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Autore: My Pride    10/09/2021    1 recensioni
~ Raccolta di flash fiction/one-shot a tema matrimoniale sulla coppia Damian/Jonathan ♥
» 04. From this day Foward ~ Jonathan/Damian + famiglia
A voler essere sincero, non avrebbe mai creduto che quel giorno sarebbe giunto anche per lui. Aveva sempre pensato che, soprattutto a causa del suo passato, avrebbe finito col ferire chiunque avrebbe provato ad avvicinarsi e non avrebbe mai potuto avere una vita felice, e si era portato dietro quel pensiero fin quando non aveva conosciuto Jon.
Genere: Avventura, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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How to make it perfect Titolo: How to make a (perfect) proposal
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 3394 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne, Jonathan Samuel Kent

Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Fluff

Avvertimenti: What if?, Slash
Solo i fiori sanno: 34. Rosa rossa: amore e passione
Just stop for a minute and smile: 33. "Che tempismo!"
Writeptember:  2. Opera contenente una scena vista in un film || 3. X cura Y in un luogo ostico


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.

    Aveva pensato praticamente a tutto. Ed era per quel motivo che Jon sorrideva raggiante avanti allo specchio del bagno, sistemandosi al meglio i ciuffi di capelli ribelli mentre raddrizzava la montatura degli occhiali.
    Quello sarebbe stato un giorno speciale, il giorno della cosiddetta resa dei conti. Era da due giorni che cercava di prenotare un tavolo all’unico ristorante di cucina araba presente a Metropolis, conscio che quel tipo di sapori non fossero più quelli che Damian consumava di consuetudine da quando si trovava in America. Per quanto il signor Pennyworth cercasse di accontentarlo di tanto in tanto, da quando Damian aveva cominciato a vivere da solo - e in seguito con lui - si accontentava di consumare qualcosa che preparava al volo o il cibo cinese che condividevano dopo una pesante ronda, quindi Jon aveva pensato che potesse essere un’idea carina portarlo lì con la scusa di voler assaggiare qualcosa di nuovo.
    A quei pensieri, Jon rimirò un’ultima volta la sua immagine riflessa nello specchio. In realtà doveva ammettere a sé stesso che aveva pensato di portare Damian direttamente a Dubai in volo, ma sarebbe stato molto più difficile spiegare la sua scelta di fare un viaggio del genere solo per mangiare un po’ di babaganoush, tanto per dirne una. Quindi, per quanto meno romantica, la scelta del Nagar era stata la più ovvia.
    «J?»
    La voce di Damian lo distolse dai suoi pensieri e si riscosse un po’, aggiustando un’ultima volta la cravatta prima di lanciare uno sguardo all’orologio che aveva al polso. Aveva perso la cognizione del tempo. «Eccomi!», rassicurò, andando ad aprire la porta. Era una fortuna che avessero due bagni, o non avrebbe potuto godere della visione di Damian già preparato di tutto punto. Aveva ravvivato i capelli all’indietro e indossato un completo nero che gli fasciava perfettamente il corpo e metteva in risalto i punti giusti, più una cravatta verde scuro che si intonava benissimo con il colore dei suoi occhi. Non era la prima volta che lo vedeva così tirato a lucido - aveva partecipato a molte serate di famiglia, nonché ad eventi delle Wayne Enterprises - , ma era la prima volta che lo faceva per andare in un ristorante insieme a lui, con un completo nuovo di zecca che gli calzava a pennello. E Jon sorrise trasognante.
    «Sei bellissimo». Le parole gli uscirono dalle labbra prima ancora che potesse pensarle, e Damian sogghignò.
    «Lo dici come se fosse una novità», replicò con il suo solito tono saccente, seppur divertito, allungandosi verso di lui in punta di piedi per sistemargli la cravatta. Jonathan solitamente indossava abiti casual, come felpe, camicie o jeans, quindi era piacevole vederlo più elegante nonostante non disprezzasse il suo solito outfit. «Stai bene anche tu. Ora che ne diresti se...» avrebbe anche aggiunto altro se non si fosse accorto che Jon stava sì osservando le sue labbra, ma non sembrava esattamente essere lì con la testa, visto il suo sguardo fisso. «Terra chiama Kent».
