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Autore: jomonet    09/09/2021    2 recensioni
Reylo AU!Lawyers
Dopo la morte di Luke, Rey si fionda nello studio per fuggire dal dolore che l’affligge, diventando così un diamante prezioso nell’ordine degli avvocati di New York City. A 25 anni si è ricostruita una vita tra le vie di Manhattan e vive con costanza e gioia i suoi frenetici ritmi quotidiani, sicura di aver terminato il capitolo dedicato alla famiglia Skywalker-Solo. Eppure, sappiamo quanto il passato sia desideroso di riscuotere il prezzo da pagare imposto da esso, comparendo dal nulla in una giornata qualunque di lavoro. Le ombre saranno per sempre attratte dalla luce, è un gioco e Rey dovrà solo cedere ad esso, accettandolo.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Rey
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Rey era una ragazza in carriera. Viveva a New York da quando era nata e le piaceva stare in quella città. Era da sempre stata il simbolo della sua dolce infanzia e, nonostante avesse ormai 25 anni, continuava a pensarla così, soprattutto per quello che successe dopo quel periodo idilliaco della sua vita. Durante la sua adolescenza i suoi morirono a causa di un brutto incidente e ancora minorenne fu data ai servizi sociali che si occuparono di lei fino a quando un uomo anziano barbuto non l’accolse in casa sua. Si chiamava Luke. Era molto gentile e cordiale con lei. La trattava sempre con rispetto, ma era severo al momento giusto. Avevano molti interessi in comune come l’amore per il teatro e la fotografia, leggere molti libri e cenare ogni lunedì sera con una pizza. Lui era convinto che quel pasto così delizioso e buono servisse a regalare uno spiraglio di luce e di gioia a quel giorno monotono, triste, che tutti odiavano. La casa in cui abitavano era un appartamento in un palazzo a sei piani di Brooklyn. La via era tranquilla, per i canoni altamente rumorosi di New York City, e nel loro quartiere conoscevano Luke come un signore simpatico e colto, amato e stimato da tutti. Tuttavia le voci correvano e le persone erano a conoscenza dei problemi che sua sorella Leia attraversava con suo marito Han. I pettegolezzi, seppur veritieri, si erano sparsi velocemente per il condominio e gli amici più stretti di Luke, quando passavano a trovarlo, gli chiedevano sempre degli aggiornamenti. Lui, pur sempre un uomo ottimista, rispondeva loro che si sarebbe risolto tutto quanto, finendo presto nel dimenticatoio delle loro menti.

Purtroppo per la famiglia Solo non fu così. Quella volta Luke non ci aveva visto giusto e si sbagliò completamente sulla previsione, il suo naturale istinto fallì. Passarono ben quattro anni dall’entrata in scena di Rey in quella famiglia, quando Leia e Han decisero di lasciarsi. A pagare maggiormente le conseguenze delle loro liti, dei combattimenti e, infine, del divorzio fu il loro unico figlio, Ben. Qualche volta Luke invitava suo nipote a stare da lui per farlo staccare dallo stress che si respirava a casa Solo. Rey e Ben non parlavano molto, oltre alle solite domande di cortesia, non si rivolgevano mai la parola. Ogni volta che Rey provava a parlargli lui si chiudeva tre le spalle e spariva in camera sua oppure inventava una scusa per uscire e prendere una boccata d’aria. Quando i suoi divorziarono definitivamente, Ben sparì e nessuno seppe di lui. Né Leia né Han e nemmeno Luke, tanto meno Rey. Presto divenne un fantasma in quella famiglia conosciuta da tutti, terribilmente incasinata e maledetta.

 

Rey stava fissando fuori dalla finestra di un bar vicino al Central Park, mentre la sua mente vagava tra i lunghi flussi ondeggianti dei suoi ricordi legati a quella storia lontana. All’inizio le era parsa una famiglia felice, rivelandosi poco dopo l’esatto opposto. Non sapeva e non aveva mai chiesto a Luke il vero motivo del divorzio che coinvolse i Solo, forse, perché non accettava che un amore così bello come il loro fosse finito all’improvviso. Prima che i litigi iniziassero li aveva visti e notati insieme, mentre si abbracciavano o si scambiavano delle semplici frasi di circostanza, e ai suoi occhi erano bellissimi. Lei credeva nel vero amore, e loro ne erano una prova. Bè, almeno prima di quel periodo tremendo e burrascoso. Rey scosse la testa per riprendersi da quella specie di trans e fissò la sua tazza di caffè ancora piena. Si stava raffreddando, la piccola nuvoletta di fumo diventava sempre più debole e fioca, ma non le importò e ne bevve una buona dose prima che si trasformasse in un completo schifo. Si alzò, pagò e, quando uscì dal locale, cercò il suo telefono per chiamare lo studio, sapendo che la sua agenda quel giorno era fitta di appuntamenti. Rey era un’avvocatessa molto brava e qualificata e, nonostante la sua giovane carriera, aveva diversi clienti nella Grande Mela. In quell’istante Rose, la sua assistente e sua migliore amica, le mandò un SMS dicendo che un suo cliente aveva disdetto all’ultimo momento il suo colloquio per alcuni problemi familiari. La ragazza sospirò amaramente, ma pensò di avere un bel po’ di tempo da dedicare a se stessa prima di dover tornare in ufficio. Alzò lo sguardo dal suo cellulare e i suoi occhi caddero sull’enorme parco che sorgeva al centro della metropoli. Central Park era pieno di anziani, bambini e di genitori che osservavano vigilanti i propri figli. Rey buttò fuori un’altra manciata d’aria, come a voler ridurre il peso che le attanagliava il petto. Buttò il suo cellulare da qualche parte dentro la borsa e si incamminò a passo svelto verso il parco, raggiungendo un luogo preciso: il ponticello sul lago, suo e di Luke. I due trascorsero molto tempo insieme in quel posto: avevano contato i pesci, mentre mangiavamo un hot-dog di un chiosco, avevano canticchiato insieme alle papere o diverse volte avevano scattato delle fotografie alla natura e alla città.

