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Autore: Imperfectworld01    09/09/2021    1 recensioni
Corre l'anno 1983 quando la quindicenne Nina Colombo ritorna nella sua città natale, Milano, dopo aver vissuto per otto anni a Torino.
Sebbene non abbia avuto una infanzia che tutti considererebbero felice, ciò non le ha impedito di essere una ragazza solare, ricca di passioni, sogni e aspettative.
Nonostante la giovane età, sembra sapere molte cose ed essere un passo avanti alle sue coetanee, ma c'è qualcosa che non ha ancora avuto modo di conoscere: l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico, Storico
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Sedici.

Finalmente era venerdì, l'ultimo giorno di quella prima intensa settimana di scuola. E, se mia madre non si sbagliava, era anche il mio ultimo giorno di ciclo. In realtà non avevo praticamente più alcuna perdita, ma mia sorella mi consigliò di mettere comunque l'assorbente e portarmene alcuni di riserva. «Sai quante volte ho pensato che fosse finito e poi mi sono sporcata le mutande e persino i pantaloni?» mi disse, prima di andare a chiudersi in bagno.

«No, Benni, aspetta» provai ad abbassare la maniglia della porta del bagno, ma non riuscii ad aprirla perché si era chiusa a chiave. «Benedetta, fammi entrare, per favore! Devo farmi il bidet e cambiarmi ancora l'assorbente che ho da questa notte.»

«E chi se ne importa? Aspetta un attimo. Ci sono io in bagno adesso, tanto che fretta hai? È ancora presto» rispose dall'altra parte della porta.

Sbuffai. Avevo fretta perché non volevo rischiare di incrociare Filippo. Lui e Vittorio stavano ancora dormendo, dal momento che ci mettevano di meno a prepararsi e non dovevano svegliarsi così presto come noi ragazze. «Ma perché non puoi farmi entrare? Stiamo sempre in bagno insieme» protestai.

«Che barba che sei! Devo fare una cosa e se continui a parlarmi ci metto il triplo a finire e a liberarti il bagno!» esclamò nervosa.

Mi appoggiai con la schiena alla porta del bagno e sbuffai. Chissà cosa avrebbe mai potuto fare in bagno di così segreto da non potermi far entrare. Eravamo abituate fin da bambine a fare i bisogni una dopo l'altra senza alcun problema o imbarazzo, perciò non capivo il motivo di tutta quella necessità di riservatezza.

Dopo pochi secondi, la porta della stanza di Vittorio si aprì, e ne uscì il moro insieme al biondo.

«Ecco, grandioso...» feci sarcastica sottovoce.

Vittorio sbadigliò e poi si avvicinò a me. «Si può sapere cosa c'è da urlare tanto a quest'ora del mattino?» chiese, appoggiandosi col gomito alla mia spalla.

«Mi serve il bagno» risposi, prima di sorridere per l'aspetto dei suoi capelli completamente arruffati e spettinati. Mi alzai in punta di piedi e allungai una mano per cercare di sistemarglieli, senza ottenere però dei risultati troppo soddisfacenti.

«C'è l'altro libero» mi fece notare Filippo, prima di sbadigliare anche lui e stiracchiarsi.

«Lo so, ma mi serve questo» mi impuntai, tenendo le braccia incrociate al petto.

Vittorio si strofinò gli occhi e poi emise un piccolo ghigno strafottente. «Ah, ho capito perché: è per i pannolini, sono lì dentro!» esclamò ridacchiando. In seguito si scambiò uno sguardo complice con Filippo: «Fra tre... due... uno...» contò con le dita, senza che capissi a cosa si riferisse.

«Si chiamano assorbenti, non pannolini» precisai, parlando all'unisono con i due ragazzi, i quali mi fecero il verso.

Li fissai entrambi di sottecchi. Per fortuna subito dopo la porta del bagno si riaprì e mi ci rifugiai di corsa non appena Benedetta uscì.

Una volta finito di sistemarmi, tornai in camera e cercai di prepararmi il più in fretta possibile. Armata di zaino in spalla, mi avvicinai alla porta di casa e la aprì. «Io vado! Ci vediamo dopo!» esclamai salutando Benedetta, Vittorio e Filippo. Dopodiché uscii di casa.

