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Autore: Enchalott    06/09/2021    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un passo avanti
 
Yozora ammirò l’esplodere dei rossi e dei gialli oltre gli archi della terrazza orientale.
Aveva imparato ad apprezzare i colori di Mardan, tanto violenti da ferire lo sguardo ma straordinari, unici. Amava sedersi all’ombra, accoccolata sul davanzale di marmo, la schiena contro la colonna tortile che incorniciava l’apertura, contemplare quel luogo contradditorio. Amava il vento torrido che spirava dal deserto di cenere, il profilo delle montagne, le sfumature del cielo nel quale le uniche ombre erano le sagome possenti dei vradak.
L’incanto mitigava la nostalgia di casa. Appoggiò il mento alle ginocchia con una fitta di malinconia: in quel regno straniero non era mai sola.
C’era Naiše, una seconda madre che accettava i suoi slanci privi di protocollo. La consolava nei momenti di sconforto, le indicava i particolari che rendevano pregevole Mardan, le infondeva passione e speranza per un futuro nel quale avrebbe affiancato il Šarkumaar da pari e, come sua sposa, sarebbe stata ascoltata.
Yozora confidava di diventare parte attiva nella pace tra i popoli: il desiderio di contribuire a mitigare le condizioni di chi non aveva voce era germogliato in un obiettivo che non riguardava solo i Salki. Anche tra i Khai esisteva sofferenza, una radicata ingiustizia che l’affliggeva nel profondo.
C’era Mirai, che aveva ridimensionato la congenita durezza trasformandola in meticolosa premura. Grazie alla sua presenza, le usanze Khai non risultavano così ostiche. Talvolta Yozora riusciva a intavolare con lei un dialogo informale e sincero, che aveva le carte per tramutarsi in una salda amicizia. Certo la differenza di rango comportava un distacco che la nisenshi pareva decisa a mantenere, ma a lei premeva conquistare la vicinanza tra i cuori, non abolire l’imposta formalità.
Tra le persone che la attorniavano incluse Rhenn. Negli ultimi tempi le era sembrato inquieto, anche se aveva mantenuto l’abitudine di irrompere senza invito nelle sue stanze: cacciava le dorei con un’occhiata torva e si accomodava con somma faccia tosta, armato della pretesa di far controllare l’ustione a chi ne era responsabile. Era guarito ma la falce era rimasta, così era costretto a portare sempre i bracciali.
Nonostante le maniere arroganti o poco ortodosse, era lieta della sua compagnia e aveva la presunzione di pensare che gli incontri fossero per lui una distrazione dalle incombenze. Avrebbe voluto domandargli ragione della sua cupezza, ma quando aveva osato accennarlo, Rhenn aveva controbattuto chiedendole se avesse mai visto un erede al trono spensierato. Poi aveva aggiunto che, se avesse notato il medesimo cruccio in suo fratello, si sarebbe dovuta ingegnare per alleviarlo. Il solito sistema troncare un argomento spiacevole.
I prìncipi erano introversi, ciascuno a suo modo: il maggiore era abilissimo a rigirare i discorsi e a metterla in imbarazzo, il minore si limitava a non rispondere.
È lui lo scoglio più arduo.
Da quando aveva ufficializzato il fidanzamento, Mahati era rientrato alla capitale soltanto una volta e in quell’occasione avevano cenato insieme. Un tête-à-tête affettato, di cui non era soddisfatta. Il desiderio di conoscerlo si era accentuato, non perché con lui aveva meno familiarità, ma perché la sua impenetrabilità esercitava un discreto fascino.
«Attendete l’apparire di Fyratesh, mia signora?» domandò garbata Mirai.
«Davvero non saprei riconoscerlo, sarei costretta a basarmi sullo stormo schierato alle spalle del principe.»
«È un buon sistema.»
«Ne esiste un altro?»
«L’abitudine. È come identificare i passi di un congiunto.»
Yozora sorrise confortata. L’analogia riesumò un’incognita che le stava a cuore.
«Mahati mi ha confidato che sua madre è deceduta. Si tratta di un evento recente?»