Le mancava tanto. Luke era scomparso ormai da due anni e tutti quei momenti trascorsi l’uno con l’altra erano solo ricordi legati al suo passato. Rey si grattò violentemente il volto, mentre il dolore l’investiva nuovamente l’anima e si insinuava fin dentro le ossa. Luke fu una figura davvero importante per lei: le aveva regalato la gioia e la tranquillità quando nessun altro la voleva fra i piedi e la rabbia adolescenziale si era impossessata del suo corpo. Fissò l’acqua sotto di sé e la sua mente le evocò l’immagine sorridente e pacifista di Luke. Loro non si dicevano molte cose, ma si capivano con un solo sguardo. Vicino a lei un bambino lanciò un sassolino nel lago e la fece tornare al presente. Quando sollevò lo sguardo notò poco più in là una bambina che piangeva perché le era caduto il gelato per terra. La mamma era intenta a parlare con un’altra signora a qualche metro dalla figlia e non si era accorta di lei, non riuscendola a sentire per via della distanza e del costante e forte rumore della città. A New York era impensabile riuscire ad ascoltare un qualunque suono diverso dai clacson, dalle sirene, dai motori delle auto o dal chiacchiericcio delle persone. Notando che nessuno interveniva per consolare la bambina, Rey si incamminò verso la piccola. Stava quasi per raggiungerla, quando un signore con un lungo cappotto nero l’anticipò. Vide solo la sua larga schiena, le sue gambe slanciate e i suoi capelli scuri, che le parvero talmente morbidi tanto da ricordarle le nuvole grazie ai lineamenti tondeggianti e leggermente arricciati dei ciuffi neri. Rey si fermò, meravigliandosi di aver pensato una cosa del genere riguardo a dei capelli di un completo sconosciuto. Nel frattempo, il signore in nero aveva regalato un nuovo gelato alla bambina, identico a quello che aveva prima, e le aveva scompigliato i capelli amorevolmente. La bimba lo ringraziò con un sorriso timido e poi corse verso la madre. Rey la seguì con lo sguardo fino a quando non raggiunse la mamma che la prese subito per mano. Quando si voltò per vedere in faccia l’uomo, lui era già sparito. “Che tipo strano.” Si disse tra sé e sé, accennando un sorriso. “Anche se… è stato davvero dolce.” Quel momento quasi surreale fu interrotto dall’arrivo di un nuovo messaggio di Rose, che l’informava del prossimo incontro in un ristorante italiano vicino al Central Park con un altro avvocato di un’altra società per arrivare ad una trattativa razionale in una lite tra vicini. “Una cosa facile.”, pensò Rey, leggendo il messaggio con un malizioso sorriso disegnato sulle labbra. Era molto scaltra e furba su quei fronti che oramai riteneva delle totali sciocchezze.

 

Dopo una buona mezz’ora arrivò al ristorante italiano “Parco Centrale”. Il tavolo riservato ai due avvocati dava sul parco e da quella posizione riuscì addirittura a scorgere il bar di quel pomeriggio. Dal suo posto poteva vedere anche chi usciva e chi entrava nel locale. Passarono altri dieci minuti prima che un uomo tutto in nero entrò e chiese al cameriere del suo tavolo riservato. Rey stava guardando il suo telefono quando ad un tratto notò con la coda dell’occhio il cameriere avvicinarsi verso di lei. Alzò immediatamente la testa e sorrise educatamente. Dietro di lui c’era un signore dai capelli neri che le parvero morbidi tanto quanto le nuvole. Rey sgranò gli occhi e spalancò la bocca incredula, ma l’uomo le dava ancora le spalle per scusarsi con un altro signore a cui aveva accidentalmente fatto cadere una forchetta.

