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Autore: Zobeyde    30/08/2021    13 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ELETTROMANZIA





«Odio questo costume» si lamentò Vanja, seduta su un baule in mezzo agli attrezzi di scena del retropalco. «È scomodissimo. E poi mi va largo sul seno, si vede tutto.»
Jim, che stava sbirciando il pubblico da uno spiraglio tra le quinte, le concesse un’occhiata veloce: la Principessa Sherazade indossava pantaloni di raso rosso e un reggiseno abbellito con frange e perline. In effetti, Penelope lo riempiva decisamente di più.
«Non mi ci far pensare» sospirò lui. «Penny aveva delle tette spettacolari!»
«Il solito idiota superficiale.»
«Non arrabbiarti, altezza. Poi ti vengono le rughe.»
Lei gli tirò un calcio, ma fortunatamente i suoi guaiti furono coperti dall’intro musicale arabeggiante che accompagnava l'alzarsi del sipario.
 Jim notò soddisfatto che il piccolo show di quella mattina aveva destato interesse: la Grotta delle Meraviglie non era mai stata così affollata, tanto che molti spettatori erano rimasti in piedi sul fondo della tenda per mancanza di sedie pieghevoli. L’interno era illuminato solo da una fila di lampadine e da qualche lucerna a olio che, assieme al sinuoso arco dipinto d'oro che incorniciava il palco, ai forzieri traboccanti di finte gemme e ai tappeti, contribuivano a trasportare i visitatori in una grossolana e stereotipata fantasia orientale.
L’entrata in scena del mago fu anticipata da due sbuffi di fumo viola. Jim avanzò a passo deciso sul palco, emergendo dai vapori dell’incenso con le braccia sollevate e l’espressione grave.
«Ben trovati, stranieri» esordì con voce piena, marcando le consonanti e allungando le vocali. Incrociò le braccia sul petto. «Il mio nome è Khazam, gran mago del sultano Abdul al-Qasam. In Oriente, ho appreso la raffinata arte delle illusioni. Sono giunto qui dopo un lungo viaggio, alla ricerca di avventurosi compagni che mi aiutino a compiere una nobile impresa…»
«Quanto la meni per le lunghe!» gridò una voce dal fondo della tenda, suscitando qualche risolino. «Ci vuoi far vedere qualcosa o no?»
«Sono alla ricerca, dicevo...», riprese Jim, «di impavidi compagni, perché dovrò affrontare molte prove per liberare la bellissima principessa Sherazade da questa caverna.»
«E faccela vedere allora!» fece un’altra voce. «Qui si diventa vecchi!»
«Pensa che a me è cresciuta la barba!»
Altre risatine e qualche fischio. Jim prese un gran respiro e invocò tutta la pazienza in suo possesso. In fondo, ci era abituato. Poteva capitare un buon pubblico, educato e curioso. Ma potevano capitare anche gli imbecilli; una volta, a Springfield, certi geni incoraggiati dal simpaticone di turno, gli avevano riempito il palco di pannocchie bollite. Dopodiché, si erano portati via parte della scenografia.
Con un gesto imperioso, il mago comandò agli assistenti di scena di portare sul palco una gabbia provvista di rotelle. Le fece compiere un giro su se stessa, per dimostrare che era vuota.
«Alakazam!»
La gabbia prese fuoco.
La reazione del pubblico non fu di particolare stupore, solo qualche strillo dalle prime file e risatine eccitate. Mentre le fiamme lambivano la gabbia, Jim vi gettò sopra una coperta argentata.
«Signori e signore. Ecco a voi, la principessa Sherazade!»
Tirò via la coperta: le fiamme si erano estinte e dentro la gabbia era apparsa Vanja, sorridente, seduta con le gambe incrociate. Dalla platea si levarono alcuni applausi.
«E ora, compagni viaggiatori» disse Jim, allungando una mano verso il pubblico. «Avrò bisogno di voi: donatemi la vostra energia, così che possa praticare l’incantesimo che libererà Sherazade…» 
«Perché non ci fai tutti felici e le fai sparire i vestiti?»
Ancora risate, fischi e un paio di commenti divertiti. A Jim si torsero le budella dal nervoso, mentre passava in rassegna gli spettatori in cerca di chi si stava divertendo a rovinargli la performance.
