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Autore: Lizzyyy02    11/09/2021    0 recensioni
Tutto al mondo ha un equilibrio. Tutti cercano di raggiungerlo, perché l'equilibrio è la perfezione.
Perché senza, sarebbe solo il caos.
Anche per gli angeli e i demoni è sempre stato così: le file schierate dalla parte delle tenebre dovevano essere dello stesso numero delle creature celestiali. Miliardi di anni a cercare di mantenere questo patto, sacro e antico come l'universo stesso, nonostante fosse fragile e precario, come un filo sottilissimo pronto a spezzarsi.
Ma cosa succederebbe se quel filo si spezzasse davvero?
Catherine è una normalissima ragazza all'ultimo anno di liceo quando, senza alcuna apparente motivazione, il suo corpo comincia a soffrire di terribili dolori, sempre diversi, ma ugualmente lancinanti, come se stesse avvenendo un profondissimo cambiamento dentro di lei, quasi una trasformazione...
Proprio in questo periodo due bellissimi e misteriosi ragazzi iniziano a frequentare la sua scuola, ma Catherine per qualche motivo, non riesce proprio a fidarsi di loro, soprattutto di uno in particolare.
Rivelazioni sconcertanti, misteri, un'attrazione che non dovrebbe esistere e una verità a cui Catherine non potrà sfuggire: lei sarà la causa della prossima guerra. Lei spezzerà l'equilibrio.
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Erano passati due giorni da quando Catherine aveva fatto quello strano sogno, e ancora ci rimuginava.
Quel giorno, apena sveglia, il primo suo pensiero era stato: “Devo ricordarlo!”, ma subito dopo si era detta “Ricordare cosa?”.
Immediatamente, come in un flash, le erano venuti in mente frammenti di quel sogno, talmente vividi da sembrare ricordi. Aveva passato ore intere a cercare di ricordarlo per intero, ma anche sforzandosi, un buco nero sembrava averne inghiottito il resto.

Persino adesso, mentre il suo professore di storia molto basso e tarchiato, e dall’aria esausta, cercava di spiegare la Prima Guerra Mondiale senza svenire, Catherine non pensava che a quel sogno. Le uniche cose che erano state chiare e vivide fin dall'inizio erano quella figura misteriosa e nera, e quel tramonto meraviglioso visto dal tetto della sua scuola.
Successivamente, in seguito al tanto spremersi le meningi, era riuscita a ricordarsi di una voce, nel sogno, ma non riusciva minimamente a rammentare cosa avesse sussurrato. La ragazza fece un lungo sospiro continuando a martoriare il cappuccio di quella povera penna.
Doveva smetterla.
Se avesse continuato a rimuginarci non avrebbe ascoltato nemmeno una parola della lezione, e lei doveva recuperare molto; inoltre aveva capito che anche sforzandosi, non sarebbe riuscita a ricordare altri pezzi del sogno. Chissà perché le era sembrato così importante non dimenticarlo, cercare di ricostruirlo per intero. Ma adesso doveva davvero smetterla; infondo era solo un sogo.

Quella mattina era stata la prima volta che Catherine si era presa cura del suo aspetto dopo moltissimo tempo: aveva utilizzato la piastra, così da dare ai suoi capelli già mossi, una linea più definita; si era truccata, e non aveva indossato una di quelle tute larghe: nonostante avesse perso tutti quei chili, e non riuscisse più a riconoscere il suo corpo, ora doveva accettarsi ed imparare a convivere con il “dolore” e ciò che comportava.
Perciò si era messa i suoi jeans nuovi, una camicia, anche questa comprata da poco, e il suo giubbotto preferito. Si era guardata allo specchio poco prima di uscire, aveva sorriso e aveva sussurrato al “dolore”: -Non mi spezzi, puoi trovare altre mille modi, ma non mi spezzerai-.

Arrivata a scuola, Evelyn l’aveva guardata a bocca aperta, poi le aveva sorriso con calore, dicendo: -Sei un schianto!-.

Avevano già chiarito per ciò che era successo nel cortile; Evelyn il giorno dopo si era scusata per prima, dicendo che in quel periodo era un po' stressata e che aveva reagito più duramente di quanto avesse voluto. Aveva poi ribadito nuovamente che i due nuovi ragazzi non le piacevano per niente.