«Fiù! Ce l'ho fatta» sospirai di sollievo.

*

Una volta a scuola, io e Irene ci riunimmo come al solito con Angelica, Eva e Sabrina a parlare in corridoio prima dell'inizio delle lezioni.

«È allucinante! Una sola settimana e sono già sfinita» si lamentò Eva.

«Già, pensa che da settimana prossima iniziano già a interrogare» le ricordò Sabrina.

Mi stava venendo l'angoscia solo a pensarci. Non ero ancora pronta a mettermi sotto con lo studio, nonostante i miei piani iniziali. «Dai, cerchiamo di non pensarci» dissi.

«Se solo avessimo modo di svagarci un po' durante il fine settimana... Avrei proprio voglia di andare a una festa» intervenne Angelica, portandosi entrambe le mani sulle guance.

A quel punto, le quattro ragazze posarono tutte lo sguardo su di me e rimasero in silenzio, il che mi parve piuttosto strano. «Che c'è?» chiesi confusa.

Si scambiarono uno sguardo e poi tornarono a guardarmi. «Vittorio cosa fa stasera?» domandò Irene.

«Non lo so, perché?»

«Dai, quelli del suo gruppo escono sempre il fine settimana e danno sempre feste strepitose!» rispose Angelica, e mi stupì il fatto che, oltre a Vittorio, conoscessero anche il resto dei suoi amici.

«Ah sì?» Da quando mi trovavo a Milano non avevano fatto granché, ma forse solo perché era estate e non ci fosse chissà quanto da fare.

«Ti prego, non puoi chiederglielo e dirgli di invitarci?» fece Irene con parecchia insistenza.

Mi scocciava dover dipendere ancora da Vittorio per questo genere di cose. Speravo che una volta cominciata la scuola e trovato il mio gruppo di amici, non ci fosse più bisogno di dovermi accollare a lui. Non che mi dispiacesse stare in sua compagnia, il problema erano più che altro i suoi amici...

Comunque mi dispiaceva dire di no a Irene e deludere le altre, che altrimenti sarebbero rimaste a casa ad annoiarsi tutta la sera quando invece avrebbero potuto uscire a divertirsi. «Posso provare a chiedere, ma non vi garantisco niente. Per adesso non mi ha accennato nulla, di solito tendono a organizzarsi all'ultimo» spiegai, e loro si esibirono in un sorriso a trentadue denti.

Poi, mentre loro proseguirono a parlare di cosa avrebbero potuto mettersi nel caso di una ipotetica festa, io mi estraniai dalla conversazione, per concentrarmi su una coppia intenta a scambiarsi delle effusioni a pochi passi da me. Il ragazzo era seduto sul tavolo dove generalmente stava il bidello, invece la ragazza era in piedi davanti a lui. La cosa che saltava subito all'occhio erano le mani grandi del ragazzo strette attorno alle natiche della sua fidanzata. Disgustoso. Distolsi subito lo sguardo e tornai ad ascoltare le ragazze.

«Io dico che non puoi sapere se bacia bene se hai baciato solo lui» fece Eva, rivolta a Irene.

«Per me è così, invece, e poi conta quello che ho provato in quel momento, piuttosto che il modo in cui bacia» ribatté Irene.

«Sì, ma oggettivamente parlando, non puoi saperlo davvero finché non baci altri ragazzi. Te che ne pensi, Nina?» domandò Sabrina e in un primo momento finsi di non aver sentito: «È? Cosa?».

«Stavamo dando un voto ai ragazzi che abbiamo baciato, e dicevamo a Irene che non può dare un dieci a Vittorio se prima non l'ha confrontato con altri.»

Corrucciai la fronte. «Ecco, io... onestamente non mi sembra una cosa molto carina, quella di valutare i ragazzi in questo modo» dissi. Né mi pareva molto carino far sentire Irene da meno solo perché a differenza loro aveva baciato un solo ragazzo.

«Ma sì, lo facciamo giusto per scherzare. Dai, è il tuo turno adesso: vuota il sacco!» mi esortò Angelica.

«Io? Ecco, ehm...» Stavo per aprire bocca e ripetere per la milionesima volta che non avevo mai baciato nessuno, sia perché non mi interessava, sia perché non ci era mai stata l'occasione di farlo, ma mi bloccai all'ultimo prima di proferire parola.
Ero stufa di sentirmi così tanto a disagio ogni qualvolta mi capitasse di "vuotare il sacco", mi faceva sentire come se la verità fosse qualcosa di cui vergognarsi.

