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Autore: mask89    11/09/2021    9 recensioni
Due ragazzi, nati e vissuti in luoghi completamente diversi, vengono uniti dal destino. Verranno coinvolti nelle vicende del continente di Thauras, dove sono in atto oscure macchinazioni sin prima delle loro nascita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VIII

 

Le enormi mura di cinta torreggiavano su di lei. Si sentiva un essere insignificante, infimo, rispetto a quella grandiosa opera dell’ingegno umano. Le pietre, finemente lavorate, formavano una tessitura muraria solida, ma allo stesso tempo elegante. Toccò incantata quelle pietre: erano lisce al tatto, non si poteva notare nessuna sbavatura o imperfezione, i mastri scalpellini avevano fatto un lavoro degno di essere ricordato nei secoli. Erano talmente ben levigate che la luce solare, rimbalzando su quella superficie perfetta e bianca, accecava chi osasse guardarle direttamente senza nessuna schermatura. Si affrettò a raggiungere la porta che consentiva l’ingresso alla città di Giz. Se sotto le mura si era sentita piccola, dinanzi al portale quella sensazione si amplificò. I tre fornici erano sormontati da quattro ordini di finestre ogivali, intervallate da paraste che terminavano con un capitello a volute. Dai lati di questo enorme corpo sporgevano due torri di cinque piani che, nella parte esterna, assumevano una forma semicircolare. Come per il blocco centrale, anche in questo caso le finestre ad ogiva erano intervallate da paraste, meno aggettanti.

Passando al di sotto del portale centrale, Eir notò che la volta era finemente lavorata a cassettoni; negli ottagoni, che andavano a formare quella intricata trama, era posto lo stemma della città: una stella a sette punte. Sui lati del portale vi erano dei bassorilievi, raffiguranti scene di guerra. Con suo enorme stupore, poté notare che quelle raffigurazioni erano estremamente dettagliate. Sui volti degli uomini si potevano chiaramente distinguere la fatica, la sofferenza, il dolore, la rabbia, la furia, la concitazione, lo smarrimento, la follia: il caleidoscopio delle emozioni tipiche della guerra. Anche i corpi erano estremamente ricchi di particolari, dalle armature finemente cesellate, ai muscoli che esprimevano chiaramente lo sforzo bellico sostenuto. Chiunque avesse fatto quel lavoro certosino era degno di lode, pensò la ragazza. In quel mese in cui aveva peregrinato per il Regno di Isel, non aveva mai visto nulla del genere; certo, era rimasta affascinata dal suburbio e dalla città di Niv, ma non erano minimamente paragonabili a quello che stava osservando ora. Quando uscì dal fornice, una cacofonia di suoni ed una fiumana di gente la investì. Dovette ricorrere a tutte le sue abilità per non essere spintonata e trascinata chissà dove da quella calca, che camminava indaffarata per la strada. Chi trasportava ceste di pane, chi anfore di vino e olio, chi assi di legno. Tutti sembravano conoscere perfettamente la meta a cui giungere, tranne lei, che si sentiva completamente avulsa da quella situazione. Era la prima volta che le capitava di trovarsi in una moltitudine del genere e la cosa nel le piaceva affatto. Si guardò intorno per capire dove andare; si girò a guardare il portale che aveva appena attraversato: l’epigrafe marmorea, che era affissa sopra i tre fornici, la colpì. Era riportato il nome: “Porta del soldato”. Decise di proseguire lungo la via d’ingresso; aguzzando la vista aveva notato degli alti palazzi in fondo a quella strada, probabilmente l’edifico che cercava era da quelle parti. Il basolato della strada, nonostante non fosse pieno mattino, era già rovente. Cominciò a togliersi alcuni indumenti più pesanti, voleva evitare di iniziare a sudare già dalle prime ore della giornata. Mentre proseguiva notò che per strada vi era gente di ogni etnia e vestita nel modo più disparato possibile; sorrise, passare inosservata non sarebbe stato affatto difficile.