“Sei tu!” Esclamò Rey con tono piuttosto entusiasta.

Lui si voltò subito verso di lei non appena udì la sua voce. I loro occhi si incontrarono innocentemente per scontrarsi e riconoscersi un attimo dopo. Il cameriere indicò il posto al signore, che non abbandonò il contatto visivo con lei neanche mentre si accomodava sulla sedia ancora incappucciato. Entrambi non riuscivano a distogliere il proprio sguardo curioso e stupito dall’altro e a socchiudere le loro bocche aperte per la sorpresa. 

Fu Rey a prendere la parola per prima, ingoiando rumorosamente un po’ di saliva e tentando di inspirare un po’ d’aria in quel locale improvvisamente afoso. “Ehm…” tossì per schiarirsi la gola e per conquistare del tempo. “Scusami… per averti urlato contro. Ho… Ho riconosciuto il tuo cappotto nero…” glielo indicò con nonchalance. “Prima, al Central Park, ti ho osservato con quella bambina.” Arrossì lievemente. “Solo di schiena… non avevo capito che fossi tu”. Si precipitò ad aggiungere. “Ero dietro di te. Non mi hai vista perché mi davi le spalle, ma io ho visto tutto. Sei stato molto carino e dolce. Lo stavo per fare io, ma mi hai anticipato.” Gli sorrise e continuò. “E-E dimmi… come stai? Tutto bene? Non ti vedo da…”

“Da quando i miei si sono lasciati?” Si affrettò a dire lui.

“Sì.” Sospirò amaramente. “Scusa, non volevo aprire vecchie ferite.” Giocherellò distrattamente con le posate. “I-Io non sapevo che fossi tu l’altro avvocato.”

“Tranquilla. Concentriamoci su questo caso e tutto filerà liscio come l’olio. Cosa prendi da mangiare?”

Il cameriere aveva appena lasciato i menù sul loro tavolo. Rey ne prese uno e lesse ad alta voce il nome del ristorante, aggiungendo un proprio commento ironico: “Originale il nome. La traduzione italiana di Central Park.”

“Già, che originalità!” Le fece eco lui.

“Penso che prenderò un risotto alla milanese. Tu, Ben?”

Rey pronunciò il vero e reale nome del giovane con sciolta naturalezza e con rilevante disinvoltura, tanto da far sollevare lo sguardo di lui dal menù per guardarla con sgomento, come se quel nome l’avesse punto al centro del petto, fissandola con occhi sgranati. Non lo udiva da tanto e troppo tempo. 

“Ehm, volevi dire Kylo. Il nome che hai usato tu non esiste più per me. A lavoro sono Kylo Ren.” Disse con tono agghiacciante.

Rey non lo degnò di un’occhiata. “Mh… bel nome.” Commentò ironicamente.

“Perdonami?” Domandò lui infastidito.

“Che cosa prendi?” Gli chiese con nonchalance, alzando la testa dal menù, come se non lo avesse ascoltato per niente. “Io ho scelto mezz’ora fa.”

“Non ti ricordavo così.” Confessò Kylo con serietà.

Così come?” Domandò, inarcando un sopracciglio.

“Così diretta.” Rispose tranquillo.

“Bè, nemmeno io ti ricordavo così, Ben Solo.” Marcò il nome con fredda sottigliezza. “Ah, no, scusami… Kylo Ren.” Fece una breve pausa e continuò. “La mia carriera d’avvocatessa non si è fatta da sola. Non è nata dal nulla.” Gli indicò con gli occhi il menù. “Hai scelto? Così parliamo subito dell’accordo non appena abbiamo ordinato.”

Kylo era sbalordito. “Ma che…?” Appoggiò la testa sulla sua mano lasciata a penzoloni sul tavolo per osservarla meglio. “Aspetta…” bisbigliò. “Cosa…?” Inspirò un po’ d’aria umida, imponendosi di concentrarsi sulla formulazione di una frase di senso compiuto. “Ma tu non eri la ragazza tutta carina e sorridente che stava simpatica a tutto il palazzo?”

“Bè, l’esperienza mi ha insegnato di dare ciò che ricevo, di ripagare con la stessa moneta. Niente di più, niente di meno. Sei stato tu il primo a mettere le mani in avanti, a sottolineare come stavano le cose. Ok, va bene. Accetto.”

Gli occhi scuri di Kylo si aprirono ancora di più, la sua bocca si aprì maggiormente ed entrambe le sue mani caddero spontaneamente contro la tovaglia, come fiori appassiti. “Ma… che ti è successo?”

“A me?” Sbottò Rey. “Che è successo a te!” Continuò, addolcendo di molto il tono.

Ed eccole lì. Arrivarono. Le lacrime annaffiarono le palpebre grandi di lei, annebbiando le sfumature verdi delle sue profonde e intense iridi.

Kylo se ne accorse subito. “Che hai? È tutto a posto?”

