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Autore: Rosheen    01/09/2021    0 recensioni
Si avvicinò alla finestra: Ethan ed Ezran stavano facendo rotolare una palla di neve, Drefan e Devlan, invece, erano due macchie scure e indistinte che si azzuffavano per terra.
Non erano suoi. Lui aveva sempre avuto ragione. Lei non c’entrava niente con loro, con quella famiglia. Era un’estranea, un fantasma, un’ombra, un’intrusa.
Era fuori luogo, fuori controllo…

***
Ci sono notti in cui gli incubi di Ashara prendono vita, in cui si ritrova a pensare che, forse, sarebbe stato meglio se non fosse mai entrata a far parte di quella famiglia nella quale finirà sempre per sentirsi un'estranea.
***
Questa storia fa parte della serie "Ashara Laveau".
Nella sezione dedicata alla serie troverete in descrizione un riassunto sul passato di Ashara utile per orientarsi nella comprensione della storia.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ashara Laveau'
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INVERNO

 
 
 
 
 
Correva lontano, cercava di scappare. Forse erano passate ore, forse solo minuti. Correva, ma non andava da nessuna parte. Il cielo era scuro come la pece, privo di luna o stelle. Attorno a lei vedeva degli alberi neri, marci, scheletrici che allungavano le loro nodose dita di fumo verso i suoi abiti, la graffiavano, le strappavano la pelle. Ad ogni suo passo sul terreno si allargavano macchie d’inchiostro.
Correva, ma erano sempre più vicini. Le furono addosso. Dieci, cento, mille mani: la colpirono, la graffiarono, le lacerarono gli abiti. Poteva sentire il dolore di ogni colpo, l’odore del sangue, la pelle che le veniva strappata via. Sopra, intorno, dentro di lei, le mani erano ovunque. Cercò di urlare, le tapparono la bocca. Riusciva a vederli, a riconoscerli: i volti neri, i corpi impalpabili come fumo, gli occhi rossi come braci. Le sorridevano coi loro denti bianchi... no, zanne, non denti.
Le morsero i piedi, le gambe, le braccia, la schiena. La presero, la costrinsero a mettersi supina; uno di loro affondò le zanne nella sua gola.
 
 
 

*   *   *

 
 
