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Autore: Cossiopea    30/08/2021    2 recensioni
[AVVERTENZA: questa storia contiene SPOILER per PJO, HoO, ToA]
[...] - Sei l'eroe di molti, Percy - continuò - La stima è cresciuta attorno alla tua persona, una fama di cui forse non ti rendi neanche conto. Ciò che hai fatto ha scaldato i cuori, illuminato gli animi di candida speranza, ma soprattutto ambizione. L'ambizione rende ciechi, aperti alle minacce più oscure, conduce verso mete ignote, dove la mente può perdersi.
- Continuo a non capire - farfugliai, gli occhi sgranati.
Ecate annuì pacatamente e il fumo si arricciò tra i suoi capelli scuri.
- Non devi capire - bisbigliò, come parlasse a se stessa - Non lo farai mai... I mondi in cui ti stai per inoltrare... - schioccò la lingua - non sono fatti per essere compresi.
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, Annabeth Chase, Nico di Angelo, Percy Jackson, Will Solace
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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10. jaSOn Grace


Era una bella sensazione, in fondo.

Capiamoci, non che morire possa ritenersi il massimo del divertimento, ma la consapevolezza che il mio sacrificio avrebbe condotto verso un più splendente futuro mi sembrava, in qualche modo, un modo degno di abbandonare questo mondo. Per andarsene, c’erano modi peggiori…

Certo, erano così tante le cose che non avevo ancora fatto… così tanti i progetti che mi ero figurato… a partire dal baciare Piper un’ultima volta, stringerla forte e sentire di nuovo il profumo dei suoi capelli, osservare da vicino il caleidoscopio dei suoi occhi. Vederla ridere

Mi sarei accontentato anche solo di battere il cinque con Leo, fargli sapere che è il migliore amico che io potessi desiderare. Che è un idiota. Che con la sua scomparsa mi ha fatto morire ben prima di farlo davvero. Ma che gli voglio talmente bene… che vedendolo potrei ucciderlo di nuovo… e poi scoppiare a piangere.

Mentre lo lasciavo, amavo il mondo. Lo amavo davvero.

Le urla mi sovrastavano. Forse stavo urlando io.

Oppure era solo Lester. Oppure Piper.

Non riuscivo a capirlo. C’era solo una cacofonia di fondo, per qualche ragione simile alle note di un pianoforte; un miscuglio di parole e sussurri, l’universo che mi salutava con un ultimo canto, un’ultima melodia, un’ultima voce…

E quando la lancia mi attraversò, quasi non la sentii. Avvertivo ancora il cuore sbattere contro le costole, il respiro della battaglia che tambureggiava nei polmoni. Lampi di luce, saette di furia e semplice gioia. Indefinita passione.

Il sangue proruppe a fiotti dalla ferita e gli occhi si annebbiarono. I sensi mi abbandonarono.

Attorno a me, la vita si confuse con il buio. I fulmini squarciarono la mia mente, fin quando la musica si fece troppo confusa.

E allora fu silenzio.

Piper, ti amo

E chiusi gli occhi.

– Jason… sei morto!

In un primo momento non capii.

Percy ansimava, sembrava sul punto di vomitare anche l’anima. Il suo viso era talmente pallido da somigliare ad una cerea maschera teatrale, come quella di un’angosciata marionetta.

Lo afferrai per le spalle e strinsi le labbra, tanto che la piccola cicatrice che le attraversava divenne soltanto una sottile strisciolina biancastra.

– Annabeth! – urlai di nuovo in direzione della porta aperta. I passi di qualcuno si stavano avvicinando, ma avevo l’orribile sensazione che fossero solo una derivazione dell’eco, che i soccorsi fossero ancora dall’altra parte della nave.

– Morto! – stava rantolando Percy. Aveva iniziato a piangere, e goccioloni trasparenti gli grondavano in cascate implacabili dai lucidi occhi verdi.

Mi morsi un labbro, sempre più preoccupato.

– Percy – lo guardai fisso e lui si irrigidì, se possibile impallidendo ancora di più – Io sono qui.
Il ragazzo emise un gemito strozzato.