«No, altezza. Il principe era molto giovane.»
«Sono addolorata. Posso chiedervi cos’è accaduto?»
La nisenshi si irrigidì.
«Non ero che una bambina e non frequentavo la corte. Dovreste parlarne con il Kharnot, si tratta di una circostanza privata su cui non è onorevole riportare il sentito dire.»
La principessa sospirò. Forse Mahati l’avrebbe accontentata, tuttavia era un tasto che avrebbe preferito non sfiorare: le avrebbe posto lo stesso quesito e sarebbe stata costretta a raccontargli di come aveva perso la propria. L’ultima volta era riuscita a evitarlo per un soffio e non intendeva rimettere il piede in fallo.
Mirai interpretò la mestizia come un’impasse dovuta al timore.
«Non si arrabbierà se siete voi a domandarlo.»
«Dite?»
«Apprezzerà il fatto che non lo stiate forzando durante l’asheat. Il Šarkumaar è di poche parole, si mostra più inflessibile di quanto non sia in realtà. Il ruolo lo impone. L’esordio è stato in salita, ma non siete un suo sottoposto e poi gli piacete.»
«Mirai! Come vi viene in mente?» avvampò Yozora.
«Perdonate se parlo con sincerità, mia signora, ma è quanto mi avete fatto giurare. Non siete avvezza ai maschi khai, inoltre il vostro promesso è molto orgoglioso.»
«Non sono abituata a nessun uomo in verità. Cosa dovrei osservare?»
«Non conosco le abitudini salki, ma quando il principe ha ufficializzato le nozze, si è inginocchiato e vi ha tenuta a lungo tra le braccia. L’ha fatto davanti all’intera corte, compresa quella non presente che lo ha appreso nel giro di pochi minuti. Allo scopo sarebbero bastati un paio di testimoni e un inchino appena accennato, invece ha scelto una forma probante.»
«Perché sono straniera?»
«Perché è prudente, soprattutto in ambito privato.»
Yozora assimilò la spiegazione con indicibile stupore.
«Forse lo ha deciso perché il re gli ha ordinato di troncare le false aspettative.»
«Il proforma avrebbe reciso i dubbi. Perché stimate impossibile un interessamento?»
«Oh, guardatemi! Non esiste nulla di più lontano dalle aspirazioni di un guerriero!»
«Vi fidate di me, altezza?»
«Certo!»
«Allora oltrepassate le apparenze e le diversità. Il Šarkumaar è determinato, leale e generoso. È in grado di assumere le proprie decisioni senza forzature.»
«Voi lo conoscete bene?»
Alla domanda, che implicava più del richiesto, fu la nisenshi trovarsi in difficoltà.
«Ogni guerriero saprebbe elencarvi le sue doti.»
«Solo quelle pubbliche.»
Mirai non ebbe remore a rivangare il trascorso. Era la tradizione e ogni controversia era stata appianata.
«Sono rimasta a tu per tu con lui una volta, sapete quale. Non ho cambiato opinione in tale circostanza.»
Yozora rimase in silenzio. Un velo di tristezza scese sull’anima. Prese tra le mani quelle della sua guardia del corpo, facendola sussultare per l’insolita confidenza.
«Sono una sciocca ragazzina, attraversata da terrori che voi considerate indegni! Me ne vergogno, ma non ce la faccio. Non accantono il pensiero che vi abbia oltraggiata. Devo sapere. Mahati vi ha costretta? Parlate non come una guerriera che obbedisce al suo signore, ma come donna!»
Mirai fissò con stupore le lacrime fluttuare nelle iridi brune della giovane shitai. Avvertì la presa spasmodica delle dita, l’essenza vibrante del suo dolore, la sincera apprensione volta a condividere la sofferenza del prossimo o quella che supponeva tale. A sua volta provò empatia come mai prima d’allora.
«Da donna a donna, lo giuro sull’Arco infallibile di Belker. Non c’è stato nulla che non volessi, nessuna imposizione. Abbiamo condiviso il piacere fisico, nient’altro.»
