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Autore: Zobeyde    06/09/2021    9 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’UOMO CON LA BOMBETTA

 




https://www.youtube.com/watch?v=fmLR8S8DYqo&ab_channel=RaduBarsan

 
Con tutto quell’alcol in circolo, a Jim sembrò di metterci una vita a ripercorrere il binario a ritroso. La notte stava diventando più fredda e buia e i carri incombevano spettrali nei loro mantelli di ombre.
Mentre camminava, con la vista che di tanto in tanto si sdoppiava, gli avvenimenti della serata gli rimbalzavano in testa senza un ordine preciso: lo spettacolo di magia, la situazione senza via d’uscita di Arthur, il pericolo degli Accalappiatori…un ruminare ininterrotto di pensieri a cui il whisky dava consistenza fluida, scivolosa, rendendo difficile trattenerli nella mente troppo a lungo…
Devo pisciare.
Si fermò accanto a uno dei carri piatti, sbottonò i pantaloni e stette lì, cercando di non farsela sulle scarpe.
Improvvisamente, un suono strisciante fra l’erba alta attirò la sua attenzione e Jim si voltò per ispezionare il prato alle sue spalle. «Chi c’è?»
Il vento gli restituì solo una lugubre serie di fruscii e il latrato di un cane in lontananza. Riabbottonò in fretta i pantaloni e si convinse a riprendere il cammino, ma per qualche ragione non si sentiva più tranquillo. Poco dopo, infatti, colse un movimento tra i vagoni.
«Si può sapere chi è?» chiese, alzando la voce; un brivido di inquietudine lo attraversò, e la sua parte paranoica tornò a quanto detto da O’Malley a cena sugli Accalappiatori.
L’ombra si mosse di nuovo. Poi, una voce non proprio sconosciuta disse: «Bene bene. Guarda chi si gode una passeggiatina al chiaro di luna.»
Uscì allo scoperto. Jim aguzzò la vista, ma gli servì comunque qualche istante per rendersi conto di chi fosse. «Non sei quel tizio di stamattina? Bobby?»
«Donnie» rispose lui, a denti stretti. «Donnie Winters, se vuoi saperlo.»
«Be’, lieto di rivederti, Donnie Winters. Ma è un po’ tardi per gli autografi, non ti sembra?»
«Non voglio un autografo del cazzo!» sbottò lui, accendendosi. «Sono qui perché, come ho cercato di farti capire stamattina, hai scherzato con la persona sbagliata.»
Jim aprì la bocca, sbalordito. Poi, senza riuscire a trattenersi, gli scoppiò a ridere in faccia.
«Lo trovi divertente?!»
«No, lo trovo stupido» ribatté Jim. «Tu che rimani ad aspettarmi quaggiù, al buio, per ore…»
«Lurido figlio di puttana!» sbraitò Donnie. «Vedremo se ti sembrerò ancora uno stupido!»
Gli arrivarono alle spalle; probabilmente, se i suoi riflessi non fossero stati alterati, li avrebbe anche sentiti. Qualcuno lo afferrò con una presa da orso. Qualcun altro, invece, gli assestò un pugno nello stomaco che gli tolse il respiro. Le ginocchia gli si flessero, mentre tossiva e boccheggiava.
«Legategli le mani» disse Donnie, la voce ferma di chi è abituato a impartire ordini. «Che non possa fare quei suoi giochetti del cazzo.»
L’orso che lo aveva placcato gli piegò le braccia dietro la schiena, in maniera così salda che sentì le ossa scricchiolare. Qualcosa di ruvido gli strinse i polsi. Ma Jim stava ancora cercando di tornare a respirare.
«Che cosa vuoi da me, Donnie Bello?» riuscì a biascicare. «Delle scuse? Soldi? Confermarmi quanto è piccolo l’attrezzo che hai nelle mutande?»
«Lo sistemiamo adesso, signor Winters?» domandò una voce rauca alla sua destra; l’uomo che gli aveva tirato il pugno, in camicia bianca e panciotto gessato, si stava sgranchendo le nocche, le maniche tirate sugli avambracci con degli elastici. Era magro e nervoso, con la faccia butterata e un ciuffo di capelli scuri che gli ricadeva sopra l’occhio. Come il suo collega, puzzava di sudore e fumo di sigaretta.