Rey fece finta di niente, ma tra sé e sé sbuffò, deridendo quella domanda semplice, ma piena di spine e di fantasmi. Diede una veloce occhiata all’interno del locale, adocchiando qualche famiglia e alcuni gruppi di amici che si divertivano, per poi rivoltarsi verso Kylo, seduto davanti a lei con occhi duri, ma imploranti. “Luke è morto.” Iniziò, cercando di tirare indietro tutte le lacrime. “Oggi sono due anni e… mi manca. Tu non c’eri. Tua madre aveva tuo padre e, nonostante il divorzio, si sono fatti forza a vicenda. Io ero sola. Non c’era nessuno per me. In quei momenti… ho pensato a te… mamma mia, quante volte lo avrò fatto! E ti ho odiato! Merda, sì! Ti ho odiato perché non c’eri. È vero… non avevamo mai creato un vero e proprio legame, ma ti volevo bene nonostante tutte le tue porte chiuse in faccia. Ti volevo bene e ti volevo lì, a fianco a me. Una figura pari a me che mi capisse e comprendesse. Tu sapevi, e sai, che Luke ha fatto tanto per te, ma tu non c’eri.” Ogni suo sforzo fu invano e le lacrime cominciarono a rigarle, una dopo la volta, le guance. La tristezza, la delusione e i ricordi presero il sopravvento e controllavano a pieno il suo stato d’animo ferito. Desiderava parlare con lui da ben due anni, voleva dirgli quelle parole da ventiquattro lunghi mesi e aveva immaginato quell’incontro da troppo tempo, ma mai dentro a un locale italiano e, per di più, per motivi lavorativi.

Lo sguardo di Kylo cadde per prima sul loro tavolo ancora vuoto. “Io…” lo sollevò lentamente su di lei. “Non sapevo… nessuno mi ha mai…”

Rey oramai non riusciva a vedere più nulla, solo alcune chiazze indefinite e bagnate del nero dei capelli di lui. Si appoggiò alla sua mano destra senza degnarlo di uno sguardo. “Ho provato a rintracciarti, anche tramite il mio studio, ma ancora non ero un socio a tutti gli effetti e… le mie capacità erano limitate. Sapevo solo che ti eri trasferito per un po’ a Boston e quindi… immaginai che… avessi frequentato Harvard. E… dopo… non sapevo se fossi tornato a New York. Le tue tracce erano sparite.” Il fiato le mancava.

“Mi dispiace.” Disse lui con leggera tristezza.

 “Senti,” lo fermò lei “non sono venuta per farmi compiangere da te. Non sapevo che fosse giunto quel agognato momento che tanto speravo. Oggi.” Schernì un sorrisetto. “Proprio oggi… che coincidenza. Già… il caso.” Chiuse violentemente gli occhi e si premette la mano contro la fronte. “Non pensavo che avrei pianto a questo incontro e non voglio avere la tua compassione.” Espirò una grande manciata d’aria terribilmente pesante. “Pensiamo all’accordo. Ugh, mi è passato anche l’appetito.”

Kylo aveva la gola secca. Non sapeva più che dire, cosa aggiungere. Solo una cosa gli balenava in testa, solo una parola: scusa. Eppure non riusciva a pronunciare quelle poche lettere e non sapeva perché. Non se ne capacitava. Era come se la voce si fosse scollegata dal sue volontà, assente e distante da i suoi desideri. Forse, il motivo era che da tanto e troppo tempo non le aveva più proferite a nessuno. Negli ultimi anni si era trasformato in un uomo dalla maschera dura, fredda e spaventosa. Uomo. Sorrise tra sé, beffandosi di se stesso. Un vero uomo non era impassibile, meschino e menefreghista, com’era diventato lui. Tuttavia, da quando si era imbattuto in Rey, il suo passato e il suo presente si erano mescolati in malo modo e qualcosa si mosse dentro di lui. Non riusciva a negare a sé che lei era l’origine, la causa, della leggera sensazione di benessere che gli invadeva il petto e si diffondeva a macchia d’olio per il resto del suo corpo. Lei gli aveva regalato involontariamente uno spiraglio di luce in quella giornata, fino al loro incontro, pessima. Stava per aprire bocca, cercando di dire qualcosa, ma il cameriere lo anticipò.

“Cosa vi porto?”

Rey non rispose. Non aveva più fame e nemmeno lui. Kylo lo stava per mandare via, ma all’improvviso si ricordò di una cosa che Luke e Rey erano soliti fare per tirarsi su di morale. “Due pizze margherite, per favore.” 

La donna sgranò gli occhi ed era sul punto di replicare, ma il cameriere già aveva segnato tutto e se ne era andato. “Mi prendi in giro?” Gli urlò contro. “Prima… Io mi apro con te… e tu che cosa fai? Ti ho detto tutto… il mio dolore per la perdita di Luke e… e poi… mi fai questo? Giusto! Perfetto per aumentare la tristezza. Grazie Kylo Ren. >>

“Oh, non c’è di che!” Rispose con nonchalance.

