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Autore: _Frame_    10/09/2021    1 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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222. “Addio, America” e “Addio, Inghilterra”

 

 

Pochi mesi più tardi

Coste della Virginia, Stati Uniti d’America

 

La gru appartenente a uno dei galeoni issò il carico che i marinai avevano appena assicurato alle cime, compì un ampio movimento ad arco verso il ponte dell’imbarcazione, e Inghilterra dovette abbassare la testa per schivare il blocco di bagagli che gli volò sopra la testa, sorpassandolo con la sua ombra.

“Più su, più su!” ruggì un vocione dal ponte del galeone. “Tiratelo su, ché ci siamo noi a prenderlo! Forza!”

Un lungo fischio di vento scese a raschiare il pontile del molo, sbatacchiò le vele ancora mosce dei tre galeoni pronti a salpare, scompigliò i capelli dei marinai – a uno di loro cadde il berretto –, deviò il volo di uno stormo di gabbiani, e rimestò lo schiumare delle onde che si infrangevano una dopo l’altra sugli scogli, accavallandosi e ritirandosi nelle profondità delle acque color muschio.

Inghilterra si rimboccò il pastrano attorno alle spalle, socchiuse le palpebre e, proseguendo nella sua lenta camminata lungo il molo, inspirò la pungente aria di porto che stava per abbandonare. L’avrebbe sostituita con il respiro amaro e intossicante che l’avrebbe accolto quando sarebbe tornato a Londra. La solita vecchia Londra sporca di fumo, di polveri di carbone e fuliggine, e annacquata da pioggia e dallo stagnante scorrere del Tamigi. C’era stato un tempo in cui non temeva di fare ritorno fra le soffocanti mura dell’Impero Britannico. Sapeva che ci sarebbe sempre stato il Nuovo Mondo ad attenderlo, a consolarlo, ad accogliere i suoi respiri a pieno petto che lo avrebbero svuotato di un peso e che gli avrebbero sciacquato il cuore da tutto quel nero.  

Ora invece è l’inverso, si rese conto. Eppure, in qualche, modo è rimasto uguale.

Riaprì le palpebre per scoprire le stesse facce degli stessi marinai, le stesse risate arrochite dal tabacco, gli stessi gesti di aiuto con cui si sorreggevano scalando il pontile, e le stesse mani incallite dalle cime di corda che si passavano i bagagli. Facce diverse che comunque erano sempre quelle, occhi che avevano esplorato il Vecchio e il Nuovo Mondo, gabbiani figli delle nidiate precedenti, le navi invecchiate ed erose dal vento salmastro, le vele consumate dal sole, ingiallite come pergamene. Lo stesso cielo e lo stesso oceano che si sarebbero spalancati davanti alla prossima navigazione.

“Fermi con quei carichi!” Le grasse voci degli uomini si rincorsero attraverso la banchina stracolma dalle loro sagome. Qualcuno sbracciò verso il galeone più vicino, la Doria. “Le cime sono legate male, riportateli giù, fateli ricontrollare!”

“In fila per i registri! Le firme di là, muoversi, prima che vi lasciamo qui!”

“No, no, non portate a mano quei bagagli, caricateli sulla piattaforma, ecco, fate salire tutto sul ponte!”

“Fate largo ai barili d’acqua! I barili d’acqua hanno la precedenza, occhio a non sballottarli, attenti che non si scheggino!”

“Ehi, voi, muoversi con quella rampa, prima che salga la marea!”

“A bordooo!” Scampanate squillarono al di sopra dei soffi del vento, dello spumeggiare delle onde, e delle strida dei gabbiani. “Tutti a booordooo!”

Inghilterra inclinò la spalla sana per non andare a sbattere contro la stazza di un marinaio tutto muscoli che gli marciò affianco trasportando due sacchi di canapa sulla groppa. Scivolò fra due carichi di bagagli che dovevano ancora assicurare alle cime e issare sulla Serapis, calciò via un tentacolo di corda sfilacciata che si era srotolato da una bitta, e proseguì la sua lenta e discreta marcia in mezzo alle corsette più arzille di tutti gli uomini che popolavano il porto.

Schivò con diffidenza la vitalità dei suoi marinai e soldati. Gli diede la nausea. Come se avessero un valido motivo per essere così allegri...

La faccia di Inghilterra infatti era bianca e prosciugata come quella di una mummia imbalsamata, nonostante tutti gli anni trascorsi all’aperto, a masticare terra sui campi di battaglia, a bruciare sotto i raggi del sole, a gelare sotto i rovesci di pioggia, e a soffocare sotto il fuoco degli incendi e delle sparatorie. Volse gli occhi al cielo diurno, ma le sue iridi verdi non assorbirono alcun riflesso smeraldino. Apparvero opache e prive di luce, nonostante tutti i lampi esplosivi che gli avevano abbagliato la faccia nell’infinita tempesta di quella guerra.

Inghilterra inspirò di nuovo, soffocò, sentendo l’aria comprimergli il petto dolorante, e allentò il colletto del pastrano che gli grattava la gola.

Tossì e ricacciò indietro un conato dal sapore di sangue. L’aria di porto sapeva di marcio, di cadavere in putrefazione, e la luce del sole riflessa dalle lame d’acqua marina gli dava il mal di testa, costringendolo a tenere gli occhi bassi, lontani dalla trapunta di luci spiegazzata fra le onde verdi e blu.

Compì un altro passo, picchiò lo stivale sul cemento della banchina. Quel minimo sforzo fece male come una fucilata alle ossa, lo costrinse a fermarsi e ad avviluppare il braccio sano attorno alla pancia per comprimere il dolore.

La notte passata l’aveva trascorsa in preda a un forte attacco di tosse – uno dei peggiori ai quali ormai credeva di essere abituato. Questa volta però lo aveva spinto al limite. Inghilterra aveva tossito fino a vomitare sangue, era crollato ai piedi del letto, e si era accartocciato per il dolore fra le lenzuola sgualcite e madide di sudore gelato. I conati erano andati avanti fino a dargli l’impressione di star svenendo, fino a che non erano state le braccia di Canada a venirgli in soccorso, a sollevarlo dal pavimento, ad asciugarlo dal sudore, a ripulirlo dal sangue, e ad avvolgerlo nelle coperte asciutte.

Era stato proprio quell’ultimo episodio a fargli capire che era giunta l’ora di levare le tende dalla terra persa e di tornarsene a casa per leccarsi le ferite in quiete e solitudine.

Inghilterra si era ritrovato a marcire di delusione fronteggiando la misera creatura che era diventato. Pensava di essere sempre stato preparato a una sconfitta. Credeva di possedere un callo ben più duro e consumato.

E invece non è stato così.

Quella sconfitta lo stava facendo soffrire come un paesello appena nato, costretto fra le catene di un impero millenario, o come una stupida provincia alle prese con la sua prima guerra civile.

Ma so riconoscere che non si tratta di un dolore qualunque. So che non se ne andrà facilmente.

Dovette aggiustarsi e strofinarsi la fascia che gli cingeva il collo, sostenendo l’avambraccio bendato che ancora soffriva per lo sparo che l’aveva ferito qualche mese prima.

So che non guarirò mai del tutto.

Mosse le punte delle dita. Fitte brucianti corsero attraverso il braccio bendato e lo costrinsero a fermarsi. Inghilterra non riusciva ancora a muoverlo più di troppo, a ruotare il polso o a piegare il gomito, senza soffrire per la pressione del proiettile che, anche se lo aveva scorticato di striscio, gli sembrava davvero conficcato nella carne.

Inghilterra arrestò il massaggio lungo il muscolo dolorante. Dovette strizzare gli occhi per allontanarsi dalle tremende immagini di quel ricordo marchiato a fuoco dentro di lui.

I rovesci di pioggia divampati sulle sue spalle, gli schizzi di fango sulle guance, gli zampilli di rocce e terra contro la schiena, gli scoppi delle armi che ancora riecheggiavano nelle orecchie, il lampo blu che Inghilterra aveva inseguito attraverso il campo di battaglia, quella luce che in ogni suo sogno si materializzava nell’immagine di America, perseguitandolo fino al suo risveglio.

Un’onda più gonfia delle altre si schiantò su uno dei piloni d’attracco. Lo schiaffo dell’acqua sulla pietra gli rimbombò nell’anima, evocando lo sparo del moschetto, e gettò sale sulle ferite ancora aperte.

Inghilterra inghiottì il dolore e il sapore pungente di sangue. Ma non è il proiettile, si disse. Non è mai stata colpa del proiettile.