«Non farti provocare» bisbigliò Vanja. «Vai col prossimo numero. Questo gli piacerà.»
Lui tirò un altro respiro profondo. Dopodiché, issò sul palco una cassa di legno dipinta di nero e oro, e la calò sulla gabbia in modo da ...
Infine, si fece lanciare dal retropalco una scimitarra dal manico tempestato di lustrini, afferrandola al volo.
«Attenzione» avvisò il pubblico in tono severo. «Questo incantesimo richiede molta concentrazione, quindi vi prego di fare silenzio: un solo errore e Sherazade potrebbe rimanere atrocemente sfigurata.» Si punse un dito sulla punta della lama, per dimostrare quanto fosse affilata.
Rullo di tamburi. Il mago infilzò la scatola, facendo penetrare la lama fino all’impugnatura. Udì una signora in prima fila esclamare: “Ossignore!” e subito dopo scoppiare scioccamente a ridere.
Mentre il ritmo dei tamburi si faceva più incalzante, Jim aggirò la scatola e si fece lanciare una seconda spada, che inserì in modo tale da incrociarla con la prima.
«La Principessa Spiedino!»
Un’ondata di risate frantumò il pathos del momento. Era il colmo.
Jim si volse, furibondo, ma la luce di un riflettore lo abbagliò. Strizzò gli occhi, irritati dal kajal sciolto.   
«Ehi, se vuoi proporti come clown parla col Direttore!» gridò con rabbia. «Io qui sto lavorando!»
«Fai pena!»
«Ho pagato venticinque cent per questa merda?»
L’incanto si era ormai rotto. Jim si passò un braccio sulla fronte, per asciugare il sudore e riportare al suo posto il turbante che gli era scivolato sugli occhi.
Avrebbe voluto rispondere a tono, o uscirsene con qualche battuta brillante che riportasse la situazione sotto il suo controllo. Ma la verità era che non sapeva cosa fare.
«Pss, Jim!» Il viso preoccupato di Vanja fece capolino da dietro le quinte, dove era riemersa, perfettamente intera, dopo essere scivolata in una botola del palco nascosta sotto la gabbia. «Non ascoltarli» lo incoraggiò. «Sei bravo, continua.»
«Mi avevano promesso magia vera!» si lamentò dal pubblico; una manciata di popcorn atterrò sulle assi del palcoscenico, ai piedi di Jim. «Sei identico a tutti gli altri, rivoglio indietro i miei soldi!»
«Patetico!»
«Imbroglione!»
Altri muggiti di protesta si unirono al coro.
Jim avrebbe voluto poter scomparire per davvero. Non si era mai sentito così umiliato come in quel momento. A un tratto, gli sembrò che le risate del pubblico si allontanassero, coperte da un fischio prolungato nelle orecchie, e che il suo campo visivo si restringesse.
Quegli idioti non capivano niente. Un cazzo di niente. Volevano la vera magia? Era sul serio questo che aspettavano?
Uno degli assistenti di scena cercò di attirare la sua attenzione, domandando se dovesse far entrare l’armadio da cui Vanja sarebbe magicamente riapparsa.
Jim lo ignorò.
“Attieniti al programma”, aveva raccomandato O’MalleyGli aveva insegnato tutti i numeri che conosceva, la maggior parte dei quali ormai svelati o passati di moda. Ma quello non era il genere di pubblico che si accontentava di roba simile.
«Pensate bene a ciò che chiedete» mormorò il mago. Il suo volto si era fatto di colpo serio, inespressivo. «Con la vera magia non si scherza.»
Mentre il baccano attorno a lui aumentava, l’aria nella tenda si fece improvvisamente umida e fredda; un alito di vento gelido, entrato da chissà dove, scuoté le lampadine appese e fece tremolare le fiamme sulle lucerne fino a spegnerle. In alto, vicino al soffitto di tela, si udì un cupo brontolio come di tuoni, e il pubblico si guardò attorno domandandosi se facesse parte dello show.
Il mago congiunse le mani, come in preghiera: un bagliore rosso crepitò tra i suoi palmi e alcuni spettatori in prima fila sobbalzarono. Jim sfregò i palmi l’uno contro l’altro, mentre ogni singolo pelo sul suo corpo si drizzava e un sapore ferroso gli riempiva la bocca; dalle sue dita si sprigionarono una serie di piccole scariche elettriche colorate, che iniziarono a guizzargli intorno producendo un leggero ronzio.
