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Autore: Nana_13    08/09/2021    0 recensioni
- Terzo capitolo della saga Bloody Castle -
Dopo aver assistito impotenti allo scambio di Cedric e Claire, i nostri protagonisti si ritrovano a dover fare i conti con un epilogo inaspettato.
Ciò che avevano cercato a tutti i costi di evitare si è verificato e ora perdonare sembra impossibile, ogni tentativo di confronto inutile. Ma il tempo per le riflessioni è limitato. Un nuovo viaggio li attende e il suo esito è più incerto che mai. Pronti a scoprire a quale destino andranno incontro?
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 14

 

Fuori controllo


Caro Diario,

finalmente sono riuscita a trovare un po’ di tempo da dedicarti, dopo giorni di puro delirio. Dalla nostra fuga da Roma non ho avuto un minuto libero da trascorrere in pace e ti confesso che mi è mancato molto. 

Per l’ennesima volta dall’inizio di questa folle avventura mi sono ritrovata in un contesto che non mi appartiene e mi ci è voluto un po’ per ambientarmi. In realtà, tuttora non posso dire di esserci riuscita completamente. Ogni volta che ci ripenso stento ancora a crederci. Siamo in Scozia, a migliaia di chilometri da casa, e spesso mi capita di chiedermi se mai ci tornerò. Greenwood mi manca, mi manca la routine della mia vecchia vita, ma più di qualunque altra cosa mi manca la mia famiglia…

Comunque cerco di non pensarci, soprattutto mentre ti scrivo o rischio di bagnare le pagine e combinare un disastro. 

Proprio non riesco ad abituarmi a questi continui spostamenti. A Roma, prima di essere costretti ad andarcene, mi ero quasi illusa che saremmo rimasti lì e invece a quanto pare siamo destinati a non trovare mai pace. Ora ho paura che possa accadere di nuovo, ho paura che in qualsiasi posto ci nascondiamo non saremo mai veramente al sicuro. 

Ogni volta che mi allontano dal cottage ho l’ansia che qualcuno mi spii o mi pedini. Ogni tramestio, ogni fruscio mi fa trasalire. Mi sento così dall’incontro con quei vampiri sul treno. Ho costantemente il terrore che capiti di nuovo e che stavolta possa ritrovarmi da sola. Per questo volevo che Dean mi insegnasse a combattere, per non dover più dipendere da lui o da chiunque altro. Purtroppo, però, non avevo fatto i conti con la mia avversione per la violenza, anche se usata solo come arma di difesa. Se pensi che mi sento ancora in colpa per aver colpito quel vampiro con l’estintore… Lo ammetto, ho dei seri problemi. Eppure è più forte di me.

Comunque, al di là delle mie solite paturnie, la convivenza in casa di Margaret procede abbastanza bene… Se non conti i frequenti battibecchi tra Dean e Cedric, oltre a quelli tra Mark e Rachel. Sarà forse perché siamo qui ormai da più di due settimane e di lei si avverte a malapena la presenza. Compare giusto per i pasti, il tempo di mangiare qualcosa (molto poco in effetti) e la sera va subito a dormire stanca morta. Lei e Margaret se ne stanno chiuse tutto il giorno in laboratorio, immagino a esercitarsi con la magia (fatico ancora a crederci mentre lo scrivo), e non ci sarebbe niente di male, se non fosse che, conoscendo Ray, quando si mette in testa una cosa si impegna anima e corpo per raggiungere l’obiettivo. A volte anche troppo, a dire la verità. 

Ho l’impressione che si stia sfinendo e capisco che lo faccia per Claire, ma temo che come spesso accade non riesca a fermarsi, a capire quando è il momento di prendersi una pausa. Anche Mark sembra averlo notato, per questo le discussioni tra loro si sono fatte più frequenti e animate da qualche tempo. Rachel continua a ripetergli di non preoccuparsi, di lasciarla fare, ecc., quando è chiarissimo a tutti che dovrebbe allentare il ritmo. Io stessa ho provato a tranquillizzarlo, a spiegargli che è fatta così, ma in ogni caso condivido la sua ansia. Anzi, mi piacerebbe trovare il tempo e il modo di parlarne anche con lei, se solo riuscissi a incrociarla da sola nello stesso posto e per più di cinque minuti.

Per fortuna, almeno ho potuto sfogarmi con Dean. Già, hai capito bene. Da quando ci siamo chiariti mi è stato molto vicino, più di quanto avrei mai potuto immaginare. È stata la prima volta che abbiamo avuto una conversazione normale, da coppia normale e quasi non mi è sembrato vero. Avevo un problema, gliene ho parlato e lui da bravo fidanzato (Oh, mio Dio…) ha saputo consolarmi. 

In questi giorni abbiamo avuto modo di trascorrere del tempo insieme ed è stato piacevole scoprire quanto riesca a essere comprensivo. Ad esempio, l’altra sera abbiamo fatto una passeggiata e l’ho portato alla serra, in un angolino appartato in mezzo a fiori e piante aromatiche che ho scoperto accompagnando Ayris una volta. Beh, non ci crederai ma abbiamo fatto mattina confidandoci pensieri e preoccupazioni. È rimasto ad ascoltarmi, mostrandosi interessato a ogni cosa che dicevo, e da allora è diventato un appuntamento fisso, qualcosa di solo nostro, grazie a cui siamo riusciti a conoscerci più a fondo. Ora capisco molto di più di lui, anche per via di quello che mi ha raccontato sul suo passato e su ciò che ha vissuto in un’epoca così lontana dalla mia, e adesso molti lati del suo carattere mi appaiono meno oscuri… Anche il suo modo di porsi, diverso dalla mattina durante l’allenamento alla sera quando siamo soli, non mi suscita più tanta sorpresa. Riesce a essere severo, ma anche sensibile, a seconda delle occasioni, e questo penso sia dovuto alle sue esperienze. È evidente che non gli faccia piacere parlarne, ma il solo fatto che con me riesca ad aprirsi un po’ di più mi dà speranza. Forse ho un futuro nella psicanalisi. 