Si era abituato a digerire ferro e piombo dal primo istante in cui era venuto al mondo. Sapeva riconoscere il sangue versato dalle ferite delle armi, quello che si asciugava subito.

Questa è una ferita diversa.

La vera ferita l’avevano lacerata le mani di America, le sue parole d’addio, “Non tornerò, Inghilterra”, l’ultimo sguardo che gli aveva rivolto da sopra la spalla prima di girarsi e di svanire in mezzo alla boscaglia annebbiata dal diluvio.

Queste sono le ferite che non guariranno mai. A prescindere dal tempo e dalla distanza che da ora in poi ci divideranno.

Il traffico del porto proseguiva con la sua vita, passi estranei incrociavano la camminata con la sua, voci maschili gli scivolavano affianco come il battere d’ali dei gabbiani.

“I sacchi di caffè vanno a bordo della Serapis, giusto?”

“Sì, caricateli pure sul ponte, vi ringrazio.” Al tono più basso e rauco del marinaio si affiancò una vocina soffice e cortese, evanescente nell’aria del porto come un soffio di zefiro. “Sulla Doria dobbiamo lasciare spazio per il cotone.”

“Le provviste?”

“Nel lato sud del molo.” Il profilo a cui apparteneva quella vocina indicò il lato opposto del porto. “Quelle vanno sul mio galeone. Gli facciamo prendere una traiettoria di navigazione differente in modo da far scalo prima in Nuova Scozia.”

“Ah, certo, con l’equipaggio della Cabot. Non si preoccupi, signore. Da qui in poi ci pensiamo noi.”

“Vi ringrazio.” Un breve sventolio di mano da parte della figura più piccola che fiancheggiava il profilo del marinaio. “Fate attenzione, mi raccomando. Assicuratevi che tutti abbiano i propri bagagli e fate salire per ultimi i cavalli, così non dovranno stare al chiuso per troppo tempo. Ah, e non dimenticate l’acqua anche per loro. Che sia sempre fresca.”

Il marinaio annuì. “Sì, signore, agli ordini.” Si congedò levandosi e rimettendosi il berretto. Si disperse in mezzo agli altri uomini messi in fila per i registri, e si affrettò a eseguire gli ordini di Canada che, invece, era rimasto sulla banchina, ombreggiato dallo sventolare di una fila di bandierine nautiche.

Inghilterra si girò per andare incontro all’eco della sua voce – troppo simile a un mormorio di America, dannazione –, e intercettò lo sgattaiolare dei suoi passettini sotto i carichi che stavano issando sulla Cabot.

Canada, stretto nelle spalle, zampettò a capo basso fra i marinai che lo evitavano come si evita un micetto che ti scorrazza fra le caviglie. “Scusate,” mormorò lui. “Uhm, permesso.” Allungò un passo più deciso. “Scusate...” Urtò la spalla tatuata di un marinaio e alzò le mani tremolanti in segno di scuse. “Scusate, scusate, colpa mia.” Inciampò su una bitta, si aggrappò con una mano alla cima di corda, riprese equilibrio evitando di finire travolto dalla marcia di una fila di soldati che si stavano recando sul ponte, e levò il braccio al cielo, riconoscendo anche lui il lontano profilo di Inghilterra. “Inghilterra.” Gli corse incontro. Si aggiustò la giacca sgualcita e spolverò via una piuma di gabbiano che gli si era incollata alla spallina. “Eccoti, ti cercavo.” Sorrise, nonostante il fiatone. “I galeoni hanno finito di imbarcare i carichi, ma i marinai devono ancora finire di raccogliere le firme per i registri. Comunque siamo in orario, e non sembra ci siano nuvoloni in arrivo.” Volse lo sguardo all’orizzonte, tese la mano davanti alla fronte. La linea di cielo che stava scurendosi, sovrapposta al confine del mare striato dalle onde violacee, cosparse i suoi riflessi cristallini nelle profondità di quegli occhi così limpidi. “Che fortuna, vero? Il capitano della Serapis dice che fra un’ora potrete salpare, il mare è ancora perfetto e lascerete il porto senza complicazioni.”

Inghilterra rispose con un sospiro, “Sì”, provando un vago senso di vergogna nel rendersi conto di non riuscire nemmeno a esibire una virgola di sorriso davanti a quella benedetta creatura che si meritava tutto l’oro e il bene del mondo. “Proprio una bella fortuna. Da non credere.” Oh, per l’amor del Cielo, smettila di fare il pezzo di merda, una buona volta!

Canada non se la prese. Il suo sguardo, anzi, assunse una sfumatura più apprensiva. “Sei sicuro di voler salpare da solo con la Serapis?” Dovettero spostarsi per non intralciare i marinai che stavano facendo rotolare i barili di birra verso il pontile d’attracco.

Lui e Inghilterra camminarono distanti dagli uomini, più vicini agli schizzi delle onde, e si isolarono dalle voci del porto e dai rumori che provenivano dal villaggio adiacente.

Lo sguardo di Canada si distese verso i tre galeoni britannici su cui sventolavano le bandiere scarlatte. “Non sei costretto a tornare subito a casa, e ad affrontare un viaggio così lungo tutto da solo. Puoi venire con me sulla Cabot, passare un po’ di tempo nelle mie colonie, magari trascorrere qui l’estate, e ripartire in autunno, in modo da concederti ancora una stagione per riposarti e...” I suoi occhi caddero inconsciamente sul braccio bendato di Inghilterra. La sua fronte s’incurvò in una piega addolorata. “E guarire dalle ferite.”

Inghilterra rabbrividì, vittima di un dolore ben più intimo della cicatrice sfregiata sul braccio. Allontanò lo sguardo e si tenne stretto nel pastrano che gli cadeva attorno alle spalle. Sollevò un lembo rosso per nascondervi sotto il braccio appeso alla fascia. “Non credo che guariranno. Un mese, un anno, cento anni, un’eternità.” Scosse la testa, abbandonandosi a una grave rassegnazione. “Questo sarà un dolore con cui dovrò convivere per il resto della mia vita, temo.”

Canada si morse il labbro inferiore. “Io...” Sollevò una mano, gli sfiorò la spalla, e ritirò il tocco. Non se la sentì di invadere quella sua privata nicchia di dolore. “Io credo in te.” Non rinunciò comunque a confortarlo. “So che guarirai. Non so quanto tempo potrà volerci, e sono certo che non succederà immediatamente, ma tu rimani comunque una delle più forti nazioni del mondo. Anche se hai perso una guerra, non hai perso te stesso, e non hai di certo perso la tua gente e la loro fiducia nei tuoi confronti. Questo sarà solo...” Si strinse nelle spalle. “Solo il ricordo di una guerra più sfortunata delle altre. Quindi ti prego...” Questa volta, riuscì a toccarlo e a trattenerlo per un lembo della manica ciondolante. “Non smettere di credere nel tuo valore.” Si fermarono entrambi, uno di fronte all’altro, con il mare alle spalle e i reticoli di funi ad attraversare il cielo. “E non smettere di avere fiducia nel sostegno degli altri solo perché ora il tuo legame con America non sarà più quello di prima.”

La bocca di Inghilterra irrigidì e tremolò, attraversata da un gemito muto. Lui riuscì a trovare la forza di sollevare il capo e di andare incontro agli occhi di Canada che lo tenevano a galla. Occhi grandi, tondi e luminosi. Occhi giovani. Gli stessi occhi con cui America si era rivolto a Inghilterra, dopo averlo abbandonato in ginocchio nel fango.

“E io non potrò mai più guardarti con gli stessi occhi.”

Attorno a loro si consumarono gli scrosci della marea che si stava alzando, gli stridii dei gabbiani che volavano attorno ai tralicci dei galeoni, il ruzzolare dei passi che risalivano i pontili delle imbarcazioni, e lo scampanellare proveniente da una delle cappelle costruite fra le abitazioni del porto.

Inghilterra stava per lasciarsi quel panorama alle spalle. Non avrebbe mai più respirato la stessa aria, non avrebbe mai più calpestato lo stesso suolo, non avrebbe mai più guardato lo stesso cielo.