    Jon ci mise un attimo di troppo per ridestarsi, sbattendo le palpebre come un idiota nel sentire lo sguardo di Damian su di sé. «Oh. Oh, scusa, io... andiamo?» cambiò discorso nel prendergli la mano per stringerla nella sua, sentendo un piccolo sbuffo ilare da parte dell’altro che, senza fare tante storie almeno per quella sera - e Jon ringraziò Rao per le piccole cose -, si lasciò trascinare fuori dall’appartamento dopo aver preso le giacche e le chiavi dell’auto.
    Volare avrebbe sicuramente risparmiato loro un sacco di tempo, ma erano in abiti civili e non sarebbe stato facile spiegare perché Jonathan Samuel Kent, stagista al Daily Planet, stesse svolazzando in giro con il CEO della sede delle Wayne Industries di Metropolis. Per quanto la loro relazione fosse sotto i riflettori da più di un anno - nessun Wayne riusciva a fuggire dall’occhio vigile di Vicki Vale del Gotham Gazette -, non lo erano di certo i suoi poteri. Evitare di dare nell’occhio anche in quel senso era la priorità.
    Optando quindi per l’auto, la Lamborghini rossa di Damian sfrecciò ben presto fra le strade di Metropolis, macinando asfalto mentre il suo possessore osservava fuori dal finestrino tra una chiacchiera e l’altra. Difficilmente lasciava che qualcun altro mettesse le mani sulla “sua bambina”, ma di tanto in tanto, come quella sera, Jon riusciva a guidarla e si sentiva un po’ come James Bond in “La morte può attendere”. Una volta l’aveva anche detto a Damian, e lui aveva sghignazzato divertito al pensiero del figlio di Superman nelle vesti di 007.
    Per quanto avessero trovato un po’ di traffico, il viaggio fu tutt’altro che noioso o silenzioso: se non scherzavano tra loro, Damian cercava qualche canzone alla radio che poteva rallegrare l’atmosfera nell’abitacolo, ed era curioso come riuscisse a beccare ogni volta una stazione che trasmettesse “Highway to hell”, divenuta praticamente la sua canzone preferita. Jon non aveva faticato a capire perché, ma non aveva mai fatto domande, esattamente come quella sera in cui, per l’ennesima volta, si era ritrovato ad ascoltarla. Si era solo concentrato sulla voce di Damian che intonava ogni strofa con sicurezza, senza imitare la tonalità del cantante ma usando la propria, mettendoci più enfasi soprattutto quando arrivava al ritornello; Jon a volte gli scoccava un’occhiata e lo beccava a suonare una chitarra immaginaria, e a volte invece si univa al suo canto, ridendo come due idioti.
    Arrivarono al ristorante quasi senza rendersene conto, affidando le chiavi dell’auto al parcheggiatore – con tanto di ammonimento da parte di Damian se avesse trovato un solo graffio, prima che gli consegnasse un biglietto da cento dollari – per entrare e farsi accompagnare al tavolo a loro riservato.
    «Devo ammetterlo, Jon», cominciò Damian mentre si accomodava, nascondendo un vago sorriso, «mi ha stupito che tu sia riuscito ad avere un tavolo. Questo posto ha più prenotazioni del Golden Dragon».
    Jon ridacchiò, sedendosi a sua volta. Era raro riuscire a stupire uno come Damian, quindi si tenne stretto il complimento. «Che posso dire, anch’io ho degli agganci».
    «Usali più spesso», rimbeccò nel fargli un occhiolino, e Jon non poté evitare che un sorriso gli si stampasse sulle labbra. Forse in quel momento sembrava un idiota, ma Damian era abituato al fatto che sorridesse in continuazione – proprio figlio di suo padre, gli aveva detto – e non diede quindi peso alla cosa, limitandosi a guardare curiosamente il menù per vedere quali piatti avevano da offrire.