“Tu stai scherzando!” Urlò Rey, alzandosi dal tavolo. Si rivestì con violente furia, si avviò verso l’uscita con grandi falcate e scomparì tra la folla immensa newyorkese.

 

Passarono tre giorni da quell’incontro. Le giornate trascorsero a rilento, intrappolate in un flusso lento e confusionario. Non lo vide, non lo sentì. Era un venerdì sera e da almeno un’ora era rientrata a casa dal lavoro. L’orologio del suo cellulare segnavano precisamente le dieci di sera. Rey non aveva alcuna voglia né di cucinare né di uscire. Nel suo ufficio aveva già programmato una serata semplice davanti ad un film in TV con una pizza ordinata da Carlo’s, giusto per rallegrare quella giornata lavorativa davvero pesante e impegnativa. Non si sentiva così triste dal funerale di Luke. Rivedere Ben, o Kylo, le aveva riacceso tutti i ricordi, come se si fosse aperta una finestra sul suo passato impolverata da tempo. Sapeva, lo aveva notato nonostante le lacrime, che anche lei gli aveva regalato quella stessa sensazione di amara ruggine. Lo aveva letto nei suoi occhi. Conosceva la reputazione dell’avvocato Kylo Ren a New York City e di certo non era un santo. Mai si sarebbe aspettata che dietro a quel nome così altezzoso e rilevante si nascondesse Ben Solo. Il suo Ben. Si grattò vivacemente la testa e allungò le gambe sul divano. “Ma… con quella bambina… Ugh, si è comportato come un angelo custode!” Mosse le mani davanti la faccia per scacciare quell’evento. “No. Lui non è più Ben Solo. Anzi, non so neppure chi sia Ben Solo. Non l’ho mai conosciuto. Lui non mi ha mai voluto conoscere! Io ci tenevo a lui… e… forse, anche troppo.” Si disse tra sé e sé e subito la sua mente le giocò un brutto scherzo, ripensando alla prima volta che lo vide, mentre la televisione le illuminava il volto di tanti colori diversi.

Oh, il cuore le si fermò. Ebbene sì, Ben Solo fu la sua prima cotta e più passava il tempo e trascorreva i pomeriggi a casa sua e di Luke, la sua cotta si era trasformata in amore. Un amore giovane, puro e innocente. Contro ogni sua volontà, lei si innamorò di Ben Solo. Forse a causa dei suoi capelli neri come la cenere e morbidi come le nuvole o per colpa delle sue labbra così soffici e carnose, oppure per i suoi occhi così scuri e profondi, ma pieni di dolcezza. Si accorse di star mordendo il suo labbro inferiore e scosse immediatamente la testa per tornare alla normalità e al presente. “È solo uno stronzo. Fine.” Sospirò. “Concentrati sul film.” Si ordinò con decisione.

 

Dopo un quarto d’ora, mentre in TV Julia Roberts cercava di riconquistare Hugh Grant, il campanello suonò. Rispose e dal citofono una voce rauca le disse di essere la pizza. Il suo appartamento, in piena Manhattan, era al quarto piano di un alto palazzo e da lì riusciva ad intravedere Central Park tra gli altri grattacieli. Le piaceva vivere lì: era accogliente e aveva tutti i comfort possibili, da un letto matrimoniale ad una grande e immensa libreria.

Aprì il portone e fece salire il fattorino fino al suo pianerottolo. Si diresse velocemente verso la sua camera per prendere i soldi e una sostanziosa mancia, ma quando tornò davanti al portone si ritrovò un alto ragazzo vestito con un lungo cappotto nero ad aspettarla con pazienza. Kylo l’attendeva sulla soglia della porta con due pizze in mano.

“Le hai dimenticate l’altro giorno.” Le disse, muovendo i due cartoni verso di lei.

Le gambe di Rey si immobilizzarono, scosse lievemente da un senso di sorpresa, rabbia e felicità. Le mani le traballavano appena, facendo tremare le banconote strette tra le dita. Ingoiò rumorosamente della saliva per schiarirsi la voce improvvisamente sparita. “Vattene.” Riuscì a sibilare, prima di inspirare un po’ d’aria dalla bocca. “Vattene via.” Ripeté con più forza, mostrandogli il suo sguardo deciso e freddo che usava in tribunale.

“Aspetta. Lasciami parlare. Lasciami entrare e…”

“VATTENE VIA.” Gli gridò, prendendo la maniglia del portone per chiuderlo.

“Rey.” Lui fermò la porta con una mano, sbattendola per sbaglio con troppa potenza. “Rey, per favore…” addolcì il tono. “Voglio solo raccontarti cosa mi è successo e... scusarmi.”

Lei lo guardò di sottecchi. “Voi Solo siete sempre così testardi?”

“Più o meno.” Il corvino le rivolse per la prima volta un sincero e velato sorriso. 