«Non ancora, Monty» disse Donnie, raggiante come un bimbo a Natale. «Mi sa che il nostro Khazam non ha capito in che situazione si trova. Lo portiamo a fare un giretto, vi va?»
Prima che Jim potesse raccogliere fiato per urlare, Monty estrasse dalla tasca uno straccio lurido e lo imbavagliò stretto.
«Ti conviene stare buono, ragazzino» sibilò al suo orecchio. «O qua finisce male.»
Jim decise di stare buono, anche perché credeva di aver intravisto il calcio di una pistola, infilata nei suoi pantaloni.
Non la userà, pensò in maniera stranamente lucida. Con quei tipi non si scherzava, ok, ma non avrebbero commesso una simile sciocchezza. Volevano spaventarlo, dargli una lezione.
Ma mica ucciderlo, giusto?
Procedettero in silenzio tra l’erba alta, sotto il chiarore gentile della luna, allontanandosi sempre più dal treno e dalla tendopoli. Troppo perché qualcuno potesse vederli.
Se solo fosse riuscito a liberare una mano. A quel punto sì che gliel’avrebbe fatta vedere! Piantò i talloni, si divincolò con furia, ma gli fu presto chiaro che fosse un inutile spreco di energie. L’orso aveva una presa d’acciaio, di chi lavorava tanto e mangiava tanto. E di sicuro, pensò Jim con ansia, picchiava con altrettanta frequenza.
Intanto, Donnie li aveva condotti in una macchia di alberi; il canto dei grilli li accompagnava ovunque, ma Jim percepì presto il gorgoglio di acqua corrente, e infatti raggiunsero il letto di un canale che luccicava nel buio. Lo fecero fermare sulla riva e lo spinsero affinché si mettesse in ginocchio.
«Sai» disse Donnie, infilando le mani in tasca. «Un tempo, le terre della mia famiglia si estendevano da questo canale fino al Lago Pontchartrain. Donald Sugarman Winters, così chiamavano il mio bisnonno. Era uno dei maggiori produttori di tutto lo Stato, praticamente un pezzo di storia americana…»
Jim roteò gli occhi al cielo. Gesù, quanto parla!?
Se proprio dovevano pestarlo, che almeno lo facessero subito! Che bisogno c’era di tirarla tanto per le lunghe?
«Finché non sono arrivati quegli stronzi dell’Unione» proseguì Donnie, con ardore. «E ci hanno portato via tutto: i nostri cento schiavi, le terre. Le azioni della Winters Plantation hanno iniziato ad andare in caduta libera e quando è crollata la Borsa abbiamo perso tutto.»
Se non altro, il pugno nello stomaco e la botta di adrenalina gli avevano fatto passare del tutto la sbornia, ma Jim non riusciva ancora a capacitarsi di come fosse finito imbavagliato e legato ad ascoltare i deliri di un figlio di papà Sudista che si dava arie da gangster.
Donnie si piegò sulle ginocchia, in modo da fissarlo dritto negli occhi. «Vedi, Khazam, oggi ti sei divertito a farmi fare la figura del fesso di fronte a dei clienti di mio padre. È ancora un pezzo grosso a New Orleans, nel caso tu te lo stia domandando. Non produciamo più zucchero, ma i denti li facciamo cadere lo stesso.»
Era troppo. Jim si mise di nuovo a ridere, ma a quel punto Monty gli tirò un ceffone, così forte da fargli girare la testa; indossava degli anelli, o forse un tirapugni, perché Jim sentì aprirsi un taglio bruciante sulla guancia e la bocca riempirsi di sangue. Prima che crollasse al suolo, l'orso lo rimise al suo posto.
«Va bene, arriviamo al punto» disse Donnie, gli occhi fuori dalle orbite e macchie rosse di eccitazione sulle guance. «Ti ho visto in quel tendone, prima, i fulmini e tutto il resto. E sai che altro ho visto?» Tornò ad avvicinare la sua faccia a quella di Jim, che era gonfia e pulsava. «Ho visto che sei pure un lecca negri del cazzo. Portatelo in acqua.»