«So che un Khai non ama» continuò la principessa.
Una goccia trasparente le scivolò sulla guancia, le labbra tremavano.
Perché piange? Forse non mi crede?
«È così» confermò la nisenshi.
«Quale espressione indica una persona per voi unica?»
«Nessuna. Alcuni adottano il termine “prezioso”. Non come lo intendete voi.»
Yozora inalò l’ossigeno e deglutì.
«Mirai, per voi Mahati è… prezioso?»
La guerriera comprese. Non si trattava di appurare se il futuro marito fosse un bruto, la ragazza voleva la garanzia che il matrimonio non avrebbe ferito i sentimenti di un’altra. Percepì un’onda di tenera gratitudine, che si unì all’ammirazione.
«Non lo è. Non angustiatevi, mia signora. Prometto che, se un uomo dovesse un giorno incontrare il mio gradimento, ve lo mostrerò con orgoglio. Se l’eccessiva familiarità non vi infastidirà, sarò lieta di apprendere la vostra opinione, dacché ho osato la mia, indegna, sul vostro sposo e mio principe.»
Yozora le gettò le braccia al collo.
La nisenshi impietrì. Un Khai non versava lacrime e non esibiva fragilità. Accettò il modo in cui la straniera esternava il sollievo e ne rimase colpita. Con deferenza restituì l’abbraccio, la lasciò calmare, le posò una carezza sui capelli e si stupì della propria dolcezza.
«Mirai… lui mi spaventa.»
«Non vi farà del male. Passionale non significa prevaricante, nulla vi impedisce di riservargli il medesimo ardore o di esprimervi per come siete.»
La principessa si rannicchiò contro la spalla della guerriera, i battiti si regolarizzarono. Si sentì come una piscina svuotata dall’acqua stagnante e dalle foglie che ne ricoprivano la superficie. Le scintille di timore che rosseggiavano come braci si spensero. L’ostacolo non le sembrò più insormontabile e ancora una volta le parole di Rhenn fornirono la via: “non consentite all’incognito di dominarvi”.
È tale principio a permettere ai Khai di annichilire la paura? Qual è quello in base a cui riescono a non provare amore?
«Sono rammaricata, nisenshi, vi ho messa in imbarazzo.»
«No, altezza. Parlare con riguardo di ciò che accade tra un uomo e una donna non è scabroso. Però ora Naiše dovrà sistemarvi il trucco, non potete presentarvi scomposta al vostro fidanzato.»
Yozora osservò il bistro nero colato sulle guance. Forse lo avrebbe accolto così: era la sua occasione per terrorizzarlo. Soffocò una risata e l’ansia si volatilizzò.
 
Contrariamente alle aspettative, riconobbe il verso di Fyratesh appena lo stormo fu visibile all’orizzonte.
I vradak si avvicinarono a velocità folle, sollevando una nuvola di pulviscolo dorato e rasentando il fianco orientale del palazzo, a pochi metri dalle stanze del principe che li guidava. Il volo di una formazione da guerra era impressionante: Yozora osservò la manovra perfetta con cui i cavalieri alati presero congedo e si diressero ai quartieri, indirizzando i rapaci attraverso le merlature interne.
Scomparvero dalla vista, ma la sferzata d’aria le scompigliò i capelli e le sollevò i vestiti. Si protese incantata oltre le arcate e riuscì a cogliere l’atterraggio di Fyratesh, tallonato da un feroce esemplare dalle penne brune.
 
Mahati balzò di sella, liberando la chioma corvina dalla polvere. Allentò i finimenti del vradak e gli grattò il petto, affidandolo alle cure degli attendenti.
Eskandar sganciò il mantello e sfilò il diadema, accaldato.
«Il passaggio dall’autunno minkari al nostro clima è intollerabile» bofonchiò «Ci hai fatti correre, principe, persino Ankŭrsai è spossata!»
Il Šarkumaar rivolse un’occhiata alla cavalcatura dell’amico e allungò la mano ad arruffarle il piumaggio, ottenendo in cambio un ciangottio critico.