Ciò non significa che questo suo dualismo non provochi in me sentimenti contrastanti. Ci sono volte in cui vorrei solo mandarlo a quel paese, mentre altre…

L’immagine di noi due avvinghiati in cucina non fa che tornarmi in mente e vorrei tanto riprendere l’argomento da dove l’abbiamo lasciato. Dean però sembra restio, o almeno non ne ha più parlato di sua iniziativa, quindi evito di insistere. 

Se solo la piantasse di trattarmi come una bambola di porcellana…

 

La penna stava ancora scorrendo sulla pagina, quando lo sfogo di Juliet fu interrotto proprio dall’oggetto dei suoi ragionamenti.

“Eccoti.”

La voce di Dean esordì all’improvviso e subito dopo lui sbucò dalla porta di accesso al ballatoio del mulino, su cui si era rifugiata per avere un po’ di privacy. Colta di sorpresa, trasalì, richiudendo di scatto il diario, quasi avesse paura che riuscisse a leggerlo anche da quella distanza. 

“Ehi.” rispose, fingendosi disinvolta. “Come sapevi che ero qui?” Era una domanda sciocca, lo realizzò subito, ma fu la prima cosa che le venne in mente.

“Non lo sapevo, però Mark ha detto che eri uscita e che sembravi diretta al mulino.” spiegò, per poi avvicinarsi. “Non hai freddo quassù?”

Mentre si alzava dal pavimento, Juliet fece spallucce e gli sorrise, contenta che fosse già tornato. Dopo pranzo lui e Ayris erano andati in città per fare rifornimento di viveri e altre commissioni. “Avete trovato tutto?” Decisa a insegnare alla ragazza le basi della cucina, le aveva dato una lista di ingredienti da comprare e, con sua sorpresa, Dean si era offerto di accompagnarla. 

“Sì, non è stato difficile.” 

“E non hai notato niente di sospetto? Sicuro che non vi abbia seguito nessuno?” Il tono con cui lo chiese era carico d’ansia e non si sforzò neanche di nasconderla. 

Dean lo percepì all’istante, così la attirò a sé con un braccio e la baciò con delicatezza sulla fronte, per poi guardarla di nuovo negli occhi nel modo più rassicurante possibile. “Sta tranquilla. È andato tutto liscio.” le disse, praticamente in un sussurro.

Dall’altra parte, Juliet avvertì il solito tuffo al cuore tornare puntuale, ma cercò di ignorarlo, limitandosi ad annuire e a sorridergli con aria un po’ imbambolata. Quando le rivolgeva quello sguardo serio e innamorato avrebbe potuto credere a qualunque cosa le avesse detto. 

Poco dopo lo vide portarsi una mano alla tasca e lo scrutò confusa.

“Ho una cosa per te.” la avvertì. “Girati.”

Chiedendosi cosa avesse in mente, Juliet si voltò, aspettandosi qualche spiegazione. Lo sentì spostarle i capelli da un lato, poi il freddo del metallo sulla pelle le provocò un leggero brivido. Quando tornò a guardare, si accorse che le aveva allacciato al collo una catenina d’argento con appeso un ciondolo a forma di stella a quattro punte. Colta subito da un presentimento, si girò di scatto a guardarlo.

Dean ridacchiò. “Non temere, non l’ho rubata.” chiarì, leggendole nel pensiero.

“E allora come…”

“Ho venduto il cellulare a un banco dei pegni. Tanto ormai era inservibile.” Ci pensò su. “La somma ricavata era discreta, così ho pensato con una parte di farti un regalo.” spiegò, prima di assumere tutto a un tratto un’espressione incerta. “Non ti piace?”

Preoccupata che potesse fraintendere la sua reazione, Juliet si affrettò a scuotere la testa. “No, no! La adoro, è stupenda. Solo che…” tentennò. “Non ce n’era bisogno, ecco.” La metteva un po’ a disagio il pensiero che si fosse sentito in obbligo di spendere soldi per lei, magari per via dei loro recenti diverbi. Ormai aveva deciso di superare il problema, non serviva che le dimostrasse chissà cosa.

A quel punto, Dean assunse un’aria più seria del solito. “Io ne sentivo il bisogno. Volevo donarti qualcosa che rappresentasse ciò che provo per te.” disse diretto. 

Quella frase era qualcosa di molto vicino al ti amo che non le aveva più detto dalla prima volta nel deserto e a Juliet non poté che fare piacere. “E perché proprio una stella polare?” gli chiese interessata.

La domanda gli diede da pensare e Dean esitò un istante prima di rispondere. “Perché quando sentivo la tua mancanza ho fatto come mi avevi detto, ho guardato le stelle e la stella polare è la più luminosa. Grazie ad essa chi si perde ritrova la strada e questo mi faceva sperare che prima o poi ci saremmo riuniti.” 