Quando realizzò cosa stava per accadere, Jim cercò di lanciarsi verso gli alberi, ma l’orso lo riacciuffò e lo trascinò nel canale. L’acqua gelida gli lambì presto i polpacci.
«Mio nonno mi raccontò una storia da bambino, la storia di una negra che lavorava nella piantagione di suo padre e che si vantava di praticare il voodoo. E lo sai che fine ha fatto quella strega?»
L’orso spinse Jim ad abbassarsi ancora, verso l’acqua. Il ragazzo provò un’isterica paura, e si oppose con tutte le sue forze.
«L’hanno affogata proprio in questo canale. Del resto, hanno avuto la conferma che non si trattasse di una vera strega, solo di una ciarlatana: dopo due minuti con la testa di sotto, ha smesso di respirare come i fanno i cristiani.»
Un muro d’acqua nera gli andò incontro. L’orso gli aveva imprigionato la nuca tra i suoi artigli, tenendolo giù. Inutile opporsi, era troppo forte, troppo grosso, troppo cattivo…
L’ossigeno nei suoi polmoni si esaurì in fretta. Quando lo tirarono su, Jim cercò di inalare quanta aria poté, ma inghiottì solo molta più acqua.
«…perciò, ora scopriremo se almeno tu sei uno stregone oppure no.» La voce di Donnie gli giunse ovattata, mentre tossiva e ansimava. «Ancora.»
No! Aspetta, aspe…!
Di nuovo giù. L’acqua gli penetrò nelle narici, nella bocca, mentre si dibatteva come un dannato e urlava senza emettere suoni. Questa volta lo tennero sotto diversi secondi in più, finché Jim non sentì i polmoni bruciare…
Sono un idiota. E morirò come un idiota.
Forse, se fosse stato zitto e buono al suo posto, si sarebbero accontentati di rompergli qualche osso. E invece, ora lo avrebbero ammazzato sul serio. Cosa importava se poteva chiamare a sé i fulmini? Sarebbe annegato comunque lì, in quel canale, e poi lasciato alla deriva. Chissà se avrebbe raggiunto il Mississippi. Probabilmente no: qualcuno lo avrebbe trovato all’alba tra i giunchi, coi pesci che si erano fatti casa nei suoi orifizi. La polizia avrebbe recuperato il suo corpo gonfio d’acqua, pensando si trattasse dell’ennesimo barbone scivolato, ubriaco, nel fossato. E così sarebbe finita la storia dello Straordinario Khazam, la cui unica, grande impresa era stata quella di rubare del whisky…
Lo issarono di nuovo, per la terza o la quarta volta. Jim era ormai mezzo svenuto.
«Mhm.» La faccia spavalda di Donnie gli ondeggiò davanti agli occhi. «Sapete, non sono ancora convinto che non sia una strega. Altro tuffo?»
«Credo possa bastare.»
Non era stato uno dei due sgherri a parlare. Jim tossì, sforzandosi di restare cosciente, mentre Donnie si voltava di scatto verso gli alberi. «Chi cazzo è? Esci fuori!»
Una figura emerse dalle ombre; da quello che Jim riusciva a scorgere, si trattava di un uomo alto e magro, in completo nero, con cappello a bombetta e bastone da passeggio. Forse aveva le allucinazioni.
«Mi sembra di capire che questo giovanotto vi abbia offeso in qualche modo» disse con voce calma, profonda e dal gradevole accento europeo. «Ma ho l’impressione che abbia afferrato il messaggio. Fatevi da parte.»
Monty si mosse verso di lui con fare minaccioso. «Senti coso, faresti meglio a pensare agli affaracci tuoi. Mi sono spiegato?»
«Ti sei spiegato» confermò l’uomo, senza scomporsi. «Ma desidero scambiare due parole col signor Khazam, preferibilmente mentre è ancora vivo. Quindi, devo chiedervi di allontanarvi da lui.»
«E se non lo facessimo?»
«In tal caso, vi obbligherei.»
Forse era merito del suo fare sicuro e rilassato, troppo per uno che sta bluffando, fatto sta che Monty si bloccò.
«Oh, insomma!» esclamò Donnie. «Ti fai spaventare da un vecchio? Guardalo, non si regge neanche in piedi da solo!»