Non l’avevo mai visto in quello stato. Sembrava così debole, spaurito davanti a qualcosa di fin troppo grande per lui.

L’avevo visto affrontare mostri assetati del suo sangue, nemici che io stesso avevo temuto. Sapevo che aveva sconfitto Crono, che aveva guidato la battaglia di New York, cavalcato pegasi inseguito da statue viventi… Caduto nel Tartaro…

Eppure adesso nei suoi occhi si rifletteva soltanto incontaminato terrore. Nei confronti di un nemico invisibile.

– Non sei qui! – balbettò il ragazzo, il corpo scosso da tremiti – Non puoi!!

Iniziò a dimenarsi con ferocia, costringendomi a mollare la presa sulle sue spalle, tentando di allontanarsi da me il più possibile e premendo la schiena contro la parete della nave dietro di lui. Vedevo il suo petto alzarsi e abbassarsi in un ritmo ansioso e mi pareva di udire il battito forsennato del suo cuore.

– Percy… – deglutendo, allungai lentamente una mano verso di lui, ma quello riprese a urlare qualcosa a proposito della mia morte e io mi ritrassi. Mi inumidii le labbra – Percy, va tutto bene…

– No! – gridò lui di rimando, le vene che si scurivano sulle braccia abbronzate come una trama di sottili serpenti – Vattene via!

– Che diamine succede qui?!

Sussultai apertamente, voltandomi di scatto verso la soglia della cabina, dove una Annabeth con i capelli arruffati, seguita da un Leo scandalizzato e una Piper imbronciata, se ne stava fissa impalata a osservare la scena con gli occhi fuori dalle orbite.

Non li avevo neanche sentiti arrivare, ma era probabile che gli strilli di Percy avessero sovrastato i loro passi.

Lo stesso semidio nevrotico sembrò immobilizzarsi all’entrata in scena della sua ragazza, le gocce di sudore cristallizzate in fronte.

– Annabeth… – farfugliai, stranito, guardandola come provenisse da un altro universo. Indicai Percy con un dito tremante – Per piacere, parlaci tu.

La ragazza sbatté le palpebre e aggrottò la fronte, spostando lo sguardo da me al Jackson aggrappato alla parete a mo’ di geco gigante (Frank ne sarebbe stato orgoglioso).

– Percy? – chiese avvicinandosi, mentre io facevo un passo indietro, andandomi a infilare tra Piper e Leo con un mentale sospiro di sollievo. La figlia di Atena tentennò – Tutto okay?

Gli occhi turbati di Percy schizzavano da me alla propria ragazza alla velocità della luce, come stesse assistendo ad una furiosa partita di tennis. Infine decise di concentrarsi su di lei.

– Annie – deglutì – Jason è… Noi siamo… – le parole gli morirono in gola. Ricominciò a piangere.

– Ma che gli è preso? – sussurrò Leo accanto a me, tirandomi una leggera gomitata.

Gli scoccai un’occhiata disperata.

– Non lo so – sibilai, con la sgradevole sensazione di essere tornato a mesi prima, quando la memoria di chi fossi mi aveva abbandonato e quell’unica risposta mi fuoriusciva dalle labbra simile ad un esasperante mantra.

Annabeth si arrampicò sul letto con cautela. Si accoccolò accanto a Percy, cingendolo con un braccio mentre lui si faceva scivolare lungo la parete di legno e ricominciava a singhiozzare contro la sua spalla, scosso da forti singulti.

La ragazza ci lanciò un muto ordine a labbra serrate. La durezza dei suoi occhi mi fece correre un brivido lungo la schiena.

Uscite.

– Dai, ragazzi, andiamo – bisbigliò Piper, prendendo per mano me e trascinando Leo per il colletto della t-shirt. Chiuse la porta con delicatezza e, una volta in corridoio, si strinse nelle spalle. Le sue iridi parvero accendersi di viola mentre mi guardava, la luce di due torce incrociate – Jason, che è successo? – quelle parole vibravano di minaccia e immediatamente mi sentii di difendermi alzando le mani davanti al viso.