 
Ashara si svegliò di soprassalto. Aprì gli occhi di scatto, tappandosi la bocca e pregando di non aver urlato, che nessuno l’avesse sentita. La stanza era immersa nel buio, riusciva a stento a riconoscere i contorni della mobilia e degli oggetti intorno a lei. Qualcosa ai piedi del letto attirò la sua attenzione: una figura nera, fumosa, con occhi rossi come braci e un sorriso bianchissimo la stava fissando.
Si tirò le coperte sopra la testa e chiuse gli occhi, cercando di controllare il respiro. Il cuscino era bagnato, doveva aver pianto nel sonno. Iniziò a tremare e non a causa del freddo che tagliava l’aria. Non è reale, non è reale, non è reale…
Se lo ripeteva come una litania ogni volta e non funzionava quasi mai. Sentì il materasso abbassarsi sotto il peso della figura. Non è reale, non è reale, non è reale…
Una mano grossa, gelida si posò sulla sua nuca, sopra le coperte e iniziò ad accarezzarla. Non è reale, non è reale, non è reale…
La mano sparì. Ashara riaprì gli occhi, scostò le coperte e si mise a sedere. Le era parso di aver sentito un rumore, come un leggero pianto bucare il silenzio della notte. Tese le orecchie in ascolto, chiudendo gli occhi per concentrarsi meglio e lo sentì di nuovo.
Calciò lontano le coperte e scese dal letto, rabbrividendo quando toccò coi piedi nudi il pavimento gelido. Il carro era buio come può esserlo una notte d’inverno, quando il cielo è senza stelle e sembra che la luce non possa più tornare, ma sapeva dove andava e vi si diresse a colpo sicuro. Non bussò neanche, aprì semplicemente la porta, facendo attenzione a non far cigolare eccessivamente la maniglia ed entrò nella stanza.
Ezran era solo un leggero rigonfiamento sotto le pesanti coperte che si alzava e abbassava velocemente. Tremava, scosso dal pianto e dal respiro spezzato. Anche così, però, non faceva quasi rumore, Ashara riusciva a malapena a sentirlo pur trovandosi a pochi passi da lui. Non riusciva proprio a spiegarselo come facesse a sentirlo ogni volta: le loro camere non erano vicine e a parte qualche rara occasione Ezran era sempre molto silenzioso e discreto in situazioni come quella. Forse, si era detta, il suo udito si era modificato nel corso degli anni, adattato apposta solo per sentire lui. Oppure era che spesso, più volte di quante avrebbe voluto, anche lei non riusciva a dormire, anche lei si ritrovava sveglia nel cuore della notte, ridestata da un brutto sogno che la seguiva anche ad occhi aperti, ed era l’unica in grado di sentirlo piangere. Una spiegazione logica ancora non l’aveva trovata, ma non le premeva nemmeno troppo starla a cercare: qualunque fosse il motivo se poteva avvertirla quando Ezran stava male, quando aveva bisogno di lei e le dava la possibilità di intervenire, allora era un buon motivo.
Ashara si avvicinò al letto, afferrò il lembo delle coperte e le scostò piano. Ezran aveva gli occhi chiusi e il viso rigato di lacrime, le ginocchia erano abbracciate al petto e tremava vistosamente. Aveva il respiro pesante, strozzato, come se faticasse a respirare.
Il bambino non aprì gli occhi quando tirò via le coperte per scivolare accanto a lui e nemmeno quando le sollevò di nuovo fino alle loro spalle. Ashara gli mise un braccio dietro la schiena, stringendolo in un abbraccio, accarezzandogli la nuca con l’altra mano e appoggiò il mento sopra la sua testa. Ezran reagì immediatamente al suo tocco nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla e allungando le braccia per stringerla, per aggrapparsi forte a lei.
Rimasero in quella posizione per quelle che parvero delle ore. A poco a poco il respiro di Ezran rallentò, fino a tornare regolare. Smise di tremare, ma non di tenerla stretta. Smise di piangere, ma non di nascondere il viso fra i suoi capelli, che sentiva essere freddi e bagnati di lacrime. Ashara continuò ad accarezzargli dolcemente la schiena finché non si fu calmato, sussurrandogli ogni tanto qualcosa all’orecchio per rassicurarlo.
Alla fine Ezran scostò il viso e la guardò negli occhi; riusciva a stento a vederlo, ma poteva immaginare perfettamente la sua espressione. Doveva essersi accorto che anche lei aveva pianto, perché allungò una mano per accarezzarle la guancia. Ashara sorrise e gli asciugò le lacrime passandovi sopra la manica del vestito, e quando ebbe finito si allungò per dargli un bacio sulla punta del naso.
«Hai freddo?» gli domandò. «Hai le mani gelate.»
Ezran scosse la testa. «T-t-tu?»
«Io sì, un freddo da morire! Senti qua» e gli toccò i piedi con i suoi.
Il bambino li ritrasse immediatamente, lanciando un gridolino di protesta accompagnato da una risata. «Da-dai, Ashara, lo-lo sai che mi dà fa-fastidio.»
«È proprio per questo che lo faccio» e gli pizzicò delicatamente un fianco, un punto che sapeva essere per lui dolente, facendolo tremare dal solletico.
Ezran rispose all’attacco e fu guerra aperta: i due si fecero il solletico per due minuti buoni, cercando di parare i colpi dell’avversario e di trovare il momento giusto per penetrarne la guardia. Fu Ashara a porre fine alla lotta dichiarando resa, e quando Ezran stava già per cantare vittoria allungò le braccia per stringerlo a sé, schioccandogli un bacio sulla guancia.
«Stai meglio adesso?»
Ezran sorrise e annuì, ma era uno di quei sorrisi tristi che faceva solo per cortesia, per non attirare ulteriori preoccupazioni e non dare un dispiacere.
«Vuoi tornare a dormire?»
Ezran annuì di nuovo, questa volta con meno convinzione.
«Sai che ti dico? Io non ho per niente voglia di tornare a dormire, anzi ormai sono sveglissima! E ho fame, pure, ho voglia di mangiare qualcosa.»
«M-ma è tardi, se facciamo ru-rumore e ci scoprono finiremo ne-nei guai.»
«E allora dobbiamo essere silenziosi come formichine.» L’espressione di Ezran non era ancora del tutto convinta. «Pensa, due belle tazze di latte caldo con cannella e miele, e da parte abbiamo quei biscotti con le gocce di cioccolato che hai preparato tu. Non vorrai che Devlan li finisca tutti da solo, vero?»
Ora, Ezran aveva l’espressione di chi sta soppesando seriamente la proposta ed è sul punto di cedere.
Ashara scivolò fuori dal letto per completare l’opera. «Be’, io vado a farmi una bella scorpacciata di latte e biscotti. Se tu non vuoi venire, mi toccherà mangiarli tutti da sola immagino…»
Il bambino scattò fuori dalle coperte. «No no no no, as-aspettami, vengo con te!»
 