Il panico fu istantaneo. Chi sedeva più vicino al palco si alzò in fretta, precipitandosi verso il fondo della tenda alla ricerca dell’uscita. I più temerari tenevano gli occhi incollati sulla scena, una ragazza, saltata in piedi coi capelli tutti elettrizzati, rovesciò i suoi popcorn sulla pelata del tizio seduto davanti.
Non fate più gli sbruffoni, eh?
Le luci sfarfallarono. Un paio di lampadine esplosero, diffondendo un forte odore di bruciato e una pioggia di vetri rotti e scintille si riversò su dei ragazzi raggruppati sul retro, che incespicarono gli uni sugli altri come bambini. I fulmini piovvero sul palco, scontrandosi, diramandosi, e schizzando da una parte all’altra come cavalli imbizzarriti. La pressione calò ancora, e Jim fu sopraffatto da un’enorme stanchezza; la sentì piombare tutt’a un tratto fin dentro le ossa, come se vi avessero versato del cemento liquido. Per un lungo istante, vide solo nero.
«Jim!» strillò Vanja. «Basta, incendierai tutto!»
Lui scosse la testa, imponendosi di tornare lucido; senza che se ne fosse accorto, aveva iniziato a sanguinargli il naso. Afferrò immediatamente una cesta di vimini e uno dopo l’altro, i fulmini vi strisciarono dentro come serpenti. Chiuse il coperchio e oscillò sulle gambe malferme.
Fu allora che un boato lo investì in pieno, stordendolo: gli applausi scoppiarono con veemenza, assieme a qualche risata di sollievo e molti si alzarono in piedi chiedendo a gran voce il bis. Jim asciugò rapidamente il naso insanguinato con la manica e si esibì in un profondo inchino.
EccoQuesto è l'effetto che dovrebbe fare la magia.

«Sei completamente uscito di senno?!»
O’Malley batté i pugni sul tavolo con tale energia da far traballare piatti e bicchieri.
Lo spettacolo si era concluso da poche ore; il campo, prima gremito di gente, era silenzioso e vuoto, fatta eccezione per un paio di addetti alle pulizie intenti a spazzare gli ultimi rifiuti. Un’aria calda risaliva dalla terra battuta dal sole per tutta la giornata e gli artisti, rinfrescati e cambiati d’abito, si erano raccolti sotto la tenda rossa della mensa, seduti su due file di panche ai lati di una lunga tavolata.
«Te l’ho detto: si stavano annoiando a morte!» esalò Jim, sfinito. Era tutta la sera che O’Malley non faceva che urlargli nelle orecchie e non ne poteva veramente più. Tutto quello che voleva era finire il suo stufato in santa pace; l’ultima parte del suo numero lo aveva letteralmente spompato e aveva una fame da lupi.
«Ti avevo avvertito!» O’Malley afferrò un pezzo di pollo fritto dal piatto e glielo puntò contro. «Niente improvvisazioni! E tu che fai? Ti metti a fare i fuochi d’artificio come fosse il Quattro Luglio! Sei un dannato incosciente! Avresti potuto far male a qualcuno, avresti potuto…»
«Ma non è successo niente!»
Gli altri membri della compagnia si limitavano ad assistere in silenzio a quello scambio di battute, guardando ora il mago, ora il Direttore, come a un incontro di ping-pong.
«Senti» disse il ragazzo, stancamente. «Non siamo in un polveroso buco di provincia, questa è New Orleans, gli standard sono diversi! Passano dozzine di compagnie all’anno come la nostra, credi che la gente di qui si lasci impressionare da un coniglio tirato fuori dal cilindro? La vecchia scuola è superata!»
«Questo non è un tuo problema!» O’Malley era sempre più paonazzo e aveva preso a sputacchiare pezzi di pollo sulla tavola. «Decido io come ti esibisci, è chiaro? Mio lo spettacolo, mie le regole.»
«Ma avevo tutto sotto controllo!»
«A me il numero è piaciuto» s’intromise Rodrigo, dando un morso al suo cosciotto. «È stato una vera bomba.»