L’imbarazzo lo travolse mentre parlava ed era palese lo sforzo titanico che stava compiendo per tirare fuori ciò che sentiva; così Juliet, con il cuore che batteva all’impazzata, gli andò in soccorso mettendolo a tacere con un bacio. Ecco perché aveva tanto insistito per accompagnare Ayris, nonostante tutti i pericoli che avrebbe comportato. Aveva già in mente di trovare un modo per farle quel regalo. Bastò questo a mandarla completamente in brodo di giuggiole.

Per un po’ si godettero il bacio, persi l’uno nell’altra; poi i suoi occhi di ghiaccio tornarono a guardarla e Juliet sorrise, tenendo il ciondolo tra le dita. “Mi piace tantissimo, grazie.” 

Lui ne sembrò soddisfatto e per qualche altro istante non fecero altro che restare abbracciati a studiarsi. 

Alla fine le sfiorò un’ultima volta la guancia, prima di schiarirsi la gola e ritrovare il consueto contegno. “Sarà meglio scendere ora. Dobbiamo approfittare delle poche ore di luce rimaste per allenarci.” disse tutto composto. 

Juliet però non si lasciò incantare. Anzi, ormai trovava perfino divertenti quei suoi repentini cambi di atteggiamento. Era buffo quando cercava di non sembrare troppo preso dalla situazione. Al settimo cielo per la felicità, annuì sorridente, per poi dirgli di precederla e che lo avrebbe raggiunto subito.

Rimasta sola, riaprì al volo il diario e scrisse di getto:

 

Caro Diario,

dimentica tutto quello che ho scritto nelle ultime righe. Lo amo.

 

-o-

 

Quando l’acqua calda nel bollitore iniziò a brontolare, Juliet lo tolse dal fuoco e ne versò la maggior parte dentro un thermos, dove già da prima aveva messo alcune bustine di tè in infusione. Era rimasta sola quella mattina, visto che i ragazzi erano fuori ad allenarsi, Ayris era sempre in giro e Rachel aveva lasciato il cottage più presto del solito per rintanarsi in laboratorio insieme a Margaret. La sera prima era riuscita a scambiarci due parole prima di andare a letto e le aveva raccontato di stare facendo progressi. Ora era in grado di padroneggiare molto meglio il suo elemento, l’aria, e in maniera discreta anche gli altri, perciò Margaret aveva stabilito che fosse finalmente arrivato il momento di introdurla nell’affascinante mondo delle pozioni.

Per quanto fosse contenta per l’amica, Juliet tuttavia avrebbe voluto parlare anche di altro. Dell’improvvisa e inaspettata decisione di Dean di farle un regalo, ad esempio. Lei stessa faticava ancora a razionalizzare la cosa e non smetteva più di toccare il ciondolo che portava al collo ormai da giorni. Non se ne separava mai, era diventato parte di sé. Ben presto, però, si era resa conto che quella fosse una scemenza in confronto a tutto il resto, così era rimasta ad ascoltarla per lo più annuendo interessata. Anche perché Rachel era talmente presa da non accorgersi nemmeno della collana. 

Il tè era pronto, quindi tolse le bustine usate dal thermos e lo richiuse per assicurarsi che mantenesse il calore. Quel giorno faceva più freddo che mai e aveva pensato di portare ai ragazzi qualcosa per scaldarsi un po’, ammesso che ne avessero davvero bisogno con tutto il sudore che Dean faceva loro versare ogni volta.

Dopo essersi coperta per bene, si avviò alla porta sul retro, ma poco prima di varcare la soglia sentì qualcuno parlare a voce alta in modo concitato e affrettò subito il passo. 

“Figuriamoci, non mi permetterei mai di replicare a un ordine del capo.” stava dicendo Cedric, chiaramente arrabbiato.

Juliet vide Dean incrociare le braccia e fissarlo dritto negli occhi, prima di ribattere. “Okay, senti... Io e te non siamo mai andati d’accordo e questo è assodato. Ora, però, mentre io mi sono sempre sforzato di convivere pacificamente, non mi sembra che tu stia facendo lo stesso.” Il tono che usò era risoluto, come se cercasse ancora di evitare che la situazione degenerasse. 

Una volta da loro, l’unico sguardo che Juliet incrociò fu quello di Mark, che era quasi disperato. 

“E hai pensato che così facendo saremmo diventati amiconi?” proseguì Cedric ironico.

“Certo che no. Ho semplicemente creduto che avessimo deciso di tollerarci a vicenda almeno per il tempo che saremo costretti a passare insieme.”

Lui si lasciò sfuggire una risata di scherno. “E io dov’ero quando lo abbiamo deciso? Sotto anestesia?”

“Ehi! Si può sapere che vi prende? Cos’è successo?” si intromise a quel punto Juliet, cercando di capirci qualcosa.

Finalmente Dean la guardò. “Succede che Cedric non ha il coraggio di ammettere che tutte le sue continue critiche nei miei confronti sono dovute a un’unica ragione.” 

“Non puoi permetterti di fare la vittima.” replicò Cedric, mentre cercava a modo suo di contenere la rabbia. “Non dopo avercene fatte passare di tutti i colori. La verità è che hai distrutto le nostre vite. Per non parlare di quello che hai fatto a Claire…”

A quel punto, Dean annuì, scuotendo la testa e sogghignando divertito. “Ecco qua, ci siamo. L’hai detto finalmente.”