E, per la prima volta nella mia vita, in effetti era così: me ne vergognavo. Avrebbero pensato anche loro che ero una sfigata, e forse era davvero così, forse lo ero. E mi ero stancata di essere reputata tale.
Comunque loro non mi conoscevano, né conoscevano la Nina che ero prima che mi trasferissi a Milano. Non avrebbero mai potuto capire se si trattasse della verità oppure di una bugia.

«Ci sono stati un paio di ragazzi, a Torino, ma niente di che. Darei un sette a tutti. Comunque sta arrivando il professore di storia, dovremmo rientrare in classe» dissi velocemente, per liquidare il discorso.

Pensavo che mi sarei sentita meglio dopo quella piccola bugia, che mi sarei sentita maggiormente inclusa e apprezzata all'interno di quel gruppo, ma in realtà non fregava niente a nessuno. In fondo per tutte loro era la normalità, di certo nessuna sarebbe mai venuta a dirmi: «Davvero? Caspita, complimenti!».

Quindi sì, era stato del tutto inutile inventarsi quella balla. Forse sarebbe stato meglio beccarsi le loro occhiate stranite dopo aver detto la verità, piuttosto che quella semplice indifferenza. Ma ormai, alea iacta est, come si suol dire.

*

Solo una volta che ero sul tram insieme a Irene, pronta a tornare a casa e a chiudere quella prima settimana di scuola, ebbi finalmente modo di tornare a essere la persona onesta che ero sempre stata: «Comunque ho mentito prima. In realtà io... io non ho mai baciato nessuno».

Non ne potevo più di tenermi quella bugia bianca, mi stava attanagliando dentro, anche se a nessuno importava ed era una cosa di poco conto che non avrebbe ferito nessuno. Mi sentii immensamente sollevata dopo aver detto la verità, anche se solo a una persona. Almeno con lei sapevo che potevo essere sincera, me stessa al cento per cento.

Irene mi fissò sorpresa, con le sopracciglia inarcate. «Come? Perché non ce l'hai detto?» domandò e io scrollai le spalle.

«Perché sono una stupida, ecco perché. Avevo paura che se vi avessi detto la verità, avreste pensato di me che... non lo so, che sono strana, o che sono una sfigata» ammisi, togliendomi un altro grosso peso.

«Ma dai, Nina, che sciocchezza. Sai cos'è davvero da sfigate? Fare questo tipo di classifiche, proprio come hai detto tu prima» disse appoggiandomi una mano sulla spalla, e io abbozzai un piccolo sorriso. «Comunque non so se ci hai fatto caso o se eri persa nel tuo mondo, ma nessuna di loro ha dato voti troppo alti a quei ragazzi. I casi sono due: o facevano davvero tutti così schifo, oppure hanno esagerato loro per darsi delle arie, com'è più probabile.»

«Sai, mi hanno dato davvero sui nervi quando si sono accanite su di te... Presumo che sia stato anche per questo che ho mentito, perché non volevo che deridessero anche me. E mi dispiace di non essere intervenuta per difenderti.»

Scrollò le spalle e sorrise. «Ah, non prendertela per quello che mi dicono. E tranquilla che se voglio so difendermi benissimo da sola, semplicemente ho deciso di non farlo e ho imparato a fregarmene, tanto so che sarebbe tutto inutile con loro.»

«Comunque è molto dolce quello che hai detto su Vittorio...» dissi, ripensando alle sue parole di quella mattina. «Credi che sia davvero così? Che un bacio sia bello solo quando lo dai a qualcuno per cui provi qualcosa?»

«Non lo so, ma penso di sì. Io ero praticamente già cotta di lui ancor prima che accadesse, perciò!» esclamò ridendo.

«Ma se lo conoscevi appena quando ti ha invitata a ballare.»

«Lo so, ma... non lo so, fin da subito ho sentito qualcosa qui, dentro al petto» ammise, mettendosi una mano sul cuore.

Sorrisi, più che altro per il fatto che ero sempre più convinta che non avrei mai provato una cosa del genere per nessuno, né avrei voluto, ed ero lieta che per il momento non fosse accaduto.