 
 

*   *   *

 
 
 
Ezran versò il latte nelle tazze stando attento a non scottarsi e aggiunse un pizzico di cannella in polvere. Ashara aveva disposto i biscotti con le gocce di cioccolato in un piatto che aveva sistemato al centro della tavola e recuperato il barattolo col miele di acacia. Ezran si infilò subito un biscotto in bocca mentre Ashara mescolava una generosa cucchiaiata di miele nel latte caldo. Dalla tazza si alzava un gran fumo, il latte doveva essere bollente e infatti sulla superficie aveva già formato una pellicina che la ragazza rimosse col cucchiaio.
C’era qualcosa di magico nell’essere svegli di notte, quando tutti gli altri dormono e il silenzio cattura ogni suono, ogni parola, ogni gesto e li restituisce ancora più chiari, più intensi. È come quando capita per sbaglio di ascoltare una conversazione privata o di vedere qualcosa di proibito, è come essere messi a parte di un segreto che nessun altro conosce e che devi proteggere a tutti i costi.
Fuori l’aria era fredda, tagliava il respiro con una lama affilata come quella di un rasoio cercando di insinuarsi con le sue lunghe dita oltre i vetri della finestra alla ricerca di una fessura, di una via d’accesso; il cielo era completamente nero, coperto da una pesante coltre di nubi. Ashara aveva acceso il fuoco del paiolo e un piacevole tepore riscaldava la cucina, un piccolo porto sicuro in mezzo al gelo dell’inverno. Le coperte che si erano messi sulle spalle erano calde e morbide e li abbracciavano facendoli assomigliare a due bruchi avvolti nel proprio bozzolo.
Ashara guardò fuori dalla finestra e prese un profondo respiro. «Sento profumo di neve.»
Ezran sgranò gli occhi e non aspettò nemmeno di aver finito di masticare per chiederle: «Pe-pensi nevicherà?»
«È sicuro. Non sbaglio mai con le previsioni del tempo.»
Ezran le rivolse uno sguardo imbarazzato.
«D’accordo, forse ogni tanto non ci azzecco, ma fidati di me, questa volta ne sono certa: nevicherà.»
«Mi pia-piacerebbe tanto, adoro la neve!»
«Lo so, cucciolo, a tutti piace la neve.»
«A t-te no però.»
«Questo perché io sono una persona fuori dal comune.» Ashara assaggiò un biscotto: era veramente buono, quel bambino ci sapeva proprio fare quando si parlava di cibo. «Allora… vuoi parlarmi del tuo sogno?»
Ezran abbassò gli occhi sulla sua tazza. «No-non ricordo molto…»
«Lo sai che non devi, se non vuoi.»
Il bambino sembrò esitare. Ashara poteva quasi sentire i suoi pensieri, toccare la sua paura di riportare a galla quegli incubi che gli davano il tormento quasi tutte le notti, il timore di vederli concretizzarsi alle sue parole. Erano anche le sue paure, i suoi timori. Il terrore di non potersene liberare mai, neanche ad occhi aperti, di vederli prendere forma sotto le sue mani, di sentire il loro respiro ai piedi del letto.
«E-ero da solo» soffiò Ezran con un filo di voce. «La mamma, Ethan, Dre-drefan, tu, Devlan… spa-sparivate tutti e mi lasciavate solo. No-non sapevo dov’eravate, do-v’ero… e-ero solo…»
Ezran concluse il racconto a fatica, con la voce spezzata dalle lacrime. Ashara gli fece segno di raggiungerla; il bambino saltò giù dalla sedia e le si avvicinò. Lo sollevò senza sforzo, come se fosse stato poco più pesante delle coperte nelle quali era avvolto, e lo fece sedere sulle sue ginocchia, tenendolo stretto fra le braccia perché non perdesse l’equilibrio. Aveva qualche briciola appesa alla guancia e Ashara gliela pulì.
«Lo sai che era solo un sogno, vero? Che non era reale?» Ezran annuì con poca convinzione. «Ma ti fa paura lo stesso, giusto?» Annuì di nuovo. «È perché credi che possa accadere davvero? Credi che possa diventare reale?»
«Ho pa-paura che mi lascerete.»
«È normale, Ezran, avere paura di restare soli. Ce l’hanno in tanti questa paura; anch’io ce l’ho.» Gli occhi del bambino allacciarono i suoi. «Ma tu hai tante persone che ti vogliono bene: la mamma, i tuoi fratelli, me. Non rimarrai da solo, mai.» Gli diede un buffetto sulla guancia. «Capito?»
Ezran annuì e Ashara appoggiò la fronte sulla sua, facendo accarezzare le punte dei loro nasi. «Bene. Ricordalo sempre, quando avrai dei dubbi o farai un altro brutto sogno. Non ti lascerò mai solo. E adesso scendi, quei biscotti stanno cominciando ad appesantirti: non riesco più a sentirmi le gambe.»
Il bambino annuì e si avviò verso la sedia, ma poi cambiò idea e le prese la mano: era piccola, calda e appiccicosa di biscotto. «Tata?»
Ashara sorrise: non la chiamava così molto spesso, ma quando lo faceva sentiva una strana sensazione di calore allargarsi nel petto. «Sì, cucciolo mio?»
«Ne-neanche tu sei sola. Hai no-noi. Hai me.»
Il calore si allargò, dal petto risalì alla gola, dove rimase incastrato insieme alle lacrime. Un fiocco di neve si schiantò contro la finestra, lasciando dietro di sé una piccola chiazza bagnata: aveva iniziato a nevicare.
 