– Pip, non ho fatto nulla.

Leo levò gli occhi al cielo.

– Certo – esclamò, sarcastico – E Percy ha iniziato a strillare da solo per un male invisibile – mi scrutò di sbieco – Dai, amico, che hai fatto per ridurlo così?

– Niente! – ripetei, alzando le braccia per poi farle ricadere stancamente lungo i fianchi – Mi ha visto e ha iniziato a dire che ero morto!

Il figlio di Efesto corrugò la fronte guardandomi strano. Mi afferrò un braccio e palpò l’avambraccio un paio di volte con il fare concentrato che aveva riparando qualcosa di complesso, infine lasciò andare l’arto e abbozzò un sorrisino ironico.

– Amico, a me sembri vivo – alzò un pollice – Assolutamente figo e pompato come al solito!

Mi imbronciai.

– Grazie, Leo – borbottai.

Piper si lasciò sfuggire un sorriso divertito, prima di adombrarsi di nuovo.

– Spero soltanto che non sia un altro eidolon – commentò, storcendo le labbra in una smorfia – Non credo saremmo in grado di gestirlo…

Sospirai e le rivolsi un sorriso stanco.

– Pip, la tua lingua ammaliatrice costringerebbe qualsiasi spirito a fuggire terrorizzato – mi sporsi verso di lei e le adagiai un bacio tra i capelli color caramello.

In risposta, la ragazza si accigliò, alzando la testa verso di me. I suoi occhi lampeggiarono ancora di viola. Un guizzo innaturale. Tremendamente sbagliato.

– Lingua ammaliatrice? – biascicò, come stesse masticando una parola nuova – Jason, di che parli?

– Cosa? – aggrottai io stesso la fronte, mentre un’orribile sensazione si impadroniva di me – Come fai a…? – fui attraversato da un improvviso tremito. Mi voltai verso Leo, che mi fissava perplesso – Leo, la lingua ammaliatrice! – scandii – Il suo potere da figlia di Afrodite…

– Afrodite? – esclamò la ragazza, il tono ora allarmato – E da quando?

– Jason – fece Leo, cauto – Lei è figlia di Ermes…

– Eh?! – balzai. Dentro di me i ricordi si sovrapposero, la logica si confuse in un rimbombo di immagini e suoni.

I concetti che costruivano gli dei, le essenze che componevano il loro essere, si intrecciarono in matasse di percezioni sconnesse, sibili discordanti, macchie di colori complementari.

La storia si riscriveva.

Guardai Piper mentre l’angoscia montava. Guardai le mie mani, le dita attraversate da fremiti, mentre le certezze collassavano.

– Non… non state scherzando… – non era una domanda. Non poteva esserlo. E questo mi faceva paura.

Leo inarcò un sopracciglio.

– Perché dovremmo? – chiese, dubbioso – Lei è sempre stata figlia di Ermes come tu sei figlio di Nettuno.

Sobbalzai, squadrandolo come se non lo avessi mai visto, lo sguardo attraversato da venature d’isteria.

– Ne-Nettuno?! – boccheggiai – Sei impazzito?! – sputai quasi indemoniato, facendo un passo indietro, l’equilibrio che mancava.

– Jason… – Piper mi posò una mano sul braccio. I suoi occhi viola parvero trapassarmi – Ti… ti ricordi chi sei?

Respirai.

Forse per la prima volta.

Aria gelida mi percorse le membra, strisciando nelle vie respiratorie e artigliandone con violenza le pareti.

Sentivo soltanto il corpo scosso da brutali brividi di gelo, ogni respiro era come un blocco di ghiaccio crollato sul petto.

Chi ero?

La domanda riverberò dentro di me, serpeggiando in cupi rimbombi. Perché avevo la sensazione di averla già posta…? Già sentita…? Sembrava appartenere a molto tempo prima. Quando ancora il fiato non provocava dolore. Quando ancora ero in grado di distinguere la luce.

Respirai. Un solo, basso, respiro di fondo, intervallato da gemiti strozzati. Anche se non ero sicuro che a piangere fossi davvero io…

– Jason.