«Non avevi paura prima di baciarlo?» domandai poi.

«Paura?» ripeté, fissandomi stralunata. «E per quale motivo?»

«Per il fatto che non sapevi cosa fare, non avendolo mai fatto.»

Si prese qualche secondo per pensarci. «Più che altro avevo paura che rimanesse in qualche modo impigliato al mio apparecchio o che si tagliasse la lingua» rispose e ridemmo all'unisono. «Comunque no, ero piuttosto tranquilla. Lui mi ha messa fin da subito a mio agio, è stato un sacco carino e premuroso con me. Non ci ho neanche pensato, è successo e basta.»

Mi stupì parecchio la sua risposta, e mi lasciò con ancora più dubbi di quanti ne avessi prima. Da una parte c'era Vittorio che descriveva il suo primo bacio e l'attimo che lo precedeva come qualcosa di orribile e imbarazzante; dall'altra c'era Irene che si era sentita a suo agio e non temeva che qualcosa potesse andare storto.
Da una parte Vittorio aveva preferito riservare il suo primo bacio a qualcuno di cui non era innamorato, per essere pratico per il futuro; dall'altra, Irene riteneva che un bacio non potesse essere né brutto né bello, ma che ciò che contava e lo rendeva speciale era ciò che si provava per l'altra persona che si baciava.

Così ecco che avevo le idee ancora più confuse che in precedenza. Ed ecco che ancor più di prima, la mia mente non riusciva a pensare ad altro se non a quando, come, dove e con chi avrei dato il mio maledetto primo bacio.

Ormai stava diventando un peso che non vedevo l'ora di togliermi, così da non doverci più pensare. Eppure non potevo farci niente.

*

Quel pomeriggio Vittorio non era tornato a casa per pranzo, ipotizzai che fosse andato a mangiare fuori con i suoi amici, così non ebbi modo di chiedergli subito se avesse dei piani per la sera.

Quanto a mia sorella, pensavo che il suo nervosismo si sarebbe esaurito a quella mattina, invece constatai con seccatura che si era solo intensificato. «Dai, cazzo, ma perché in quella casa non risponde mai nessuno?» chiese fra sé e sé, mentre componeva ancora una volta il numero di casa di Maurizio, portandosi nel frattempo le unghie alla bocca e mordicchiandole per l'agitazione.

«Magari si sono semplicemente stufati di ricevere dodici chiamate al giorno tutte da parte tua e hanno buttato il telefono fuori dalla finestra» ipotizzai, ridendo da sola per la mia battuta.

«Non è divertente, Nina. E comunque non lo sento da due giorni.»

Inarcai le sopracciglia. «Veramente?»

«Perché l'hai detto con quel tono preoccupato? Pensi che ci possa essere qualcosa sotto?»

Roteai gli occhi. «No, Benni, adesso non partire per la tangente. È solo che da quando ci siamo trasferite vi siete sempre sentiti al telefono almeno due o tre volte al giorno, quindi mi sembrava strano che fossero trascorsi addirittura due giorni.»

Buttò giù la cornetta con irruenza e incrociò le braccia al petto. «Io davvero non capisco... ieri o non rispondeva nessuno oppure rispondevano i suoi e mi dicevano che Maurizio non c'era, e oggi idem.»

«Ma avete litigato?» chiesi. In effetti era una circostanza piuttosto sospetta.

«No! Non è successo niente. Non riesco proprio a capire...» disse col magone, portandosi entrambe le mani sui capelli.

«Hai provato a chiamare qualche tua amica per sapere se l'hanno sentito o visto in questi giorni? Chiara non è mica in classe con lui?»

Dopo quelle mie parole, sembrò che a Benedetta si fosse accesa una lampadina. «Giusto! Come ho fatto a non pensarci?»

«Semplice, perché da quando stai con Maurizio hai la testa bacata ancor più del solito» risposi, avvicinandomi alla sua testa per bussarle sulla fronte. «Senti? È vuota.»

«Ah, ma finiscila, cretina» sbottò, piegando le dita della mano e lasciando alzato solo il dito medio.