Si gonfiò il petto d’aria con la speranza di tenersi su e di non crollare per una seconda volta. “Lo sai qual è...” Si strofinò la nuca con il braccio mobile. “Qual è la conseguenza peggiore di tutta questa situazione? È che io non riesco a smettere di volergli bene.” Non riuscì a pronunciare la parola America. Faceva ancora troppo male. “Non ci riesco.” Gli occhi socchiusi s’inumidirono e bruciarono. Un groppo di fiato gli s’incastrò in gola. Inghilterra dovette succhiare indietro un singhiozzo di pianto e tenere il dorso della mano accostato alla bocca per non far traboccare le lacrime. “Nonostante tutto quello che è successo, nonostante il modo in cui ci siamo trattati, la maniera in cui abbiamo combattuto e ci siamo fatti del male, nonostante ora lui mi detesti, io non riesco a smettere di volergli bene.” Scosse il capo. “Non smetterò mai di farlo. È questa...” Si massaggiò la fasciatura del braccio, spostò il tocco sul petto e strizzò la stoffa della maglia, dove era annidato il vero dolore. “È questa la cicatrice più dolorosa che dovrò sopportare per tutto il resto della mia vita. È questa la mia vera punizione.”

Anche gli occhi di Canada divennero più acquosi, colmi di una tristezza che lui non sapeva come consolare. “Non dire che ti odia.” Gli si avvicinò di un passetto, cauto. Gli raccolse la mano ferita senza stringerla. “America non potrebbe mai odiarti, per nessuna ragione al mondo.”

Inghilterra scosse di nuovo la testa. “Ormai...” Si strofinò gli occhi. Tirò su col naso. “Ormai il nostro legame non potrà mai più tornare a essere quello di una volta.”

“No.” La voce di Canada fu ferma e rassicurante. “No, è vero, non potrà esserlo, ma non è nemmeno una cosa così brutta. Inghilterra...” Gli sfregò una soffice carezza fra le nocche, gli trasmise forza. “America non ti ha mai detto addio. Anche se ora è diventato una nazione indipendente, non significa che non potete più parlarvi, o incontrarvi.” Socchiuse le palpebre e, baciato sulle guance dai rossi raggi del sole, curvò le labbra nel sorriso più tenero e dolce di tutti i sette mari. “Il mondo non è poi così grande, e chissà quante altre occasioni ci saranno in cui le vostre strade torneranno a incrociarsi.”

Inghilterra, rassegnato, ammosciò il peso delle spalle, ma non separò comunque la mano da quella di Canada. “Anche se dovesse succedere, non mi rivolgerebbe lo stesso la parola. Non mi guarderebbe nemmeno negli occhi. Se tu...” Un tremolio gli attraversò il respiro. “Se tu l’avessi visto capiresti. Se solo avessi visto il modo in cui mi ha tenuto testa e mi ha sconfitto.” Mi ha sconfitto mostrando lo sguardo di chi sarebbe stato anche capace di ammazzarmi, pur di ottenere la libertà per cui stava combattendo. Mi ha guardato con gli occhi di una vera nazione.

Canada sembrò leggergli nella mente. “Lo so che era arrabbiato.” E se ne rattristò. “E lo so che lo è ancora. Io...” Scosse il capo. “Io non so cosa si prova nel vivere la sua stessa situazione, ma conosco America. L’unico motivo per cui si è arrabbiato così tanto non è perché ti odiava, ma perché non sopportava l’idea di deluderti e di doversi per forza ribellare a te pur di poter vivere come lui ha scelto di fare. Anche se si è comportato da ribelle, lo ha fatto per...”

“No.” Inghilterra sfilò la mano da quella di Canada. “No, America non si è comportato da ribelle.” Strinse il pugno, trattenne il respiro, sopportò il peso di quelle parole. “Si è comportato da vera nazione, questa è la realtà. Ed è anche la prova che si merita per davvero la libertà che si è conquistato combattendo contro di me. Io non gli devo nulla.” Raccolse un lembo del pastrano e si coprì il braccio fasciato. Un ultimo gesto di protezione e consolazione che non avrebbe comunque potuto proteggerlo dalla realtà di quella tragedia. “Non più, ormai.”

Un fischio di vento fece oscillare i tralicci dei galeoni, colpì le vele. Lo schiaffo dell’aria spalancò un drappo triangolare che gettò un’ombra nera sulla banchina, su Inghilterra e Canada che si trovavano ancora isolati dal resto dei marinai e dei soldati.

Canada si specchiò negli occhi stanchi e anziani di Inghilterra. Il suo invece era uno sguardo giovane, ancora così luminoso e levigato, come una perla appena germogliata dalla sua conchiglia. “Mi dispiace per quello che è successo,” gli mormorò. “Mi dispiace per com’è finita. Dico davvero.”

Inghilterra si concesse di perdersi in quello sguardo d’amore. Gli sorrise, con sincerità e malinconia, e questa volta fu un sorriso tutto per Canada, senza l’ombra di America a contaminarlo. “Sei stato molto buono con me, Canada,” gli disse. “Fin troppo. Non dimenticherò mai quello che hai fatto per me. Tutto quello che il tuo aiuto ha significato per il mio esercito e per la mia nazione.” Fu lui ad accostarsi, ad appendersi a un suo braccio, ad abbandonare la corazza d’orgoglio e a lasciarsi sostenere. “Grazie per essermi stato vicino.” Tremò, scosso fino alle corde del cuore. Strinse le palpebre per trattenere il pizzicare degli occhi umidi. “Grazie per non avermi abbandonato.”

Canada ricambiò la gentilezza del sorriso. Eppure anche lui sentì crescere dentro di sé un germe di dolore che non seppe come sradicare dal petto, un triste vuoto che non riconobbe e che non aveva idea di come colmare. Fece quello che era ancora in suo potere: sorresse Inghilterra come lo aveva affiancato durante quei lunghi anni di guerra. “Se dovessi cambiare idea, e se ti sentissi troppo solo, quando sarai tornato a casa, non farti scrupoli nel venire da me, d’accordo? Potrai rimanere per tutto il tempo che vorrai. La mia casa avrà sempre le porte aperte. Sempre.”

Inghilterra annuì, si strofinò gli occhi. Sorrise avvilito. “Lo so.” Gli posò la mano sulla guancia. “Lo so che tu ci sarai sempre.” Raggiunse un’ultima volta quel viso così crudelmente simile a quello di America, si aggrappò non al suo braccio o alla sua spalla, ma all’ultima immagine che poteva conservare di lui.

Corsero i ricordi, si accumulò una fredda consapevolezza.

Inghilterra non avrebbe mai più potuto carezzare il viso di America, non avrebbe mai più potuto guardarlo negli occhi, condividere l’amore del suo sguardo. Non avrebbe più potuto vederlo crescere, donargli abiti e scarpe sempre più grandi, sorvegliare le sue corse nei campi o le nuotate nei fiumi, rimanendo senza fiato pur di stargli dietro. Non gli sarebbe stato più concesso infiammarsi d’orgoglio davanti ai suoi progressi o gioire davanti alle sue conquiste.

America non gli apparteneva più, era diventato una nazione come un’altra. Un estraneo da cui diffidare, un potenziale nemico che avrebbe di nuovo dovuto combattere sul suolo di guerra.

Due nazioni come loro non avrebbero mai potuto condividere un affetto incondizionato come quello che nasceva fra due mortali esseri umani. Ecco perché Inghilterra aveva tanto sperato di poter mantenere America allo stato di bambino, ecco perché aveva mentito a se stesso per tutti quei secoli, convincendosi di non star allevando l’ennesimo nemico, un’altra nazione come lui, contaminata dall’odio e dalla sete di conquista.

La mano che Inghilterra aveva posato sulla guancia di Canada rabbrividì. I tremori discesero il braccio, penetrarono il petto, spezzarono l’ultima barriera d’integrità ancora solida attorno al suo cuore, e affondarono una coltellata di dolore fino in fondo alla pancia, mozzandogli il respiro e strappandogli le forze dalle gambe. Il tocco scivolò dal viso di Canada, si posò sulla sua spalla, strinse più forte, senza riuscire a lasciarlo andare, e Inghilterra lo catturò in un ultimo disperato abbraccio d’addio.

Inghilterra chiuse gli occhi, sprofondò nella familiarità di quell’abbraccio, inspirò il dolce profumo di Canada attraverso la stoffa dei suoi abiti, e si sciolse nel calore del suo conforto. Si concesse un ultimo desiderio, un ultimo atto d’egoismo. Era America a tenerlo stretto, erano le sue braccia a circondarlo, era il suo profumo di campi, e di salsedine e di salsa di mele, in cui era immerso, e sarebbe stato il suo volto ad accoglierlo quando avrebbe riaperto gli occhi. Sarebbe stato il suo sorriso a fargli dimenticare quell’incubo.

“America.” Inghilterra strizzò le mani sugli abiti di Canada, spinse la fronte sulla sua spalla, inspirò un singhiozzo fra le labbra, resistette alla fitta di dolore al petto. “America.” Calde lacrime di cordoglio si sciolsero dalle palpebre strizzate, si versarono mescolandosi ai singhiozzi soffocati, incapaci di fermarsi.