    Fu Damian stesso che finì col consigliarne alcuni a Jon e a dirgli quali avrebbe dovuto evitare per non mangiare troppo speziato, e parecchi piatti, due bottiglie e un dolce dopo, poterono finalmente dirsi soddisfatti, tanto che persino il volto di Damian apparve rilassato come non lo era stato nelle ultime due settimane. Avevano avuto così tanto da fare, tra il lavoro e le loro missioni da eroi, che passare del tempo come “coppia” era stato davvero l’ultimo dei loro pensieri. Quindi avevano davvero avuto bisogno di staccare un po’ la spina.
    «Grazie, Jon», se ne uscì d’un tratto Damian. «È stata una bella serata», ammise. Non era tipo da appuntamenti o cose del genere, ancor meno elargiva complimenti, quindi Jon apprezzò ancora di più quelle parole.
    «Sono contento che ti sia piaciuta», replicò un po’ imbarazzato, sistemandosi gli occhiali sul naso. Era più un gesto nervoso che altro, e Damian se ne rese conto, arcuando un sopracciglio.
    «Tutto bene, Jonathan?» chiese a quel punto, vedendolo annuire di getto prima di sorridere.
    «Sì, è solo che... prima di andare, c’è una cosa che devo... no, che voglio dirti», si corresse, ricevendo un’occhiata curiosa. Si aspettò che Damian replicasse qualcosa come suo solito, invece stranamente lo lasciò continuare. E lui prese maggior coraggio, allungando una mano verso la sua sul tavolo. «Ricordi... la nostra prima sera?»
    A quella domanda, Damian lo fissò. Capì di quale “prima sera” stesse parlando senza nemmeno doverlo chiedere, e l’ombra di un ghignetto si dipinse sulle sue labbra mentre allungava a propria volta la mano. «Strano che lo domandi ma, sì, lo ricordo. Come potrei dimenticarlo, Jonny-boy?» prese bonariamente in giro. «E ricordo anche che non volevi venire con me».
    «Avevo dieci anni, non puoi biasimarmi se non volevo sgattaiolare via di casa senza permesso».
    «Però alla fine l’hai fatto e ci hai preso gusto».
    «Già». Il sorriso sul suo viso divenne ancora più radioso. «E da quella notte abbiamo condiviso tutto: i momenti belli e quelli brutti, avventure che non mi sarei mai sognato di vivere se non ti fossi presentato alla mia finestra quella sera ad Hamilton, abbiamo attraversato l'intero spazio e abbiamo affrontato imprese che persino i nostri padri non si sarebbero mai sognati di vivere, e l'abbiamo sempre fatto fidandoci l'uno dell'altro». Si umettò le labbra nel vedere Damian ricominciare a fissarlo con estrema attenzione, quasi volesse capire dove volesse andare a parare. «Sei diventato un partner, il mio migliore amico, l'amore della mia vita. E quando penso al futuro, penso che non c'è nessun altro con cui desidero passare il resto della mia vita». Deglutì impercettibilmente, sentendo il suo cuore battere ad un ritmo sempre più veloce e costante. Poi riprese. «Vorresti sp...»
    Non fece in tempo a finire e a tirar fuori la scatola che un boato fendette l'aria, inghiottendo le sue parole e facendo tremare il pavimento sottostante prima che grida disarticolate si levassero tutto intorno e fuori dall'edificio; lui e Damian si gettarono un'occhiata stranita e, con gli occhi ingigantiti dalla confusione, si precipitarono a guardare fuori dalla grande vetrata, dove quelli che avevano tutta l'aria di essere due robot giganti stavano distruggendo la parte est di Metropolis.
    Jon si lasciò sfuggire un’imprecazione soffocata. Di tutte le sere in cui potevano succedere casini a Metropolis… doveva essere proprio quella dopo un mese di tranquillità? Sul serio? Che razza di tempismo! Per Rao, qualcuno lo odiava davvero.
