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Autore: blackjessamine    09/09/2021    14 recensioni
[Colin Canon, Penelope Clearwater – Semi Death-Cast!AU]
Se è ancora viva, è solo per disperazione: non sa più nemmeno dove si trovi, quando il mondo va in mille pezzi e il corridoio dove correva si trasforma in macerie e dolore.
È un'esplosione bianca, e forse è nella sua testa o forse è fuori di lei, e c'è sangue caldo e troppo rosso ovunque, sulle sue mani e sulla veste, su quel corpo che le cade addosso e che la fissa con gli occhi di un bambino spaventato.

[Storia partecipante al contest "Muoiono entrambi, alla fine" indetto da VigilanzaCostante sul forum di EFP
Storia candidata agli Oscar della Penna 2022, indetti sul forum "Ferisce più la Penna"]
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Colin Canon, Penelope Clearwater
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
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Memento Mori



 

Quartier Generale del movimento Memento Mori, distaccamento  della  Sala delle Profezie, sottosezione dell’Ufficio Misteri, Ministero della Magia, Londra

 

Ci sono luoghi, nelle viscere del Ministero della Magia, che non sono fatti per gli occhi umani.

Misteri e domande di carattere esistenziale condensati in oggetti che sono solo simboli, mera incarnazione fisica di concetti capaci di attraversare soltanto le menti più acute.

Ci sono luoghi, nelle viscere dei Misteri dell’esistenza, in cui solo alcuni uomini hanno il coraggio di camminare. Indicibili, si chiamano così, e quello che studiano non lo possono dire. Eppure, la magia che scivola sui simboli e si riversa nel mondo e plasma l’esistenza è qualcosa di così concreto da sfiorare anche coloro che certe domande non hanno mai voluto farsele. 

 

Ci sono vite – poche, pochissime – custodite in sfere di vetro accatastate a prendere polvere come vecchi souvenir. Come se la vita fosse qualcosa di poco conto, qualcosa da poter mettere su uno scaffale in attesa del momento giusto per usarla.

E ci sono morti – tutte, nessuna eccezione – scritte in lettere d’oro su cartoncini listati a lutto. Nascere è già un po’ morire, e lo è ancor di più da quando il movimento Memento Mori ha capito come intuire la morte alla fine di ogni vita. Per ogni scintilla magica che si accende assieme al primo vagito di un bambino, un nome compare fra le correnti d’aria del Quartier Generale del Memento Mori. Compare, vergato in lettere d’oro su cartoncini listati a lutto, e continua a fluttuare dolcemente fra le correnti pigre, come il negativo della fotografia di una nevicata straordinaria. Fluttua e ondeggia fino a quando una corrente più forte delle altre lo spinge in alto, sempre più in alto, così in alto che vederlo diventa impossibile. E allora i nomi vergati in lettere dorate trovano la strada per arrivare davanti agli occhi del mago o della strega a cui appartengono, e la morte passa dalla potenza al quasi-atto: ventiquattr’ore sono tutto ciò in cui si può sperare per prepararsi ad affrontare il Mistero più grande di tutti.

 

***

 

28 settembre 1992

 

Memento Mori non ha inviato alcun biglietto a Colin Canon, perché Colin non morirà oggi, ma questo Colin non lo sa.

Non lo sa, perché mentre vagava per l’ennesima volta smarrito tra gli scaffali della biblioteca della sua nuova scuola un gufo gli si è schiantato addosso, facendogli cadere fra le mani uno scampolo di pergamena che recita un messaggio inequivocabile: “Colin Canon, oggi morirai!”.

E già Colin si sente un po’ morire, perché ha solo undici anni e un mondo intero da esplorare. Perché fra tutte le meraviglie che in ventotto giorni Hogwarts è riuscita a insegnargli, quella cosa assurda del Memento Mori gli è sembrata solo una stranezza, qualcosa di pessimo gusto ma di cui non ha motivo di preoccuparsi. Sono solo i grandi a doversene preoccupare, solo quei maghi anzianissimi che vivono lontano da Hogwarts e ormai pensano solo a radunare la propria famiglia per un’ultima cena insieme e un abbraccio ai nipotini.

Nessuno, a Hogwarts, si preoccupa del Memento Mori.

Nemmeno Silente, che di anni forse ne ha cento milioni ma ha ancora lo spirito di un ragazzino.