Le feci la linguaccia e poi andai in bagno. Fissai a lungo il mio riflesso allo specchio. Mi portai i capelli dietro le spalle. Erano davvero cresciuti un sacco: prima quando li spostavo indietro non vi era alcuna differenza rispetto a quando li tenevo davanti. Mi sorse un dilemma esistenziale: non sapevo se lasciarli così oppure se tagliarli un pochino, per averceli all'altezza del mento come ce li avevo all'inizio dell'estate.

Considerando il casino che avevo fatto l'ultima volta, non sapevo proprio se fidarmi ancora delle mie abilità da parrucchiera, se non per le cose basilari. E ce n'era una che meditavo di fare da un po' di tempo.

Alla fine mi convinsi e andai in cucina per prendere una forbice. Dopodiché tornai in bagno, mi avvolsi un asciugamano attorno alle spalle e lo fissai con una molletta. Presi un pettine e iniziai a dividere le ciocche anteriori dal resto dei capelli. Aprii il rubinetto e cominciai a bagnarmi i ciuffi. Una volta fatto, chiusi il rubinetto e pettinai le ciocche spostandomele davanti al viso. Afferrai i ciuffi fra il dito indice e il dito medio, lisciando la ciocca dalla radice e fermandomi circa ad altezza del naso.

Per evitare di dover fare troppe fatiche per pulire una volta finito, presi un altro asciugamano e lo stesi sul lavandino. Poi, con la mano un po' tremolante per via del fatto che non ero ben sicura di portare a termine ciò che avevo iniziato, tagliai con la forbice la parte di capelli che stava al di sotto delle dita.

Osservai i capelli cadere e depositarsi sul lavandino. Ormai il danno era fatto. Avevo tagliato un bel pezzo. Be', d'altronde mi ero appena fatta la frangia. Poi sollevai lo sguardo per guardarmi allo specchio. Non ero ancora soddisfatta, così riafferrai i capelli e li tagliai ancora più corti, facendo arrivare le ciocche appena sotto gli occhi. «Ecco, così sì che è una vera frangia» mi dissi, compiaciuta. Dentro di me mi chiedevo quanto ci avrei messo a stufarmi anche di quel nuovo look.

Mi tolsi l'asciugamano dalle spalle e lo richiusi solo per aprirlo e sbatterlo sopra al water, per far cadere nella tavoletta i capelli. Lo stesso feci con l'asciugamano che avevo messo sul lavandino.

Come ultima cosa, tirai fuori il phon e la spazzola tonda dal mobile del bagno. Attaccai l'asciugacapelli alla presa e iniziai ad asciugarmi i capelli con la spazzola, così da dare una forma alla frangia. «Così sembro Luigi XIV con una delle sue parrucche» constatai, notando la forma piuttosto gonfia e bombata che aveva assunto la frangia. Ci passai una mano sopra per spettinarmi un po' i capelli, e il risultato finale non era così male come temevo.

Misi a posto tutto ciò che avevo utilizzato per il mio piccolo esperimento e infine uscii dal bagno. Vidi la porta di camera di Vittorio socchiusa, così intuii che era finalmente tornato a casa. Entrai nella sua stanza e sollevai le mani in aria con fare teatrale: «Ta-da! Che ne pensi?».

Sobbalzò sul letto per la mia apparizione improvvisa e poi si alzò in piedi per darmi un'occhiata più da vicino. «Mmh... sì, sei carina.»

«Tutto qui?» domandai aggrottando le sopracciglia, delusa da quella reazione non molto convinta

«Sì, dai, ti sta bene questo nuovo taglio. Ma quando l'hai fatto? Sei andata dal parrucchiere?»

Ridacchiai a quella sua domanda. «Ti pare? Ho fatto da sola.»

«Addirittura?» domandò ironico e io sorrisi.

«Se vuoi uno di questi giorni posso dare una sistemata anche a te» proposi.

«Perché? Cos'hanno i miei capelli che non va?» fece quasi offeso.

Sarebbe stato più facile dirgli cosa c'era che andava piuttosto che il contrario. «Dai, sono diventati ingestibili. Sembri quasi il cugino di Tarzan» gli feci notare.

«Ah sì? Il cugino di Tarzan?»

