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Autore: Dorabella27    11/09/2021    9 recensioni
"Torniamo al passato, e sarà per tutti un progresso", disse qualcuno una volta. Archiviato il tono umbratile e malinconico della mia ultima ff, che, a dispetto del titolo, proiettava i personaggi di Madame Ikeda nel futuro, addirittura in età napoleonica, torniamo ora in pieno Ancien Régime. Nelle righe iniziali, il Generale comunica a Oscar e André che a palazzo Jarjayes arriverà un ospite molto, molto noto, e molto particolare. Dedicata a tutti gli amanti della musica - del XVIII secolo, e non solo -, e a tutti coloro che, qualche volta, hanno trovato un po' di ristoro e, perché no, di consolazione, nelle sette note.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, André Grandier, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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VISITE DI RIGUARDO
 
 
I – L’annuncio
 
        "Oscar, André, dopo la lezione siete convocati nello studio del Generale. Il padre di Oscar desidera parlarvi". Dopo questo breve preambolo, Monsieur Bellevue, il precettore, cominciò la lezione di storia: questa volta, le campagne di Cesare in Gallia.
        André seguiva con la coda dell'occhio Oscar, seduta ben composta accanto a lui alla grande scrivania di noce della biblioteca, mentre osservava, giudiziosa, le incisioni del Palladio che decoravano l'edizione del "De Bello Gallico" aperta sotto i loro occhi.
 
        Lui, invece, non riusciva a concentrarsi. Da quando era arrivato a Palazzo Jarjayes, quasi cinque anni prima, il Generale gli incuteva un sacrosanto timore: non era solo il padrone di casa e il padre di Oscar, ma era anche l'incarnazione dell'Autorità, colui che gli aveva affidato il compito di sorvegliare e custodire il suo tesoro più prezioso; e, nonostante i "molto bene, André", di cui il Generale lo beneficiava ormai anche abbastanza spesso, per incoraggiare i suoi progressi nella scherma o nella scrittura, e che gli facevano correre un brivido di soddisfazione nella schiena, la sua grande paura era sempre quella di commettere qualche errore, e di deludere il Generale. E allora, chissà, quella delusione si sarebbe potuta tradurre nella decisione di mandarlo via: non era, no, l'idea in sé di lasciare Palazzo Jarjayes e la vita tutto sommato comoda, sicura e tranquilla che conduceva lì e in cui si era acclimatato, a spaventarlo; il vero terrore era quello di non poter più vedere Oscar, e, sotto sotto, anche che, dopo di lui, potesse arrivare un altro bambino a farle compagnia, e che lei lo dimenticasse.
 
        Una volta, qualche giorno prima, gliel'aveva anche chiesto. Erano seduti sul bordo della fontana in giardino: André sospingeva con un rametto sottile la barchetta di carta che Oscar gli aveva insegnato a costruire ("guarda: è facile!", aveva detto. Che cosa non era facile per lei?) e intanto ascoltavano, attenti, il suono che veniva da una finestra aperta del primo piano, dove la sorella Clothilde stava prendendo, senza particolare costrutto, la sua quotidiana lezione di musica. Ma né il canto né l'arpa erano la sua specialità, e si sentiva.
        André, vedendo Oscar pensierosa, seduta con un piede sul bordo della fontana, il gomito poggiato sul ginocchio, e l'altro piede penzolante nel vuoto, le aveva chiesto:
"A che cosa pensi, Oscar?". 
        Lei aveva risposto "Penso che Clothilde sia veramente una schiappa, anzi, che sia proprio negata per la musica", e poi aveva rilanciato: "E tu? A che cosa stai pensando, André?"
 
E allora non aveva potuto trattenersi, tanta era l'angoscia che gli pesava sul cuore: "Oscar, se io andassi via, tu mi sostituiresti con qualcun altro?".
"Ma André!", aveva risposto lei, ridendo: "Come ti vengono certe idee?".
"Rispondi! È importante per me!", le aveva intimato.
 
"Ma no, certo che no!", aveva esclamato lei. "E poi", continuò, avendo capito che André aveva un gran bisogno di essere rassicurato, "non possiamo separarci, né io sostituire te, o", e qui gli scoccò una occhiata maliziosa, un'occhiata già da donna, da seduttrice consumata (dove hai imparato a guardare così, Oscar?, si chiedeva lui, ammaliato?) "o tu sostituire me". Una breve pausa, ed ecco l'argomento clou: "E poi, non possiamo separarci: hai già dimenticato il nostro patto di sangue? Che cosa ci siamo promessi, eh?"
 