Monty allora portò la mano alla cintura ed estrasse la pistola.
«Te lo ripeto un’ultima volta, Charlie Chaplin» disse, puntandogliela dritta in mezzo agli occhi. Sollevò il cane con un sonoro clic. «Tornatene da dove sei venuto.»
Le nuvole si addensarono sulla luna, nascondendola. Quello che accadde dopo, fu molto veloce e confuso.
La pistola esplose in mano a Monty; Jim sentì il botto e vide una fiammata accendere il buio, seguita da un latrato di dolore. Anche Donnie urlava, indietreggiando verso il fiume, mentre l’odore pungente del sangue si diffondeva nella radura. Impegnato com’era a cercare di seguire il tutto, Jim quasi non si accorse che l’orso lo aveva mollato sulla riva per lanciarsi sul tizio con la bombetta. Per nulla spaventato, quello sollevò la mano sinistra e il gigante si fermò più o meno a un metro da lui, la grossa testa pelata imperlata di sudore. Cadde prima su un ginocchio, stringendosi una mano al petto. Poi, crollò lungo disteso a terra.
Monty era ancora rannicchiato a riva, che piangeva e bestemmiava, mentre Donnie era bianco come un morto e aveva gli occhi sgranati.
«Mio padre lo verrà a sapere!» strillò, respirando forte. «Hai i giorni contati, figlio di puttana, questa città è sua!»
«Ottimo. Anzi, già che ci sei potresti riferirgli che se uno dei suoi darà ancora fastidio alla compagnia O’Malley il Corvo Bianco tornerà a fargli visita? Probabilmente lui non capirà. Ma tuo nonno sì.»
Le labbra di Donnie tremarono. «È uno di quei mostri!»
«Trovo che il concetto di “mostro” sia alquanto relativo oggigiorno.»
Donnie si mosse verso la riva, senza perderlo d’occhio un attimo.
«Su, su» incalzò l’uomo con la bombetta, ruotando un dito. «Più svelto.»
Il fiume si sollevò all’improvviso, come il dorso d’argento di una bestia ridestata e un’onda anomala travolse Donnie in pieno. Il ragazzo urlò, mentre veniva scaraventato sulla riva accanto a Jim, zuppo e coi capelli incollati sulla testa.
Non appena riuscì a mettersi in piedi, se da diede via a gambe levate. Monty lo seguì a ruota.
«Finalmente soli» sospirò l’uomo con la bombetta, rivolgendosi ora direttamente a Jim. «Stai bene?»
Ancora scosso, il ragazzo poté solo annuire, visto che era sempre legato e imbavagliato.
«Oh, giusto! Perdonami, rimedio subito.»
Un altro impercettibile movimento delle dita e le corde che stringevano i polsi di Jim caddero a terra come se fossero state recise. Il ragazzo strappò via il bavaglio.
«Cazzo!» esclamò, riprendendo fiato. Fissò il colosso pelato che giaceva con la faccia nel terreno e deglutì. «Cristo santo, non sarà mica…?»
«Morto? Oh, non credo.» Lo sconosciuto punzecchiò il corpo con l’estremità del bastone. «Grande e grosso com’è ci impiegherà qualche ora a svegliarsi.»
Jim tornò a sollevare uno sguardo attonito sul suo salvatore: «Come accidenti ha fatto? Come…come ha fatto a far esplodere la pistola? Non l’ha neppure sfiorata! E poi l’onda e…»
L’uomo sorrise; la luna scivolò fuori all’improvviso, illuminando un volto dai tratti aguzzi e un paio di occhi scintillanti e arguti. Non avrebbe saputo dargli un’età precisa, ma di certo aveva vissuto.
«Credo tu sappia esattamente come ho fatto. Ma non è il luogo né il momento adatto per parlarne: vieni, ti accompagno alla tua carrozza.»
Gli fece strada attraverso il boschetto e Jim, che non aveva intenzione di restare laggiù un minuto di più, lo seguì di corsa.
«Come faceva a sapere dove trovarci?» domandò, alzando il passo per stargli dietro; malgrado l’oscurità più fitta, l’uomo si muoveva sicuro e senza affanno, tanto che il bastone sembrava più un vezzo che una necessità.