Rey sgranò gli occhi, rimanendo piuttosto sorpresa da quel gesto naturale e semplice, ma così strano, arduo e bello sul volto di Ben. Non lo aveva mai visto sorridere e trovò quel momento così magico, meraviglioso, intimo. Un brivido le percorse velocemente la schiena, creandole la pelle d’oca lungo le braccia. Pensò spontaneamente di voler imprimere quell’immagine unica e irripetibile nel suo cuore, per sempre.

“Ok, entra. Dieci minuti e poi sei fuori.” Continuò lei con tono duro, mentre tentava in tutti i modi di controllare il suo corpo e i suoi pensieri contorti e confusi. Si avvicinò a lui solo per chiudere la porta dietro di loro, prese un cartone di pizza e si riaccomodò sul divano, senza degnare un’occhiata all’ospite.

Kylo la seguì. Appese il cappotto nero e si sedette accanto a lei. A separarli c’era solo un cuscino.

“Racconta.” Lo incitò lei.

Lui annuì e iniziò. Le raccontò della sua decisione di diventare avvocato quando iniziarono i litigi tra i suoi, della sua voglia di difendere sua madre a soli quindici anni, ma di non avere avuto alcun potere all’ora. Le disse il motivo per cui non parlava con nessuno, soprattutto con lei, per non rattristarle il meraviglioso sorriso con racconti oscuri, tristi e difficili su tutto quello che viveva in quel periodo. Le parlò che la sua prima ragazza lo lasciò quando i suoi si lasciarono. Le raccontò della sua voglia sfrenata di diventare al più presto uno dei più bravi avvocati d’America e di come nacque l’amore per Harvard. Le disse che suo zio lo avvertì di stare attento, di non farsi soggiogare dall’avidità e dall’orgoglio, ma lui cadde in quel burrone nero pieno di oscurità. Appena laureato con massimi voti, fu preso come associato dalla società più ricca e potente di New York. Ne era felice, ma subito si rilevò una pessima idea perché veniva preso in giro e trattato come uno schiavo. Per non essere più preso di mira decise di cambiare tutto, dal suo carattere al suo nome. E così nacque lo spietato Kylo Ren: l’uccisore di cause. Le confessò che si odiava per quello che aveva fatto a se stesso e ad altri, per averla lasciata sola tutti quei pomeriggi e il giorno della morte di Luke. Inoltre, le confessò senza peli sulla lingua di essersi appena licenziato per iniziare nuovamente come Ben Solo. Le raccontò che non si era mai sposato e che dopo la sua prima ragazza al liceo non aveva avuto nessuna, solo qualche storiella qua e là nei weekend. E, infine, le rilevò un’ultima cosa, per nulla meno importante delle altre, che purtroppo comprese appieno solo quando la rivide al ristorante italiano, quando finalmente era riuscito a scordarsi del suo immenso e falso ego, togliendosi la sua maschera scura e inutile. Per tutto il lungo racconto Rey non aveva mai distolto il suo sguardo dal suo. Erano come incatenati e legati da un filo, da una forza, invisibile, potente, elettrica. Nel frattempo, “Notthing Hill” era terminato e i due cartoni della pizza giacevano aperti sul tavolino con qualche crosta all’interno. “Rey…” sibilò lui con maggiore coraggio.

“Ben…” Gli sorrise appena, incitandolo a continuare con tranquillità. “Vai avanti. Sto bene.”

Ben annuì. “Manca solo… un ultimo pezzo al puzzle. L’ho sempre negato. Mi ci sono voluti anni per… sì, ecco… sai che sono testardo, no? Bè, anche tu…”

“Ehi!” Rise allegramente, meravigliandosi allo stesso tempo di quel suo suono squillante e acceso, come se stesse parlando serenamente con il suo migliore amico.

Ben addolcì il suo sguardo, pensando di non aver mai sentito una risata più bella di quella. Sdolcinato? Naaah. “Rey… io ti evitavo, perché non volevo farti del male. Eri importante per me anche se ci dicevamo a mala pena un “ciao”. E sai perché? Perché eri tu che portavi felicità alla mia famiglia e a me. Con le tue battute, i tuoi scherzi e i tuoi rumori si respirava un’aria diversa in casa, più gioiosa e leggera. Purtroppo, dopo la situazione peggiorò, inclinandosi sempre di più con i miei. Ce l’avevo con te inconsapevolmente, perché tu avevi Luke, stavi benissimo e non perdevi mai il sorriso, mente il mio mondo stava candendo a pezzi. Sapevo che sbagliavo e sapevo che se parlavo con te non sarei stato affettuoso e gentile… tutt’altro! Ma… io non volevo farti questo, perché non te lo meritavi. Tu non c’entravi niente con tutta quella situazione. Farti del male era l’ultima cosa che volevo.”

“Anche io.” Confessò a bassa voce Rey.

“Perdonami. Sono uno stronzo.”