«Tutta scena per avere doppia razione di cibo. Non lamentarti, reikan. Mi aspettano ore difficoltose e non ho nemmeno pranzato.»
Scesero la gradinata che portava alla terrazza inferiore e, rimasti soli, il tono della conversazione divenne confidenziale. Eskandar si fermò al culmine della scala.
«Hai detto che volevi parlarmi.»
«In privato. Ho dell’ottimo vino rosso.»
«Mh, se sfoderi l’artiglieria pesante significa che sono noie di una certa entità.»
«Non lo nego» rise Mahati «Una questione delicata.»
«E pensi di affidarla a uno grossolano come me?»
«A te affiderei la vita, Eskandar.»
Il guerriero abbassò gli occhi, imbarazzato: avrebbe fatto lo stesso in quella e in un’altra vita. Quando sollevò lo sguardo, l’attenzione fu calamitata dalla giovane salki intervenuta ad accoglierli. Considerò che al posto di Mahati avrebbe pensato molto poco all’assedio di Minkar.
Forse per niente.
Gli spiacque quando lui le chiese di lasciarli soli.
«Per tutti gli dei, non dirmi che è lei la questione delicata, perché mi rifiuto!»
«E se fosse, quale problema avanzeresti?»
«Quale… dico, ti è calata la vista?! O è altro a non collaborare? Mi chiedo cosa tu ci faccia ogni giorno al fronte quando qui potresti trascorrere ore ben più piacevoli!»
Il principe inarcò un sopracciglio e gli porse una coppa d’alcolico rubino.
«Un libro non si giudica dalla copertina.»
«Oh, piantala! Come se non ti conoscessi!»
«Allora sai che detesto indiscrezioni e imposizioni. Ammansisci gli istinti, Eskandar, ti rubano la lucidità. Prenditi una compagna, non hai che l’imbarazzo della scelta. Sei molto popolare tra le guerriere.»
L’altro sbuffò, sistemandosi la treccia blu scuro. Altro che lucidità.
«Va bene, sono nozze indesiderate, vorresti mandare al diavolo tuo padre, prendere a calci tuo fratello, eccetera… tuttavia non ti capisco.»
«Non mi comporto come ci si aspetta, colgo il momento giusto. È per questo che vinco le battaglie.»
«Parli di Minkar o della bella Salki?»
«Di entrambe. Non è lei l’oggetto in questione, rilassati.»
Il reikan alzò gli occhi al cielo e rinunciò al contradditorio. Aveva parlato da amico ed era certo che Mahati avesse colto il punto. Non dovette interrogarsi sull’argomento confidenziale, poiché il principe fornì subito i dettagli.
«Una dannata matassa senza capo!» sbottò.
«Accettando di sbrogliarla metti la tua incolumità a dura prova. Rhenn potrebbe risultare immacolato, ma non perdonerebbe lo spionaggio ai suoi danni. Non potendo rivalersi su di me, la pagheresti per entrambi.»
«Non pensi sia semplice sospettare di me?»
«È un’ipotesi. Potrebbe invece scartarti perché sei scontato.»
Eskandar diede il proprio assenso. La scaltrezza dell’Ojikumaar non lo spaventava: non aveva niente contro di lui, ma la sua fedeltà andava al Kharnot.
«Ecco perché disprezzi la capitale. Meglio l’accampamento, le spade non cospirano e non mormorano.»
Mahati accennò un sorriso e levò il calice.
«Al divino Belker, affinché ti preservi e ti guidi.»
«E a te, perché Mardan riesca a meritarti.»
 
Dopo aver congedato l’amico, Mahati si concesse un bagno.
Le osservazioni prive di grinze di Eskandar gli avevano assestato una spinta. Aveva pronunciato pubblico assenso allo sposalizio, si trattava di mettere sotto esame Yozora, ma anche di scendere a tu per tu con se stesso. Non aveva dimenticato la scarica di fastidio provata quando Rhenn aveva lasciato intendere una complicità con lei e auspicava accertarne l’origine. Se era insofferenza verso il fratello, che sconfinava troppo spesso in ciò che non gli apparteneva, o se l’astinenza fisica gli stava intaccando la razionalità.