«Vi ho seguiti» rispose candidamente. «Avevo un brutto presentimento da questa mattina, dopo la tua “trovata pubblicitaria”. Donald Winters III è un noto allibratore, gestisce corse, prostituzione, contrabbando. Piuttosto incauto da parte tua pestare i piedi al suo rampollo. Ma è normale peccare di presunzione, quando si è alle prime armi.»
«Cosa?» fece Jim, sempre più confuso. «Che significa? Era alla tavola calda?»
«E allo spettacolo: discreto, sebbene abbia preferito quello a Starkville. Se posso darti un consiglio lavorerei sull’entrata in scena. A ogni modo, ti sei ripreso sul finale, quello sì che mi ha colpito.»
«Si può sapere da quant’è che mi sta pedinando?» chiese Jim, stavolta con una certa irritazione. «Chi è lei e cosa vuole da me?»
Erano quasi arrivati al treno. L’uomo si volse a guardarlo con espressione genuinamente perplessa.
«Chiedo scusa, raramente ho bisogno di presentazioni» disse, accennando un inchino elegante. «Il mio nome è Solomon Blake e sono uno stregone, proprio come te.»
Quell’ultima affermazione rimase sospesa nello spazio fra di loro per qualche secondo, riempito dal fruscio del vento nell’erba. Jim sbatté le palpebre, senza sapere bene che espressione assumere.
«Uno stregone.»
«Arcistregone, in effetti. Ma ogni cosa a suo tempo.»
«È uno scherzo?»
«La parola “stregone” ti fa ridere? Preferisci mago, incantatore, maestro delle Scienze Occulte..?»
«Preferisco che mi dica cosa cavolo sta succedendo!»
Solomon Blake sospirò. «Succede che ho avuto modo di valutare cosa sai fare. I Mancanti diventano sempre più abili nel simulare la magia, e quelli come noi che sono ancora in grado di praticarla sono rari. Ammetto che non ero sicuro che fossi chi cercavo, almeno fino a questa sera, quando hai esercitato la ceranopoiesi[1]…»
«Cerano… cosa?»
«Ceranopoiesi, l’arte del produrre i fulmini. Viene dal greco…»
«Non mi interessa da dove viene!»
«Quella è stata la prova che tu pratichi vera magia» concluse Blake, che aveva improvvisamente smesso di sorridere. «Camuffata con trovate da quattro soldi e di discutibile gusto, ma innata e irrequieta, il che la rende potenzialmente pericolosa. Per questo sono qui: voglio offrirti di diventare mio apprendista.»
Jim non si mosse di un millimetro. «Perché?»
«Perché possiedo in abbondanza qualcosa che a te manca: conoscenze, metodo…e un pizzico di buonsenso, mi piace pensare. Chi ha vissuto a lungo come me, riempendosi di tutto ciò che la vita ha da offrire, non può far altro che trovare un nuovo recipiente in cui versarlo.»
Aveva un modo di esprimersi singolarmente languido, aristocratico, d’altri tempi. Molto inglese, in effetti.
«Non credo mi interessi farmi riversare dentro cose» rispose Jim, dopo un momento.
«Perché no?»
«Perché sono un illusionista da circo.»
«E non vorresti essere qualcosa di più?»
«Tipo un arcistregone?»
«Questo dipenderà solo da te. Quello che ti sto offrendo va oltre il semplice controllo: posso darti la possibilità di spingerti oltre i tuoi limiti, di sperimentare, raggiungere vette che non immagineresti. Posso darti il potere, non è quello che hai sempre voluto?»
Jim tacque, passando il peso del corpo da un piede all’altro, incerto. Un brivido di freddo lo attraversò da cima a fondo, mentre avvertiva i vestiti fradici irrigidirsi contro la pelle.
«Glielo ripeto, non mi interessa» disse alla fine. «Me la sono sempre cavata benissimo da solo.»
«Oh, ho visto.» Un sorrisetto ironico tornò a giocare sulle labbra di Blake. «Immagino che farsi pestare e affogare rientrasse perfettamente nei tuoi piani per la serata.»