Quella mattina, dopo essersi seduta al suo banco, Cate si era ritrovata a cercare suo malgrado lo sguardo color ambra del ragazzo che le suscitava emozioni così contrastanti.

Eppure non lo aveva trovato, il banco occupato dal nuovo studente era vuoto. A quella vista, la sua mente si era come sdoppiata -di nuovo-: una parte aveva pensato: “Ma che meraviglia!” mentre un’altra: “Come mai è assente? Gli sarà successo qualcosa?”.

La ragazza si era passata una mano sulla fronte: cominciava ad odiare questa situazione, doveva assolutamente chiarire cosa davvero provava.

Il trillo assordante della campanella che segnalava la fine dell’ora di storia, la riportò alla realtà. Alla fine, com'era ovvio, non aveva ascoltato una singola parola della spiegazione.

-Bene, ragazzi- Borbottò il professore, con la voce che somigliava più ad un roco sussurro -mi raccomando, studiate bene la lezione di oggi per il compito della prossima settimana. Arrivederci- Fece, per poi andarsene.

Compito? Era davvero nei guai.
Fortunatamente a salvarla c’era sempre Eve. Catherine era pronta a scommettere che aveva preso diligentemente appunti per tutta l’ora, aggiungendo perfino cose che il professore non aveva detto. Stava per chiederle di studiare insieme nel pomeriggio, quando fece il suo ingresso la professoressa di matematica. Cate si era detta che se esistevano demoni a questo mondo, uno di loro si era reincarnato in lei.
Anche oggi era impeccabile: la crocchia ordinata di capelli corvini, i piccoli e sottili occhiali a coprire gli occhi ancora più sottili; la bocca minuta con un leggerissimo strato di rossetto, e l’immancabile cardigan a fasciare il suo corpo magrissimo, quasi ossuto. A seguire la sua entrata, un assordante strascicare delle sedie di tutti gli studenti, alzatisi in segno di rispetto.

Lei non rivolse nemmeno un’occhiata a nessuno. Si limitò a sedersi e a muovere la testa in segno d'assenso: permesso per risiedersi.
Nessun professore a scuola era come lei: non era solo severa, intorno a lei aleggiava un aria di supremazia che spingeva gli altri verso il rispetto assoluto.

-Oggi interrogo- La sua voce dura e piatta ruppe il silenzio; nessuno osò protestare o muovere un muscolo, lamentele di qualunque tipo sarebbero state fatali. Tutti comprimevano l'ansia in tic nervosi, sperando di non essere chiamati. La povera penna di Cate era diventata lo strumento da torturare e sulla quale sfogarsi. La Cole consultò il suo registro: -Credo che la signorina Thompson sia preparata per oggi-.

Dalla classe si levò un sospiro di sollievo generale; anche Cate subito sentì l'ansia volatilizzarsi sciogliendo quel nodo che le si era stretto intorno al petto. Sapeva di non essere una buona amica a pensarla in questo modo, ma era sicura che Evelyn avrebbe preso il massimo anche questa volta. La sua amica si alzò, andando alla lavagna, cominciando a svolgere il primo esercizio.
I suoi compagni si misero a copiare a testa bassa: incredibile come con la Cole, si trasformassero tutti in studenti modello.
Non volava una mosca, c'era davvero silenzio.

Forse anche troppo silenzio…non era un silenzio normale.

Catherine cominciò a sentire i battiti del suo cuore sempre più amplificati; sentiva il rumore delle sue ciglia che sbattevano, lo scorrere del sangue che fluiva nelle vene.

Prese a voltarsi a destra e a sinistra: erano tutti tranquilli. Il suo respiro, invece, era sempre più affannoso, e le riempiva i timpani.
Vide la professoressa scrivere sulla sua agenda che domani avrebbero fatto un compito a sorpresa…da quando vedeva da così lontano?

Il respiro non accennava a diminuire, e nemmeno quelle strane sensazioni.

E poi fu un attimo. Un solo attimo, in cui il "dolore" la colpì dappertutto.

