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Autore: myyouthisyourss    31/08/2021    0 recensioni
Quando la psicologa decide che ormai il suo aiuto non è sufficiente a placare le sue ossessioni e concorda con la famiglia un nuovo piano terapeutico, Beatrice viene portata in un centro per disturbi psichiatrici.
Quel luogo, inizialmente mal visto, diventa sin da subito la sua nuova casa e subito inizia a sentirsi parte di una piccola realtà fatta di persone con cui finalmente riesce a non provar disagio.
Beatrice non aveva mai avuto una vera vita, non aveva mai avuto dei veri amici,
il suo cuore non aveva mai battuto davvero, e quando conosce Damiano, inizia per la prima volta a sentirne le pulsazioni.
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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Al mio ingresso in clinica non fui sola, il passo che segnò il mio ingresso fu accompagnato dalla visione di una macchina grigia che si fermò proprio accanto a me. La portiera posteriore si aprì.

"Non preoccuparti mamma, lo mangerò, ci vediamo la settimana prossima".

Luce uscì da quella macchina con una piccola vaschetta tra le mani. Indossava una lunga gonna nera che copriva la magrezza delle sue gambe e una camicia dello stesso colore. A vederla così sembrava un angelo della morte. Se non l'avessi incontrata per puro caso, probabilmente non le avrei raccontato della mia uscita, ma a quel punto non valeva la pena star zitta.

"Che ci fai qui?" mi chiese quando la macchina dei suoi genitori aveva nuovamente attraversato il cancello.

"Alla fine sono uscita" le dissi timidamente mentre consegnavo il permesso che mi aveva dato Marzia per uscire, ero stata più che puntuale, erano solo le dieci e mezza.

"Hai convinto Alex ad uscire?" chiese mentre salivamo le scale.

"No, sono uscita da sola..." sorrisi. Avevo deciso che avrei taciuto riguardo il mio incontro con Damiano.

La sua camera veniva prima della mia, per cui, quando ci trovammo davanti la sua porta ci fermammo definitivamente.

"Bea sono molto stanca, vorrei chiederti cosa hai fatto ma non ce la faccio, ne parliamo domani, ti va?" mi disse mentre io leggevo nel contorno delle sue occhiaie una grande esasperazione.

"Tanto non ho nulla di cui parlare" le dissi sorridendo. "Posso chiederti cos'hai?" continuai poggiandole una mano sulla spalla.

"Nulla, ho solo mangiato..troppo" abbassò lo sguardo.

Riuscii a sentire la tensione che stava provando in quel momento e immaginai che il suo troppo era in realtà un pasto normale, forse anche meno. Continuava a stringere tra le mani la vaschetta con gli avanzi di ciò che non aveva mangiato, ma vedevo dal suo sguardo che avrebbe volentieri mollato la presa per rilassare i muscoli e liberarsi di tutto. Si vedeva lontano un miglio che era una delle sue serate no, le capitavano spesso e a volte ne usciva vincitrice altre invece si chinava con la testa nel lavandino cercando un vano modo per liberarsi di quell'enorme peso sullo stomaco.

"Promettimi che non vomiti" le dissi.

"E' proprio per questo che voglio dormire, almeno non ci penso"

Le credetti, avevo imparato a decifrare alcuni suoi comportamenti e avevo imparato a capire quando mentiva. Quando iniziava a giurare che non avrebbe vomitato ma allo stesso tempo aveva fretta di rintanarsi nella sua camera, significava che stava palesemente mentendo. Spesso io e Alex l'avevamo sorpresa in preda ad una crisi mentre qualche secondo prima aveva finto di stare bene e allora l'abbracciavamo, le tiravamo su i capelli e la mettevamo a letto assicurandoci che fosse tranquilla.

Quando invece non prometteva e non giurava usando paroloni, solo allora era sincera.

Senza troppi sforzi le credetti e la lasciai andare sia perché avvertivo la sua sincerità, sia perché sapevo che Alex l'avrebbe aiutata e avrebbe chiamato qualche infermiere in caso di eccessiva difficoltà.

Le diedi la buona notte e aspettai il suo ingresso, solo allora mi incamminai verso la mia stanza. Ormai non contavo più i passi che ci dividevano, erano sempre gli stessi su per giù, dipendeva principalmente dalla velocità con cui li percorrevo, ma non cambiava molto in realtà.

In camera aprii il quaderno che la mia psichiatra mi aveva affidato.

Accarezzai la mia foto che avevo accuratamente conservato li, in segno di sprono, lessi qualche frase o pensiero che avevo scritto giorni prima ed infine lessi la consegna del compito che avrei dovuto portare a termine in un mese se ci fossi riuscita. Ormai mancavano due settimane e non avevo ancora una risposta. Sfiorai con la penna la consegna, "Perché senti la costante esigenza di contare tutto?", non avevo ancora una risposta, neanche una stupida. Ogni sera mi accomodavo alla scrivania e rileggevo almeno dieci volte quella domanda, ma nulla era cambiato.