“Dean…” provò ad ammonirlo Juliet, prima che Cedric le parlasse sopra.

“Sì, lo ammetto. Il problema di fondo è sempre lo stesso. Ti avevo avvertito che non sarei mai riuscito a perdonarti e non lo farò. Non voglio farlo. Se Claire non è qui, la colpa è solo tua.” 

“È vero e me ne assumo la piena responsabilità.” riconobbe Dean. “Tuttavia, mi sembra che da quando è accaduto nessuno di voi si sia fermato un attimo a cercare di capire le mie ragioni. Credi che se non l’avessi morsa avrebbe rinunciato a consegnarsi? Beh, ti assicuro che non è così. Lo avrebbe fatto comunque e allora sì che sarebbero stati guai. Quindi tra i due mali ho scelto quello minore, permettendo sia a te che a lei di restare vivi. È un dettaglio che ti sei guardato bene dal considerare.”

“Hai ragione, scusa. Mi sono dimenticato di ringraziarti.” replicò lui sarcastico.

Lo sguardo di Dean rimase di ghiaccio. Il fatto che Cedric lo stesse prendendo in giro non faceva che fargli salire la bile ogni secondo di più. “Non me ne faccio niente della tua gratitudine. Voglio solo chiarire questa storia una volta per tutte.” Dopodiché disse qualcosa di inaspettato, tanto da far scendere il silenzio per qualche istante. “Perciò ti propongo una soluzione: se ti fa sentire meglio, picchiami. Avanti.”

Perfino Cedric si ammutolì, preso in contropiede da quell’uscita, ma niente in confronto all’espressione scioccata di Juliet. 

“Ma che stai dicendo?” boccheggiò incredula. Gli aveva dato di volta il cervello?

Dean però sembrava serissimo. Il suo cipiglio determinato non lasciava spazio a dubbi. “Con lui è l’unico modo di trattare.” le disse rapido, per poi tornare su Cedric, invitandolo a farsi avanti. “Forza, dammi un pugno. Non opporrò resistenza.” insistette.

“Dai ragazzi, adesso fatela finita.” Dal tono Mark era preoccupato quanto lei e con molta probabilità pronto a frapporsi tra i due in caso Cedric avesse deciso di assecondare la richiesta.

Ovviamente entrambi lo ignorarono, troppo presi a studiarsi a vicenda.

“Andiamo, di che hai paura?” continuò Dean imperterrito.

“La vuoi smettere?” lo riprese lei. Che diavolo gli era preso? Tutta quella voglia di fare a botte era insolita da parte sua. Il suo sguardo saettò allarmato verso Cedric, per controllarne la reazione. Dopo lo spaesamento iniziale, ora sembrava che stesse valutando la proposta con un certo interesse, tanto che la mascella gli si contrasse pericolosamente e le dita della sua mano destra si chiusero a pugno, come se avesse davvero intenzione di colpirlo.

“Ced…” tentò Mark di nuovo.

Lui allora parve sentirlo, anche se non reagì subito. Rimase così ancora per un po’, incerto sul da farsi; poi spostò per la prima volta lo sguardo su Juliet e fu quella la spinta decisiva. Si rilassò e le dita tornarono a distendersi. “Non c’è gusto se sei tu a chiederlo.” sentenziò infine, fissandolo con astio. Era palese che lo odiasse ora più che mai. Detto ciò, voltò le spalle a tutti e si diresse verso il portico, sparendo poco dopo in casa.

Mark non impiegò molto a seguirlo, così che per un momento Juliet e Dean rimasero soli là fuori. Lei si accorse che la stava guardando, probabilmente in cerca di un appiglio per attaccare con le solite spiegazioni, ma non gliene diede la possibilità. Senza rivolgergli la parola, si strinse nel cappotto e si avviò di nuovo dentro, lasciandolo in compagnia dei suoi tormenti interiori. 

A renderla furiosa non era stato tanto il suo tentativo di provocare una rissa, anche quello certo, ma non quanto il fatto che l’avesse del tutto ignorata quando gli aveva detto di smetterla. Più tardi gli avrebbe chiesto come gli fosse venuto in mente di risolvere i suoi problemi con Cedric in quel modo così idiota. Si era comportato da immaturo, il perfetto esempio di maschio medio tutto muscoli e niente cervello che non aveva mai dimostrato di essere. Per fortuna, almeno Cedric aveva avuto il buon senso di non assecondarlo. –E tanti cari saluti all’emozione da regalo romantico- pensò indispettita. La condizione da fidanzati innamorati era durata fin troppo per i loro standard. 

Una volta in salotto, il primo impulso fu quello di lasciar perdere, ma cambiò idea nel giro di due secondi. Doveva vederci chiaro. “Ma che vi è preso stamattina? Perché avete iniziato a discutere?” chiese a Cedric di getto. 

Lui si abbandonò in maniera poco elegante sul divano. “Il signorino deve essersi svegliato di malumore oggi.” replicò, alludendo a Dean. 

“Non mi sembra che a te sia andata meglio.” osservò Mark per tutta risposta. 

“Non credo proprio. Io ho dormito benissimo.” 

Ignorando l’ironia, l’amico sospirò, incrociando le braccia. “Andiamo Ced, non verrai a dirmi che ha iniziato lui. Sono giorni che non perdi occasione per provocarlo.”

Cedric assunse un’espressione fintamente addolorata. “Poverino, chissà come dovrà sentirsi.” 