 
 

*   *   *

 
 
 
Da quel momento qualsiasi buon proposito di convincere Ezran a tornare a letto era divenuto impossibile. Il bambino aveva spostato una sedia sotto la finestra ed era rimasto in ginocchio a osservare con occhi meravigliati la neve turbinare in enormi fiocchi, attecchendo al suolo con una rapidità allarmante. Il cielo da nero era diventato praticamente bianco da gran che nevicava e la temperatura cominciava già a scendere. Ashara ravvivò il fuoco gettando un altro ciocco in pasto alle fiamme, che danzavano in alte lingue gialle e rosse. L’odore di legna bruciata era pungente e soporifero, lo scoppiettare delle braci come una dolce ninna nanna.
Il legno del corridoio scricchiolò. Ashara, accoccolata sulla sedia, si girò per osservare il nuovo arrivato pentendosene subito dopo. Era Drefan: doveva aver avuto anche lui una notte turbolenta a giudicare dagli occhi cerchiati di viola, i capelli completamente in disordine e l’espressione ancora più incazzata del solito.
«Perché siete svegli?» domandò, la voce ancora arrochita dal sonno.
«Dre-dre-dre-dre-dre-drefan!» urlò Ezran, che non si teneva più dall’emozione. «C’è la neve!»
«Mh… sì, ho visto» rispose con tono più dolce. Si avvicinò al tavolo e prese un generoso pugno di biscotti che cercò con successo di cacciare tutti insieme in bocca.
Ezran si voltò per guardarlo e si mise a ridere.
«Be’, che c’è?» fece Drefan, guardingo.
«Hai la barba piena di bi-biscotti!»
«Ah» e se la spazzolò con un paio di manate mandando le briciole sul pavimento e attirando su di sé l’espressione contrariata del fratello. «Dopo pulisco.»
Ezran gli riservò un’occhiata severa, ma non commentò oltre. «Vu-vuoi una tazza di latte? Te lo sca-scaldo subito.»
«No, tranquillo, sono a pos…» Ezran aveva assunto la tipica espressione dispiaciuta di quando gli veniva negata la possibilità di cucinare o comunque maneggiare del cibo, foss’anche solo premurarsi di versare un bicchiere d’acqua. «Anzi sì, sì, ne vorrei una, grazie.»
Ezran sorrise e corse a scaldare il latte. Ashara tenne gli occhi fissi sulla finestra, sui fiocchi di neve che vorticavano impazziti; non voleva incrociare il suo sguardo, non voleva dargli alcun motivo per rivolgere le sue attenzioni su di lei, nessuna scusa per farsi insultare, non in quel momento, non avrebbe avuto la forza di ribattere. Fuori, nell’oscurità della notte, le sembrava quasi di poter scorgere un paio di occhi rossi che la osservavano, o forse era solo un gioco di luci creato dal riflesso del fuoco sul vetro.
Drefan si scolò velocemente la tazza che Ezran gli porse e si alzò per recuperare la pipa di Devlan, avvicinandosi per un attimo al fratello per scompigliargli i capelli. Nessuno dei tre osava aprire bocca, ognuno ben consapevole quanto in quella situazione precaria fosse il silenzio il loro miglior alleato.
Il pavimento del corridoio scricchiolò di nuovo: Ethan barcollò verso la cucina, cacciando un sonoro sbadiglio. «Come mai siete tutti svegli a quest’ora? Ho confuso il giorno con la notte?» domandò, strascicando le ultime parole. Il suo sguardo cadde sul piatto di biscotti e sul bricco di latte ancora caldo. «Latte e biscotti! Ora sì che si ragiona.» Si infilò un biscotto in bocca e mentre andava a recuperare la tazza notò quello che Ezran guardava così intensamente, il naso spiaccicato contro il vetro. «Uuuh, la neve!»
«Abbassa la voce, cretino» lo rimbeccò Drefan. «O sveglierai la mamma.»
Ethan lo ignorò e si lanciò al fianco del fratello a osservare la nevicata.