    «Spero che tu abbia “tu sai cosa” sotto quel bel vestito», replicò Damian, afferrandogli un polso per trascinarlo fuori insieme al resto dei clienti e del personale, che avevano cominciato a sparpagliarsi per allontanarsi il più possibile da lì.
    Non seppe nemmeno quando si ritrovarono nel vicolo dietro al ristorante, ma mentre si toglieva la giacca vide che Damian si stava già sistemando i guanti e la cintura multiuso alla vita. «Non capirò mai come fai ad essere più veloce di me», affermò nel levarsi anche camicia e pantaloni per restare in uniforme, e Damian gli regalò un sorrisetto sardonico.
    «Anni di pratica, Sups», rimbeccò, sistemandosi la maschera. Da quando si era liberato del mantello e aveva apportato modifiche al suo costume, optando per tonalità di grigio scuro e rosso, il nome di Robin non sembrava più calzargli così tanto a pennello e aveva deciso di riportare in auge il vecchio Redbird solo come alias, dato che della vecchia uniforme non aveva salvato praticamente niente. «Ora datti una mossa, quei robot non ci aspetteranno di certo», lo riscosse,tirando fuori il rampino per spararlo verso l'alto e arrampicarsi sul tetto, correndo verso quei robot con salti aggraziati.
    Non lo aveva nemmeno aspettato, ma Jon sapeva già come andavano le dinamiche, così si diede un piccolo slancio con i piedi e spiccò il volo, tenendo il passo con Redbird. I robot continuavano la loro distruzione ed erano praticamente ad un isolato di distanza quando Superboy allungò una mano nel vuoto, prima ancora che alle sue orecchie echeggiasse un «Manovra n°4!» e vedesse il rampino sparato verso l'alto; lo afferrò alla svelta e non ebbe bisogno di guardare in basso per vedere il ghigno sulle labbra dell'altro, lanciandolo letteralmente sulle spalle di uno dei robot per vederlo atterrare su di esso in perfetto equilibro. Lui si concentrò sul secondo, afferrandolo per un braccio d'acciaio per sollevarlo da terra giusto un secondo prima che schiacciasse un'auto in cui c'erano ancora delle persone.
    «Dobbiamo portarli lontano da qui, J!» la voce di Redbird era un’eco lontana sotto il rumore assordante di quella ferraglia, ma lo sentì distintamente e sollevò l’altro braccio a dimostrazione di aver capito, afferrando il piede dell’altro robot; lo issò da terra nello stesso istante in cui l’altro conficcò un birdrang nella sua corteccia metallica, aggrappandosi ad esso mentre cercava di farsi strada nei suoi circuiti.
    Si allontanarono dalla città con le urla spaventate della gente che echeggiavano nelle sue orecchie, atterrando nei pressi di un magazzino abbandonato in periferia. Avrebbe potuto distruggerli con la vista calorifica o facendoli a pezzi, ma negli anni avevano imparato a loro spese che quei maledetti robot potevano avere violente reazioni ai poteri kryptoniani, in particolar modo se si trovavano in città come Metropolis. Un attacco alle loro sinapsi robotiche era il modo più efficace per abbatterli, anche se Superman poteva almeno menomarli se necessario.
    «Il portellone alla tua destra!» esclamò Damian, e nel sollevare lo sguardo Jon lo vide saltare sulla spalla destra del robot per evitare che la grossa mano lo schiacciasse seduta stante.
    Senza perdere ulteriore tempo, si lanciò in volo in quella direzione e usò la sua vista calorifica per mirare al portellone, prima di affondare le dita nell'acciaio come se fosse burro; lo tirò via con un sordo rumore metallico e lo lanciò lontano da sé, soffiando sui circuiti per congelarli seduta stante. Il robot barcollò per un momento e provò a colpirlo con un ultimo sforzo, ma Jon afferrò il braccio e lo gettò lontano, controllando il compagno con la coda dell'occhio. Non lo vide subito, ma ben presto una serie di piccole esplosioni catturò la sua attenzione e capì che Redbird aveva appena fatto saltare il portellone del suo robot, e non ci avrebbe messo molto a metterlo K.O. Con un ghignetto, si riconcentrò sul proprio avversario, schivando i suoi colpi mentre si spostavano sempre più. 