“Potresti anche fare uno sforzo ed evitare di litigarci ogni cinque minuti.” 

A quel punto, lui smise di scherzare e lo guardò più serio che mai. “Non mi pare che si sia fatto tanti scrupoli quando ha lasciato che Claire si consegnasse a quello psicopatico, perciò non dire a me di fare uno sforzo. E poi tu da che parte stai?” 

Mark sospirò di nuovo, prendendo a fissare il pavimento. “Dalla parte di nessuno. Sto solo cercando di farvi ragionare.”

Evitando di rispondergli, Cedric distolse lo sguardo e imbronciato si mise a contemplare il nulla fuori dalla finestra. 

Per qualche istante calò il silenzio, finché Juliet non si sentì in dovere di intervenire. “Ascolta, Ced. L’ultima cosa che voglio fare è difenderlo, le sue azioni non hanno scusanti e sono io la prima a dirlo. Però, credimi, sa di averci ferito. Si sente in colpa e sta facendo di tutto per dimostrarcelo.” 

“Potrebbe anche inginocchiarsi sui carboni ardenti, per quanto mi riguarda. Non cancellerà quello che ha fatto.” replicò Cedric, senza arretrare di un millimetro. “Se credete che io possa dimenticare quella notte e andare avanti come se niente fosse, vi sbagliate di grosso.” 

Sia nella sua voce che nello sguardo, Juliet percepì una sofferenza che non vedeva da un po’ e che pensava si fosse affievolita, quando in realtà non l’aveva mai lasciato.

“Nessuno te lo sta chiedendo, ma non penserete di continuare così in eterno. Dovrete trovare un punto d’incontro, prima o poi.” disse Mark paziente.

“Un punto d’incontro, certo…” Le labbra di Cedric si piegarono in un ghigno amaro. “Sentite, non pretendo che capiate. Per tutto il tempo passato in quel buco di tre metri per quattro non ho fatto altro che ripensare a quell’occasione sprecata. Davo per scontato che presto o tardi sarei morto e l’idea di non essere riuscito a dirle…” 

Su quella frase si interruppe, sopraffatto da un misto di rabbia e frustrazione. Strinse il pugno sulla gamba così forte da far sbiancare le nocche e Juliet avrebbe potuto giurare che in quel momento si sarebbe volentieri alzato per andare da Dean e picchiarlo sul serio. Anzi, probabilmente prima si era trattenuto solo perché lei era presente. Per la prima volta da quando lo avevano salvato lo vide davvero perso, in balia degli eventi forse anche più di loro. Era chiaro come il sole che amasse Claire più di ogni altra cosa e che perderla era stato uno shock davvero terribile. 

Colma di tristezza, gli si sedette accanto, poggiando la mano sulla sua per infondergli un minimo di calore umano. 

Cedric non si ritrasse. “Neanche il tempo di realizzare che l’avrei rivista e si stava allontanando di nuovo. Mi sono sentito così inutile e mi ci sento ancora.” si sfogò, la voce malferma come se cercasse di impedire alla valanga di emozioni che stava provando di travolgerlo.

Non c’era niente che Juliet potesse dire per consolarlo, quindi rimase in silenzio e si strinse a lui, mentre Mark si sedeva sul bracciolo e gli posava una mano sulla spalla con fare comprensivo. 

Quando Dean rientrò, li trovò così, ma non proferì parola. Il suo sguardo incontrò per un attimo quello di Juliet, che non ebbe bisogno di molto intuito per capire che si era già pentito del suo comportamento. 

Nessuno aggiunse altro, visto che ormai era stato detto tutto il necessario, finché Juliet non sentì Cedric riscuotersi, cercando di farsi forza. Abbozzò un mezzo sorriso per ringraziarli, mentre con Dean finse direttamente che non esistesse. 

L’aria che si respirava in quella casa era davvero pesante e, quando finalmente Juliet vide rientrare Rachel e Margaret dal laboratorio non poté che tirare un sospiro di sollievo. Tuttavia, la gioia durò poco, perché ben presto capì che quella doveva essere proprio una giornata storta. Vide l’amica entrare tenendosi un pezzo di stoffa su un braccio, come se si stesse tamponando una ferita e subito accorse a vedere. 

“Che è successo?” chiese Mark allarmato, andandole anche lui incontro. 

“Niente, è solo una bruciatura.” minimizzò lei, mentre obbediva all’ordine di Margaret di sedersi. Non pensava di trovarli già in casa, altrimenti le avrebbe chiesto di medicarla in laboratorio. L’ultima cosa che voleva era gente nel panico a cui dover dare spiegazioni. 

“Scopri.” fece Margaret pratica. 

Con una smorfia di dolore, Rachel abbassò il panno, rivelando una brutta ustione di dimensioni notevoli. 

Impressionata, Juliet si coprì la bocca con la mano.

“Accidenti, Sabrina. Come hai fatto?” chiese Cedric ironico, non mascherando a sua volta una certa apprensione.

La donna sventolò la mano, invitandoli a non agitarsi. “Può capitare. Un incantesimo è rimbalzato e…”

“E le ha quasi mozzato un braccio!” completò Mark, senza notare l’occhiataccia di rimprovero che Rachel gli rivolse.

“Esagerato.” replicò Margaret sbrigativa, prima di concentrarsi completamente sulla sua allieva. “Ora non muoverti.” Sollevate le mani sopra la ferita, chiuse gli occhi e tutto intorno scese il silenzio. Tutti aspettavano con una certa curiosità di vedere cosa avrebbe fatto. 