Drefan emise un verso molto simile a un grugnito, si bardò nel mantello, tirò su il cappuccio e uscì, tenendo la pipa saldamente ancorata alle labbra.
Pochi istanti dopo, a dargli il cambio, fece capolino dalla sua stanza Devlan. «Ditemi chi devo strozzare per avermi svegliato.»
Ashara gli rivolse un sorriso innocente. «Dev’essere stato Drefan, è appena uscito tirandosi dietro la porta.»
«È uscito con questa tormenta? Sta cercando di trasformarsi in un pupazzo di neve?»
«No, è uscito a fumare.»
Devlan impiegò qualche istante prima di collegare tra loro tutti i pezzi. «Con la mia pipa? Oh, adesso mi sente!»
«Avrai modo di vendicarti più tardi, lascia che si congeli ancora un po’» e allargò un braccio in un gesto eloquente.
Devlan non sembrava del tutto convinto, ma si sedette comunque vicino a lei. Ashara gli passò la coperta sulle spalle, avvolgendoli entrambi e si accoccolò contro di lui; Devlan allungò una mano verso il piatto di biscotti e parcheggiò l’altra, nascosta dalla coperta, sul suo seno.
«Com’è che siete tutti svegli?» le domandò.
Ethan fu più veloce a rispondere. «Io ho sentito dei rumori in cucina e mi sono svegliato, e ho trovato gli altri qui a bere e mangiare.»
«E temendo ti escludessero sei venuto subito a ficcare il naso, eh?» ghignò Devlan.
«Non è vero!» si difese Ethan.
«È colpa mia» intervenne Ashara. «Non riuscivo a dormire e sono venuta qui per prendere un bicchiere d’acqua. Solo che devo aver fatto un po’ troppo rumore perché ho svegliato Ezran. Poi abbiamo visto la neve e abbiamo deciso di rimanere svegli a guardarla.»
Ezran, il muso ancora spiaccicato contro il vetro, non disse niente, ma Ashara vide le sue spalle incurvarsi. Ethan e Devlan invece parvero bersi alla grande la sua bugia perché non aggiunsero altro.
La neve aveva iniziato a rallentare: scendeva ancora in fiocchi grandi come piattini, ma era meno fitta e volteggiava più dolcemente prima di toccare terra.
Ognuno si servì un nuovo giro di latte e biscotti, che stavano diminuendo a una velocità allarmante. Ethan ed Ezran iniziarono a elencare ad alta voce tutto quello che avrebbero potuto fare il giorno dopo: una lotta a palle di neve, i pupazzi di neve, gli angeli di neve, gare con lo slittino sulla neve…
La mano di Devlan, protetta dalla coperta, si era fatta strada sotto i suoi vestiti e le accarezzava la pelle, facendola rabbrividire; Ashara aveva approfittato di un momento di distrazione dei fratelli per avvicinarsi al suo orecchio, mordendogli il lobo, sentendo il suo corpo irrigidirsi.
Ethan ed Ezran parlavano a bassa voce, dandosi leggere gomitate nel fianco e lanciandole occhiate di sottecchi da sopra la spalla. Ezran saltò giù dalla sedia e le venne vicino. «Ehm… A-ashara?»
«Sì, Ezran?» Il bambino aveva assunto quell’espressione angelica che faceva ogni volta che voleva chiedere un favore.
«La ne-neve si è fermata. No-non nevica più tanto.»
«Sì, lo vedo.»
«E-ecco…» si girò per guardare Ethan, che gli fece un cenno di incoraggiamento. «Pe-pensi che po-possiamo andare fuori a giocare?»
«Adesso?»
«Ehi» saltò su Devlan, «sentite un po’, com’è che voi due chiedete il permesso a lei e non a me? Sono io il fratello maggiore!»
«Perché Ashara è molto più matura e responsabile di te» intervenne Ethan. «E se lei dice che si può andare, allora va bene.»
«Vieni un po’ a ripetermelo in faccia, tappo.»
«Non sono un tappo!»
«Ma se sei più basso di Ashara.»
«Fatela finita, voi due!» tuonò lei. Ezran continuava a guardarla con occhi speranzosi. Sospirò: quando faceva quella faccia, non riusciva proprio a dirgli di no. «Copritevi bene e cercate di non fare troppo rumore, non vorrei svegliaste tutta la carovana.»
