cu sta storia che non importa, che non mi devo preoccupare ... Ti sei scelta la canzone giusta, Irè! Ma cu mia non attacca" 

"Allora, facciamo così: proviamo a lasciare da parte le parole per un momento, e a concentrarci solo sulla melodia, sulle sensazioni che ci dà ... 'Vibes', in inglese"
"Vai-bes?"
"No, Rocco, 'Vaibs'. Faccio ripartire il disco"
"Minchia, Irè, ma lo sai che funziona? Ha un ritmo pazzesco, 'sta canzone" commentò lui, entusiasta, mentre si muoveva persino a ritmo di musica.
"E mi fa piacere, ma non devi utilizzare certi termini con Diego nei paraggi, lo sai"
"Avà, Irè, l'hai chiuso in camera!"
"Ma lui sa tutto e sente tutto, fidati di me. Dai, rimetto la canzone". Sorrideva grata per il fatto che Rocco si stesse finalmente sciogliendo: sembrava che si stesse impegnando veramente per collaborare. In men che non si dica, pur non indovinando l'esatta pronuncia della maggior parte dei termini, Rocco stava già cantando il brano a squarciagola insieme a Irene, alla faccia del nascondere tutto a Diego: era probabile che tutto il condominio li stesse sentendo. Il ritmo coinvolgente e orecchiabile e la ripetitività del testo lo aiutavano molto.
🎶 'Cause baby, there ain't no mountain high enough; ain't no valley low enough; ain't no river wide enough to keep me from getting to you, baby. Remember the day I set you free: I told you, you could always count on me, darling. And from that day on I made a vow: I'll be there when you want me, some way, some how. Oh no, darling: no wind, no rain, no winters cold can stop me, baby. No, no baby, 'cause you are my love. If you're ever in trouble, I'll be there on the double; just send for me, oh baby. My love is alive, way down in my heart, although we are miles apart. If you ever need a helping hand, I'll be there on the double just as fast as I can. Don't you know that there ain't no mountain high enough; ain't no valley low enough; ain't no river wide enough to keep me from getting to you, baby ... 🎶 

"Ma che è tutto questo rumore? Mi avete detto di restare in camera, ma con questa musica altissima come fate voi a capire se mi sto sentendo male? L'emergenza sarebbe questa!" protestò Diego, irritato, facendo capolino dalla sua stanza, dove si stava sforzando di obbedire agli ordini. 
Rocco si sentì in conflitto con sé stesso, come gli capitava spesso da quando conosceva Irene, ma soprattutto da quando era genitore. Suo padre lo gonfiava di botte a ogni piè sospinto, per ogni minima sciocchezza, fosse anche stata il fatto stesso di aver aperto bocca e, in questo modo, di aver ricordato a lui e al mondo di saper ancora affermare la propria esistenza. Va da sé che, se ci fosse stato lui al posto del figlio e avesse osato rivolgersi al padre prendendosi simili libertà, sarebbe stato massacrato. Ma quando era diventato padre, Rocco aveva giurato a sé stesso di ricorrere alle sberle solo in casi di estrema impertinenza e maleducazione; il che non significava che fosse un genitore permissivo e mollaccione, anzi, tutt'altro ... Ma non voleva che suo figlio imparasse ad obbedirgli per il terrore della sua figura, bensì perché lo rispettava; fino a quel momento, aveva svolto un ottimo lavoro, anche perché Diego era un bambino molto sveglio, e non aveva bisogno che gli si gridassero dietro mille volte le stesse cose. Anche Irene era tendenzialmente severa; non eccedeva mai, però qualche ceffone occasionale era a carico suo. Insomma, soppesando i pro e i contro, non era di certo quello il caso per intervenire drasticamente; però, un bel rimprovero non gliel'avrebbe tolto nessuno, giustamente:
"Diego, capisco la noia, ma non è una buona ragione per rivolgerti a me e a tua madre in questo modo. Sempre i tuoi genitori siamo. Chiedi scusa, subito"
Diego capì l'antifona e abbassò lo sguardo, mortificato: "Scusa, papà. Scusa, mamma".
Irene inarcò un sopracciglio, impassibile. "Perché, ti stai sentendo male, Diego?"
"No!" ribattè, con una certa convinzione. Rocco lo fulminò con lo sguardo, e il figlio tornò immediatamente ad abbassare il capo. Stava diventando melodrammatico come sua zia Stefania e suo zio Salvo, e se non fossero state indirizzate a sua madre e a suo padre, quelle invettive sarebbero anche state decisamente esilaranti.
"Allora non siamo dei genitori così terribili, dai. Capirai le ragioni del baccano a tempo debito. Cos'avete fatto all'asilo? Ti sei divertito?" tentò di sdrammatizzare Irene.
"Sì, mamma, te l'avevo già detto prima" precisò Diego, ma rispettosamente.
"Ah, già". Rocco soffocò una risatina. Il proposito di interessarsi a lui era fallito.
"Mi diverto molto meno a stare confinato là mentre voi avete i segreti" puntualizzò.
"Ma che termini difficili usi! Bravo. Non diventare sceccu como a to patri, ah" si complimentò Rocco, scherzoso, dandogli un buffetto sulla guancia e ricevendo in risposta un sorriso gigante. Pace fatta.
"Nessuno di voi due è un asino. Avanti, che vi preparo per cena?"
"Tu niente, mamma. Per oggi, ti sei agitata pure troppo. Papà ha detto che dobbiamo essere noi, gli uomini di casa, ad aiutarti, finché aspetti il fratellino" - Rocco e Irene finsero di ignorare il fatto che Diego si rivolgesse al nascituro unicamente al maschile, mentre sua madre ritenne più importante sollevare un sopracciglio in segno di rimprovero, per una ragione che il bimbo ben conosceva - "e va bene, anche dopo che il fratellino sarà nato, ti aiutiamo"
"Oh, così mi piacete. Il frigo e la dispensa li conoscete; io apparecchio e poi mi metto comoda comoda sul divano, ad aspettare di capire cosa mi combinerete" dichiarò Irene, facendo l'occhiolino a entrambi.
Poteva ritenersi decisamente fortunata. 