Lentamente, una luce dorata si sprigionò dai palmi delle sue mani e Rachel avvertì quasi subito un piacevole senso di freschezza sul braccio ferito. Concluso l’incantesimo, Margaret si ritrasse e al posto dell’ustione c’era una chiazza rosata. Anche il bruciore si era ridotto notevolmente. 

La donna ammirò soddisfatta la sua opera. “Meglio no? Naturalmente dovrai applicare un unguento. Gli incantesimi di guarigione non fanno sparire tutti i tipi di ferite, ma avremo modo di studiarli più avanti.” Detto ciò, li avvertì che sarebbe andata alla serra a raccogliere le erbe necessarie per la preparazione e uscì. 

In tutta sincerità, Rachel avrebbe preferito che restasse e infatti non ci volle molto perché i suoi timori si realizzassero. 

“Mi spieghi cos’è successo esattamente?” domandò Mark, andando subito alla carica. “Stavate materializzando dei petardi, per caso?”

-Ci siamo- pensò rassegnata, alzando gli occhi al cielo. Stavolta non c’era modo di scappare. “Margaret te l’ha detto, è stato solo un incantesimo finito male. E comunque la prossima volta potresti evitare certe crisi di panico in sua presenza, per favore?” 

Dapprima spiazzato, lui la guardò aggrottando la fronte. “Io non ho avuto nessuna crisi. Mi sono solo preoccupato vedendoti con il braccio in quelle condizioni.” ribatté un po’ risentito. 

Rachel allora si rese conto di aver detto una fesseria e cercò di ritrovare la calma. Ora non aveva proprio voglia di discutere, quindi meglio assecondarlo. “Hai ragione, però non ne hai motivo. Sto bene. Margaret mi ha guarito e adesso è tutto a posto, okay?” Sperava così di dirgli quello che voleva sentire e troncare il discorso sul nascere, senza capire che in realtà liquidarlo era il modo in assoluto più efficace per farlo arrabbiare.

“No, non è tutto a posto.” la contraddisse, infatti, fomentandosi. “La bruciatura è il male minore. La sera ti vedo arrivare distrutta, dormi a malapena e mangi ancora meno. Tutto questo non ti fa bene, Ray.” 

Ecco che ricominciava con la solita storia. Da quando aveva iniziato ad addestrarsi non faceva che starle addosso e ormai Rachel ne aveva fin sopra i capelli. “Te l’ho già detto non so quante volte, lascia decidere a me se mi fa bene o no. Sono perfettamente in grado di badare a me stessa!” Ora anche la sua pazienza iniziava a esaurirsi e la cosa si ripercosse sul suo tono di voce. 

Mark alzò un sopracciglio con aria scettica. “Ne sei proprio sicura? A me non sembra.”

“Okay, per oggi direi che abbiamo litigato abbastanza tutti quanti.” si intromise Juliet, che aveva già intuito la piega che stava prendendo la situazione. “Andiamo, Ray. Ti accompagno di sopr…”

“No, aspetta.” L’amica la zittì con un gesto della mano, prima di tornare a squadrare Mark con la rabbia che trasudava palpabile da tutti i pori. “Che vorresti dire con questo?”

“Solo che ho l’impressione che tu lo faccia più per orgoglio che per altro. Ti sfinisci così perché hai paura di apparire debole agli occhi di quella donna, ma non ti rendi conto di farti del male.” si spiegò Mark, mantenendo un tono stranamente asettico per il suo carattere.

Quelle parole la ferirono molto, oltre a farle salire la bile dal fegato. Come poteva pensare una cosa del genere? D’accordo, in quei giorni stava dando tutta se stessa e forse lo aveva trascurato un po’ troppo, ma questo non gli dava il diritto di sputare sentenze sui motivi che la spingevano ad agire in quel modo. “Quindi è questo che pensi di me? Pensi che sia una povera cretina che non sa quello che fa? Voglio ricordarti che la vita di Claire dipende da questo addestramento!” gli sbatté in faccia. 

“Questo non significa che tu debba sacrificare la tua.” disse Dean, intervenendo per la prima volta nella discussione.

Rachel, però, era davvero fuori di sé e lo fulminò con lo sguardo prima che potesse aggiungere altro. “Nessuno ha chiesto il tuo parere! Sei l’ultima persona che può mettere bocca sull’argomento, perciò TACI!” 

Non si mosse, né pronunciò alcun incantesimo, di conseguenza non riuscì a capire e rimase spaesata quando lo vide trasalire e portarsi una mano alla gola, iniziando a boccheggiare in cerca d’aria. 

Juliet gli si avvicinò, fissandolo spaventata. “Che cos’hai?” 

“Non… respiro…” mormorò lui con voce strozzata; poi cadde in ginocchio, ormai colto da spasmi sempre più forti.

Anche Mark si chinò, cercando di aiutarlo, ma nessuno dei due sapeva come fare. Sempre più nel panico, Juliet venne colta da un presentimento e di scatto si voltò verso Rachel, trovandola impietrita a fissare la scena. “Ray!” urlò, intuendo che fosse lei la causa di tutto. “Ray, lascialo!” le gridò ancora disperata, le lacrime che ormai le rigavano le guance.