Ogni mattina dicevo alla dottoressa Pozzilli che quasi sicuramente non avrei trovato una risposta nei tempi prestabiliti e lei, col suo solito sorriso, mi tranquillizzava dicendomi e ricordandomi che non era necessario.

"Non sei a scuola dove hai scadenze rigide e severe" ripeteva sempre, e io mi facevo consolare e convincere da quella frase. La scrissi anche in una pagina del mio quaderno bianco proprio per non farmi prendere dall'ansia ogni volta che provavo a scrivere qualcosa o pensavo cosa scrivere.

Erano circa le due quando, quella sera, sentii dei piccoli colpetti provenire dalla mia porta.

Pensavo fosse Marzia, non era solita entrare nelle stanze di noi ragazzi ad un orario del genere, ma era l'unica persona che poteva concedersi di venire a trovarmi a qualsiasi orario. Pensai che volesse assicurarsi del mio rientro, anche se, non mi spiegavo come le fosse venuto in mente tre ore dopo la fine del coprifuoco.

Mi alzai dal letto e a piedi nudi raggiunsi la porta, aprendola. Non era Marzia, ma con mia grande sorpresa, era Damiano. Fui sorpresa di vederlo li, fuori la mia stanza. Era in tenuta da notte, con lo stesso pantalone a quadri con cui l'avevo conosciuto, l'unica differenza era che aveva avuto la decenza di mettersi una canotta bianca rispetto al petto nudo con cui si era presentato la prima volta tre settimane prima.

Lo feci entrare prima ancora che potesse proferir parola, avevo paura che qualche infermiere l'avesse potuto vedere. Alex diceva sempre che in realtà gli infermieri la notte erano poco vigili e non controllavano davvero come ci facevano credere, ma io cercavo sempre di evitare di mettermi nei guai, volevo vivere pacificamente con tutti, la prudenza non è mai troppa.

"Che ci fai qui?" chiesi trascinandolo dentro per un braccio.

"Oggi mi hai detto di essere venuta a parlare con me per rimediare a quando mi hai sbattuto fuori camera tua, giusto?"

"Si, mi avevi fatto una domanda e io senza risponderti ti avevo mandato via, ma che c'entra questo?"

"Tu hai rimediato, ora tocca a me. Stavolta sono venuto in questa stanza bussando e chiedendoti il permesso, senza intrufolarmi"

Ci guardammo per una frazione di secondi sorridendo.

"Ora, col tuo permesso, fumo una sigaretta e vado via. Non preoccuparti, non ritornerò più, è solo per riparare la situazione con cui ci siamo conosciuti". Mi fece segno con le spalle come a chiedermi il permesso per poter uscire fuori il mio balcone.

"Se ne dai una anche a me puoi restare quanto vuoi" gli risposi.

Non rispose, semplicemente mi porse il pacchetto invitandomi a sfilare quella che sarebbe stata la seconda sigaretta della giornata.

Per la seconda volta in quella giornata stavo fumando, e per la seconda volta mentre lo facevo mi domandavo di come si facesse a parlare in maniera negativa di quel ragazzo. La premura e l'interesse che aveva mostrato erano una vera e propria carezza per l'anima. Raramente mi era capitato di conoscere dei ragazzi così ben educati, così attenti ai dettagli, così tremendamente gentili. La prima sera avevo pensato che fosse arrogante e maleducato, in quel momento me ne pentii amaramente.

E' vero, se non mi fossi avvicinata io al bar, lui probabilmente non si sarebbe minimamente interessato di venir da me la notte, ma la vita funziona così. Non bisogna mai aspettarsi nulla dagli altri, e soprattutto, bisogna avere il coraggio di fare un passo in avanti nei confronti di chi ne ha bisogno. Spesso, le persone non sono menefreghiste come sembrano, Damiano mi era sembrato fortemente menefreghista e strafottente la prima volta (e forse un po' lo era davvero) ma era bastato un mio piccolo gesto, un mio piccolo passo, per vedere anche lui avanzare verso di me.

Ci sedemmo a terra sul mio piccolo balconcino mentre aspiravamo lentamente quella sigaretta.

"Voglio sapere qualcosa in più di te e della tua storia" gli dissi.

"Non che io sappia un granchè della tua" replicò aggiustando il piercing al naso.

"Allora facciamoci una domanda a testa, ti va?" chiesi.

"Ad un'unica condizione" prese una pausa "Accetto solo domande sul presente, niente domande su come ho iniziato con la droga o cose simili, okay?"

Per la prima volta gli sentii pronunciare la parola droga, e risuonava così forte detto da lui che per un attimo ebbi paura. Acconsentii e iniziai a pensare a tutto ciò che avrei voluto chiedergli.

"Da quanto tempo sei pulito?" chiesi.

"Due mesi. Perché ti interessa?" rise.

"Ti vedo così lucido, così sano" sapevo che non era una cosa molto bella da dire, soprattutto ad una persona conosciuta da poco, ma non riuscivo a non essere tremendamente sincera. Lui semplicemente rise, senza argomentare o aggiungere nulla.