Un tremito più brutale degli altri mi fece sfuggire dalle labbra un lieve lamento, simile ad un crepitio di gola, emerso con fatica dalle mie viscere impastate.

La nitidezza di quella parola mi fece del male.

Un nome… un qualcosa che sembrava provenire da una realtà al di fuori di questa. A cui io non appartenevo più.

Lentamente, molto lentamente, levai lo sguardo in direzione della voce.

I muscoli urlavano, lacerati da unghie invisibili. Gli occhi sembravano trafitti da spuntoni incandescenti quando tentai di aprire le palpebre.

Lacrime roventi mi rigarono le guance quando provai a mettere a fuoco.

– Jason… – c’era una vena di pietà, questa volta, a intaccarne il tono quieto. Una esile sagoma scura mi si avvicinava, facendosi sempre più vivida nella mia visuale annebbiata. Alle sue spalle, onde di capelli neri si agitavano nel vento – Jason… va tutto bene. Sei vivo…

Continuavo a piangere, incapace di fermarmi, incapace di comprendere.

Emisi un altro gemito, sentendo le ginocchia cedere sotto il mio peso. Ghiaia affilata mi penetrò la pelle mentre crollavo.

– Cosa…? – mi si mozzò la voce. Deglutii a vuoto – Cosa… è successo…?

Gli occhi di Lora divennero chiari d’improvviso; macchie di definito vuoto in un mondo di fredda foschia.

La ragazzina sorrise. Le serpi dei suoi capelli continuavano a ondeggiare nell’aria infuocata. Accasciato, ero alto come lei in piedi, ma in quale modo con la sua presenza parve sovrastarmi, provocandomi un altro groppo in gola, i pensieri accartocciati.

Allungò una piccola mano verso il mio viso e quelle sottili dita gelide, a contatto con la guancia, mi provocarono l’ennesimo brivido.

– Sei morto, Jason – sussurrò debolmente, mentre io ricominciavo a piangere – Ma va tutto bene… Adesso stai bene…

Abbassai le palpebre un istante. Una lacrima gocciolò dalle ciglia. Nell’oscurità, rumoreggiò un tuono.

Il lampo dell’oro… un netto dolore che esplode con un urlo al centro del petto… il baluginio di un paio di occhi disperati… E poi buio.

Tornai a guardare Lora, che continuava a sorridere. Ma senza gioia.

Dentro il suo viso fanciullo, scorsi me stesso, come un pallido riflesso, insieme a centinaia di altre anime perse. Le sue iridi spente, li contenevano tutti.

– Chi sei tu? – riuscii a bisbigliare, inghiottendo bile.

Per un istante, lei non rispose. Un bagliore violaceo le lampeggiava nello sguardo.

– Sono Lora – disse infine, il tono talmente infantile e pigolante da farmi sentire male – Chi altri dovrei essere?

Chi? Mi domandai, osservando con distacco una ciocca dei suoi capelli scuri scivolarle lungo lo zigomo, spazzata dalla brezza. Jason Grace, magari… Una folata di gelo mi investì, come richiamata da quel nome distante.

O quello sono io?

Non c’era differenza, notai con un fremito. Non ce n’era mai stata. Ero incastrato in quel luogo privo di schemi. Ero rinato, emergendo dalle ceneri ardenti della morte… Ma a che prezzo?

Il sorriso di Lora si allargò.

– Stai sognando, Jason – sibilò, sfiorandomi il mento con il pollice – Tu come gli altri… Ed è qui che io reiventerò la storia…

La nitidezza della mia visuale andava e veniva senza una logica. Riuscivo solo a scorgere l’arricciarsi frenetico dei suoi capelli attorno al visino a punta.

– Altri…? – mormorai, le palpebre che sfarfallavano, la lucidità che scemava.

– Altri – confermò lei, con la voce ormai ovattata – Tutti parte dello stesso sogno… Non è stupendo, Jason?

Gemetti, mentre sprofondavo nelle tenebre.

No, quell’ultimo pensiero fu scagliato dalla mia mente delirante un istante prima della fine, non se i sogni diventano incubi…

   
 
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