E allora perché, perché proprio lui? Perché adesso, quando ha tutta la vita davanti e un mondo intero da scoprire ed è lontano da casa e non può neanche rifugiarsi nell’abbraccio della mamma e…

“Stai bene? Ti è andata di traverso un’Ape Frizzola?”
A parlare è un ragazzo più grande, un po’ preoccupato ma soprattutto scocciato

Colin si rende conto di aver smesso di respirare. Forse è così che morirà: soffocato dal suo stesso terrore nella biblioteca di Hogwarts, davanti agli occhi annoiati di uno studente che vorrebbe solo finire i suoi compiti in pace.

Ma è così difficile respirare in quella stanza dove la morte è arrivata solo per lui e tutti gli altri hanno tutta la vita per ridere e non finire i compiti e prendere bei voti e scoprire il mondo mentre lui sarà solo un ricordo. Quel ragazzino strambo che è morto al primo anno. Già, che brutta faccenda. Be’, mi fai copiare il tuo tema di Trasfigurazione?
 

Fugge, Colin, in cerca di aria o forse di un professore che possa fare una magia – le fanno davvero, qui, e chi l’avrebbe mai detto? – e riportarlo a casa, perché Hogwarts è un sogno ma la sua famiglia gli manca ogni giorno di più.

Fugge, e fuggire è la cosa più stupida che possa fare, perché inciampare nel basamento di una statua in cima alla scalinata è così facile che Colin non se ne rende nemmeno conto. Cade di faccia, e sotto di lui è il vuoto, perché i gradini gli scivolano sotto i piedi mentre il mento sbatte con forza sulla pietra dura.

Quando l’urlo gli raggiunge le orecchie, per un attimo Colin crede di averlo emesso lui stesso, e non gli importa più: sta per morire spaccandosi la testa contro la pietra di una scalinata centenaria, che gli importa di gridare con una voce così stridula da sembrare una ragazza?
Poi, però, arriva la morbidezza. È come un abbraccio fresco, e morire non è poi così male, perché sembra davvero di volare, e quando il suo corpo si accascia di nuovo contro la pietra, non fa nemmeno male.

 

“Oddio! Stai bene? Ti sei fatto male? Stai sanguinando!”
“Ottima mira, Penny, ottima davvero!”
“Mi senti? Perce, vai a chiamare qualcuno!”
Colin apre gli occhi e si aggrappa a quello sguardo che lo fissa con tanta apprensione: riccioli scuri e occhi come laghi di montagna. Non può essere morto, perché quel viso è bello, sì, ma non è quello di un angelo.

“Ehi, stai bene? Riesci a parlare?”
Colin riesce a parlare. Ha un polso dolorante e perde sangue dal taglio suo mento, ma riesce a parlare. Non è morto. Ha ancora qualche ora di angoscia da trascorrere aspettando l’inevitabile. 

Apre la bocca per rassicurare quella ragazza, e scoppia in lacrime.

Scoppia in lacrime perché a undici anni è ancora un bambino, e pensare di morire è troppo difficile.

Scoppia in lacrime e singhiozza e non gli importa di pungersi con la spilletta da Prefetto della ragazza che istintivamente lo abbraccia, mormorando qualcosa al suo compagno dai capelli rossi.

“È tutto a posto, è tutto a posto! Adesso ti accompagnamo da Madama Chips, così domani sarai come nuovo!”

E allora Colin singhiozza ancora di più, e grida che no, domani non sarà come nuovo, anzi, domani lui non sarà, e che non è giusto, e che ha paura e vuole dimenticare tutto.

È lo sguardo terrorizzato che i due ragazzi si scambiano a riportare un po’ di calma nel respiro di Colin.

“Hai ricevuto… Memento Mori ti ha scritto?”
È il ragazzo a parlare, e allora Colin lo riconosce: è il fratello Prefetto di Ginny Weasley.

“P-prima… in biblioteca, mi è arrivato il gufo”.

Un altro sguardo fra i due Prefetti, questa volta confuso.

“Un gufo?”
Colin annuisce, e allunga il polso – quello che fa un male cane – porge alla ragazza il bigliettino che non ha mai lasciato andare. 

Lei lo legge attentamente, se lo rigira tra le mani e lo porge a Percy Weasley, le cui orecchie diventano rosse quasi come i suoi capelli.