Ezran ed Ethan saltarono di gioia e corsero a recuperare mantelli, sciarpe, guanti e berretti. Devlan si stiracchiò e si alzò dalla sedia, approfittando del fatto che fossero rimasti soli per baciarla.
«Vai anche tu?» gli domandò.
«Certo! Pensi mi lascerei sfuggire l’occasione di prendere Drefan a palle di neve in faccia? E poi devo recuperare la mia pipa. Tra l’altro, non capisco perché non se ne compri una.»
«Perché così non potrebbe più darti fastidio.»
«Mh, già, dev’essere per questo.» Devlan imitò i fratelli andando a recuperare degli abiti più pesanti in camera sua.
Ashara rimase sola. Si tolse la coperta dalle spalle e la ripose sulla sedia, rabbrividendo per l’improvviso cambio di temperatura, e ripose nella dispensa il barattolo del miele e quello della cannella. I tre fratelli uscirono dalle proprie camere e corsero verso la porta d’ingresso; Ethan aveva quasi messo piede fuori per primo, ma Devlan lo tirò per la sciarpa, facendogli fare un mezzo giro su se stesso, e ne approfittò per saltare fuori dal carro. Ezran, bardato da capo a piedi, era così grosso da assomigliare a un nano, barba a parte. Fece per raggiungere i fratelli, ma si fermò a guardarla. «T-tu non vieni?»
«No, cucciolo, lo sai che non mi piace la neve. E poi qualcuno dovrà pur rimettere in ordine questo disastro prima che la mamma si svegli, no?» Ezran esitò. Fece per avvicinarsi, quando sentì Ethan chiamare il suo nome. Ashara gli sorrise. «Vai, su, ti stai perdendo tutto il divertimento.»
Ezran, non del tutto convinto, obbedì e saltò anche lui fuori dal carro, lasciandola nuovamente sola. Ashara versò i biscotti in un barattolo che ripose nella dispensa, bevve le ultime dita di latte rimaste nel bricco e pulì piatto, cucchiai e tazze nel catino.
I quattro fratelli Rahl stavano facendo un baccano atroce. Le loro grida e le risate le giungevano ovattate, ammorbidite dal tappeto di neve, ma non aveva dubbi che prima o poi avrebbero svegliato qualcuno. Sentì Drefan grugnire qualcosa di incomprensibile e Devlan ridere sguaiatamente: doveva essere riuscito a portare a termine il suo piano.
Asciugò le stoviglie e le ripose al proprio posto, poi appese il canovaccio umido allo schienale della sedia e lo avvicinò al fuoco per farlo asciugare. Ripulì il tavolo e concluse le pulizie spazzando tutto il pavimento, stando attenta a non lasciarsi sfuggire neanche una briciola: se dovevano fingere che nulla di tutto quello fosse mai accaduto la scena del crimine doveva essere sgombra da qualsiasi prova.
Si avvicinò alla finestra: il cielo non era più nero come prima, stava cominciando a rischiarare, a tingersi di grigio e viola. Ethan ed Ezran stavano facendo rotolare una palla di neve, probabilmente con l’intento di usarla come base per il loro pupazzo. Drefan e Devlan, invece, erano due macchie scure indistinte che si azzuffavano sul terreno in una cacofonia di sbuffi e imprecazioni.
Non erano suoi. Lui aveva sempre avuto ragione. Lei non c’entrava niente con loro, con quella famiglia. Era un’estranea, un fantasma, un’ombra, un’intrusa. Era fuori luogo, fuori controllo…