La principessa gli piaceva, rinunciare alla carnalità sarebbe stato stupido e controproducente, avrebbe scatenato insopportabili pettegolezzi e sminuito la sua autorevolezza. Era tempo di fare un passo avanti.
Diede licenza a Mirai e sedette all’ombra delle finestre con una fame da lupo. I piatti apparecchiati erano stuzzicanti, lontani da quelli spartani che condivideva con i suoi guerrieri. Fu attirato da una portata sconosciuta.
«È il mio dolce preferito» spiegò Yozora entusiasta «Spero lo gradiate.»
«Non sapevo che tra i cuochi di palazzo ci fossero shitai salki.»
«Infatti, l’ho preparato io.»
«Siete scesa nelle cucine!?»
«No, mi sono fatta aiutare da Naiše e poi l’ho mandata giù a cuocere l’impasto.»
Mahati continuò a fissarla a bocca aperta.
Chi?!
«Il nostro primo desinare è stato forzato, suppongo ve ne siate accorto. Ho pensato di farvi piacere preparando una torta. So che una principessa reale non mette le mani nella farina e nel miele. Nessuno lo saprà.»
Come no! A Mardan le voci non corrono affatto!
«A quante schiave dovrò strappare la lingua?»
«Le ho mandate tutte via e ho messo Mirai alla porta.»
«Tranne una.»
«Di lei mi fido.»
«Pessima idea, come quella di chiamare una dorei per nome.»
Yozora non ribatté, la disapprovazione l’aveva amareggiata ma non piegata. Mahati accettò l’offerta, pensando che nessuno aveva mai puntato ad allettarlo con un piatto. Se non altro era una trovata originale.
«Vi piace?»
«Mh, è dolce e appiccicoso. La frutta secca usata in questo modo è insolita, non capisco cosa sia il resto, ma è… gradevole.»
«Singolare il vostro modo di esternare un complimento» borbottò lei piccata.
«Anche il vostro di corteggiare un uomo.»
«Oh, io non… non è così!»
«Eppure il gusto è uno dei cinque sensi, stimolandolo mi attirate. Avete dichiarato che siamo stati troppo formali, non è vostro proposito abbattere le etichette?»
«S-sì, ma ambisco sciogliere l’atmosfera, non incoraggiarvi.»
«Non necessito d’incoraggiamento e apprezzo le provocazioni. Avvicinatevi, dividete con me il cibo e rallegratevi per aver raggiunto l’obiettivo.»
La principessa gli sedette accanto con il cuore in tumulto, ma lui si limitò a versarle il vino e a spezzare a metà la consistente fetta di torta. Si servì una seconda volta e quando allungò il braccio l’anello d’oro brillò al mignolo. Lei avvertì un balzo gioioso al petto e si convinse che, al di là delle interpretazioni personali, avevano compiuto un salto verso il futuro.
«Perché considerate disdicevole chiamare le ancelle per nome?»
«Per una sconfitta o un tradimento l’onore di shitai e dorei è macchiato per sempre, non sono degni di possedere un’identità.»
«È terribile! Come potete trovarlo equo? Con quale animo infierite ogni giorno su chi non ha più nulla?»
«Non ho mai parlato di animo. È la legge dei Khai e in base a ciò che sancisce sì, lo trovo giusto.»
«Una legge si può cambiare!»
«Preferireste che fossero giustiziati come i ladri e gli assassini?»
«Certo che no! Ma non c’è alcuna possibilità di riscatto!»
Mahati sollevò il viso, le iridi nocciola balenarono tra le lunghe ciglia. Sollevò l’indice e il medio.
«Versare il sangue o vivere privi di fierezza. La prima è redenzione, la seconda viltà.»
«Secondo la filosofia khai! Chi non appartiene al vostro popolo considera sacra la vita e non offende gli dei privandosene! Perciò non ha che una scelta!»