“Oh, questo non è divertente, non è divertente affatto! Adesso mi sentono! Penny, ci pensi tu a lui?”
E senza aspettare una risposta, marcia risoluto su per le scale.

La ragazza, Penny, si morde le labbra e poi cerca di sorridere.

“Non stai per morire, Colin. Memento Mori non manda dei gufi, e i suoi biglietti arrivano solo a mezzanotte”.

Colin non può crederle. Non può illudersi che tutto andrà bene, perché andrà comunque male, e…

“Sei nato in una famiglia babbana, vero?”
“Come fai a saperlo?”
La sorpresa supera lo sgomento, e Colin ritrova le parole.

“Lo sono anche io. E alcuni studenti… be’, si divertono a fare scherzi a chi non conosce ancora bene Memento Mori. È uno scherzo di pessimo gusto, e vedrai che faremo mettere in punizione il responsabile, ma è solo uno scherzo. Andrà tutto bene”.

E Colin, davanti al sorriso di Penny, si trova a credere che per davvero andrà tutto bene.

 

***

 

30 maggio 1993

 

Memento Mori non ha inviato alcun biglietto a Colin Canon, perché Colin non morirà oggi, e anche se Colin non può saperlo, è sereno.

 

Non solo perché ricorda bene il momento in cui è sgattaiolato fuori dalla Torre di Grifondoro per cercare di raggiungere Harry Potter in Infermeria, e di bigliettini forieri di morte quella notte non c’era stata traccia, ma è sereno soprattutto perché la prima cosa che vede, aprendo gli occhi, è lo sguardo sereno di Penelope Clearwater immerso nella luce primaverile.

Colin è in un letto d’ospedale e sente tutto attorno passi e voci concitate, e se il respiro gli viene naturale, un freddo di morte gli avvolge braccia e gambe, impedendogli di muoversi.

“Stai tranquillo, Canon. Ancora qualche minuto e la pozione farà del tutto effetto”.

Le parole di Madama Chips non hanno il minimo senso, per lui, ma Penelope Clearwater continua a stare dritta davanti a lui e a sorridere.

“Non avere paura, Colin, vedrai che andrà tutto bene”.

 

E davvero va tutto bene, perché essere risvegliati dopo sei mesi trascorsi con le membra di pietra può essere traumatico, ma lo è un po’ di meno con un sorriso come quello di Penelope a vegliare su di lui.

E va tutto bene anche quando scopre di aver rischiato di morire ucciso da un mostro antico e pericolosissimo, perché Penelope gli strizza l’occhio e gli sussurra ehi, siamo uguali.

Va tutto bene quando Madama Chips vuole tenerli in osservazione – lui e Penelope, Hermione Granger e un Tassorosso con la puzza sotto il naso, e, con sommo dispiacere di tutti, anche la gatta di Gazza. Sir Nicholas fluttua fra di loro, seminando indignazione e dandogli man forte quando si tratta di elogiare il coraggio di Harry Potter. Va bene perché Penelope è diventata un po’ la mamma di tutti loro, chiacchierando dei compiti con Hermione e ammansendo il Tassorosso e sorridendo alla galanteria di Nick e passando il tempo a giocare a Sparaschiocco seduta in fondo al letto di Colin. 

Colin sa che dodici anni con un debito di sei mesi sono pochi per pensare di parlar d’amore, ma quando guarda gli occhi di Penelope è sicuro che di uno sguardo del genere ci si possa innamorare anche quando si è ancora un po’ bambini. E poco importa se lei smette di giocare con lui, quando a venire a trovarla è il fratello grande di Ginny Weasley.

A Colin basta innamorarsi da lontano, e sapere che Penny conosce il suo nome e lo saluta nei corridoi e a King’s Cross stringe la mano ai suoi genitori e gli dà un bacio sulla guancia, che è un po’ come toccare la luna.

 

***



 

25 dicembre 1994

 

Memento Mori non ha inviato alcun biglietto a Penelope Clearwater, perché Penelope non morirà oggi, anche se il cuore le fa così male che dubitarne è facilissimo.

 

La mezzanotte è trascorsa ormai da un pezzo, e se Penelope è sopravvissuta al dolore più grande che abbia mai provato in vita sua, allora forse la morte non è per tutti.

Forse lei è un’eletta, la prima di una nuova generazione di esseri umani che possono sopportare il dolore e sopravvivere per sempre.