I ricordi affiorarono incontrollati, non richiamati: era una bambina e giocava con gli altri bambini della carovana a palle di neve, dividendosi in squadre e spartendosi il territorio, ognuno lottava duramente per portare onore e gloria ai propri compagni; stringeva la mano di suo padre, grande e avvolta dal guanto, mentre cercava di rimanere in equilibrio sulla lastra di ghiaccio che si era formata nello stagno sul quale l’aveva portata a pattinare; infilava un paio di vecchi bottoni sulla testa del pupazzo di neve a mo’ di occhi, mentre suo padre rideva avvolgendogli una sciarpa bucata dalle tarme attorno al collo; era davanti al fuoco, acciambellata sulle gambe di suo padre, si sporgeva per guardare le figure del libro di fiabe che le stava leggendo; stava piangendo, reggendosi il ginocchio sbucciato, suo padre cercava di tranquillizzarla riempiendola di baci, la sua barba la solleticava, la faceva ridere; il viso di suo padre, il suo sorriso, la sua voce, i suoi occhi…
Si asciugò il viso dalle lacrime, domandandosi quando si fosse messa a piangere. Accadeva sempre quando ripensava a lui, per quello cercava di farlo solo quando sapeva di essere sola. Perché era il suo dolore, erano i suoi ricordi, era tutto quello che le rimaneva della sua famiglia.
La porta d’ingresso sbatté con forza e Devlan entrò trafelato in cucina; era pallido e respirava a fatica. «A-ashara, esci, presto!»
«Non urlare, sveglierai tua madre!»
«Ez-ezran… è caduto, penso abbia sbattuto la tes-»
Non gli diede il tempo di concludere la frase che già lo aveva superato, lasciandoselo alle spalle. Era uscita solo con i vestiti e le scarpe e appena mise piede fuori il freddo le mozzò il respiro, ma strinse i denti e lo ignorò. Cercò gli altri fratelli con lo sguardo, qualunque cosa potesse aiutarla a capire dove si trovava Ezran, ma di loro non c’era alcuna traccia. Devlan, dietro di lei, richiuse la porta d’ingresso, riempì i polmoni d’aria e urlò: «Addosso!»
Una raffica di palle di neve la colpì impietosa. Ezran ed Ethan erano sbucati dai lati del carro e si stavano accanendo contro di lei. Appurato che Ezran stava bene e si era trattato di uno scherzo di pessimo gusto, probabilmente ordito da Devlan, cercò di scappare in casa per trovare rifugio. Devlan riuscì ad agguantarla prima che potesse aprire la porta e la tenne ferma con un braccio, spiaccicandole una palla di neve direttamente in faccia. I due fratelli più piccoli la colpirono un’ultima volta a testa e si lasciarono andare a una risata.
In pochi secondi era completamente fradicia: i vestiti, le scarpe e i capelli erano zuppi d’acqua gelida; della neve le era finita dentro gli abiti, poteva sentirla scivolare lungo la schiena.
I colpi cessarono. Si liberò dalla presa di Devlan con uno strattone, allontanandosi di qualche passo da lui, abbracciandosi nel tentativo di scaldarsi.
«Devlan, se-sei una testa di ca-cazzo.» I denti le battevano dal freddo, ma il suo tono lasciava perfettamente intendere quanto poco le fosse andato giù lo scherzo.
Devlan per tutta risposta cacciò una risata e le si avvicinò col chiaro intento di abbracciarla. «Dai, era solo uno scherzo innocente.»
«”Sche-scherzo innocente” un pa-paio di palle, sei solo un cre-cretino. E no-non ti avvicinare!»
«Hai ragione, sono un cretino. Farti congelare però non fa parte dello scherzo: se vieni qui, potrei scaldarti io per bene.»
«Fottiti.»
«Quella potrebbe essere un’idea…»
Ashara lo superò e rientrò nel carro. Il fuoco sotto al paiolo si stava consumando così lo ravvivò con altra legna; le fiamme si ingrossarono, danzarono obbedienti sotto un semplice gesto della sua mano, sprigionando un’ondata di calore. Ashara sentì il suo corpo rilassarsi, i denti smettere di battere e le dita dei piedi bruciare di dolore. Si tolse le scarpe e sistemò i piedi nudi vicino al fuoco, poi pronunciò un incantesimo e dalle sue mani si sprigionò un getto di aria calda che puntò sui capelli e sui vestiti, che iniziarono velocemente ad asciugarsi.