    Non seppero quanto tempo passò ma, quando la battaglia finì, poterono finalmente trarre un sospiro di sollievo. Intorno a loro c'era solo la distruzione causata dall'attacco simultaneo di quei robot e una delle braccia che Jon aveva strappato era piombata sull'edificio, abbattendolo; nell'aria persisteva un polverone che si era mescolato con la nebbiolina che si era innalzata, e Jon tossicchiò, cercando il compagno con lo sguardo per trovarlo non molto distante da lui. Seduto sulla spalla di uno dei robot, si teneva il braccio destro con una mano, il volto contratto in una piccola smorfia.
    Jon si librò in volo verso di lui, poggiando la punta dei piedi su quell'ammasso di ferraglia. «Stai bene?» chiese, vedendo Damian fare un breve cenno col capo. 
    «Gh... niente che una bella dormita non possa aggiustare».
    «Raccontala ad un altro, D», rimbeccò nello scrutarlo meglio e vedere il sangue scorrere attraverso la fessura delle dita; si inginocchiò quindi al suo fianco qualche momento dopo per controllare il braccio con la sua vita a raggi X e valutare i danni, ignorando i borbottii a cui l'altro diede vita. «Okay, niente di terribile. Ci penso io», affermò, guadagnandoci un'occhiata piuttosto scettica.
    «Credo di voler tornare a casa con il braccio ancora attaccato al corpo».
    «Non sei affatto spiritoso. Lo sai, vero?» replicò Jon, e Damian sollevò un angolo della bocca, gli occhi sorridenti al di sotto della maschera che indossava. Poi, in silenzio, allontanò la mano dalla ferita e premette un pulsante sulla sua cintura, passando a Jon il kit di primo soccorso che si portava sempre dietro.
    Prendendolo, Jon si scusò e ruppe quel che restava dell'uniforme per poter avere il braccio completamente esposto, sentendo la ferita pulsare come se avesse poggiato un orecchio sopra di essa: era profonda, ma non molto, per quanto il sangue continuasse a scorrere pigramente su quella pelle scura, rendendola quasi traslucida; cominciò a tamponarla e vide Damian mordersi giusto un po' il labbro inferiore prima di liberarsi della maschera, passandosi il dorso dell'altra mano sulla fronte per detergerla dal sudore. Cercò di fargli male il meno possibile, pur sapendo che l'altro avrebbe comunque sopportato il dolore, disifettando la ferita con estrema attenzione prima di cominciare a suturarla; era una fortuna che Redbird si portasse sempre dietro quel kit - qualcuno l'avrebbe chiamato paranoico, ma lui dopotutto era il figlio del più grande paranoico del mondo -, poiché permetteva loro di ammortizzare i danni prima di lasciare al signor Pennyworth il resto del lavoro.
    Jon fasciò il braccio solo quando fu soddisfatto dei suoi punti, sentendo ancora su di sé lo sguardo di Damian. L'aveva osservato in silenzio per tutto il tempo, e ciò faceva capire come avessero ormai consolidato il loro rapporto al punto di fidarsi completamente l'uno dell'altro. «Ecco fatto» esordì infine, stringendo un po' il nodo.
    Damian valutò la fasciatura con occhio critico - Jon sapeva che lo faceva solo per irritarlo, certe volte -, alzandosi in piedi qualche momento dopo. «Lavoro abbastanza adeguato».
    «Grazie, J, come farei senza di te? Oh, ma dai, D, avresti fatto lo stesso», lo scimmiottò Jon con ironia, al che Damian roteò gli occhi.
    «D'accordo... grazie», lo accontentò, ignorando lo sbuffo ilare del compagno. «Adesso vediamo di andarcene prima che arrivi la po--»
    Senza permettergli di terminare la frase, Jon lo baciò di slancio e Damian sgranò gli occhi, poiché non si erano mai spinti fino a quel punto quando erano in “servizio”. E, soprattutto, non mentre se ne stavano praticamente in cima ad un robot abbattuto nella periferia sud di Metropolis.