“Lo so.”

Si scambiarono un sorriso sincero e ricco di significati, dove sfumature del passato lasciavano spazio alla consapevolezza del presente e ad una scintilla di speranza rivolta al futuro.

“E quindi…” continuò Rey. “Sei uno stronzo… e questo si sapeva.” Arricciò le labbra. “Mentre una cosa… una cosuccia…” rise silenziosamente tra sé. “Che non sai… ecco… eri, e sei, uno stronzo che mi piaceva.”

Ben sbarrò gli occhi, allargando le braccia. “Aspetta, cosa?! Ti piacevo? Io? Ma…? Oh, ecco perché… continuavi a giravi attorno anche quando ti chiedevo esplicitamente di starmi alla larga.”

Rey arrossì appena e Ben si perse per un fugace istante ad osservare le luci di New York che brillavano fuori dalla finestra. Inspirò e focalizzò nuovamente il suo sguardo su Rey. “Anche tu mi piacevi. Ti ricordi Laura, la mia prima ragazza? Mai piaciuta, perché pensavo solo e sempre a te, ma mi vergognavo a dirlo perché eri… una specie di cugina imposta.” Ammise tutto d’un fiato. “Non ti ho mai vista come una mia possibile cugina, perché… insomma… hai capito il motivo. E… Luke non ti aveva realmente adottata… ti aveva solo preso sotto la sua ala.”

“Aspetta, cosa?! Oh mio Dio! Aspetta! Ma stavi sempre con lei! Ogni volta che passavi da Luke c’era quasi sempre lei! Mi facevi morire di gelosia!” Rey si morse le labbra, pentendosi di essersi aperta così tanto.

Lo sguardo di Ben cambiò, diventando serio e azzerando qualsiasi lineamento fuori posto, trasformando il suo viso in una ragnatela spessa e ricca di tensione.

Rey l’osservò interrogativa, cercando di capire la sua espressione d’un tratto illeggibile.

“Eri gelosa?” Le chiese con tono pacato accompagnato da uno strano sguardo indecifrabile.

Rey annuì muovendo appena la testa, mentre Ben sollevava una mano verso l’alto per cingerla dolcemente sulla guancia di lei. “Rey mantieni il controllo. Mantieni il controllo!”, si ripeteva in testa, mentre Ben si avvicinava pericolosamente a lei e al suo volto. Catturata dal panico, lei si alzò di scatto e scivolò verso la finestra, allontanandosi dal corvino rimasto solo e privo di lei sul divano. Rey fingeva di guardare fuori, ma in realtà osservava attentamente il riflesso di Ben sul vetro. La fissava con quello stesso sguardo profondo, intenso e infuocato, ma con note più dolci e con tante scintille brillanti nelle pupille nere.

Lui ingoiò un groppo di saliva. “Sei bellissima, come lo sei sempre stata.”

Nella stanza calò un silenzio pesante e insopportabile. Rey faticava a respirare, tutto attorno a lei pareva rarefatto e indistinguibile. Quelle parole, quella frase di Ben, furono il colpo di grazia che spinsero con violenza  per terra il suo stato d’animo già attanagliato. Continuava a dargli le spalle, non riusciva e non poteva guardarlo. Le sue gambe erano due blocchi di ghiaccio pungenti, formicolanti e ostinatamente resistenti, rendendole impossibile qualsiasi movimento. Sospirò, abbandonando qualsiasi forza che manteneva il suo corpo rigido e impenetrabile e sentendosi incredibilmente leggera come una piuma. Eppure c’era sempre qualcosa al centro del suo petto che le attanagliava il cuore, disturbando l’equilibrio della sua anima. Aveva paura. Era terrorizzata per quello che sarebbe successo, da lì a poco. In passato aveva avuto anche lei delle storielle, ma nulla di serio. In cuor suo sapeva che c’era sempre stato lui, al centro di tutto, e ora che cosa le stava accadendo? Lui aveva cercato di baciarla, ma lei? Si era allontanata, come una stupida ragazzina. Si odiava, si ripeteva mentalmente di essersi comportata come una ragazzina immatura e ignorante in materia, si detestava perché aveva agito come se avesse ancora quattordici anni. Fu catturata totalmente dai suoi pensieri e dai suoi rimproveri da non accorgersi che Ben era in piedi dietro di lei. Lui appoggiò delicatamente il mento sulla testa di lei in segno di protezione. Era alto quasi due volte lei, ma non le importava. Le baciò i capelli e cinse le sue braccia attorno al suo ventre. Avvicinò le sua labbra al suo orecchio e le disse con dolcezza: “Ti voglio Rey. Tutta per me. Ti ho sempre voluta.”

