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Autore: MrsShepherd    01/09/2021    0 recensioni
Santana e Brittany hanno 35 anni. Santana vive a New York, con Rachel, Kurt e Blaine. Brittany vive in Ohio e ha aperto una scuola di danza con alcuni ex compagni del Glee club. A tenerle unite è la loro figlia Riley, che in questa storia sarà il filo conduttore che porterà le due donne a riavvicinarsi inevitabilmente e a chiarire ciò che dodici anni prima era rimasto sospeso.
Ogni capitolo porterà il titolo di una canzone eseguita dai protagonisti della serie tv. Il testo di ogni canzone rispecchierà il contenuto del capitolo.
Spero che questa fanfiction incentrata su Brittana possa appassionarvi quanto ha appassionato (e sta appassionando) me mentre la scrivo.
Un pensiero va' inevitabilmente a Naya Rivera, che ovunque si trovi, mi ha ispirato a scrivere questa storia.
Buona lettura!
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Brittany Pierce, Nuovo personaggio, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 1: PERFECT
CONOSCIAMOCI…
Riley fissava da dieci minuti il titolo del suo compito in classe, mordicchiando nervosa la penna a sfera blu navy.
Odiava scrivere i temi, non perché non ne fosse capace, anzi le piaceva raccontare un po’ del suo mondo attraverso la scrittura, solo che non voleva condividerlo con il professor Usborne.
Gregory Usborne era un uomo sulla cinquantina, con i denti gialli e le unghie delle mani sempre sporche. Aveva la capacità di parlare per ore di letteratura americana, senza cambiare il tono di voce. Una volta Adam Carr si era pure addormentato. Il professore se ne era accorto e paonazzo si era avvicinato al banco del ragazzo, spostandolo di colpo. Adam per fortuna era riuscito ad appoggiare le mani a terra prima del tonfo, altrimenti si sarebbe rotto entrambi gli incisivi.
Dopo quell’episodio, la classe aveva adottato un sistema di mutuo aiuto: quando qualche compagno stava per addormentarsi, il vicino affibbiava una discreta gomitata nelle costole, forte quanto basta per recuperare un po’ di dignità e non sprofondare in sonni pericolosi.
<< Signorina Lopez. Si è per caso incantata sul foglio? >>. Disse sprezzante Usborne, guardandola con i suoi occhietti neri e meschini. Non amava particolarmente gli studenti, per Riley però serbava un odio profondo, per diverse ragioni: prima fra tutte la sfrontatezza della ragazzina della settimana precedente, quando durante un altro tema dal titolo “Cosa mi piace” aveva scritto:
“Caro signor G.U. non so dire al momento cosa mi piaccia, ma sono certa che non mi piace vedere lei che si spazzola le orecchie con le dita durante la lezione. Gradirei che si lavasse le mani prima di incollare il suo cerume giallo e puzzolente sui nostri temi.” con tanto di prova circondata con il pastello rosso.
Inutile dire che il gesto non rimase impunito. Riley era finita dal preside e il tema gli era costato una F coronata da una nota disciplinare. Sua madre le aveva ritirato lo skateboard e lo teneva ancora sottochiave, perciò Riley considerava il professore come unico responsabile della sua punizione.
<< Lopez-Pierce…>> ringhiò tra i denti la ragazzina stringendo la penna con la mano sinistra.
<< C’è qualche problema?>> rispose il professore alzando leggermente il suo naso lungo e stretto. Riley poté scorgerne secche caccole sporgenti. Aprì la bocca per ripetere ciò che aveva appena detto, ma la sua amica Bette le diede un piccolo calcetto sotto il banco. << Lascia stare…>> sussurrò.
Riley si bloccò e trasformò la sua rabbia in un sorriso falso e cattivo: << Nulla professore, sto solo raccogliendo le idee.>>
Questo bastò all’uomo per abbassare lo sguardo e immergere il naso appuntito nella sua agenda di pelle marrone scuro. Riley avrebbe voluto prenderla per leggerne il contenuto (probabilmente qualche insulto ai suoi studenti), ma questo avrebbe voluto dire toccare il bordo di pelle, intriso di schifezze e orrori provenienti dal corpo del professore. Fece una faccia schifata quando lo vide strofinare l’indice sul retro dell’orecchio e poi mangiare qualsiasi cosa si fosse incastrata sotto quelle unghie unte.