A quel punto, lei parve riscuotersi e, colta da un fremito, tornò a sbattere le palpebre. Nell’istante successivo la crisi sparì com’era iniziata e Dean riprese a respirare. Ci volle un po’ per calmare l’affanno, ma alla fine con l’aiuto di Mark riuscì a rimettersi in piedi. Scombussolato e con la mano ancora alla gola, alzò gli occhi su Rachel, intuendo a sua volta che all’origine del malore ci fossero i suoi poteri.

Smise di guardarla solo quando Juliet gli sfiorò la guancia, studiandolo apprensiva. 

“Stai bene?” gli chiese in un sussurro.

Dean annuì in silenzio, ma stavolta neanche lui avrebbe potuto negare di essersi spaventato. 

“Ray…” mormorò Mark, fissandola incredulo. “Ma che ti succede?”

Lei però non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. Si vergognava troppo. Non riusciva a capacitarsi di come fosse potuto accadere. Aveva rischiato di soffocare qualcuno senza neanche rendersene conto. A cosa la stava portando la magia? Che involontariamente si stesse trasformando in un mostro? “Io… io non…” Le parole stentavano a uscirle di bocca. Avrebbe voluto scusarsi con Dean, dirgli che le dispiaceva, che non lo aveva fatto apposta... Sentiva le vene delle tempie pulsare frenetiche e al contempo fastidiosi puntini neri luccicanti le erano comparsi davanti agli occhi, tanto da dover battere più volte le palpebre per scacciarli via; poi la testa prese a girarle vorticosamente, finché tutto a un tratto le si annebbiò la vista, le gambe cedettero e crollò a terra.

A quella vista, Mark sembrò dimenticare all’istante i toni della discussione e si precipitò accanto a lei.

Quasi nello stesso istante, Margaret rientrò dalla serra e li vide tutti intorno a lei, svenuta sul pavimento. “Cos’è accaduto?” domandò sorpresa e allarmata allo stesso tempo.

“E lo chiedi anche?” le gridò Mark, voltandosi a guardarla furioso. “Sei stata tu a ridurla così, è colpa tua! Hai intenzione di ucciderla?” Era la prima volta che si azzardava a darle del tu, ma in quel momento era sicuramente l’ultima cosa che gli interessava.

Le sue parole ebbero uno strano effetto sulla donna, che invece di reagire alle sue accuse rimase di sasso, con l’espressione di chi ha appena ricevuto una violenta botta in testa.

Senza darle importanza, Dean si chinò su Rachel e la sollevò con facilità, portandola fino al divano. Malgrado avesse appena tentato di ucciderlo e ne fosse ancora scosso, non ce l’aveva con lei. Era evidente che la storia dei poteri andasse al di là del suo controllo.

“Le sembra normale che svenga continuamente?” chiese Juliet a Margaret, che intanto rovistava nella credenza alla ricerca di chissà cosa. 

Senza preoccuparsi di risponderle, porse a Dean un barattolo di vetro ricolmo di erbe aromatiche. 

“Tieni, falle odorare questo. Si riprenderà più in fretta.” 

“Le ho fatto una domanda.” insistette Juliet indispettita. 

“Ti ho sentito.” ribatté la donna, senza però rivolgersi a lei direttamente.

“E allora mi guardi quando le parlo!” strillò esasperata. Fin dal primo giorno, Margaret aveva evitato di guardarla in faccia e immaginava fosse perché la sua somiglianza con la sorella morta le procurava sofferenza, ma adesso si era stancata. Quella mancanza di considerazione stava diventando offensiva.

Sentirla alzare la voce la riscosse e finalmente sembrò rendersi conto di non poter più continuare a ignorarla. Così, pur con evidente fatica, spostò lo sguardo su di lei. “Come ho già spiegato, l’uso prolungato della magia può essere stancante, soprattutto i primi tempi. Quindi sì, è normale che abbia dei mancamenti, ma non c’è ragione di allarmarsi. Ecco, vedete. Si sta già riprendendo.”

A contatto con le erbe del barattolo, infatti, Rachel dischiuse gli occhi e tossì un paio di volte, prima di scrutare uno a uno i loro volti carichi di ansia. 

“Ray…” Juliet le sorrise, contenta di vederla di nuovo vigile. Aveva l’aria confusa e stralunata, ma nel complesso sembrava stare bene. Con delicatezza la aiutò a mettersi seduta.

“Che è successo?” chiese lei con voce roca, portandosi una mano alla fronte. La testa le girava come un frullatore e avvertiva anche uno strano senso di nausea allo stomaco. 

“Niente di che, hai quasi strangolato Dean con la forza del pensiero e poi sei crollata. La solita routine.” riassunse Cedric in risposta. 

Al solito lo fece per sdrammatizzare, ma Rachel non trovò proprio nulla per cui ridere. Le rivenne subito in mente la scena di poco prima e il rimorso tornò a schiacciarla come un macigno. Con aria penitente, si rivolse a Dean. “Mi dispiace. Scusami, io… Non so cosa mi sia preso.” Che fosse tra le cose più banali da dire se ne rendeva perfettamente conto, eppure non avrebbe saputo in quale altro modo dimostrargli che si sentiva in colpa. Per fortuna, lui non sembrava arrabbiato e annuì, accettando le sue scuse.

“Perché non vai di sopra? Hai bisogno di riposare.” suggerì Margaret a quel punto, evitando poi di incrociare lo sguardo glaciale di Mark quando chiese a Juliet di accompagnarla. “Nel frattempo, io mi occuperò dell’unguento da spalmare sulla ferita.” aggiunse, in un tono mesto che Rachel non capì. Aveva l’aria decisamente provata ed era la prima volta che le capitava di vederla così.