O forse ha solo bevuto troppo di quel pessimo Vino Elfico che Roger Davies ha introdotto illegalmente al Ballo del Ceppo. 

Dare prova di non meritare nemmeno un grammo della sua spilla da Caposcuola bevendo vino e non restando in Sala Grande a sorvegliare sullo svolgimento della festa non era nei piani.

Del resto, nei suoi piani non c’era nemmeno l’essere ignorata completamente da quello che credeva il grande amore della sua vita.

Percy e il suo stupido Ministero, Percy e il signor Crouch e le buone maniere e il suo no, Penny, non posso farmi vedere con una studentessa, che figura farei fare al Ministero che oggi rappresento?
Nemmeno la loro lite, e il rinfacciarsi tutte quelle cose che ormai da tempo non andavano più bene tra di loro era nei piani.

 

Si lascia cadere sulla scalinata di marmo che porta lontano dalla Sala Grande, cercando di tenere a bada la voglia di piangere e vomitare e poi piangere ancora più forte. 

Che la sua storia con Percy non avrebbe potuto avere un futuro lo aveva capito già quell’estate, quando lui aveva cominciato a lavorare e le aveva dimostrato che quelli che credeva difetti secondari erano in realtà il tratto predominante della sua personalità. Ma aveva sperato – ci aveva sperato come la stupida che si era promessa di non essere – che le cose potessero cambiare. E quella sera, quel ballo che avrebbe dovuto strappar via dalla routine scuola e impiegati del Ministero, era stata solo la rottura definitiva.

 

Sopravvivrà.
Penelope lo sa, non si muore per un cuore spezzato a diciassette anni. Non si muore perché una relazione finisce, non si muore se il tuo migliore amico diventa il tuo primo fidanzato e poi diventa un estraneo prima ancora che la vostra storia finisca.

Però il dolore non si può impedire, e Penelope a quel dolore ci si vuole abbandonare. Per una volta, vuole autocommiserarsi ed essere irresponsabile. Vuole fare cose stupide, vuole anche tornare in Sala Grande e prendere per mano quel ragazzo di Beauxbatons che le aveva proposto di ballare e trascinarselo fuori, nel parco, sperando di dimenticare Percy e i suoi stupidi occhiali di corno e quel modo tutto suo di sorriderle e poi di non sorriderle proprio più.

È finita, Penny, è chiaro che non può continuare.

È finita in un soffio, e Penelope vorrebbe fare milioni di cose, ma riesce solo a star seduta sulla pietra che sicuramente le rovinerà il tulle della gonna e asciugarsi con le dita quelle lacrime sporche di mascara.

Patetica.

 

"Penelope? Stai bene?"

Colin Canon, jeans e macchina fotografica appesa al collo sopra una felpa babbana, è dritto in piedi davanti a lei. Il suo abbigliamento dice chiaramente che al Ballo lui, ancora troppo piccolo, non è stato invitato da nessuna ragazza più grande. Penelope dovrebbe sgridarlo e dovrebbe assicurarsi che torni nella sua Sala Comune, ma oggi Penelope non è una Caposcuola. Oggi Penelope è solo una ragazza con il cuore spezzato, e ogni parola gentile è qualcosa a cui aggrapparsi.

"Colin? Non dovresti essere a letto, ora?"

Colin arrossisce, poi raddrizza le spalle e solleva il mento con gesto di sfida.

"Non posso partecipare al ballo, ma volevo almeno scattare qualche foto ai Campioni. Sai, da spedire ai miei genitori".

Penelope annuisce, e non aspetta che Colin aggiunga che l'unico campione di cui davvero gli importa qualcosa è Harry Potter: le sono bastati i due giorni e le tre notti che hanno trascorso insieme in Infermeria due anni prima per averne abbastanza per tutta la vita di quella vocina stridula che pronuncia il nome del Bambino-Che-È-Sopravvissuto. 

"E hai avuto fortuna?"

Colin scuote il capo, poi torna a guardarla in viso, e Penelope è più consapevole che mai del trucco sbavato e dei capelli che stanno sfuggendo all'acconciatura.

"Posso fare una foto a te?" 

Colin lo chiede di fretta, come se la domanda gli fosse scappata dalla mente, più che dalle labbra.

"Sono orribile!"