«Già. Vuoi vedere?» chiesi, prima di passare una mano sulla sua testa per arruffargli tutti i capelli. Lui approfittò della poca distanza fra i nostri corpi per cingermi le ginocchia e sollevarmi di peso su una spalla. «No, Vittorio, lasciami andare!» cominciai a protestare, tirandogli dei piccoli pugni sulla schiena.

«Ah, è questo che vuoi? Lo sai che se ti lascio andare ora e tu continui a muoverti come una schizzata, va a finire che cadi di testa?» fece, togliendo per qualche secondo la mano che sorreggeva le mie gambe. Per un attimo mi parve davvero di cadere, così smisi di dimenarmi per cercare di rimanere in equilibrio.

A quel punto riportò la mano dietro le mie ginocchia, prima di prendere a camminare fuori dalla sua stanza e giungere in salotto. Si avvicinò al divano quanto bastava affinché ci toccassi con i piedi, così che potessi scendere. «Sei proprio un idiota!» esclamai, prima di scendere dal divano e avvicinarmi a lui con fare minaccioso. «Poi non lamentarti se ti viene mal di schiena» aggiunsi, ma lui sembrò non ascoltarmi nemmeno, preso com'era a ridere a crepapelle.

«Sentiamo, cosa ci sarebbe di così divertente nell'avere un'ernia a sedici anni?» domandai scocciata.

«Dovresti vedere... dovresti vedere i tuoi capelli in... in questo momento. Adesso sembri... sembri anche tu la cugina di Tarzan» rispose, fra una risata e l'altra.

Lo fissai in cagnesco. Poi mi ricordai del reale motivo per cui mi ero diretta in camera sua in prima battuta e rilassai il viso. «Questa sera tu e gli altri fate qualcosa?» domandai allora.

«Ah, già, mi stavo quasi dimenticando. Monica dà una festa a casa tua, e tu devi assolutamente esserci perché devi aiutarmi.»

Grandioso. Non vedevo proprio l'ora di passare la serata in compagnia di Monica.

«Io? In che modo potrei aiutarti?»

«Non lo so, qualsiasi. Non sei tu l'esperta di queste cose, colei che dispensa sempre consigli a tutti?»

Non avrei avuto alcun problema ad aiutare Vittorio con Monica, se solo al tempo stesso non avessi promesso a Irene che l'avrei aiutata con lui.

«Dai, Nina, per piacere. Ti scongiuro. Ho bisogno che tu mi aiuti a fare colpo su di lei. Ti concedo anche di toccarmi i capelli se necessario» disse unendo i palmi delle mani in segno di preghiera.

«Be', io... d'accordo. Ma a una condizione» puntai il dito in avanti verso di lui.

Sospirò, sconsolato. «Perché con te le cose devono sempre andare in questo modo? Non puoi semplicemente aiutarmi per la gioia di farlo?»

«No, perché decidendo di aiutarti, vuol dire che consapevolmente accetto di sentire tutte le tue lamentele prima, durante e dopo quella festa. Quindi devo guadagnarci qualcosa anch'io, me lo merito.»

«Sì, in effetti ha senso. Cosa vuoi in cambio?»

«Ecco, io ti aiuterò, ma solo se un giorno mi lascerai guidare la Vespa e se anche le mie amiche potranno venire alla festa, fra cui Irene.»

Vittorio sgranò gli occhi e poi sbuffò. «A parte il fatto che queste sono due condizioni, ma poi ti pare che...» si interruppe prima di terminare la frase, come se gli fosse appena venuto in mente qualcosa. «Però se mi presentassi con altre ragazze alla festa, forse Monica mi vedrebbe sotto una nuova luce. Magari sarebbe persino gelosa.»

«Ah, ne dubito...» dissi sottovoce, ma lui mi sentì lo stesso e mi fissò con gli occhi ridotti a due fessure.

«Quindi? Affare fatto» lo incalzai poi, tendendo la mano verso di lui.

Si prese ancora qualche secondo per pensarci, ma alla fine annuì. «Affare fatto. Tanto comunque Monica mi ha detto di spargere la voce un po' in giro, perciò non ci saranno certamente problemi» mi strinse la mano.

Feci un verso di gioia e poi mi sollevai in punta di piedi per abbracciare Vittorio. «Oh, grazie, grazie, grazie!» esclamai al settimo cielo, prima di andare di corsa verso il telefono per chiamare Irene e avvisarla.

 

   
 
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