Anche il cuore di Canada batté un palpito di dolore. Capì al volo quello che stava succedendo, decifrò all’istante quell’abbraccio disperato in cui Inghilterra lo aveva incatenato. Era di nuovo diventato il rimpiazzo, un corpo vuoto su cui proiettare l’immagine di America. Ma non poteva negargli quell’ultima consolazione, per quanto male gli facesse. Sapeva che il dolore di Inghilterra restava infinitamente più grande del suo.

Canada gli avvolse le spalle, stando attento a non stringere troppo quella bendata. Gli strofinò la schiena singhiozzante, lo lasciò piangere, svuotare tutto quel dolore sulla sua spalla, mentre attorno a loro il popolo del porto continuava a risalire i pontili, i gabbiani a volare, e le onde a schiumare contro le chiglie dei galeoni in partenza.

La vita scorreva e loro non potevano fare altro se non avanzare assieme a lei.

 

.

 

Dall’alto del promontorio, il più grande porto della Virginia si mostrava come una butterata chiazza color grigio-ocra incastrata fra le rientranze della spiaggia e della scogliera. Gli uomini che lo popolavano erano piccini, miriadi di formiche distribuite fra le gallerie di terra. I marinai brulicavano attorno alle basi dei pontili, camminavano affacciati alla banchina bagnata dallo schianto delle onde, si passavano le sacche da viaggio e facevano spazio ai soldati, ai mozzi, e al resto dei coloni che stavano per imbarcarsi sui galeoni e imboccare la rotta che li avrebbe riportati a casa, nella vecchia Europa. Le vele delle navi giacevano ancora flosce. Stormi di gabbiani a ruotare attorno ai tralicci e a puntare l’agguato sui carichi di provviste scoperchiati.

America sedeva sul prato e li osservava dall’alto della scogliera. La schiena premuta sulla corteccia del pino che negli anni si era alzato e ingrossato, riuscendo ora a coprirlo con l’interezza della sua ombra. Le gambe distese nell’erba umida, il fresco della sera a salire dal prato, il profumo del mare e della costa trascinato dalle spirali di vento. Quello era lo stesso promontorio da cui America si affacciava quando, da piccolo, rincorreva la presenza di Inghilterra che s’imbarcava su quelle stesse navi e che salpava dalla stessa spiaggia per far ritorno alla sua casa. Quelle volte, America molto spesso piangeva, si spaventava all’idea di non rivederlo mai più, di veder sparire le sue navi, le vele dissolversi fra le nubi, e di non veder più sorgere i velieri dalla linea d’orizzonte.

Ora più che mai non sapeva se li avrebbe rivisti. Eppure, quella prospettiva non lo angosciava più come un tempo.

America strinse la mano, rigirò l’oggetto che custodiva fra le dita. Il suo soldatino, vecchio, consumato e scolorito. La tempera scrostata dalle spalle e dagli stivali, la baionetta spuntata sulla cima. Stringendolo, il soldatino scompariva all’interno della sua mano diventata più grande, cresciuta proprio come quell’albero a cui era appoggiato di schiena.

America dischiuse le dita, le mise in luce. La mano non era l’unica parte del suo fisico a essere cambiata durante la guerra. Lui si era alzato, tanto da non dover più spingersi sulle punte dei piedi per sbirciare all’interno del vecchio squarcio nella corteccia. Le sue spalle si erano allargate, le braccia erano diventate salde e muscolose, la pelle più dura e abbronzata, e le mani più callose, a forza di impugnare il moschetto, o di tirare funi, o di maneggiare le baionette o di spingere i cannoni dell’artiglieria.

Si riparò da una zaffata di vento che sputò su di lui una folata di sabbia e aghi di pino. Da dietro il braccio sollevato, rivolse lo sguardo al punto più alto del cielo, dove nemmeno i tralicci dei galeoni riuscivano ad arrivare, e si lasciò annegare fra gli sbuffi di nuvole.

Anche le sfumature dei suoi occhi erano mutate. L’azzurro dell’iride, una volta puro e splendente, si era già macchiato di un’ombra che lo rendeva più cupo e profondo. Ora erano occhi che avevano visto sangue. Sangue che America non sarebbe mai stato in grado di lavare via dalla sua pelle, sangue fatto sgorgare dalle sue stesse mani.

Quelle stesse mani sporche e cresciute rigirarono ancora il soldatino di stagno, l’unghia del pollice grattò la punta della baionetta e ticchettò sul metallo del fucile. Non era poi tanto diversa dall’arma che lui stesso aveva imbracciato durante quei lunghi anni.

Alla fine ce l’ho fatta. Ho ottenuto la mia libertà e la mia indipendenza.

Raccolse una gamba contro il petto e poggiò il mento sul ginocchio. Quella bufera di pensieri non si era ancora diradata, vorticava fra le pareti del cranio e tambureggiava sulle tempie, dandogli un mal di testa nauseante.

Tutti questi anni di guerra, tutti questi uomini che hanno combattuto per il Paese che io ho voluto fondare. Tutti quelli che sono morti e che si sono sacrificati perché credevano nelle mie parole e nelle mie promesse. Ecco.

Seguì con lo sguardo lo scorrere delle nubi che si stavano infittendo, sospinte e mescolate dalle correnti d’aria.

Eccomi, guardatemi: ce l’abbiamo fatta. Abbiamo vinto. Gli Stati Uniti sono indipendenti dall’Impero Britannico. Ma sarò in grado di mantenere quello che ho conquistato?

Non riuscì ancora a capire come realmente si sentiva. Come avrebbe dovuto sentirsi davanti alla scena che gli si palesava davanti: la partenza di Inghilterra, le loro strade separate, la prospettiva di non ritrovarsi mai più o, peggio, di dover ancora combattere come nemici.

E se il mondo fosse davvero troppo crudele e spaventoso, fuori dalle mie terre? Se io non fossi sul serio in grado di affrontarlo?

America avrebbe dovuto gioire per quella vittoria. Avrebbe dovuto spalancare le braccia, gonfiarsi il petto di quell’aria di libertà, e correre a perdifiato fra i campi e le praterie della sua terra, sua come avrebbe sempre dovuto esserlo. Ma un dubbio ancora gli bloccava i piedi, una tenaglia allacciata alla caviglia.

Se tutto questo fosse davvero troppo per una nazione appena nata come me?

Passi leggeri ma ben cadenzati attraversarono il tappeto d’erba alle sue spalle. Un’ombra si allargò lungo il promontorio. Il vento la scosse ed evocò un delicato profumo di bacche di vaniglia e di rosa canina.

“Ti godi il panorama, mon cher?”

America non si stupì di udire la voce di Francia. Il piccolo sobbalzo che lo scosse fu solo per essere stato strappato così improvvisamente dai suoi pensieri. Distolse lo sguardo dal cielo, si girò verso di lui. “I galeoni stanno salpando.” Strinse il pugno per nascondere il soldatino al suo interno. Non seppe nemmeno lui il perché, ma non voleva che Francia lo vedesse. Era l’ultimo tassello ancora integro della sua relazione con Inghilterra. Lo faceva sentire debole e vulnerabile. “Ormai saranno gli ultimi,” disse ancora. “Stanno portando via ancora un sacco di prodotti delle piantagioni, però. Forse per compensare l’annullamento delle tasse.”

Francia compì gli ultimi passi all’ombra del pino e si strinse nelle spalle. “Consolati.” Distese le dita fra i capelli legati da un nastro blu e li fece sventolare dietro il collo. “È normale subire un periodo di assestamento, dopo un conflitto così intenso. Se c’è una cosa che ho imparato durante il lungo corso della mia vita, è che nemmeno gli esseri umani sono fatti per vivere in pace, purtroppo. Ci sarà sempre qualcosa di cui lamentarsi, qualche nemico da sconfiggere, qualche avversario da atterrare. Fa parte di quello che loro chiamano progresso o evoluzione, suppongo. Ma almeno, da adesso in poi, la tua terra sarà tutta per te.” Si mise a braccia conserte, la posa rilassata ma vigile. “Potrò sembrarti duro...” Sollevò un sopracciglio. “Ma la parte difficile comincia proprio adesso.”

“La...” America si sentì attraversare da una scossa. “Parte difficile?”

Francia annuì. “Dovrai affrontare tutte le conseguenze derivate dal fatto di essere diventato una nazione a tutti gli effetti.” Andò a poggiarsi anche lui al tronco del pino. “E non ci sarà più Inghilterra a proteggerti, a dirti qual è la cosa giusta da fare. Dovrai assumerti le tue responsabilità e accettare tutte le conseguenze che ne deriveranno. Anche quelle peggiori.”