"Non è vero, sei molto carina. Anche se ti hanno fatta piangere, e mi dispiace".

Penelope si ritrova a sorridere a quel ragazzino che si aggrappa alla propria macchina fotografica come fosse un salvagente.

Lo sa che Colin, due anni prima, la guardava con gli occhi appannati da un affetto che lei non può ricambiare. E forse lo fa anche adesso, mentre arrossisce fino alla radice dei capelli e la fissa e deglutisce troppo rumorosamente.

Colin è ancora troppo bambino perché Penelope possa pensare di prendere sul serio quello sguardo appannato, ma le sue parole gentili sono un balsamo in quella notte fatta di lame pronte a stracciare ogni suo ricordo felice.

"Tu sei troppo gentile e stasera io resto orribile, non posso stare da sola in una foto. Vieni qui", mormora, battendo la mano sulla pietra al suo fianco – e ciò che le resta è solo il tintinnare dolorosissimo dell'anellino con la corniola incastonata in cima che Percy le aveva regalato lo scorso Natale. È un suono che fa male fin dentro le ossa, e Penelope vorrebbe strapparsi dal dito quell'anello e gettarlo in fondo al lago o nel folto della Foresta Proibita, e mentre Colin si siede accanto a lei e le sorride come se lei fosse un miracolo, Penelope cede. Smette di trattenere il pianto che ha avuto sull'orlo degli occhi per tutta la sera, scoppia a piangere e non le importa nemmeno che a consolarla ci sia un ragazzino ancora tutto avviluppato nel bozzolo di un'infanzia lunghissima. 

Non le importa nemmeno che Colin le scatti comunque una fotografia mentre singhiozza – scusami, non ho resistito, ma ti prometto che questa non la mando ai miei genitori! – né le importa che lui poi la prenda per mano e cominci a raccontare di come sia sicuro che Harry Potter vincerà il Torneo Tremaghi, perché sa che lo sta facendo solo per distrarla, come lei lo aveva distratto quando il suo cuore aveva smesso di essere pietra un minuto prima rispetto al resto del suo corpo, facendolo sentire intrappolato in una prigione fatta di respiri mozzati in gola.

Penelope smette di piangere all'improvviso, come all'improvviso aveva cominciato a singhiozzare. Sfila con gesto lento la macchina fotografica dal collo di Colin, non asciuga le lacrime che le bagnano il viso ma trova il modo di sorridere. Si avvicina al ragazzino, punta alla cieca l'obiettivo verso i loro visi vicini e scatta una fotografia. 

"Questa puoi mandarla ai tuoi genitori. Sono sicuri che vogliano vederti la sera del tuo primo ballo".

Colin boccheggia, confuso, e Penelope scoppia a ridere. Forse ha davvero bevuto troppo vino, e forse quel giocare alla sorella maggiore le sta un po' sfuggendo di mano, ma si alza in piedi barcollando appena e tende una mano a Colin.

"Dai, ormai i professori sono distrutti, non si accorgeranno nemmeno che non hai l'abito da cerimonia. E se mi concedi un ballo, poi ti aiuto a cercare Harry Potter e te lo immobilizzo, così puoi fargli tutte le foto che vuoi".

E allora Colin ride, afferra la sua mano e anche Penelope ride, perché ha il cuore spezzato e un vestito sgualcito e sta per ballare con un ragazzino che forse è innamorato di Harry Potter e forse è un po' innamorato di lei.

E mentre si sfila le scarpe con il tacco alto – Percy è più alto di lei di dodici centimetri, Colin le arriva solo alla spalla – si trova a pensare, e a gridare, che andrà tutto bene.

 

***

 

2 maggio 1998

 

Memento Mori ha inviato un biglietto a Colin Canon, oggi, perché Colin morirà entro mezzanotte, ma suo fratello Dennis questo non lo sa.

 

Non lo sa perché Colin ha imparato l'arte del silenzio, in quell'anno fatto di orrori. Ha imparato a tacere e a dissimulare, ha imparato a snocciolare bugie come fossero respiri – certo, eccolo il nostro Statuto di Sangue, autentico e nient'affatto contraffatto, no, certo che no, professor Carrow – e ha imparato che proteggere le persone che amiamo è più importante che proteggere noi stessi.