«Sì, una bomba sul punto di esplodere!» strepitò O’Malley. «Hai rischiato di svelare a tutti il nostro segreto! Se fosse venuto qualcuno a fare delle domande?»
«Credevo che un vero mago non svelasse mai i suoi segreti.»
«Ma tu non sei un vero mago! Non per i gonzi là fuori!»
«I tuoi trucchi non bastano più, Maurice, sono anni che te lo ripeto» insistette Jim. «La gente vuole emozioni forti, saltare su quelle sedie del cazzo! Vuole magia vera! Io sono l’unico in grado di dargliela, se solo mi lasciassi provare qualcuno dei numeri a cui sto lavorando...»      
«E come giustificheresti un simile macello? Hai portato una tempesta di fulmini dentro un tendone!»
«Tesla.»
«Che roba sarebbe?»
«Nikosla Tesla non è una roba, è uno scienziato. Ho letto che ha costruito una macchina per trasmettere l’energia elettrica senza bisogno di fili…»
«Che assurdità!» O’Malley liquidò la cosa con un gesto stizzito. «Non se la berrebbe nessuno una fesseria simile.»
«Ciò che gli occhi vedono e le orecchie sentono, la mente crede» recitò Jim con orgoglio. «Così diceva il Grande Houdini!»
«Oh, non ricominciare con quel tuo Houdini del cazzo!»
«Sto solo cercando di dare una mano» protestò il ragazzo, cocciuto. «L’hai detto tu che siamo al verde, ho pensato che dando un po’ di pepe allo show avrei…»
«Non mi interessa quello che pensavi! Margot è sempre stata fin troppo tenera con te, ma io non ci metto niente a sbatterti in mezzo alla strada dove ti ho trovato!»
«Adesso vedi di piantarla, Maurice!» tuonò Dot, La Donna Barbuta, mentre passava alle loro spalle spingendo un carrello con un pentolone colmo di spezzatino fumante; era una signora tracagnotta, con una barbetta lanuginosa che pendeva dal mento e un paio di corna caprine che sporgevano tra i capelli biondi. «Smettila di assillarlo e fallo mangiare! Non vedi che il ragazzo è pallido come un lenzuolo?»
Poi si rivolse a Jim con fare materno. «Non ascoltare quel vecchio caprone, dolcezza. Mangia e rimettiti in forze.»
«Ma sì!» O’Malley gettò in aria le braccia. «Goditi la cena e serviti pure il dolce! Intanto, gli Accalappiatori potrebbero bussare alla nostra porta da un momento all’altro solo perché tu avevi voglia di fare lo spaccone! Forse a voi sta bene che vi chiudano in una gabbia per il resto dei vostri giorni, o che vi vendano a qualche fottuto laboratorio. Ma a me no, grazie!»
Bastò la parola “Accalappiatori” perché un brivido di paura serpeggiasse sulla tavolata; Vanja impallidì e Wilhelm emise un gemito. Antonio, il Lanciatore di Coltelli, baciò il crocifisso che portava appeso al collo e Rodrigo sputò indignato un «Hijos de puta!» Persino a Jim si chiuse completamente lo stomaco.
Gli Accalappiatori erano quanto di peggio potesse capitare a un Dimenticato: sul loro conto si sapeva ancora troppo poco, il che li rendeva ancora più spaventosi; c’era chi li identificava come un corpo d’élite dei Servizi Segreti, incaricato di catturare qualsiasi “mostro” in circolazione per farne esperimenti. Secondo altri, erano dei fanatici puritani che volevano dar vita a una nuova Inquisizione. Come per molti bambini del circo, anche per Jim erano stati i protagonisti della maggior parte delle storie dell’orrore sentite da piccolo.
«Là fuori girano tipi pericolosi» concluse O’Malley, passando in rassegna con lo sguardo tutti gli artisti, cupi e taciturni. «E ai fermi non importa un accidente di niente di cosa succede a quelli come noi. Perciò, se vogliamo sopravvivere faremo meglio a tenere gli occhi aperti e il profilo basso, siamo intesi?» Si rivolse in particolare a Jim. «Intesi, ragazzo? Al prossimo colpo di testa, ti lascio a terra. Fammi sentire che hai capito.»
Jim si rabbuiò. Pulì la bocca con un tovagliolo e lo sbatté con forza sul tavolo. «Ho capito.»

 
  
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