Se la porta della città l’aveva impressionata, il centro cittadino l’aveva lasciata completamente senza parole. Una scala monumentale, ornata ai suoi lati da magnifiche sculture raffiguranti uomini e donne in giovane età, portava al cuore pulsante di Giz. Dopo averla salita, trattenne il fiato dallo stupore. Una stella a sette punte, di dimensioni colossali, era posta al centro dell’enorme piazza; quest’ultima era racchiusa da edifici monumentali di una bellezza impressionante. Alla sua destra, poté notare un tempio a pianta circolare, la cui cupola semisferica era sorretta da un doppio giro di colonne rastremate, che terminavano con un capitello decorato con figure antropomorfe e zoomorfe.

Anche se il suo obiettivo non era quello, incuriosita, volle visitare quell’edificio. La volta del periptero era decorata con un ciclo musivo, raffigurante le gesta eroiche del dio a cui era dedicato quell’edificio sacro. Nelle varie scene, oltre alle sue imprese, ricorrevano puntualmente i dodici segni zodiacali, un toro, il sole e la luna.

Rimase sconcertata nel constatare che quelle piccole tessere di mosaico fossero in oro, argento e pietre preziose come smeraldi, rubini, ametiste ed altre gemme dello stesso valore. Deglutì a vuoto, quel soffitto aveva un valore incalcolabile. Varcò la soglia di ingresso; notò che i battenti erano bronzei, come del resto tutto il portone ed avevano le fattezze della testa di un uomo. Al centro della sala circolare, illuminata dalla luce solare che filtrava dall’oculo centrale della cupola, si trovava la statua del dio crisoelefantina. La divinità indossava un’armatura leggera in cuoio ed era intenta a colpire un toro; sul soffitto era erano affrescate le personificazioni dei segni zodiacali, del sole e della luna. Si chiese chi avesse concepito una scena del genere.

«Impressionante, vero?»

Si girò di scatto per vedere chi fosse ad aver pronunciato quelle parole. Rimase sorpresa nello scorgere un uomo di mezz’età, vestito con una semplice tunica rossa.

«Scusami se ti ho fatto spaventare, non era mia intenzione. Sono Adda, il sacerdote di questo tempio.»

«Eir.» Rispose guardinga la ragazza.

«Perdonami, solitamente non vado in giro a spaventare la gente, ma la tua espressione di stupore mi ha particolarmente colpito. Prima volta qui, vero?»

«Sì.»

«Da dove provieni?»

«Da Abis.» Mentì.

«Ah, provieni dall’altro continente, interessante. È stato faticoso il viaggio?»

«Abbastanza.»

«E cosa ti porta qui?»

«Sono partita per conoscere il mondo, per imparare nuove nozioni e anche per visitare la terra in cui sono nati i miei avi.»

«Ottimo! Sei nel posto giusto allora. Ti piace quello che stai vedendo?»

«Qui è tutto magnifico, i portali d’ingresso in città, i palazzi, questo tempio, questa scultura.»

«Dopotutto siamo nella capitale, no?»

«Giusto…Chi è il dio raffigurato?»

«La statua è bellissima vero? È il dio Thamir, protettore del nostro esercito e della città. Dio supremo di tutti gli dèi del nostro pantheon. Creatore di tutto l’universo e di tutte le cose viventi, garante dell’equilibrio. I tuoi nonni non te ne hanno mai parlato?»

«Si…ma vederlo raffigurato dal vivo è tutt’altra cosa, si percepisce meglio quello che hai detto.» Cercò di giustificarsi.

Rimase in silenzio a guardare quell’opera d’arte. Ogni parte del corpo era perfetta, i dettagli anatomici erano impressionanti. I capelli ricci che spuntavano da sotto il copricapo frigio, su cui era incisa la stella a sette punte. I muscoli tesi per lo sforzo erano resi in un modo talmente realistico, da far sembrare il dio in movimento. Sulle mani si potevano notare le vene gonfie per la fatica. Ciò che maggiormente la sconvolse furono gli occhi, non erano dello stesso materiale del corpo, ma di un azzurro opalescente. Per un attimo poté osservare un guizzo; si stropicciò gli occhi, sicuramente era un effetto dovuto alla stanchezza del viaggio. Infatti, guardando meglio, si accorse che dipendeva dai raggi solari che colpivano quelle gemme così particolari.