<< Psst. A che punto sei?>> le chiese Bette osservando il suo foglio bianco preoccupata.
Riley continuò a fissare il professore: << Ad un punto schifosamente morto.>>
<< Inizia a scrivere qualcosa…qualsiasi cosa!>>
 
“Mi chiamo Riley Lopez-Pierce. Riley significa coraggio, perciò credo di essere una bambina coraggiosa. Ho 12 anni e vivo a New York con la mia mamma Santana Lopez.”
“Santana la mia mamma ha 35 anni ed è bellissima. Zio Kurt è sempre invidioso di lei e le dice che ha un corpo afrodisiaco. Non so bene cosa volesse dire, ma credo di averne intuito il senso perché una volta mentre eravamo al centro commerciale un tizio le ha toccato il sedere e le ha detto “FACCIAMOCI UN GIRO”. Lei gli ha risposto…più che altro ha gridato cose che non mi è concesso ripetere. Poi si è voltata e si è scusata dicendomi che era un retaggio di LIMA HEIGHTS. Lima è una città dell’Ohio, il posto dove Santana è nata e cresciuta; è a qualche ora di distanza da New York, perciò non ci andiamo molto spesso. A Lima vive l’altra mia mamma, Brittany. Lei è un’insegnante di danza e ha aperto una scuola di balletto insieme ai suoi amici del liceo. I ragazzini ci vanno per studiare e molti di loro poi sono riusciti ad iscriversi a scuole importanti, anche qui a New York, come la NYADA o la Julliard. Santana non torna quasi mai in Ohio; le mie nonne vivono lì però lei dice che non si sente a casa. Il suo posto è qui, nello stato di New York e così è sempre stato anche il mio. Le mie due mamme non vivono più insieme, si sono lasciate quattro anni fa, Brittany è tornata in Ohio e Santana è rimasta qui. Lei è una consulente per cheerleader: cioè le cheerleader che vogliono vincere le competizioni nazionali chiamano lei. E credetemi, non ne ha mai persa una. A Santana non piace perdere, così ha vinto la mia custodia e io devo stare con lei tutto l’anno, fatta eccezione per le vacanze di Natale, Pasqua e quelle Estive, che trascorro con mia mamma Brittany. L’Ohio mi piace, ha tanti laghi e boschi per camminare. Non ho amici lì, quindi passo i miei giorni a casa o in montagna con la mia mamma: con lei ho sempre qualcosa da fare o qualche posto verde da esplorare. New York invece è sempre tutta grigia e Santana non mi porta da nessuna parte (fatta eccezione per il centro commerciale) perché lei ha le sue competizioni e io le mie.
Una persona vincente infatti, cresce figli vincenti, soprattutto se adeguatamente spronati. Fin da piccola mi ha iscritta alle migliori squadre di calcio dello stato e adesso, sono ufficialmente nella rosa delle pantere nere della Andersen Middle school. Non so dire se sono contenta o meno di iniziare un altro campionato, mi piace correre e il mister dice che veloci come me in fascia non ne ha mai viste, però certe volte la paura di non arrivare prima mi terrorizza. Vorrei poter tornare a casa e non sentirmi così spaventosamente mediocre. Quando sono spaventata perdo la testa, mi arrabbio e combino guai. Sono già stata sospesa due volte quest’anno, e due volte l’anno precedente. Una volta ho buttato nel cesso lo zaino di un tizio, ma era un bulletto che aveva picchiato il mio amico Finnegan, il figlio di Rachel. E sempre quel tizio, mi ha messo in guai seri l’anno scorso: mi bloccava nei bagni dicendomi che per quello scherzo “innocente” dello zaino me l’avrebbe fatta pagare, facendomi il culo a strisce, a detta sua. Il culo però gliel’ho fatto io, abbassandogli i pantaloni in mensa. Il preside mi ha convocata dicendo che il bullismo nello stato di New York non è tollerato. Faglielo capire che si è trattata di legittima difesa…voleva espellermi, ma questo avrebbe portato automaticamente al mio abbandono nella squadra delle pantere, che doveva a tutti i costi vincere il campionato, così dimenticò l’accaduto.