    «D... vuoi sposarmi?» sussurrò contro le sue labbra, e il giovane eroe dovette allontanare un po' il viso per osservare il compagno dritto in viso, abbassando lo sguardo quando sentì il piccolo click della sua cintura e gli vide in mano una scatoletta di velluto che non lasciava spazio a fraintendimenti.
    Damian la guardò per attimi che parvero interminabili, poi sollevò nuovamente lo sguardo, fissando l'altro. «Me lo stai davvero chiedendo su un campo di battaglia?» domandò, e Jon si freddò. Oh, mer...
    «Ehm... ecco, io... vedi...» balbettò, perso nelle iridi verdi e ingigantite di Damian. Aveva sbagliato. Dopo il fiasco totale al ristorante, si era bruciato un’altra occasione. Adesso l'avrebbe guardato stranito e... contro ogni sua aspettativa, Damian rise. Una risata sincera e liberatoria, di quelle che raramente si lasciava scappare, prima di fare qualcosa che Jon non si sarebbe mai aspettato: gli gettò le braccia al collo, stritolandolo letteralmente in una morsa.
    « che ti sposo, stupido idiota», rimbeccò ad un soffio dalle sue labbra, e Jon poté assaporare il sangue e il terriccio che le macchiava. Fece scivolare una mano lungo il suo fianco destro e lo attirò a sé, godendosi quell’istante come se lo stesse vivendo per la prima volta. Fu un bacio lento e voglioso, un brivido di adrenalina che serpeggiò lungo la spina dorsale fino a mandare una scarica al cervello, e quando si separarono Damian rise ancora, lasciando Jon un po’ incredulo.
    «P-Perché ridi...?» gli venne spontaneo chiedere, le labbra rosse e gonfie per il bacio.
    Damian scosse la testa e si asciugò gli occhi, inumiditisi per l’aver riso troppo. «Perché per una volta sei stato più veloce di me, ragazzo di campagna», sghignazzò con quel suo solito cipiglio, aprendo una delle tasche della sua cintura multiuso per tirar fuori a sua volta una... piccola scatola di velluto nero. Una maledettissima scatola di velluto nero.
    Jon la osservò stordito, spostando lo sguardo sul compagno. «Tu...» boccheggiò, e una mano guantata si poggiò sulla sua bocca.
    «Ottima deduzione, Sherlock», rimbeccò Damian con quel sorriso sardonico dipinto sulle labbra. «Anche se ero piuttosto indeciso, visto che mi hai sempre detto di voler sposare i tuoi noodles scadenti», buttò lì sarcastico, provocando a Jon una sonora risata.
    «Avevo dieci anni!»
    «E quella roba ti piace ancora».
    Jon rise di nuovo, la sua risata cristallina riecheggiò nella notte in quello spiazzo abbandonato, prima che curvasse la schiena per poggiare la fronte contro quella di Damian. «...sappi che anche il mio è un. E non sto parlando dei noodles», sussurrò, stringendo nella sua la mano con cui il compagno sorreggeva la scatola di velluto.
    Si sorrisero complici e si strinsero l'uno all'altro, con lo sguardo rivolto all'orizzonte che cominciava a tingersi dei primi colori dell'alba.






_Note inconcludenti dell'autrice
Decimo giorno del #writeptember sul gruppo facebook Hurt/comfort Italia.
I prompt si adattavano bene a questa storia, così l'ho terminata visto che era rimasta ferma in cantiere da un bel pezzo. Però l'ho allungata un po' troppo, ne sono consapevole, e la cosa... beh, mi è sfuggita piuttosto di mano, lo ammetto. Ci sono ben due scene ispirate a dei film come richiesto da uno dei prompt: quella con i robot (Pacific Rim) e quella del bacio (Top Gun)
Jonno ovviamente prova in tutti i modi di fare una proposta decente a Damian, ma alla fine quella che conta di più è quella fatta col cuore nel momento più strano ahah

Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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