«Hai ragione è magnifica.  Però, ho una domanda.»

«Chiedi pure.»

«La statua si bagna quando piove, no?»

Vide Adda ridere a crepapelle; quando si fu calmato chiamò un suo sottoposto e lo osservò mentre confabulava con il giovane ragazzo.

«Cosa ho detto di tanto divertente?» Chiese irritata.

«Nulla. Ridevo per la tua sana curiosità che, bada bene, ritengo sia molto positiva. Sono felice che tu mi abbia chiesto una cosa del genere. Di solito, chi viene qui si limita a guardare e non ad osservare. Ora cerca di prestare molta attenzione, ok?»

Lo vide fare un gesto, poi una cascata d’acqua cadde dall’oculo, che stranamente non colpì la statua; ci fu una seconda ondata ed una terza, ma l’acqua non riusciva ad intaccare il monumento, finendo direttamente nei canali di scolo posti ai piedi del basamento.

«Soddisfatta la tua curiosità?»

«Com’è possibile?»

«Mi puoi ripetere come ti chiami?»

«Eir, mi chiamo Eir.»

«Speranza. Bel nome, mi piace. Vedi Eir, molti uomini hanno provato a spiegare questo fenomeno e sai una cosa? Nessuno ci è riuscito. Credo che in natura ci siano fenomeni spiegabili ed altri no. Per questi ultimi ritengo serva la fede in qualcosa che è oltre la nostra comprensione. Ecco, si può chiamare Thamir o in un altro modo, però c’è, esiste. Per quanto riguarda il fenomeno che hai appena visto, sono sicuro che sia la presenza del dio che non permetta al simulacro di bagnarsi. Magari un giorno arriverà qualcuno che troverà la soluzione a questo enigma, ma voglio credere sia lo spirito della nostra divinità a proteggerci e vegliarci.»

Eir si limitò ad annuire in silenzio. Il suo modo d’essere, di pensare, era improntato a confrontarsi con tutto ciò che fosse misurabile e verificabile. Sicuramente su quella statua vi era una magia potente e, se avesse avuto il tempo necessario per studiarla a fondo, avrebbe trovato il modo per sciogliere l’incantesimo, ma non le sembrava il caso. Capiva perfettamente il punto di vista di Adda e, nonostante il diverso modo di intendere il mondo, gli piaceva il suo modo di pensare.

«Grazie di tutto Adda, è stato piacevole passare del tempo con te, ma ora devo andare, altrimenti rischio di non riuscire ad accedere alla biblioteca. A proposito, sai dirmi dov’è di preciso? Sapevo fosse qui, nel centro di Giz.»

«È proprio difronte a questo tempio. Ti basta attraversare la piazza, non puoi sbagliare.»

«Grazie di tutto.» Si avviò verso la sua meta.

 

Anche la biblioteca non sfigurava in quanto a monumentalità e bellezza. Sicuramente era un’opera architettonica insolita per un edificio di quel tipo, ma doveva ammettere che la sua particolarità era ciò che la rendeva unica. La facciata presentava tre colonnati sovrapposti di vario ordine, aggettanti rispetto alla parete di fondo. Questo gioco di colonne creava un particolare effetto prospettico, dando un senso di movimento. Più che una biblioteca, quella parte esterna, le ricordava l’ingresso di un teatro. Salì velocemente i gradini ed entrò nella struttura; rimase esterrefatta. L’enorme sala a pianta rettangolare era inondata dalla luce solare, che entrava dalle finestre poste ad est. Questo permetteva di sfruttare al massimo le ore diurne del giorno; inoltre, riduceva al minimo l’uso dei candelabri bronzei appesi al soffitto. Fece vagare lo sguardo per la sala, ovunque posasse gli occhi vedeva scaffali ricolmi di rotoli; alla sua destra notò delle scale, che sicuramente l’avrebbero condotta ai piani superiori. Si avvicinò cautamente al bancone, dove vide un bibliotecario intento a compilare dei voluminosi registri. Gettò un’occhiata sull’enorme epigrafe monumentale, che era posta sopra la sua testa; l’iscrizione al suo interno la fece sorridere: “Osa esser saggio!” Non poteva esserci motto migliore per quel posto.