Quest’anno ho ricevuto un richiamo perché con Finnegan e Bette abbiamo costruito un razzo e l’abbiamo fatto volare nell’aula di chimica. Il problema è che non avevamo calcolato bene le distanze e il razzo, che lasciatemelo dire era proprio un capolavoro, si è schiantato nell’armadietto dei Bakers, rompendoli più o meno tutti. Inutile dire che siamo stati puniti con diverse ore di servizi socialmente utili. Un mesetto fa invece, ho messo dei petardi sotto le sedie dell’aula insegnanti, ma sono stata colta sul fatto prima che esplodessero. Peccato. Forse questa è stata l’unica sospensione veramente meritata.
Non è che mi piaccia mettermi nei guai, è solo che ho tanta rabbia. È sciocco. E non so nemmeno il perché. Certe volte mi chiedo come sarebbe se non fossi nata a New York, se non giocassi a calcio, se non fossi così come sono. Magari avrei trovato il mio posto.”
Riley capì che le cose da scrivere sulla sua vita erano molte, ma il professor Usborne non le avrebbe apprezzate, quindi avrebbe dovuto fare una cernita.
“L’altra mia mamma si chiama Brittany. Vive a Lima in Ohio, che sta in un altro stato.”
“Probabilmente la domanda che si pongono tutti è chi sino i miei genitori, dato che biologicamente le mie mamme non possono avere un figlio che abbia gli occhi azzurri di Brittany e le curve “afrodisiache” di Santana. La mia mamma Brittany non ne parla mai, al contrario di Santana, che è sempre stata molto sincera, riguardo a questo argomento. Non so chi siano i miei genitori di fatto.
“Sono nata tramite FECONDAZIONE ARTIFICIALE, da un ovulo di una delle mie due mamme a cui è stato messo uno spermatozoo di un uomo che io non conosco, scelto a caso tra gli amici d’infanzia delle mie mamme. Il tutto poi è stato piantato nella pancia di Santana che 12 anni fa ha deciso di farmi nascere.”
<< Ti ho fatta uscire da un piccolissimo buco del mio sedere, quindi ho potere su di te!>> questa è la frase che mi sento dire spesso, quando indosso qualcosa di troppo largo o troppo sciatto, quando non mangio sano, quando lascio la casa in disordine, quando ne combino una delle mie. << Non so da chi tu abbia preso.>> mi dice ogni volta che faccio qualcosa che non le va a genio. Ma è davvero così importante?
“Gioco a calcio nelle pantere di Andersen come fascia. Segno tanti goal. Probabilmente da grande farò l’atleta professionista.”
“Non ho grandi aspirazioni nella vita. Mi lamento perché gli altri decidono per me, ma in fondo mi va anche bene e forse è anche un po’colpa mia. Non sono come le mie mamme, non ho passioni talmente forti da farmi puntare i piedi e spiccare il volo. Non torno a casa la sera tardi con i piedi doloranti per il troppo lavoro. Prendo la vita così com’è. Senza farmi troppe domande né darmi tante risposte. In fondo ho solo 12 anni e confido che prima della fine del liceo abbia l’illuminazione che cerco. Ad oggi però ci vorrebbe un miracolo. Sì, ho il calcio. Dico che farò l’atleta professionista, ma solo perché non mi sento di aver mai provato altro. E se penso che trascorrerò anni d’oro della mia vita adulta a correre dietro ad un pallone, per soddisfare le aspettative di qualcuno che vorrà sempre di più, la cosa non mi soddisfa affatto. Ma che ci devo fare, non so fare altro. Non ho la voglia necessaria per studiare e le alternative nello stato di New York per chi non va al college non sono allettanti.
Quindi sopravvivo. In attesa di un segno che mi faccia finalmente levare le tende da questo posto privo di passone.
Per fortuna, tra tutto questo grigiume monotematico si possono intravvedere delle macchie di colore.
“I miei migliori amici sono Elizabeth e Finnigan”.