“M-ma anche tu...” America strinse la mano libera sul prato, fino a sentire le unghie penetrare la fredda terra. Lo aggredì una paura intima e remota, la più umana. “Anche tu non rimarrai più qui, allora?” Il cielo rabbuiava, il suo corpo precipitava dal promontorio e si ritrovava a galleggiare nel vuoto e nel buio, da solo, senza più alcuna certezza. “Tornerai a casa, in Europa?”

Francia gli sorrise, e bastò quel sorriso a rischiarire il cielo. “Non avere paura, mon petit chou.” Gli strofinò una carezza fra i capelli. “Rimarrò a tenerti compagnia fino a che non mi sarò assicurato che tutte le tue ferite non saranno guarite, sia nel corpo sia nel cuore.”

“S-sto bene.” America si chiuse nelle spalle, ancora incerto, nonostante il gesto di Francia a rassicurarlo. “Le ferite guariscono in fretta. Più in fretta di quando ero piccolo. Forse è perché ora rappresento davvero tutta l’anima della mia terra. Magari è perché assorbo più energia, o una cosa così, non lo so.” Sollevò un sopracciglio, gli occhi brillanti di curiosità. “Dici che può essere?”

“Eccome se può essere.” Francia gli sfilò la mano dai capelli, e il suo sguardo si fece più vicino. I tratti del volto più incisi e più maturi, ritagliati dall’ombra del tramonto. “Sei stato molto coraggioso.” Scivolò a sedere affianco a lui. Colse una margheritina dall’erba, la rigirò davanti agli occhi. “Inghilterra sa diventare davvero spaventoso in guerra, io lo so bene. Un avversario temibile che fa tremare le ginocchia a tutti i rivali d’Europa.” Diede ad America una vigorosa pacca sulla spalla. “Ma tu lo hai affrontato e gli hai tenuto testa ancor meglio di un esercito prussiano. Dovresti esserne orgoglioso.”

America proprio non riuscì a seguire il consiglio. “Non è stato merito mio,” confessò. “Per niente. Non ho vinto contro Inghilterra perché ho combattuto bene, o perché sono stato più forte di lui. È stato Inghilterra che si è trattenuto. Io avrei...”

Un battito di palpebre fece calare il buio e lo riportò indietro, all’istante in cui America si era ritrovato costretto a terra. La schiena nel fango, la pioggia in faccia, il peso di Inghilterra a premergli sul ventre, e la luce metallica della baionetta a pendergli sul petto. Ma il colpo non era sceso fendendo l’aria, disegnando un arco d’argento e conficcandosi nel torso di America, frantumandogli le ossa e spezzandogli il cuore in due. Non era successo. La mano di Inghilterra aveva lasciato andare la baionetta, il suo corpo si era accasciato su di lui, aveva tremato per i gemiti, e il suo viso in lacrime era rimasto nascosto sotto i capelli fradici di pioggia e fanghiglia.

“Non puoi lasciarmi, America,” aveva singhiozzato Inghilterra. “Non puoi portarmi via questo, non strapparmi dal cuore l’unica parte buona di un miserabile come me.”

La nazione piegata sotto il peso della sua fragile umanità. Quell’immagine aveva addolorato America ben più di quel che avrebbe fatto incassare la pugnalata nelle costole.

America deglutì, sentì l’amaro in bocca, e non riuscì a credere a quello che stava per dire. “Avrei preferito che mi colpisse.”

Scossi da quella rivelazione, i chiari occhi di Francia si colmarono di stupore.

America strinse anche l’altra gamba fra le braccia. Il soldatino ben nascosto nel pugno, e lo sguardo avvilito rivolto ai galeoni ancora attraccati. “Anche quando combattevamo con i fucili in mano, Inghilterra ha continuato a guardarmi come se io fossi stato un bambino, e non una nazione vera. Era chiaro che il più forte era lui. Sarebbe stato in grado di battermi e di vincere la guerra combattendo anche con una mano sola. Ma non l’ha fatto.” Strinse più forte il pugno. La baionetta del soldatino gli punse il palmo. “Non l’ha fatto proprio perché sapeva che io non ero all’altezza di combattere alla pari.”

Lo stupore di Francia divenne consapevolezza. Il suo sorriso si rasserenò, cominciò a capirlo. “Inghilterra non ti avrebbe mai colpito.” Incastrò la margheritina al nastro blu che gli legava i capelli. Scostò una ciocca bionda. “E non sarà mai in grado di farlo nemmeno fra mille anni.”

America se ne rendeva conto. Era questo che gli bruciava. “Mi sento ancora così arrabbiato.”

“Non nasconderlo,” gli disse Francia. “Non trattenerti. Negare un sentimento, per quanto brutto sia, ti impedirebbe solo di affrontarlo e di superarlo. Rimani arrabbiato con Inghilterra per tutto il tempo che vuoi...” Levò un indice al cielo. “Però concediti sempre la possibilità di perdonarlo, un giorno.”

“Non è giusto, però.” America strizzò le dita sui pantaloni. Il peso accumulato in fondo al petto ricominciò a infiammarsi. “Non avrebbe dovuto farlo, non avrebbe dovuto risparmiarsi. Anche io ho il mio orgoglio.”

“Oh, questo lo sappiamo entrambi.”

“Nel senso...” America indicò entrambi. “Nel senso di io e te?”

“Nel senso io e Inghilterra,” specificò Francia. “Ma, anche se Inghilterra un giorno proverà a colpirti...” Gli diede un’altra pacca sulla spalla ed esibì un sorriso smagliante. “Ci sarà sempre il fratellone a difenderti e a suonargliele di santa ragione.”

Nonostante i gesti di incoraggiamento e il buonumore contagioso, America non riuscì a smettere di preoccuparsi. “Ma a te adesso che cosa succederà?” domandò a Francia. “Con tutti i soldi che hai speso per mandare qui i tuoi soldati ad aiutarmi, ad addestrarmi, e a ribellarmi a Inghilterra...” Inarcò un sopracciglio. “Sicuro che il resto della tua gente in Europa sarà felice di sapere che hai fatto tutto per un Paese che si trova sull’altra faccia della Terra e che loro nemmeno conoscono?”

Il sorriso di Francia non mutò natura. Nemmeno un’ombra a rabbuiare la sua serenità. “Anche io subirò delle conseguenze. Non fingerò di non rendermene conto.” Pettinò di nuovo la stessa ciocca dietro l’orecchio, seguendo il morbido profilo della guancia. “Ogni conquista e ogni vittoria hanno il loro prezzo che inevitabilmente si riversa proprio sugli uomini. Questa volta, probabilmente, per la mia gente sarà diverso rispetto a una guerra combattuta in Europa. Sarà un prezzo più difficile da pagare, dato che a beneficiare della nostra vittoria sarà... come l’hai chiamato? Un Paese sconosciuto che si trova sull’altra faccia della Terra.” Si posò la mano sul petto e allargò le spalle, nobile e fiero come lo era stato sul campo di battaglia. “Ma la mia gente è lo specchio della mia anima. E la mia anima sa di aver combattuto per la giusta morale, per portare libertà a un popolo oppresso. Chissà...” Fece spallucce. “Magari la tua lotta sarà d’esempio per dare inizio a una vera e propria epoca di rivoluzioni.”

“Oh.” Un’epoca di rivoluzioni. Pure in Europa? Quell’ultima frase lo attraversò con un freddo brivido di disagio, ma lui cercò di non badarci.

Francia notò quella nube di dolore e cordoglio che ancora gli stava piovendo addosso. Sospirò, cancellò il sorriso dalle labbra, e anche i suoi occhi si annacquarono di tristezza. “Mi dispiace, America.” Gli cinse le spalle in un gesto paterno, di sostegno, e gli carezzò la testa strofinando le dita fra le ciocche color grano. Così vicino, il suo dolcissimo profumo di rose e di vaniglia era ancora più inebriante. “La verità è che, forse, anche io ti ho inconsciamente usato per prendermi l’ennesima rivincita su Inghilterra, per conquistare la mia vendetta dopo la sconfitta che ho subito durante la guerra contro Prussia.” Un altro respiro più pesante. “E mi dispiace che il tuo primo conflitto sia stato combattuto in questa maniera, proprio per sbarazzarti di chi ti ha cresciuto.”

“Il mio...” America sussultò. Sollevò il capo da sotto la mano di Francia. “Il mio primo conflitto?”