        "Per sempre...", disse in un soffio lui, ricordando il pomeriggio di due anni prima in cui, con il suo coltellino dal manico rosso, Oscar aveva fatto un taglietto minuscolo sul polpastrello del suo indice sinistro, e poi, dopo aver fatto lo stesso ad André, aveva sovrapposto il suo dito a quello di lui.
"Per sempre ... eternamente", aveva dichiarato solennemente lei.
"Allora siamo sposati?", aveva chiesto speranzoso lui.
"Adesso non esageriamo, André", aveva puntualizzato lei, serissima, scuotendo la testa. "Sposati noi? Non lo sai che sono le femmine a sposarsi con i maschi?". E, immediatamente dopo, prevenendo le sue pur lecite e logiche obiezioni, aveva continuato: "Ma questo è anche meglio che essere sposati, pensaci! Perché così saremo insieme per sempre".
"Davvero, Oscar?".
"Certo. Un patto di sangue è un patto di sangue", aveva risposto sicura, attingendo quella sua incrollabiole certezza da chissà dove, e tanto gli era bastato.
 
        Certamente, se il Generale fosse stato scontento di lui per qualche motivo, André non avrebbe mai potuto rivelargli che ormai era legato a sua figlia da un patto di sangue, nientemeno, ma il ricordo di quella promessa infantile, unito al confortante testimonio della coscienza, lo rendeva meno indifeso di fronte alla prospettiva di affrontare il padre di Oscar nel suo studio per chi sa quale misterioso motivo.
 
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        "Oscar, André, presto  a palazzo riceveremo una visita molto importante. Il signor Carlo Broschi si fermerà da noi per due notti, dopo essere stato ricevuto a Versailles dal Re, e offrirà due intrattenimenti musicali, in cui verrà accompagnato all’arpa dalla contessa Marguerite.
Ricordate sempre il grande onore che ci ha fatto il signor Farinelli a scegliere la nostra famiglia e la nostra dimora, e cercate di esserne degni, mi raccomando".
        Poi, dopo una pausa, durante la quale fissò con aria penetrante i due bambini impettiti e rigidi davanti alla scrivania, il Generale aggiunse: "Sarà necessario che anche voi, oltre a comportarvi impeccabilmente - ma di questo non mi preoccupo, perché ho piena fiducia in voi e nel vostro rispetto delle regole della buona educazione impartitavi, - vi presentiate anche esteriormente nella forma migliore. Pertanto oggi pomeriggio la sarta che abbiamo convocato a palazzo prenderà le misure anche a voi due, per confezionarvi due abiti da cerimonia consoni per l'occasione".
        Uscendo dallo studio, Oscar ridacchiava: "Per fortuna ad accompagnare Farinelli durante la sua esibizione sarà mia madre, e non Clothilde. Ci pensi? Nonstante tutte le lezioni che prende, di musica ne capisce quanto mio padre di ricamo!".
André l'aveva seguita nella risata, sentendosi però un po' colpevole. Che se il Generale fosse venuto a saperlo...
        Poi, però, passò a una questione più seria. "Oscar", chiese; "ma chi verrà da noi, di preciso? Il signor Broschi o questo ... Farinelli?"
"Ma André! Sono la stessa persona!" rise Oscar, e André si sentì mortificato, e si fece piccolo piccolo, mentre Oscar gli spiegava che Farinelli era il nome d'arte che Carlo Broschi aveva scelto “dopo”.
"Ma dopo che cosa, Oscar?".
"Dopo l'operazione, no?".
"Che operazione?"
"Ma come, André! Ma non sei mai stato all'Opéra?"
"Certo! Con te e i tuoi genitori!"
"E non hai visto i cantanti interpretare ruoli da donne?"
"Certo!"
"E non ti sei mai chiesto come facciano degli uomini adulti a cantare con una voce in tutto e per tutto come quella delle donne, e a volte anche più bella e più potente?".
"Beh, in verità no".
"Aspetta, che te lo spiego". E, accostata la bocca all'orecchio di André, gli rivelò che, esattamente alla maniera con cui Nanny trasformava i galli in capponi, si potevano creare dei cantanti che avrebbero sempre mantenuto, anche da adulti, una voce femminile, e che avrebbero potuto interpretare sul palcoscenico anche a trenta o quarant'anni i ruoli di Giocasta, di Cleopatra, di Armida e di Poppea.
André inorridiva. "E questo Farinelli, dici, era molto famoso?".
"Altroché, André. Era il più famoso di tutti! E il più bravo. Talmente famoso che il re Filippo V di Spagna lo volle tutto per sé a Madrid per vent'anni".
"Vent'anni?!".
"Certo, e Farinelli doveva cantare solo ed esclusivamente per lui, sempre le stesse arie. Sulla via per Madrid si esibì però per il nostro Re Luigi, che era allora molto giovane, e ora, dopo essere ricevuto a Versailles, Farinelli si fermerà qui. Questo è un grandissimo onore per la famiglia Jarjayes!", tripudiò Oscar.
"In fondo, è solo un cantante..", azzardò lui....
"Ma un cantante che si esibisce solo per i re", chiosò sicura lei, chiudendo la possibilìità di nuove obiezioni.
 
   
 
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