Jim si sentì avvampare. «Ehi, sono per metà irlandese, so fare a pugni! Mi hanno solo colto impreparato e con tutto il rispetto, lei di me non sa nulla. Grazie tante e buona serata.»
S’incamminò verso il binario a grandi passi, per mettere più distanza possibile tra lui e quello strano tizio e dimenticare quella nottata assurda.
La voce di Solomon Blake non si alzò di un decibel, ma Jim lo sentì forte e chiaro: «Invece un paio di cose le so: so che il tuo nome di battesimo è James Ryan Doherty e che sei nato in una fattoria vicino Avalon, nel New Jersey, da Tom Doherty e Abigail Thorn. Hai praticato la tua prima magia a un anno, a quattro hai fatto levitare il gatto dei Winchester. Tua madre è morta quando avevi cinque anni e tuo padre ti ha allevato fino al 31 ottobre del’23, la sera dell’incendio scoppiato nel vostro fienile. Hai frequentato molte ragazze, spesso contemporaneamente, leggi biografie e vai matto per i dolci fatti in casa. Tutto corretto fin qui?»
Jim si bloccò, e un gelo improvviso gli invase le vene. Tornò lentamente a voltarsi, ma Blake era ancora lì, in mezzo al prato, le mani giunte sull’impugnatura del bastone.
«Da chi ha saputo queste cose?» chiese, sforzandosi di mantenere la voce ferma. Il cuore aveva iniziato a battergli forte.
«La magia lascia sempre delle tracce, mi è bastato seguirle finché non mi hanno condotto da te. Ciò che è accaduto in New Jersey…»
«La smetta!» esclamò Jim, sempre più agitato. «Senta, non mi interessa che cosa sa. Ho una nuova vita adesso e desidero solo essere lasciato in pace.»
Blake continuò a fissarlo intensamente, per quella che gli parve un’eternità.
«D’accordo» sospirò infine, con suo immenso sollievo. «Non ho intenzione di insistere.»
Mosse qualche passo verso di lui e il ragazzo sentì l’impulso di arretrare. Ma Blake si limitò ad agitare una mano e far apparire dal nulla un biglietto nero.
«Se dovessi cambiare idea, puoi raggiungermi a questo indirizzo per una tazza di tè. Prendi pure un taxi e non preoccuparti, la corsa è già pagata.»
E gli tese il biglietto. Più per riflesso che per volontà, Jim lo prese, senza trovare nulla da dire.
«È stato un piacere, James» disse lo stregone, sfiorando la tesa del cappello. «Cerca di stare fuori dai guai.»
Dopodiché, girò i tacchi e si incamminò attraverso il prato; Jim lo guardò allontanarsi nella notte che cominciava a schiarire, finché, proprio davanti ai suoi occhi, svanì.
Il ragazzo invece restò lì impalato a bocca aperta, con quel bigliettino in mano.
Dopo un attimo si riscosse e corse verso la sua carrozza. Una volta raggiunta la sua cabina, si chiuse la porta alle spalle e vi si abbandonò con tutto il peso, riprendendo fiato. A tentoni, cercò l’interruttore e le luci si accesero dopo un leggero sfarfallio.
Fece un ultimo profondo sospiro. Un sogno. Solo un brutto sogno, ecco cos’era stato. I gangster, il pestaggio, lo stregone. Si era scolato insieme ad Arthur un’intera bottiglia di whisky ed era caduto in un fosso, quasi ci era annegato. Ma era a casa adesso, finalmente solo e al sicuro. Tutt’al più, gli sarebbe venuto un brutto raffreddore, anche se non ricordava l’ultima volta che si era ammalato.
Eppure, quel biglietto era ancora nella sua mano.
Riluttante, si decise a dargli un’occhiata: la carta nera era di ottima qualità, i bordi ornati di filigrana argentata. Una grafia sottile, elegantemente inclinata, tracciava poche parole sormontate dalla silhouette bianca di un corvo in volo:
 
Piantagioni Winters
Lo zucchero più bianco dal 1840.
225 Heatherfield Lane
Bayou St. John – New Orleans.
 

[1] parola greca di mia invenzione, formata da κεραυνός, “fulmine” e ποιέω, “fare”.
  
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