Colin è un Grifondoro, ma il terrore che ha provato quando si è svegliato nella Stanza delle Necessità e si è ritrovato per le mani il proprio nome vergato in lettere dorate su un cartoncino listato a lutto è qualcosa che non sarà mai in grado di spiegare. E nemmeno ne avrà il tempo, del resto.

Essere nella Stanza delle Necessità è stato provvidenziale, perché quando il significato di quel cartoncino si è fatto strada nel suo cervello appannato di sonno, Colin ha smesso di respirare. E poi ha ripreso a farlo a un ritmo sempre più forsennato, e ha urlato di rabbia, e ha pianto, ha invocato un Dio in cui ha smesso di credere quando ha conosciuto la magia e ha preso a pugni l'amaca su cui non avrebbe dormito mai più. 

Perché sedici anni non sono nemmeno lontanamente sufficienti per dire di aver vissuto.

Sedici anni sono un battito di ciglia.

Sedici anni sono solo un assaggio di vita, e Colin ne vuole di più, deve averne di più: non può finire tutto con lui rinchiuso in una stanza che si fa vuota e silenziosa quando lui ha bisogno di gridare, non può finire con il mondo sottosopra e la sua scuola trasformata in un castello degli orrori.

 

Colin non ha idea di come sia trascorsa la giornata: un momento prima stava singhiozzando con il viso affondato nel cuscino, e quello dopo era seduto in fondo a un'aula, muto e sordo e incapace di farsi sfiorare dal mondo.

Forse sono già morto e non me ne sono accorto.

Forse sono un fantasma, condannato a pagare la mia vigliaccheria e la mia incapacità di andare avanti portandomi cucito addosso l'eterno tormento dell'attesa e del terrore.

 

Non parla con nessuno.

Respira poco, respira male, si sente morire mille volte al secondo ma non muore mai.

Non parla.

Trema.

Non mangia.

Non parla.

Urla ancora, lo fa nella Serra Numero Tre quando tutti i suoi compagni sono tornati al castello per il pranzo. Neville lo sente, gli sorride e gli dà una pacca sulla spalla: Neville non sa niente, o forse sa tutto, perché a Hogwarts quell'anno hanno cominciato tutti a morire ogni giorno di più.

 

Colin non si confida.

Memento Mori è fatto per permettere a chi sta per morire di vivere al meglio le proprie ultime ore – ma non c'è meglio, a Hogwarts, non più.

È fatto per mettere in ordine i propri affari – a sedici anni non ci sono affari da mettere in ordine, solo sogni da rinchiudere nel cassetto che brucerà assieme a te.

È fatto per salutare nel migliore dei modi i propri cari – ma i suoi genitori sembrano essere già a un pianeta di distanza. 

Resta solo Dennis. Dennis che ogni giorno trema un po' di più, Dennis che vorrebbe solo tornare a casa, anche ora che è troppo tardi e che lasciare Hogwarts significherebbe tradire chi ha fornito loro un falso Statuto di Sangue, significherebbe gettarsi davanti alla bacchetta di un Mangiamorte.

Colin non sa come si possa mettere sulle spalle del proprio fratellino qualcosa di così straziante come l'attesa di una morte certa.

E allora non lo fa.

Non parla.

Non mangia.

Trema in silenzio.

Si morde le labbra fino a farle sanguinare.

Non parla.

Attende.

 

La risposta alla sua attesa arriva assieme alle urla che accolgono il ritorno a Hogwarts di Harry Potter.

Arriva quando la professoressa McGrannitt organizza lunghe file di studenti minorenni da mettere in salvo fuori da Hogwarts: Colin un fiero Grifondoro non ci si è mai sentito, e la voglia di scappare a casa e andare incontro alla morte nascosto nel rifugio caldo che è l'abbraccio della mamma è una tentazione a cui quasi cede.

E poi si morde le labbra, deglutisce sangue e determinazione e prende la mano di suo fratello Dennis.

"Io devo restare qui".

Sono le parole più difficili che abbia mai pronunciato, ma sono anche le uniche che possano contare qualcosa.

Se devo morire, che sia almeno cercando di aggiustare un mondo rotto.

"No! Devi venire via, è pericoloso!"

Il terrore negli occhi di Dennis è qualcosa che quasi spezza Colin. Dennis è sveglio, e lo conosce come nessuno lo ha mai conosciuto.

Dennis ha capito.