Qualcuno rientrò in casa. Non poteva vederlo perché stava dando le spalle alla porta d’ingresso, ma riconobbe Ethan dai passi. Il ragazzo prese una sedia e le venne vicino. «Sei arrabbiata?»
«Certo che sono arrabbiata! Ma vi sembra normale farmi uno scherzo del genere?»
«Ma dai, Ashara, era solo un po’ di neve.»
«Non è stato per la neve…» il suo tono era diventato improvvisamente basso, cupo. «È stato per la balla che vi siete inventati per farmi uscire. Ma cosa vi dice il cervello? Farmi credere che Ezran si fosse fatto male, che gli fosse successo qualcosa…»
Ethan appoggiò una mano sulla sua spalla e gliela strinse. «Gli vuoi molto bene, vero?» Vedendo che non rispondeva, proseguì: «Sai, è stata un’idea di Ezran. Non dirti che si era fatto male, quella è tutta farina del sacco di Devlan. Ma voleva farti uscire. Voleva che venissi a giocare con noi, gli dispiaceva saperti qui tutta sola.»
«Non… non volevo essere di troppo.»
Ethan le pizzicò il fianco, strappandole un verso di sorpresa. «Ora non cominciare, non voglio nemmeno starti ad ascoltare. Quando dici sciocchezze del genere, proprio non ti reggo.»
«Ethan-»
«”Ethan” niente. Non dirlo mai più, non provare nemmeno a pensarle più queste cose. Non sei di troppo e non lo sarai mai. Fai parte di questa famiglia tanto quanto ognuno di noi, e se qualcuno prova a farti credere il contrario… be’, tu non lo ascoltare, perché è proprio un cretino quando fa così!»
Ashara rimase in silenzio, tentando di trovare qualcosa per replicare, ma non le venne in mente niente. Niente, se non sporgersi verso il fratello per stringerlo in un abbraccio. Ethan non aggiunse altro; le accarezzò i capelli, e quando si staccò dall’abbraccio le sorrise. «Ecco, adesso spero tu abbia capito» e le schioccò un bacio sulla guancia.
Gli altri fratelli rientrarono in quel momento, Drefan compreso, il quale le lanciò un’occhiata gelida; per la prima volta da anni a quella parte, guardando quegli occhi Ashara non provò assolutamente nulla.
Devlan ed Ezran vennero a scusarsi con lei per averla fatta spaventare e per averla mezza congelata; Ashara mollò un coppino al primo e abbracciò il secondo, e pace era fatta.
I fratelli Rahl andarono ad asciugarsi e cambiarsi e Ashara usò un incantesimo su ognuno di loro – meno Drefan – per asciugare loro i capelli più velocemente.
Non avrebbe saputo dire con precisione di chi fosse stata l’idea, fatto sta che nessuno di loro aveva più sonno e già iniziava ad albeggiare, si sarebbero dovuti svegliare comunque di lì a poco. Così ognuno si prodigò per fare una sorpresa ad Amanita: chi apparecchiò con cura la tavola, chi uscì per spaccare altra legna da mettere da parte per il fuoco, chi preparò la colazione, chi asciugò il pavimento dalle pozze d’acqua che avevano lasciato in giro, chi recuperò i vestiti bagnati e li sistemò ad asciugare…
Quando si svegliò e fece la sua apparizione in cucina, Amanita rimase a bocca aperta. Devlan la fece accomodare al suo posto a tavola mentre Ashara ed Ezran servivano a tutti quanti la colazione.
La neve aveva questo magico potere, pensò Ashara, di rendere tutti più felici. Persino Drefan sembrava essere più mansueto malgrado le ore di sonno perse, meno burbero di com’era di solito la mattina; si lasciò scappare persino diverse ottime occasioni per rivolgerle dei commenti taglienti, e di questo Ashara ne fu molto grata.
Il fuoco scoppiettava allegro, lavando di toni caldi i loro visi sorridenti. Le fiamme danzavano al ritmo di una strana melodia, che sembrava seguire i battiti del suo cuore.

 
   
 
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