Il cuore le si bloccò, perdendo uno o due battiti. La gola le si seccò improvvisamente, obbligandola ad ingoiare a forza un po’ di saliva d’un tratto asciutta nella bocca. Una sensazione piacevole e calda si insinuò in lei, fin dentro le ossa, penetrando lentamente dal contatto ardente ed elettrizzante delle dita infuocate e devastanti di Ben sulla sua pancia fresca e indifesa. Aveva detto davvero quelle parole? Oppure se l’era immaginate? Era una specie di trucco o un suo sogno? Doveva guardarlo dritto negli occhi e capire se diceva la verità. Eppure lei già conosceva la risposta ai suoi ingenui interrogativi. Lo aveva sempre saputo. In un istante, rivide e rivisse nella sua mente e nel suo cuore tutte le loro conversazioni, dalla prima all’ultima, e tutti i loro incontri, soffermandosi su alcuni piccoli e visibili dettagli con uno sguardo più attento, concentrato, e tutto le fu più chiaro. Una luce abbagliante accecò tutto il suo passato, mostrandole il sentiero che era sempre stato davanti a lei: appena adolescenti, loro si erano presi una cotta l’uno per l’altra; si erano amati segretamente, ma nessuno dei due voleva accettarlo a causa di un orgoglio troppo giovane e infantile; avevano lasciato che i pregiudizi prendessero il controllo del loro sentimento puro, creando così nel tempo un vero e proprio muro di cemento che li accompagnò fino a quel giorno.

Rey chiuse gli occhi per placare quella tormenta di emozioni, di ricordi e di idee che combattevano l’uno contro l’altro come onde anomale e potenti per tutto il suo corpo. Fece un respiro profondo per tentare di far tacere le farfalle che svolazzano con irruenza nello stomaco e di rischiarare la sua mente annebbiata e stordita. Espirò con forte decisione, voltandosi di scatto per guardare dritto negli occhi l’uomo dietro di lei. “Ben Solo, io…”

“Ti amo Rey.” L’anticipò lui.

Rey tremò, non riuscendo più a fare e dire nulla.

“Forse è un po’ presto, ma avevo bisogno… volevo dirtelo da anni. Scus…”

“Ti amo anche io.” Lo fermò lei. “Sì, è vero, è un po’ presto… ma, anche io come te, ho dovuto aspettare anni.” Gli sorrise dolcemente.

Ben accorciò sempre di più le distanze che separavano i loro visi e, quando i loro nasi si sfiorarono appena, Rey gli accarezzò le guance, fomentando la fiamma che divampava e bruciava dentro di lui.

Ti voglio Ben. Tutto per me. Ti ho sempre voluto.” Gli sussurrò con tono penetrante e sincero, chiudendo gli occhi per abbandonarsi finalmente alle labbra morbide e invitanti di lui.

Fu magnifico. “Una favola che prende forma”, pensò Rey, mentre le loro bocche si scontravano, si incontravano e combattevano ancora solo per ballare insieme. Quel bacio, scrigno di tutti gli anni persi e trascorsi a rincorrersi segretamente, ad amarsi in silenzio e a nascondersi inutilmente dietro ad una porta, si trasformava poco a poco in una promessa dal sapore dolciastro e inebriante delle loro lingue. Il sapore della pizza era l’unica cosa che li aggrappava al mondo terreno. I loro intimi e divoranti contatti, le loro scoppiettanti sensazioni, i loro inebrianti profumi e i loro luminosi e accesi sentimenti li innalzavano, sempre più in alto, vero il cielo e le stelle, come due angeli ritrovati e stretti in un abbraccio, separati per troppo tempo da una vita crudele e ingiusta, ma ora pronti a tornare nel loro Paradiso celeste.

 

Note Autrice:

Salve lettori e lettrici!🌻 

Sono tornata in questo fandom con una storia esclusivamente Reylo!✨ Lo dovevo a questa coppia che mi ha fatto perdere la testa da ormai diversi anni e che mi ha donato tantissimo! 💖 Infatti questa OS fu tra le prime fan fiction che scrissi in assoluto, ovviamente dopo The Last Jedi! 💫 Quel film è una continua ispirazione e… quanto "hype" fece nascere in me! Accese in me la miccia che fece sfogare i vari scenari nati nella mia testa con questi due lol Inoltre, in quell’anno ero in fissa con la meravigliosa serie TV “Suits” - e così partorii questa Modern AU. All’ora non volevo pubblicare nulla per via delle mie insicurezze e bla bla bla. 

Dopo tutto questo tempo, con maggiore sicurezza, ho deciso di riprendere in mano questa vecchia storia e di condividerla con voi!🌿 

Spero con tutto il cuore che vi sia piaciuta e che vi abbia regalato un po’ di spensieratezza.🤍

Ci rivediamo prossimamente con la mia long story “Nuova Famiglia” ✨, oppure anche con un’altra OS Reylo - dipende, se vorrò rispolverare anche lei dalla mia vecchia libreria lol 

Grazie mille per avermi dedicato un po’ del tuo tempo e di aver letto fin qui. ❤️

Un bacio,

jomonet

   
 
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