Comunque non fece domande, lasciando che l’amica la aiutasse ad alzarsi e seguendola poi lungo le scale. 

 

-o-

 

Era un pomeriggio tranquillo al Berny’s, c’erano meno clienti del solito, complice anche la stagione fredda. Seduti al vecchio bancone di legno del bar si vedevano giusto un paio di abitanti del luogo che avevano finito di lavorare e ai tavoli qualche turista amante dei paesaggi invernali. 

Un uomo di mezza età, quasi pelato e dal ventre prominente stava inveendo contro la televisione, l’unico accessorio moderno del locale, dove stavano trasmettendo la partita di ritorno del campionato. Di lì a poco, l’arbitro fischiò la fine e l’immagine sullo schermo cambiò, dando spazio alla pubblicità rumorosa di uno yogurt svizzero. 

“Ehi, Berny! Dammi un’altra birra!” gracchiò l’uomo sulla cinquantina. “Devo mandare giù un goccio per cancellare il ricordo di questa partita.”

Il gestore del pub riempì rapido una pinta dallo spillatore e gliela allungò. “Hanno fatto proprio schifo stasera, eh Pit?” gli chiese, probabilmente retorico. Dal tono infatti sembrava più accondiscendente che davvero interessato.

L’uomo si strinse nelle spalle, tracannando avidamente dal boccale. “Che vuoi farci? Non è più la squadra di una volta.” 

Nel frattempo alla Tv stavano trasmettendo la notizia di un’inondazione nello Yorkshire, a cui non diedero peso, e subito dopo il conduttore passò agli aggiornamenti dall’estero, con il caso dei sei ragazzi scomparsi nel Montana e non ancora ritrovati. 

“Scommetto sulla testa della mia defunta madre che sono tutti morti. Eh, Pit?” commentò Berny, senza neanche guardare lo schermo. 

“Sicuro! Gli Yankee sono dei pazzi. Vedrai che si saranno andati a cacciare in qualche guaio, o magari è una storia di droga. Sì, sarà sicuram…” Si interruppe alla vista di un particolare sullo schermo che attirò la sua attenzione più di tutto il resto. Il servizio del notiziario stava mostrando come al solito le foto di cinque ragazzi, più l’identikit di un sesto ricostruita grazie alle descrizioni fornite dai testimoni. “Ehi, aspetta un attimo. Io lo conosco quello!” esclamò, puntando il dito contro lo schermo. “È venuto al negozio qualche giorno fa!”

Dall’altra parte del bancone, Berny ridacchiò. “Ma che dici Pit? Sei ubriaco. Andiamo, per stasera basta così.” lo rimbeccò, sfilandogli la birra da davanti.

Pit però non demorse. “Ti dico che è lui! Mi era sembrato sospetto fin da subito, con quell’aria misteriosa e il cappuccio sulla testa. Poi mi ha venduto un cellulare abbastanza decente e non ho fatto domande, sai com’è… Ma sono sicuro che era lui.” 

“Okay, okay, come dici tu. Adesso però alza il culo e tornatene a casa, o domani dovrò vedermela con tua moglie e ho già abbastanza da fare con la mia.” 

Convinto di avere ragione, Pit tornò a guardare lo schermo, ma a quel punto il servizio era terminato e l’immagine dell’identikit sparita, così come la sua voglia di insistere sulla questione. Si alzò dallo sgabello e, lasciato il conto sul bancone, salutò il barista, avviandosi un po’ barcollante all’uscita. 

Ormai era quasi ora di cena e la strada era semideserta. I negozi avevano tutti la saracinesca abbassata o si preparavano a chiudere. Pit faceva lo stesso percorso da anni e, anche da ubriaco, era in grado di raggiungere la sua abitazione a qualche isolato di distanza senza problemi. Tuttavia, quella sera doveva aver bevuto un po’ troppo, perché sentiva la testa galleggiare come un palloncino e non si accorse minimamente che qualcuno nell’ombra lo stesse seguendo.

Mancava una decina di metri al cancello di casa, quando all’improvviso si sentì strattonare per un braccio, per poi essere trascinato nel vicolo accanto. 

“Ma che cavolo…” mormorò spaesato, prima che un individuo grande e grosso, vestito di nero e con la faccia di uno appena uscito di galera lo inchiodò contro il muro, impedendogli di muoversi. 

“Sta zitto, grassone. Qui le domande le facciamo noi.” lo minacciò qualcun altro, stavolta una donna, bionda e decisamente attraente, che gli puntò rapidissima uno stiletto alla gola. 

Gli sembrava di averli intravisti al pub. Sì, forse erano seduti a un tavolo da qualche parte, ma non avrebbe potuto giurarci. Terrorizzato, tentò di mettere subito le cose in chiaro. “Vi prego… Non ho soldi con me…” prese a balbettare, le membra scosse dai fremiti.

La donna proruppe in una risata divertita, evidentemente colta da un discreto piacere nel vederlo in quello stato. Intanto, alle sue spalle sbucò dal buio un altro strano individuo dai tratti aguzzi e lo sguardo penetrante, accompagnato da un secondo energumeno nerovestito.

“Non ci interessano i tuoi soldi. Abbiamo solo bisogno di alcune informazioni.”

   
 
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