"Ti prego, Colin, non così. Non  così. Vieni a casa. No, anzi, fammi restare. Io non ho ricevuto nessun biglietto, posso restare con te… voglio restare con te. Ti prego".

Ma questo Colin non lo può permettere. Darebbe ogni respiro che lo separa dalla morte pur di andarsene con Dennis a tenergli la mano, ma una battaglia è un posto troppo pericoloso anche per chi un bigliettino listato a lutto non lo ha ancora ricevuto. Perché una battaglia non finisce a mezzanotte. Perché non tutte le ferite mortali sono atti di misericordia, e la fine può arrivare dopo intere giornate di agonia.

Perché Colin non è così egoista da voler tormentare i sogni di Dennis con l'immagine della propria morte.

"Dennis. Perdonami. Andrà tutto bene"

Stupeficium!

L'incantesimo non verbale va a segno. Ci sono grida, qualcuno si china sul corpo di Dennis, qualcuno corre verso la Stanza delle Necessità e nessuno vede il ragazzino troppo giovane per combattere – ma non per morire – abbandonare la fila dei compagni per correre verso il cuore della battaglia.

 

***

 

2 maggio 1998

 

Memento Mori non ha inviato alcun biglietto a Penelope Clearwater, perché Penelope non morirà oggi, anche se lei non ha più il coraggio di crederci.

 

Penelope ha smesso di respirare, ma il suo cuore continua a battere.

La sua voce continua a strillare incantesimi, le gambe  corrono, ha mille dolori nel corpo e nel cuore ed è convinta che della sua vita resterà solamente quella battaglia.

Non si può sopravvivere all'orrore di una guerra combattuta da dei ragazzini, e se anche dovesse vivere altri cento anni, sarebbero cento anni intrappolati fra le macerie di Hogwarts.

Non sa più quanto tempo sia passato da quando Radio Potter l'ha distolta dai suoi libri di Propedeutica alla Guarigione, con una chiamata alle armi che l'ha lasciata a combattere a lungo con il suo terrore, prima di decidere di Materializzarsi a Hogsmeade.

Non sono brava a combattere, ma sono un'Infermiera promettente. Posso essere d'aiuto, a nessuno importerà che non ho ancora finito il tirocinio.

 

Forse sono passate ore, forse la mezzanotte le è scivolata fra le dita nella concitazione del momento e il suo cartoncino listato a lutto non è nemmeno riuscita a vederlo.

Forse neanche gli Indicibili dietro al Memento Mori avrebbero mai potuto immaginare l'orrore di una guerra, e avere o no il proprio nome scritto su una promessa di morte non importa più.

 

Penelope non è mai stata una brava duellante.

Eppure duella.

E si sente morire ogni volta che una maledizione smuove l'aria attorno a lei.

Si sente morire quando vede amici e compagni e perfetti sconosciuti accasciarsi al suolo, urlare di dolore o non urlare affatto. 

 

Se è ancora viva, è solo per disperazione: non sa più nemmeno dove si trovi, quando il mondo va in mille pezzi e il corridoio dove correva si trasforma in macerie e dolore.

È un'esplosione bianca, e forse è nella sua testa o forse è fuori di lei, e c'è sangue caldo e troppo rosso ovunque, sulle sue mani e sulla veste, su quel corpo che le cade addosso e che la fissa con gli occhi di un bambino spaventato.

Penelope non capisce, non sa nemmeno cosa sia successo, ma sa che Colin Canon è troppo pallido e i suoi occhi sono troppo grandi e lei vorrebbe solo piangere e maledire il mondo intero.

"Stai con me, Colin! Guardami, andrà tutto bene, guardami!"

Penelope agita la bacchetta e snocciola incantesimi di guarigione e preghiere con la stessa disperazione.

Non serve a niente.

Colin è troppo giovane per avere un viso così pallido e occhi così grandi.

"Colin, devi restare con me, hai capito? Guardami. Guardami, Colin!"

Le labbra del ragazzo si muovono appena. Penelope non riesce a udire il fioco sussurro, ma  lo legge sul movimento disperato di quella bocca ormai sporca di sangue e bile nera:

"Tienimi la mano fino alla fine".

Obbedisce, Penelope.

Tiene quella mano che sembra farsi ogni istante più piccola, sussurra rassicurazioni e singhiozza bestemmie per l'ennesimo orrore di una guerra ingiusta, accarezza la fronte di Colin e non smette di stringerlo anche quando la fine è incisa nel silenzio che segue il cessare di quei rantoli che le hanno spento la speranza.