E in quell’attimo Catherine non era più Catherine.
Poi tutta quella sofferenza si raccolse in un unico punto, un punto preciso, che già una volta le aveva formicolato.

La ragazza spalancò contemporaneamente occhi e bocca, in un’espressione che rappresentava alla perfezione ciò che stava provando in quel momento. Prese a tremare, non un piccolo tremito: il suo corpo si muoveva irrefrenabilmente e senza sosta, in risposta a ciò che stava accadendo in quel momento alla sua schiena.
Provò ad urlare, ma dalla sua gola non uscì nemmeno un suono, mentre gli occhi le si appannavano dalle troppe lacrime, che cominciavano a scendere.

Per un minuto buono rimase ferma e tremante, sopportando quel dolore immenso e mai provato prima, mentre la sua bocca si prosciugava della saliva, e le lacrime non si fermavano.
Non seppe nemmeno lei dove trovò il coraggio di sussurrare un debole: -P-prof…io d-devo a-a-andare i-in bagno-. Era una voce che non riconosceva, non aveva mai fatto questa voce prima: era acuta, debole e spezzata.

Era impossibile che la prof l'avesse sentita: intorno a lei non si era voltato nessuno, simbolo che la sua voce non era arrivata nemmeno alle orecchie di chi le stava vicino. Cominciava a sentire le forze abbandonarla. Sarebbe rimasta lì, in attesa dello svenimento che sentiva sempre più vicino.

Poi, inspiegabilmente, la Cole si voltò verso di lei, con uno strano luccichio nei piccoli occhi neri: -Puoi andare in bagno, Campbell-.

Cate non si chiese come ebbe fatto a capirla, o perché non avesse chiesto spiegazioni sul suo comportamento improvviso. Quelle poche, semplici parole, le avevano restituito le forze e, ignorando lo sguardo sconcertato dei suoi compagni e di Eve, tremante e con le gambe pronte a cedere in qualsiasi momento, raggiunse la porta e uscì.

Appoggiandosi al muro, con fatica arrivò in bagno; si chiuse la porta alle spalle e girò la chiave. Vomitò tutto ciò che era riuscita a tenere dentro la pancia, poi voltò la testa, tentando di guardare la sua schiena.

Mai aveva avuto paura come in quel momento, e non aveva smesso di tremare e piangere nemmeno per un secondo. Si sfilò il suo giubbotto preferito, lasciandolo cadere rudemente a terra.
Poi avvicinò una mano alla parte di camicia che le copriva la schiena; quando la sfiorò sentì il tessuto bagnato.

Non volle nemmeno immaginare cosa poteva essere.
Sforzandosi a causa dei tremiti, riuscì a slacciarsi i bottoni e lasciò cadere sul pavimento anche la camicia, rimanendo in reggiseno. Compì lo stesso movimento di poco fa, avvicinando la mano alle scapole, solo che questa volta, quando le toccò, dalla sua bocca uscì un grido acuto. Se la tappò con la mano sinistra, facendo forza e stringendo anche la guangia; la tenne poggiata lì anche mentre riportava la destra davanti ai suoi occhi: era colma di sangue cremisi.

Prese a singhiozzare, fissando la sua mano da cui colava il suo sangue.

La ragazza sentì che da lì a poco sarebbe svenuta, senza sapere se fosse per il trauma, il dolore o perché stesse perdendo troppo sangue. La sua mente era completamente sotto shock e in quel momento Catherine riuscì a formulare un solo pensiero: non doveva assolutamente svenire in bagno, annegando nel suo stesso sangue.

Raccolse le ultime forze che aveva, e, senza neanche rendersi conto di essere in reggiseno, uscì dal bagno, mentre dalle sue scapole zampillavano fiotti si sangue. Si ritrovò sul corridoio; la vista sempre di più appannata: qualche secondo e sarebbe svenuta.

All’improvviso vide una figura procedere verso di lei; la ragazza non riuscì a distinguere chi fosse, ma era così familiare.
-Ti prego- Sussurrò con l’ultimo soffio di fiato nei polmoni -aiutami- Catherine pregò che l'avesse sentita. Chiuse gli occhi e cadde a terra.  
   
 
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