"Ora tocca a me. Quanti tiri di sigaretta ho fatto? Li hai contati?"

"Ti sto dando la possibilità di chiedermi qualsiasi cosa e tu mi chiedi dei tuoi tiri di sigaretta?" li avevo contati, erano circa dieci e la sigaretta era quasi finita.

"Stavo scherzando" disse aspirando l'ultimo tiro e lanciando la sigaretta. Poggiò una mano sul mento, si tirò i capelli dietro e assunse un'aria pensierosa. Questa era una grande differenza tra me e Damiano. Io sapevo perfettamente le prossime domande che gli avrei fatto, lui doveva ancora pensarci. Dava quasi l'impressione di una persona che vive il momento, a differenza mia che invece ero abbastanza maniaca del controllo e sapevo quasi sempre cosa avrei fatto o cosa avrei detto.

"Hai mai pensato di voler morire?"

"Mai. Mi sono sentita sbagliata, inadeguata, esclusa, diversa, alienata, ma mai per un attimo ho pensato di morire. Voglio riprendermi e vivere la mia vita senza ossessioni e in piena autonomia." Risposi con una velocità che sorprese anche me stessa, come se mi fossi preparata la risposta, ma la verità è che ero tremendamente sicura e ferrata sull'argomento.

Mi sorrise annuendo con la testa, un po' come se mi stesse capendo, un po' come se la pensasse in maniera diversa dalla mia. Toccava a me.

"E' vero che spesso hai crisi d'astinenza?"

"Verissimo, sono i momenti peggiori, ma non mi va di approfondire. Ogni giorno devo assumere dei farmaci che mi tranquillizzano ed evitano le mie crisi e ci riescono, ma spesso non bastano." rispettai la sua decisione e non proseguii ad approfondire l'argomento.

"Non voglio farti alcuna domanda, ti concedo l'ultima" mi disse.

"Hai degli amici qui?" chiesi.

"Amici è un parolone, diciamo che non sono un recluso, pensavi questo?"

"No, è che sono due settimane che sono qui e non sono abituata a vederti in giro"

"Solo perché ero dai miei. Io sono ovunque qui dentro, non è un caso che tu sapessi la mia storia già da prima di parlarmi" sorrise alzandosi e sistemandosi i pantaloni.

Mi porse una mano per aiutarmi ad alzarmi, gliela strinsi e mi tirai su e poi rientrammo in camera mia. Mi sentivo un po' imbarazzata a dirla tutta, la sua presenza faceva rumore dentro me. Da un lato la sensazione di essere con un amico, dall'altro lato invece, la sensazione di restare in camera con un ragazzo così particolare e affascinante mi lusingava ed imbarazzava. I miei amici mi avevano raccontato di Damiano, delle sue crisi, dei suoi problemi con la droga e dell'aggressione alla sua ex ragazza, avevano però omesso della bellezza di quel ragazzo. Non mi capacitavo di come, a nessuno di loro, soprattutto Alex che faceva continuamente apprezzamenti sui ragazzi, era sfuggito che nonostante tutti i suoi problemi, sembrava scolpito da madre natura.

Forse lo vedo solo io, pensai, ma non poteva essere così. Era oggettivamente bello, aveva tutto al posto giusto, persino la sua voce era bellissima col suo accento fortemente romano. Pensai per un attimo a qualche difetto e l'unico che gli riuscii a trovare fu quella piccola incurvatura del naso, che sul volto di qualcun altro avrebbe probabilmente causato problemi, ma su di lui stava benissimo. Non era un difetto, ma solo una delle sue tante caratteristiche.

Guardò l'orologio, che segnava le tre e un quarto, prima di dirmi che dato l'orario sarebbe andato via.

Gli aprii la porta anche se avrei continuato volentieri a chiacchierare con lui.

"Bea, sei proprio una bella persona, sai cosa significa il tuo nome?" chiese.

"No, in realtà no, ma credo abbi a che fare con la beatitudine"

"Beatrice deriva dal latino, beaticem, significa colei che rende felici, colei che da beatitudine. Così mi hai fatto sentire oggi. E' stato molto bello chiacchierare con te. In questo posto così strano, mi hai fatto sentire coi piedi per terra"

Sorrisi timidamente.

"Ti ringrazio" sorrisi.

Mi salutò con un accenno di mano, si voltò e si incamminò nella sua stanza accanto alla mia. Prima che potesse aprire la porta, lo fermai.

"Damià.." lo chiamai, si girò.

"Anche tu mi hai fatto sentire coi piedi per terra".

Mi guardò per un secondo, mi sorrise e senza proferir parola aprì la porta della sua camera e si rintanò in quelle quattro mura che conoscevano perfettamente la sua storia.

Quella notte non chiusi occhio, così come la maggior parte delle notti trascorse li. Decisi di scrivere sul mio diario terapeutico.

 

   
 
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