Francia annuì. “Ma è naturale, non? Adesso sei una nazione sotto tutti i punti di vista. E purtroppo il destino di una nazione non è mai stato quello di vivere in pace, ma quello di preservare la pace della sua gente. Scommetto che era proprio da questo che Inghilterra ha sempre voluto proteggerti.”

“S-sì...”

Si ricordò di cosa gli aveva insegnato Inghilterra tanto tempo prima. “Perché purtroppo ciò che manda avanti il mondo non è la pace. Perché in noi nazioni l’istinto di sopravvivenza è radicato a tal punto che non ci facciamo scrupoli nel compiere delle ingiustizie pur di sopravvivere sugli altri.”

Quelle parole assunsero un senso compiuto, brillarono sotto una luce del tutto differente. “Sì, è vero.” Proteggermi. Tornarono a insorgere il freddo e la paura, la sensazione di vuoto sopra la quale si sentì vacillare, il senso traballante di instabilità che faceva sembrare il promontorio ancora più alto.

Francia lesse la sua esitazione e la sua incertezza, quel sottile brivido che aveva raggiunto anche lui. Si sentì in dovere di dargli un ultimo appoggio a cui sorreggersi. “Ricordati questo, America.” Gli sfilò la mano dai capelli e sollevò l’indice, lo stesso gesto che anche Inghilterra aveva compiuto tante volte prima di impartirgli una lezione. “E ricordatelo per sempre, qualsiasi cosa succederà a te e alla tua nazione. Ora hai combattuto, hai vinto, hai ottenuto quello per cui ti sei sacrificato, ma mantenere ciò che hai conquistato non sarà per niente scontato, e Inghilterra non ci sarà più per risolvere i guai al posto tuo o assumersi le responsabilità più...” Fece roteare lo sguardo. “Concrete della tua nazione. E nemmeno io potrò aiutarti per sempre. Dovrai imparare a sostenerti da solo, da ora in poi.” Rivolgendo lo sguardo all’oceano sconfinato, i suoi occhi si colmarono di una saggezza ancora irraggiungibile per America. “Ma nessuna nazione è un’isola a sé stante.” Sembrò rivolgere quelle parole a una parte di se stesso che faceva ancora fatica ad accettarle. “Come nessun essere umano lo è, dopotutto. Dovrai imparare a distinguere coloro di cui puoi fidarti da quelli da cui diffidare. Dovrai difenderti, dovrai combattere ancora, forse talmente a lungo che ti scorderai persino perché in primo luogo tu abbia desiderato così ardentemente questa vita. Dovrai fronteggiare un lato di te stesso che ti confonderà e ti spaventerà ancor più dei tuoi nemici. Ma è la tua natura.” Un lungo sospiro. “E non potrai fare altro che accettarla come tutti noi.”

Le labbra socchiuse di America furono attraversate da un tremolio che le rese secche e incapaci di muoversi, di spezzare qualche parola sulla lingua congelata. I pensieri ancora più fitti, la sensazione di vuoto ancora più ampia e oscura attorno a lui. “E come faccio...” Dovette mandare giù il fiato a fatica. I suoi occhi vacillarono. “Come faccio a sapere di star facendo la cosa giusta? Se mi ritroverò a diventare qualcun altro, qualcuno che non voglio, come farò a sapere di stare ancora combattendo per qualcosa di buono, per la libertà che ho tanto desiderato?” Si guardò la mano che non reggeva il soldatino. Una mano che d’improvviso era tornata piccola e fragile come quella di un bimbo. “Come sarò sicuro di essere sempre... io? Come farò a mantenere sempre la stessa forma?”

“C’è solo una forma che conta.” Francia gli posò un indice sul petto. “Ed è quella del tuo cuore.” Spostò la mano per sventolargli un buffetto sul naso. “Ricorda sempre da quale luce è sorta la tua nazione, ricorda quali sono gli ideali che ti hanno reso quello che sei, e saprai sempre come mantenerti sulla strada giusta, anche ora che non ci sarà più Inghilterra a tenerti per mano. Adesso sei libero, America.” Piegò un ginocchio e si appoggiò al pino per alzarsi dal prato. Lo attraversò un soffio di vento, i rami verdi oscillarono sopra di lui e fecero apparire il suo profilo ancora più alto e saldo. “Ma la libertà ha il suo prezzo. Un prezzo che solamente tu potrai pagare.”

America deglutì. La mano strinse forte sulla forma del soldatino, il suo unico appiglio. “E tu credi che ce la farò?”

“È sicuro che ce la farai.” Francia abbassò lo sguardo e gli rivolse un sorriso paterno. “Sei proprio un bel mistero, America,” gli confessò. “Lo sei sempre stato. Forse è questo che ha spinto Inghilterra a prendersi cura di te fin dal principio.” Quello stesso sorriso, scurito dall’ombra rossiccia del tramonto, si macchiò di una sfumatura più fine ed estranea. “Non vedo proprio l’ora di scoprire fin dove potrà spingersi il desiderio di una nazione come te.”

America ebbe un brivido. Non seppe se prendere quella dichiarazione come un sincero incoraggiamento o come un subdolo avvertimento. Avrebbe dovuto starci attento, perché anche Francia aveva mostrato più di una maschera durante quel conflitto, nonostante avesse mantenuto la promessa di condurlo vincitore fino alla fine. Anche Francia si sarebbe presto trasformato in un potenziale futuro nemico da cui guardarsi le spalle.

La natura della sua identità, in quel mondo costruito dalle guerre e distrutto dalle stesse, divenne sempre più limpida. È questo, allora, che significa essere una nazione? Si domandò America. Dovrò abituarmi all’idea di non dovermi mai più fidare di nessuno? All’idea che chiunque potrebbe diventare un mio nemico da un giorno all’altro?

I galeoni salparono, presero il largo scavando tre larghe scie di spuma lungo la coda della loro rotta, e imboccarono la via per l’orizzonte dentro cui si stava rovesciando la luce del sole sempre più bassa e scura. Le navi britanniche si rimpicciolirono, sempre più scure e distanti, e si portarono via un pezzo del suo passato, la nazione che lo aveva raccolto e cresciuto per centinaia di anni. Quella stessa nazione – e persona – che America avrebbe rivisto solo per far esplodere l’ennesima guerra, per scambiarsi del dolore reciproco.

Gli salì un groppo alla gola. No, non è così che deve andare. Il petto bruciò, il cuore si gonfiò d’angoscia e accelerò i battiti. Non è per questo che ho combattuto. Non è così che sarà il mio futuro!

America strinse il pugno dentro cui era nascosto il soldatino, si diede uno slancio per rimbalzare in piedi, mantenne lo sguardo fisso sulla perfetta linea d’orizzonte in cui cielo e oceano combaciavano, e scattò a correre lungo il prato per inseguire i galeoni. Il vento a graffiargli la faccia, l’erba umida a frustargli le gambe, i raggi del sole a battere fra i riflessi delle ciglia dorate.

America risalì il picco più alto del promontorio che cadeva frastagliandosi fino alla scogliera. Frenò la corsa. Dai suoi piedi si frantumò un ruzzolio di terra e sassolini che franarono lungo la pendenza, giù fino alle rientranze della baia, dove le onde si accavallavano, depositando schiuma verdognola sulla roccia scura e butterata. Si aggrappò con le mani alle ginocchia. Il fiatone gli scosse la schiena ricurva, l’aria di mare gli riempì i polmoni, gli affanni gli seccarono le labbra, una goccia di sudore rotolò lungo il viso bruciato dall’abbronzatura dorata. La visione dei galeoni si riflesse nell’azzurro dei suoi occhi. Le parole e le verità di Francia rimbombarono nella testa, continuando a tormentargli l’anima.

La mia prima guerra, ha detto. La prima di tutte quelle guerre che sarò costretto a combattere se vorrò mantenere quello che ho conquistato.

America raddrizzò la schiena e si posò la mano sul petto che ancora fremeva per gli affanni della corsa. Strinse il pugno fra le pieghe della maglia, dove anche Francia lo aveva toccato, dove percepiva il palpito del suo sangue galoppare, dar fiato ai polmoni e dar vita ai suoi pensieri.

Francia ha detto di tenere sempre a mente la forma del mio cuore e il motivo per il quale ho deciso di diventare una vera nazione. La mia prima guerra è stata combattuta per reclamare la mia libertà. Allora è questo il mio destino, è questa la mia forma. Deve esserlo per forza. È questa la luce che devo continuare a inseguire per costruirmi la mia strada.

Assieme ai galeoni, anche l’immagine di Inghilterra si allontanò davanti al suo sguardo.