«Buongiorno!» Vide l’uomo alzare la testa incuriosito verso di lei.

«Buongiorno. Prima volta qui?»

«Si! Come lo ha capito?» Lo vide sorridere.

«Dai tuoi occhi.» Lo guardò dubbiosa e sorpresa allo stesso tempo. Possibile che i suoi pensieri fossero così cristallini? «Non ci pensare molto, ragazza. È il tipico luccichio che avete tutti, quando venite qui per la prima volta. Dovevi vedere la mia espressione quando sono entrato qui a lavorare, terrore puro!»

Cominciò a ridere, quel simpatico vecchietto era riuscito a farla sentire a suo agio.

«Cosa cerchi all’interno della biblioteca reale di Giz?»

«Gli annali dei Regni di Irysia e Anysia.»

«Interessante, non sono in molti a chiedere questo tipo di informazioni. Ti posso chiedere come mai?»

«I miei avi sono emigrati da questo continente, trasferendosi ad Abis. Nelle storie di famiglia, mi hanno sempre parlato del Regno di Anysia che confinava con Irysia. Perciò, prima di visitare quei posti, mi piacerebbe saperne qualcosa, ed eccomi qui.» Mentì.

«Che ragazza piena di curiosità, mi piace. Seguimi, ti accompagno nella sezione giusta.»

Giunti dinnanzi agli scaffali di suo interesse, il bibliotecario cominciò ad estrarre i volumen e a disporli sul tavolo lì presente.

«Ecco» disse «questi sono tutti i codici di cui hai bisogno. Quando avrai finito non metterli al posto, chiamami e provvederò io.»

Eir lo ringrazio. Prima di mettersi a consultarli si guardò bene intorno. Si accertò che in quell’ala non ci fosse nessuno. Fece capolino con la testa nel corridoio, per verificare che l’anziano signore fosse effettivamente tornato alla sua postazione. Quando ne fu sicura, cominciò a scorrere tutti i codici contenuti in quella sezione; quello che realmente cercava era sicuramente collocato da quelle parti. Ci mise diverso tempo, ma finalmente trovò ciò che voleva. I codici contenenti la storia dell’enclave di Silren erano posti in fondo, nella parte più alta dello scaffale. Con una magia richiamò a sé quei papiri, li aprì e iniziò a leggerli, erano quelli giusti. Dal suo zaino prese un libro bianco, molto più comodo di quei rotoli. Gettò lo sguardo a destra e a manca, per verificare che non ci fosse ancora nessuno; poi lanciò un incantesimo su tutti quei papiri li presenti e trasferì il loro contenuto sul suo libro. Si sedette un attimo sulla sedia, quella magia gli era costata parecchie energie mentali. Prese del cibo dalla sua borsa e cominciò a sbocconcellare un pezzo di pane. Con un ultimo sforzo rimise a posto tutti i volumen che aveva consultato indebitamente, poi si avviò verso l’uscita.

Una volta fuori, si orientò alla ricerca di una locanda; voleva un posto tranquillo in cui riposare e pensare.

 

Adda stava asciugando il pavimento dall’acqua. Era una fortuna che non tutti i visitatori fossero curiosi come quella ragazzina. I suoi adepti non erano stati d’accordo con quell’esibizione, li aveva convinti dicendo che ci avrebbe pensato lui a pulire tutto. Stava per prendere il secchio, quando una voce bloccò il suo movimento.

«Allora, capo dei sacerdoti di Thamir, hai finito di fare il cascamorto con le ragazzine?»


 

   
 
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