«Anche per noi lo è: sacra al sommo Belker e a lui deve tornare per purificarsi. Quanto ai sottomessi, la loro legge non esiste più, vige solo la nostra.»
«Un giorno qualcuno si ribellerà alla crudeltà del vostro credo e assaggerete la disfatta. Cosa ne penserete allora? Vi ucciderete?»
«Vi sarete domandata come mai è difficile catturare uno dei nostri. Nessun Khai ammette la prigionia, meglio sguainare la spada e morire con onore. Se il dio della Battaglia smetterà di prediligerci, accetteremo la sentenza, non la fuga o la rovina. Il nostro spirito raggiungerà intatto le dimore del celeste Reshkigal.»
«Facile per un guerriero, ma quante volte avete scelto per gli altri? Per chi è piccolo, impaurito o indifeso?»
Il principe scosse la testa come se avesse ascoltato un’immane sciocchezza. Allungò una gamba e mandò in pezzi un prezioso vaso di ceramica.
Yozora sussultò, osservando intimorita i cocci sparsi sul pavimento.
«Scegliereste di aggiustarlo? Se anche riusciste a ricomporre i frammenti, sarebbe inutilizzabile. Non tratterrebbe l’acqua, le crepe sarebbero visibili, lo renderebbero fragile, brutto e finireste per metterlo da parte. Meglio un altro vaso o nessun vaso. Con due valide opzioni, la terza è un limbo di terraglie incollate, ciò che voi chiamate sofferenza. Non vita, non morte. Così gli shitai, le dorei e l’oblio della loro precedente esistenza.»
La ragazza strinse i pugni per arrestare il tremito delle mani. Rompere il vaso era stato quanto di più illuminante avrebbe potuto escogitare per farle comprendere ciò che le parole non erano sufficienti a spiegare. La zona d’ombra tra l’onore e la fine era applicabile in modo asettico agli esseri umani?
«Io mi riferisco alle persone, non agli oggetti» mormorò.
«Anch’io. La legge non vale per i soprammobili.»
Yozora cercò di scacciare il magone: oltre al dispiacere per la disumanità delle asserzioni, non lo aveva coinvolto sul piano personale.
Da Rhenn sono riuscita a ottenere un parere. Certo indossava il tylid e i danni collaterali mi hanno rattristata. Che il mio futuro marito sia più refrattario?
Le interessava il suo punto di vista, non ciò che avrebbe potuto leggere su un libro.
«Avete parlato di oggettività e, per quanto non condivida le vostre usanze, non le contesterò nel vostro palazzo. Soggettivamente, Mahati trova equa la schiavitù?»
Lui rimase di sale. Aggrottò la fronte davanti all’aut aut che non prevedeva sfumature. Una domanda che non si era posto davvero, ma che riecheggiava in sordina ogni volta in cui un nemico sconfitto sfilava davanti al suo seggio.
«Trovo che la questione non vi riguardi.»
«Davvero!? Attenderò ogni sera il vostro ritorno, sperando che non giunga l’annuncio che avete perso la guerra o che mi recapitino le vostre ceneri perché non vi siete consegnato! Affronterò la vostra morte dirvi addio, senza aggrapparmi alla speranza che un giorno tornerete! Magari umiliato ma vivo e libero! Mi riguarda eccome!»
«Se perissi, vi rispedirebbero a Seera.»
«Io non voglio che moriate! Preferisco restare qui con voi! Mi offende che ipotizziate il contrario! Non osate piantarvi le unghie nella carne senza consultarmi!»
Mahati abbassò lo sguardo per un istante, poi gli occhi chiari tornarono a lei.
«Mi farei male e basta, sono immune al veleno.»
«Non è questo il punto!»
«Va bene, lo terrò in considerazione.»
«Lo dite solo per cavarvi d’impiccio!»
Lui rise. Le prese la mano e la sfiorò con le labbra.
«Per scansare il problema vi risponderei che quanto costruito dai mortali può mutare, persino in meglio. Così non me lo domandereste durante l’asheat
«Asheat? Quando?»
«Adesso. Siete pronta.»
   
 
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