Gli occhi verdi di Inghilterra. Gli occhi che splendevano di una luce del tutto nuova quando posavano piede sulla terra del Nuovo Mondo. Gli occhi che America avrebbe ricordato colmi di lacrime, bassi e sconfitti, scuri di cordoglio, dopo che Inghilterra si era accasciato su di lui, incapace di colpirlo, e pregandolo di ritornare.

Sarà davvero questo l’ultimo ricordo che avrò di Inghilterra? si domandò America. La sua faccia disperata per qualcosa che gli ho fatto io? E lui, allora? Quale sarà l’ultimo ricordo che Inghilterra avrà di me?

Strinse di nuovo il soldatino. Soffrì nel rivivere quel ricordo di Inghilterra, rendendosi conto che quelle lacrime erano state versate a causa sua. Nonostante la rabbia continuasse a corrergli nel sangue, nemmeno quella era stata in grado di cancellare l’affetto che America ancora provava nei suoi confronti. Provava ancora il bisogno di raggiungere il suo dolore, di sollevarlo dal baratro in cui lo aveva visto annegare.

“Io ti salverò, Inghilterra. Anzi...” Strinse la mano sul petto che tambureggiava. La sua voce ingrossata si disseminò nel vento. “Io salverò tutte le nazioni che si perderanno nel loro stesso buio. Tu mi hai insegnato che il dolore fa parte di questo mondo, che è inevitabile che le nazioni soffrano e che si combattano a vicenda, e che una nazione penserà sempre e solo alla sua sopravvivenza. Ma io cambierò le cose. È questa la nazione che voglio diventare! Io voglio dimostrarti che un mondo di pace è possibile, voglio dimostrarti che tutti possano salvarsi dalla crudeltà di questa realtà.”

Sciolse il pugno che conteneva il soldatino giocattolo, lo lasciò cadere ai suoi piedi, rovesciato su un fianco, e al suo posto si chinò a strappare un pugno di terra dal suolo. Spremette il terriccio fra le dita, distese il braccio e volse il pugno rigonfio ai galeoni che si stavano allontanando.

“Io giuro sulla mia terra, sui miei cieli, sui miei venti, sui miei mari, sui miei fiumi, sulle mie montagne, sulle mie foreste, sui miei deserti, sui miei ghiacci, sul mio popolo, e sulla mia stessa anima, che lotterò sempre e solo per la libertà e per la giustizia. È per questo che ho combattuto la mia prima guerra, ed è a questo che dedicherò la mia vita da nazione indipendente.”

Io salverò tutti quelli che si perderanno nell’oscurità, io diventerò la luce che li guiderà in salvo, sarò la speranza per quelli che contano solo sulla disperazione, sarò la giustizia di quelli a cui viene negata.

“Io sarò...” Lo gridò a se stesso e al mondo intero. “La nazione della libertà e della giustizia!”

Tenne stretto il pugno sporco di terra, inspirò l’aria di mare e di boscaglia che gli era turbinata attorno, cadenzò i battiti del suo cuore rigonfio di speranza, e ripeté quelle stesse parole che aveva già pronunciato da piccolo. “Lo giuro.” Abbassò il braccio. Lo sguardo solenne sempre rivolto al cielo spalancato fra gli strati di nubi. “Lo giuro.”

Il vento reagì soffiando più forte contro di lui, gli attraversò i capelli e gli abiti, rinfrescò la pelle accaldata dalla corsa, e gli sostenne la schiena come una forte mano invisibile. Il mare s’ingrossò, un’onda più alta si infranse sugli scogli, e gli schizzi, bianchi e tondi come perle, lo raggiunsero rimbalzandogli davanti. La terra respirò sotto i suoi piedi, sussultò di vita e fece salire un fremito lungo le sue gambe. America seppe che non sarebbe mai stato solo.

La tensione scolpita sul suo sguardo si sciolse, levigò di nuovo quel dolce viso da bambino che non lo aveva mai lasciato. America accostò il pugno di terriccio alla bocca, sussurrò fra le nocche. “Addio, Inghilterra.” Schiuse le dita e lasciò che il vento raccogliesse la manciata di terra e che la trascinasse nella corrente, fino a dissolverla sopra l’oceano, verso i galeoni ormai scomparsi dietro le nuvole dell’orizzonte.

 

.

 

Schiaffeggiato da un risucchio d’aria più violento e impetuoso che si immise nella corrente di navigazione, il mare spalancò le acque, rovesciò un cavallone sul fianco del galeone, e infranse uno schizzo d’onda che saltò fino all’altezza della balaustra. La sberla d’acqua bagnò le guance di Inghilterra e lo fece allontanare di un passo. Inghilterra si ripulì la faccia, trovò la mano sporca di terra. Un filo d’erba incollato al palmo e un sassolino trasparente incastrato sotto un’unghia.

Storse un sopracciglio, sorpreso. Terra? Come può essere?

Guardò alle sue spalle – solo qualche marinaio di passaggio lungo il ponte –, poi sopra di sé, verso il candore delle vele, e poi di nuovo verso il mare aperto. Si strofinò la nuca.

Il vento non è così forte da poterla trascinare fino a qui, e ormai siamo fin troppo distanti dalla costa. Bah...

Non ci diede troppo peso. Non ne valeva la pena.

Sarà caduta dalle vele o sarà stata spazzata via dalle casse di provviste.

Si spolverò i palmi e tornò a incrociare le braccia sulla balaustra da cui era affacciato. Infilò una mano sotto il colletto del pastrano per grattare l’arrossamento della fascia che si era appena sfilato dalla spalla e dal braccio, perché non ne poteva più di trascinarsi dietro quel peso inutile. Tese lo sguardo verso la distesa di mare che si stava facendo sempre più larga fra il convoglio e la terraferma. Gli occhi stanchi. Le iridi spente riflessero non il verde delle profondità marine, ma il grigio della schiuma che ribolliva al passaggio delle imbarcazioni.

La costa della Virginia si allontanava inesorabilmente, come una bassa e sottile nebbia scura.

Inghilterra affrontò quella visione coronata dal rosso del tramonto e dalle sfumature color pesca delle nuvole. Quella sarebbe stata l’ultima immagine che avrebbe conservato della terra di America, di quella nazione che aveva visto crescere, maturare, assumere una sua identità. Quella terra che era sempre stata per lui un rifugio e una consolazione, se paragonata all’odio e al dolore da cui scappava quando lasciava l’Europa.

E ora invece si è trasformata nell’ennesimo campo di battaglia annaffiato da sangue e lacrime. L’ennesimo cimitero su cui un pezzo della mia anima marcirà come carne morta. Sul serio speravo che il legame con America mi avrebbe potuto salvare da tutto questo? Che illuso sono stato.

“È sempre triste partire, vero?” Il battito d’ali del coniglietto piumato spostò l’aria dietro la schiena di Inghilterra. La piccola creatura fatata gli volò alla spalla, si aggrappò alla stoffa del pastrano, e sporse il musetto per fiutare la brezza marina. “Fare i bagagli, mettersi in viaggio.” Un lungo sospiro gli gonfiò il pancino. “Camminare all’indietro sapendo che al ritorno ti aspetterà la solita squallida vita di prima.”

“Che tristezza, già.” La fatina discese la corrente del suo volo, richiuse le ali sul dorso e poggiò i piedini sulla balaustra, affianco al gomito di Inghilterra. Compì un paio di passetti e sventolò all’indietro una lunga ciocca di capelli. “Soprattutto quando si ha la consapevolezza di non poter mai più contare di far ritorno al proprio paradiso ormai distrutto da ferro, fuoco e sangue.”

Il coniglietto la rimproverò con un’occhiataccia sbieca. “Fatina.”

“Che c’è?” pigolò lei, stizzita. “Sei stato tu a cominciare, io ti ho solo assecondato.”

Inghilterra invece non ebbe né la forza di avvilirsi né di arrabbiarsi. Ormai ogni parola appuntita e ogni provocazione picchiavano sulla corazza d’acciaio di cui si era rivestito il cuore, senza riuscire a ferirlo. “Forse,” mormorò, “ho sempre saputo che prima o poi sarebbe finita così.”

Fatina e coniglietto si girarono a guardarlo, straniti.

Inghilterra si massaggiò la spalla ancora dolorante. “Per tutti questi anni,” confessò, “mi sono sempre comportato come se io fossi la nazione eletta per proteggere e salvare America dal mondo crudele da cui io stesso sono arrivato. Ma ora me ne rendo conto. Non era America che volevo salvare.” Lo stomaco si strinse, nel pronunciare quella sentenza così vera e terribile. “Io volevo che fosse America a salvare me.”