Mentre controllava da lontano che Diego non facesse danni, né si facesse male mentre maneggiava posate e stoviglie, sussurrò a Rocco per non farsi udire dal loro figlio iperattivo con l'udito affinato:
"Ma tuo figlio lo sa che tu sei stato un attore di fotoromanzi? Così, per curiosità"
"Eddai, per favore, non mi piacciono i segreti: me lo dite che succede?" protestò Diego, facendo il muso da cucciolo ferito.
"E va bene: stavo chiedendo a tuo padre se ti ha mai detto che, quando non eravamo ancora fidanzati, ha fatto l'attore di fotoromanzi" rispose Irene, furbamente ignorando le occhiatacce di Rocco.
"Ma davvero, papà? Forte! Ma ... Eri più bello di come sei adesso?" azzardò, già ridendo al pensiero del solletico che Rocco si premurò prontamente di riservargli. 
"Piccolo sfacciato! Ero bellissimo!"
"Confermo" annuì Irene, facendo l'occhiolino a entrambi.
"E ti divertivi?"
"No, in realtà. Non era proprio cosa mia. Però ho imparato tante cose"
"Per esempio?"
"Mai dare retta a tua madre quando fa l'amichevole ma non avete un rapporto stretto: potrebbe agire per secondi fini ... Ad esempio, la gelosia"
"Che significa, papà?"
"Eh, lo so io il ceffone che mi sono preso da una signorina che ho baciato senza colpo ferire" commentò Rocco, sospirando.
"Papà, non ho capito; non sei stato solo con la mamma?" chiese Diego, perplesso.
"Ufficialmente fidanzato sì, solo con me: ma il signorino ha avuto le sue avventure"
"Voglio saperle tutte quante!" supplicò Diego, eccitato.
"Beh, magari quando sarai più grande: ora a cucinare, forza" ordinò Irene, mentre lei e Rocco si scambiavano una linguaccia.
"Ma voi mi dite sempre che non si fa!"
"Se la merita!" dichiararono in coro gli altri due ... I veri bambini in quella stanza, forse.
"Aspettate un attimo ... Ah! La creaturina che abita la mia pancia e limita i miei movimenti da sei mesi a questa parte vorrebbe unirsi alla conversazione" li avvisò Irene, con una smorfia di fastidio. 
"Ehi, tu ca stai là dintra" si rivolse Rocco al pancione "se sei fimmina, ti prego, vedi di non diventare scalmanata como a to matri, ah" la ammonì, depositando un bacio che sperava arrivasse alla nascitura Diana Bice.
In quel momento, Irene realizzò pienamente che essere sposata e fare figli non significava rinunciare a sé stessa e ai propri interessi. Lei era sempre la stessa, e se aveva voglia di un momento per sé, se lo prendeva tranquillamente. Ma avere qualcuno - Rocco - con cui condividere tutto questo, era la parte migliore del viaggio.
-
Note:
*1 : Citazioni da 'Che Dio Ci Aiuti'.
   
 
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