Bette è la figlia di Rachel, Kurt e Blaine. È alta bionda, vagamente irritante a volte e con l’inquietante e precoce aspirazione di diventare avvocato divorzista. Frequentiamo la stessa classe e siamo come sorelle, mentre Finnegan è il figlio di Rachel e del suo ex marito Jesse St James. Quest’ultimo è peggio di Voldemort, perché nessuno lo nomina e nessuno ne può parlare: dopo aver origliato una conversazione tra Kurt e Santana, che lui ha lasciato Rachel e Finnigan per una ballerina ventenne di Los Angeles. Ora vive lì e si fa sentire solo con qualche biglietto durante le festività.
Finnigan ci è rimasto malissimo. Non ha più voluto saperne del padre e ogni volta che a scuola lo prendono in giro per questo, scatta come una molla. Spesso sono io che l’aiuto a difenderlo perché è troppo mingherlino per far testa a quegli armadi del terzo anno, che lo prendono sempre di mira. Lui risponde sempre a parole, ma non ha capito che con certi energumeni le parole servono a ben poco. Alla Andersen sei rispettato solo se picchi duro ed è una cosa che hai o non hai. Non diventi un vincente con la gentilezza e l’altruismo, ma lavorando più degli altri e scalzandoli a furia di gomitate tra le costole. È questo che mi è stato sempre insegnato. E fino ad ora ha sempre funzionato. Quando, come si dice qui, “piscio un po’ troppo fuori dal vaso”, ci pensa Bette a raddrizzare la rotta. Bette è l’anima del trio. È la più studiosa e coscienziosa e di solito è quella, che con molta diplomazia e qualche favore qua e là, riesce sempre a tirarci fuori dai guai. Bette ha la capacità di prendere sempre le decisioni corrette al momento giusto, beh quasi sempre, perché quando finisce nei guai con me e Finnegan diventa uno spasso. Se Bette si lascia andare è matta come un cavallo. Ha suggerito lei di preparare il razzo durante l’ora di chimica, perché il laboratorio era l’unico luogo con tutto il materiale necessario perché potessimo creare il propellente perfetto. Dato che mesi prima lì ci avevo creato dei petardi perfettamente funzionanti, il laboratorio di chimica era stato chiuso a chiave nelle pause. Il piano elaborato inizialmente era quello di prendere il materiale, fissarlo sul razzo e farlo partire nel retro della scuola alla fine delle lezioni. Perfetto, 0 vittime e 0 danni. Se non fosse che subito dopo era nata una discussione sul fatto che il razzo funzionasse o meno. Bette sosteneva che il razzo non sarebbe mai partito, mentre Finnegan, che non ha quasi mai ragione, affermava il contrario. La discussione si è talmente esacerbata che alla fine Bette ha praticamente imposto di accendere il razzo in classe, sicurissima che non si sarebbe mosso. Allora Finnegan ha scosso così tanto il razzo che per poco non volava giù dalla sedia e io l’ho acceso con un accendino rubato in portineria. Non mi importava se sarebbe partito o meno, in qualsiasi caso avrei vinto un gadget al Disney Store di Time Square insieme al vincitore, che era il premio per la scommessa. Poi il razzo è partito e per una volta, Finnegan aveva avuto ragione. Ci hanno messi in punizione tutti e tre, ma, nonostante ciò, Bette era più amareggiata di aver perso la scommessa piuttosto che di dover subire una settimana di “lavori forzati”.
I nostri genitori si sono arrabbiati molto per l’accaduto e non ci hanno permesso di stare insieme per due lunghe settimane. La sera stessa mentre noi tre eravamo seduti dietro alle pareti della cucina di Kurt e Blaine ad origliare, gli adulti hanno avuto una lunga discussione. Pare che questa volta, a differenza delle altre fossero tutti molto seccati con Santana per il mio comportamento. Dissero che stavo peggiorando e che ero diventata una cattiva influenza per i loro figli; mi aspettavo che la mia mamma mi difendesse, ma tutto ciò che si limitò a fare fu rimanere in silenzio a braccia conserte e portarmi via per un braccio a casa a metà della serata. Neanche loro si sono parlati nelle due settimane successive. E nessuno di noi ragazzi ha fatto obiezioni; tanto non era una vera e propria punizione, ci vedevamo comunque a scuola.
La cosa però mi turbò molto e mi lasciò molte domande che mi ronzano nella testa ancora adesso.
Insomma, sono davvero una brutta persona? Sono davvero una calamita per i guai? Le mie scelte sono davvero così sbagliate?”