 

Stringe quella mano anche quando voci compassionevoli la riportano alla vita, la implorano di tornare in Sala Grande e fare il possibile per salvare chi può ancora essere salvato.

La stringe anche quando Oliver Baston si allontana nella notte con il corpo di Colin fra le braccia.

 

***

 

Penelope quella mano la stringe nei giorni che seguono la battaglia, la stringe quando il mondo festeggia e la pace cresce ogni giorno di più.

Qualche volta è un macigno che minaccia di trascinarla sul fondo della sua disperazione.

Qualche volta è il senso di colpa che viene a bussare alla sua porta ogni volta che si sente felice, ricordandole quanto la sua felicità sia poggiata sul dolore di troppi.

Qualche volta è solo marmo freddo, un dolore sordo che copre ogni cosa.

 

Altre volte – pochissime, dapprima, e poi sempre di più – è la stretta confortante di chi vuole dirle che un mondo andato in mille pezzi si può aggiustare.

Che ne vale la pena.

A dispetto del dolore, ne vale la pena.

 

È una stretta che a volte è una carezza portata dal vento.

È come un ballo.

È come una voce che di notte sussurra che è andato quasi tutto bene, e va bene così.










 

 


 

Note: 

Ho scoperto, nella mia ultima rilettura, che Justin Finch-Fletchley, prima di ricevere la lettera per Hogwarts, avrebbe dovuto frequentare Eaton. Da quel momento me lo immagino super snob e altezzoso, non ci posso fare niente, scusatemi.

Le frasi che ricorrono all'inizio del capitolo sono la mia traduzione (ho ascoltato l'audiolibro in inglese, quindi non sarà una ripresa letterale della versione italiana) del modo in cui si aprono tutti i capitoli dedicati ai personaggi secondari di "They both die at the end".

Io per tantissimo tempo ero stata convinta che Percy e Penny fossero coetanei, ma poi ho scoperto che Penelope è in realtà di un anno più piccola. Ecco perché lei è ancora a scuola quando c'è il Ballo del Ceppo (dove Percy sostituisce Crouch Senior): è da tempo mio headcanon che loro si siano lasciati proprio al Ballo.

Infine, la presenza di Colin a Hogwarts l'ultimo anno: quando Harry vede il suo corpo, pensa che dev'essere tornato indietro durante l'evacuazione degli studenti, dando dunque per assodato che frequentasse normalmente Hogwarts. Essendo nato babbano, non so quanto abbia senso la cosa (credo che la Rowling non ci abbia neanche pensato), ma insomma, l'ho un po' rimaneggiata come mi faceva comodo.

Nei libri non si dice che Penelope abbia partecipato alla Battaglia di Hogwarts, ma insomma, non ci sono nemmeno prove evidenti che non lo abbia fatto, quindi qui ho deciso di andare contro i miei stessi headcanon e di farla tornare a Hogwarts per combattere.

 

Bene.

Finite queste note più tecniche infinite, una parola sul concetto alla base di questa storia: il contest di VigilanzaCostante richiedeva di scrivere una storia con un meccanismo ispirato alla Death-Cast del libro "They both die at the end". In breve, ci troviamo in un mondo in cui ogni persona, alla mezzanotte del giorno in cui morirà, riceve una telefonata dall'istituzione Death-Cast per essere informato che entro ventiquattro ore sarà morto. 

Ho cercato di piegare questo meccanismo all'universo del Mondo Magico, trasformandolo nel Memento Mori (sì, lo so, è il nome più scontato del secolo) e sostituendo le telefonate con dei bigliettini magici. Avendo a disposizione Divinazione e Profezie, ho deciso di approfittarne e rendere il tutto qualcosa nascosto all'Ufficio Misteri.

Infine (giuro, sono arrivata alla fine): erano secoli che volevo scrivere qualcosa sul rapporto di Colin e Penelope, perché in fatto che si fossero ritrovati assieme a risvegliarsi dall'attacco del Basilisco mi ha sempre stuzzicata moltissimo. Non era previsto che tutto avesse un risvolto così tragico (né che Colin si prendesse una cotta per lei), ma questo contest ha proprio acceso LA lampadina, ed eccoci qui.






 

   
 
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