Il coniglietto e la fatina, coperti dall’ombra sventolante di una delle vele più basse, si guardarono sottecchi, muti.

Le labbra di Inghilterra si incresparono in un amaro sorriso di disperazione. “Che stupido.” Scosse il capo. La sua mano attraversò i capelli, strofinò un massaggio sulla nuca. “Sono solo uno stupido.” Le ciglia strette luccicarono, la voce arrochì, carica di dolore. “Uno stupido e patetico illuso.”

La fatina alzò gli occhi al cielo e soffiò un sospiro più leggero. “Ooh, suvvia.” Volò a battergli una manina sulla spalla, a circondarlo con il suo delicato profumo di lavanda. “Come se questa fosse la prima volta in cui ti ritrovi a bollire nel tuo stesso brodo. Consolati con il fatto che non sei l’unico che in questa occasione si è comportato da stupido e da illuso.”

Il coniglietto, aggrappato ancora all’altra spalla, sobbalzò e cacciò un gridolino indignato. “Fatina!”

“E poi...” Lei lo ignorò. “Parli come se fra te e America sia tutto finito sotto qualsiasi punto di vista. Come se non vi rivolgerete più la parola, come se foste condannati a non guardarvi più nemmeno in faccia.” Si lisciò una manciata di capelli biondi e li fece fluire fra le ali sfarfallanti. “È vero che questa prima epoca del vostro rapporto è finita in tragedia, ma sono sicura che nemmeno America ha mai avuto intenzione di lasciarti andare completamente, e di dimenticarti. Una parte di te e della tua eredità rimarranno per sempre su questa terra. È inevitabile.”

“Non lo metto in dubbio.” Inghilterra non riuscì comunque a consolarsi davanti a quella prospettiva. “Ma non riesco ancora a capire se questo sia un bene o un male.”

“Come sei estremista.” La fatina si chinò a punzecchiargli la guancia con l’unghia dell’indice. “Guarda che il mondo mica si divide sempre in due categorie, sai? Solo i pigri e gli scemi la pensano così, perché è più comodo fare i nichilisti, mettersi il cuore in pace davanti a una realtà così decadente che non possiamo cambiare.”

“Inghilterra sarà anche estremista...” Il coniglietto flesse un’orecchia e la guardò di sbieco. “Ma tu se parli così sei fin troppo catastrofista.”

Catastrofista, certo. Eppure, le parole della fatina furono le uniche in grado di sorpassare la corazza dietro cui Inghilterra si era barricato, arrivando a toccargli il cuore. “Mettermi il cuore in pace...”

Inghilterra si strinse il petto, dove il dolore ancora pulsava come una ferita aperta. No, si disse. Niente riuscirà mai a mettermi il cuore in pace.

“Sapete qual è l’ultimo ricordo che ho di America?” Il lampo di quel ricordo gli esplose davanti agli occhi, bianco e silenzioso, seguito dal rosso e bollente scorrere del sangue. “Lui che mi spara.” Un brivido saettò attraverso la cicatrice sulla spalla. “America che mi spara e che poi mi volta la schiena, dicendomi che non tornerà mai più indietro, e che non riuscirà mai più a guardarmi con gli stessi occhi.” L’aria salmastra gli passò attraverso, graffiò il pallore del viso e inasprì le labbra seccate dal sole. “Non riuscirò mai a mettermi il cuore in pace,” disse infine, pronunciando quella frase come una condanna. “Nemmeno fra cento o mille anni. Ora che America è una vera nazione, indipendente dal mio colonialismo, mi tratterà sempre con diffidenza, come un nemico da cui dovrà proteggersi. E se si sentirà in pericolo, mi sparerà ancora.” Strinse i pugni graffiando il legno della balaustra, irrigidì il corpo già pronto a incassare l’ennesimo proiettile. “Mi sparerà ancora e questa volta andrà fino in fondo, fino a che io non avrò cessato di essere una minaccia, fino a che non avrò smesso di respirare. E io non ci riuscirò. Sarò di nuovo costretto a gettare la mia arma e ad aspettare di essere ucciso.” Scosse il capo. “Non merito il nome che porto.” Abbassò la testa fino a toccare i pugni con la fronte, sconfitto, senza più alcun potere in mano. “Non merito più di essere una nazione.”

Discese un silenzio interrotto solo dal gorgogliare costante delle onde e dal cigolio dei tralicci scossi dalla corrente d’aria di cui le vele erano rigonfie.

Fu la fatina a porgli fine. “Ma quello di essere una nazione è un destino da cui non potrai mai sottrarti.” Scese in volo e andò a sedersi sulla balaustra. Le gambette dondolarono e fecero sventolare le vaporose pieghe della gonna. “Tu non sei un essere umano senza alcuna responsabilità che da un giorno all’altro può decidere di smettere di fare il carpentiere e al suo posto scegliere di diventare un pescatore o un fornaio. Il tuo è un ruolo insostituibile al quale non puoi fare altro che sottometterti. Il mondo non è giusto e gentile nemmeno con gli esseri umani, figuriamoci con le nazioni.” Assottigliò i suoi taglienti e sagaci occhietti elfici, e guardò Inghilterra di traverso, da dietro un riflesso dorato dei capelli. “Smettila di piangerti addosso e datti una mossa, Impero Britannico. E per una volta...” Corrugò la fronte. Inasprì il tono mettendo in risalto i dentini appuntiti. “Piantala di comportarti come se tutto il pianeta ruotasse solo attorno alla tua isoletta.”

Il coniglietto aprì la bocca, emise un piccolo gemito di protesta, come per controbattere, ma pronunciò una sola sillaba, raggelato anche lui dall’occhiataccia della fatina. Inghilterra, al contrario, si destò dal suo torpore. Quelle accuse furono uno schiaffo dritto sul muso e gli fecero bene, ancora meglio di una pacca sulla spalla. Forse la stella della sua nazione non era ancora del tutto spenta.

L’aura attorno al corpicino della fatina si rasserenò, le ali batterono con leggerezza, cosparsero il loro peculiare profumo di lavanda. La fatina arricciò la punta del nasino, chiuse gli occhi, e diede un’annusata all’aria che si era intiepidita. “Mhm. Questo profumo...” Si rimise in piedi, sbatacchiò le ali per sollevarsi a una spanna dalla balaustra, e inseguì la scia profumata che la attirava a sé come un piacevole solletico. Sorrise di contentezza. “I marinai devono aver messo a bollire lo sciroppo di melassa. Non me lo perdo!” Spalancò le ali al vento, si fece raccogliere dalla corrente, e sfrecciò via lasciandosi dietro una scia di polvere lilla.

Il coniglietto la guardò sparire dietro le vele del galeone, rizzò le orecchie, scosse le vibrisse, fiutò anche lui il dolce profumo di melassa, e batté le ali piumate per andargli incontro. Frenò il volo, tornò indietro, e andò a battere una piccola pacca sulla spalla di Inghilterra. “Andrà tutto bene, vedrai.” Si immise nella scia di brillantini lilla depositata dal volo della fatina, e sparì anche lui dietro le vene del galeone.

Inghilterra si ritrovò da solo – lui, il dondolio delle onde contro la nave, il rossore del tramonto sempre più scuro –, combattuto fra il desiderio di accasciarsi a braccia incrociate sulla balaustra, per autocommiserarsi ancora un po’, e il bisogno di risollevare la testa e di proseguire sulla sua strada.

La costa della Virginia ormai era una striatura scura e sottile celata dalle nuvole serali che si stavano accumulando sui promontori della scogliera. Raggi di sole simili a polverose lame rosse tagliuzzavano la coltre di nubi, anticipando la violacea tinta del crepuscolo e l’apparizione delle prime stelle sulla volta celeste. L’indomani, il sole sarebbe ancora sorto. Avrebbe illuminato il mattino e America si sarebbe svegliato libero. Inghilterra sarebbe si sarebbe trovato distante, separato dall’unico angolo di felicità che aveva mai sperimentato nell’arco della sua gloriosa e misera vita da Impero millenario. Doveva accettarlo. E andava bene così.

Il bruciore del vento in faccia fece germogliare un ultimo grappolo di lacrime fra le palpebre socchiuse. Inghilterra raccolse un sospiro che tremolò attraverso la gola. Soffiò il suo ultimo mormorio, incassò l’ultima pugnalata al cuore. “Addio, America.” Chiuse gli occhi. Gocce di lacrime si staccarono dalle ciglia, furono raccolte dalle spirali di vento, si mescolarono agli schizzi d’acqua marina, e si dissolsero per sempre in quella nuova terra di libertà.

   
 
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