Riley guardò Finnegan che era stato spostato due banchi più avanti a lei e a quello di Bette. Non poteva vederlo in faccia ma a giudicare da come i suoi riccioli scuri si muovevano avanti e indietro poteva giurare che stesse scrivendo molto e che non aveva mai smesso. Da quando aveva cambiato posto i suoi voti erano nettamente migliorati, un po’ perché sua madre Rachel non gli lasciava nemmeno il tempo di respirare, ma sicuramente anche perché non si trovava più in mezzo a due ragazzine adolescenti boriose e svogliate, che lo tediavano con questioni inutili e distraenti.
<< Vedo che è molto distratta signorina Lopez.>> la rimbeccò il professore. << Tic tac….tic tac.>> e indicò con le sue dita luride l’orologio da polso ancorato al suo braccio villoso. Persino i suoi peli sembravano unti e viscidi.
Riley si risvegliò da uno stato di trance, sospirò e rilesse le poche righe scritte. Uno schifo. Due interminabili ore per cinque misere righe. Ma come faceva a scrivere un tema sulla sua vita se nemmeno lei sapeva bene chi fosse?
Già immaginava la faccia di sua madre all’ennesimo voto basso ed era inutile dire che il professore Usborne ce l’avesse con lei. In questo caso i fatti parlavano da soli. Questo tema era un obbrobrio.
<< Che palle…>> sussurrò.
Bette si sporse leggermente verso il su banco, allungò il collo e dopo aver letto il lavoro della compagna sgranò gli occhi.
<< Come va?>> chiese con un filo di voce.
<< Come vedi.>> puntualizzò spenta Riley.
<< In due ore hai scritto solo questo?!>>
Riley si girò gongolando verso l’amica: << Eh già. Curioso vero?>> sentenziò sarcastica. Non aveva affatto bisogno di altri giudizi sul suo misero operato.
Bette scosse la testa e allungò il foglio verso di lei. << Dai una lettura veloce. Prendi spunto dal mio.>>
Riley guardò le quattro pagine fitte scritte dalla ragazza, cominciò a leggere la prima riga ma saltò in aria, come tutti i compagni di classe, spaventata da un urlo improvviso.
<< Ah-ha! Colte sul fatto!>> G.U. si era alzato di scatto puntandole il dito contro.
<< Infami, stavate copiando. Nella mia ora!>>
<< Che esagerazione…>> puntualizzò gentilmente Bette, alla quale sembrava di essere nel bel mezzo di una commedia Shakespeariana. << Professore, se mi permette, trovo difficile copiare un tema personale. Insomma, non posso mica scrivere la mia vita copiando la sua. >> disse indicando Riley che nel frattempo scuoteva la testa allibita.
<< Non lei signorina Hummel. Ho visto chiaramente la signorina Lopez leggere il suo tema. Vuole negare?>>
<< No, ma…>>
<< E allora la questione è chiusa. L’ennesima battuta d’arresto per la signorina Lopez che ora si alza e mi consegna il suo tema.>>
Riley era senza parole, guardò Finnegan che nel frattempo si era voltato e ricambiava il suo sguardo con un’espressione triste e comprensiva.
<< Ancora una volta, si è mostrata per quello che è…IL TEMA!>> continuò il professore.
<< Ma signor Usborne!>> cercò di intervenire Bette in difesa dell’amica, che non aveva nemmeno la forza di ribattere.
<< Inconcludente, irrispettosa…vuota!>>
<< La smetta!>> scattò in piedi Finnegan, buttando inavvertitamente l’astuccio a terra.
Il professor Usborne lo gelò con uno sguardo.
<< NO!>> urlò Riley e in classe piombò il silenzio. Sospirò e guardò gli amici amareggiata.
<< Lasciate perdere. Questo uomo di Neanderthal non cambierà mai idea.>> si alzò, mise le sue cose nello zaino e si avviò verso il professore.
<< Sono Lopez- Pierce comunque.>> concluse guardandolo fisso negli occhi. Poi si avviò verso la porta.
<< Non osare lasciare la mia lezione!>> disse lui con la penna scritta in pugno. Ma Riley era già in corridoio.
<< Tanto avevo già finito!>> urlò.
   
 
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