Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Red Saintia    11/09/2021    10 recensioni
La mente protegge il cuore; dai ricordi, dal dolore e dalla sofferenza. Crea delle piccole scatole che tiene ermeticamente custodite affinché non possano farci del male. Ma nonostante questo i ricordi sono sempre lì... addormentati, annebbiati dal tempo, aspettando il momento in cui chiudiamo gli occhi per poterci fare visita.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kuchel Ackerman, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Se ne stava seduto in un angolo, rannicchiato su se stesso, silenzioso e guardingo come sempre osservando il via vai di gente stranamente più numerose del solito. Sapeva di dover evitare di dare nell'occhio, altrimenti il signor Fergus se la sarebbe presa con la sua mamma minacciandola di cacciarli via entrambi.

In altre occasioni se ne sarebbe andato gironzolando per le strade della cittadina, ma a quell'ora era preferibile evitare. Neanche un bambino della sua età era immune da certe attenzioni di alcuni soggetti poco raccomandabili. Così aveva deciso di aspettare al piano inferiore che la sua mamma si fosse liberata dai suoi impegni.

"Ehi piccolino... che ci fai qui, è raro vederti da queste parti?" Olga si avvicinò arruffandogli dolcemente i capelli. Era un po' più giovane d'età rispetto alla sua mamma, aveva i capelli biondi, un viso ovale molto aggraziato nel quale erano incastonati due profondi occhi castani.

"La mamma è impegnata. C'è un fazzoletto rosso fuori la porta, perciò vuol dire che non posso entrare."

Olga gli regalò un sorriso carico di comprensione e affetto. 
"Capisco... allora mi sa che dovrai aspettare qui. Ti va se rimango a farti compagnia per un po'?" lui annuì con la testa, socchiudendo appena i suoi occhi cerulei che tanto somigliavano a quelli di sua madre.

"Senti Olga... perché stasera c'è così tanta gente?" le chiese, mentre lei sospirò guardandosi attorno. C'erano uomini seduti a tracannare liquori di ogni genere, imprecando gli uni con gli altri e rivolgendosi in modo altrettanto squallido alle ragazze che li intrattenevano.

"Non saprei davvero Levi. Sembra proprio che le fogne di questo schifo di città abbiano rigettato fuori la loro peggior feccia stasera." Non sopportava quegli uomini, non gli piaceva come si rivolgevano a sua madre né alle altre ragazze di quel posto. Vedeva i loro volti spesso deformati da sorrisi che gli provocavano un senso di disgusto e fastidio.

I loro occhi arrossati dall'alcol e quelle mani sempre pronte ad afferrare e stringere le ragazze che avevano accanto in parti del corpo che gli provocavano imbarazzo il solo guardarle. Avrebbe voluto dire loro qualcosa, avrebbe voluto urlargli in faccia che erano come bestie, ma non poteva. La sua mamma si era raccomandata più volte di non intromettersi in certe situazioni, e di voltare lo sguardo quando vedeva qualcosa che lo infastidiva. Per un bambino della sua età era difficile comprendere certi atteggiamenti, anche se aveva ben chiaro in mente di non voler mai diventare come gli uomini che praticavano quel posto. La sua fortuna era quella di essere coccolato da tutte loro. Le amiche di sua madre lo adoravano, facendo a gara per tenergli compagnia e distrarlo. Nessuna di loro aveva figli, e per questo Levi era visto come la personificazione di qualcosa che non avrebbero mai avuto.

"Una volta ho chiesto alla mamma perché nessuna di voi ha un bambino. Se anche voi aveste dei figli almeno avrei qualcuno con cui giocare. Ma lei mi ha detto che queste non sono domande da fare e che quindi dovevo tenerle per me."

Ogni volta che Levi parlava Olga lo osservava sempre stupita, era un ragazzino indubbiamente singolare, ma molto perspicace e intelligente. Adorava sua madre e difficilmente le disobbediva, ma nonostante quella raccomandazione lui sentiva l'esigenza di volere una risposta. Così l'aveva chiesto lo stesso.

"Vedi Levi... noi lavoriamo per il signor Fergus, se avessimo tutte un bambino non potremmo far fronte al nostro lavoro e questo sarebbe un problema. E poi il padrone non ci permetterebbe di tenere un figlio."

"Ma con la mamma lo ha fatto però. Ha lasciato che io restassi." era vero, Fergus con Kuchel aveva chiuso un occhio, anche se inizialmente davanti alla sua intenzione di tenere il bambino aveva minacciato di sbatterla fuori di lì.

Credeva di incuterle timore e farle cambiare idea, ma non ottenne niente. Fergus sapeva di non poter rinunciare ad una come lei. Kuchel, conosciuta dai frequentatori di quel postribolo col nome di Olympia, era tra le più richieste. La sua bellezza incantava tutti, c'erano uomini disposti a pagare per un'intera notte pur di restare con lei. In quel caso a Fergus andava più che bene che il piccolo fosse accudito da Olga e le altre ragazze.

"Sì, con la tua mamma lo ha fatto perché lei è stata molto coraggiosa e gli ha saputo tenere testa. Non avrebbe mai rinunciato a te, e alla fine l'ha spuntata." gli occhi di Levi si illuminarono, accadeva sempre così quando parlavano della sua mamma. Era la verità, Kuchel era una donna orgogliosa e combattiva e per lui rappresentava la luce più splendente in quel mare di perenne oscurità. Non aveva mai considerato quella gravidanza come un incidente di percorso. Mai, per un solo istante, aveva pensato di sbarazzarsi di lui. Anche se in molti glielo avevano consigliato. 
Nella città sotterranea la quotidianità era tentare di arrivare vivo a fine giornata. Le condizioni di vita erano precarie e disagiate. Era una continua lotta per la sopravvivenza, e d'altronde era quello che da sempre Kuchel aveva fatto. Tentare di sopravvivere nonostante il cognome che portava, rinunciando a sé stessa ma non alla possibilità di dare un significato a quell'esistenza così sofferta e miserevole.

Levi rappresentava quella speranza, e ogni volta che lo sconforto le attanagliava il cuore le bastava guardare lui negli occhi per capire di aver fatto la scelta giusta. Tutte loro sapevano il forte legame che c'era tra Kuchel e suo figlio, ecco perché nel loro piccolo gli facevano da scudo contro tutto e tutti.

"Ehi bionda... cos'è, ti hanno messo a sorvegliare i poppanti stasera? Se vuoi qualcuno da accudire io potrei offrirti un diversivo più gratificante." le mani dell'uomo avevano già raggiunto il seno di Olga, messo in evidenza da uno stretto corpetto, quando un urlo di dolore gliela fecero ritrarre all'istante.

Levi gli aveva dato un morso che per poco non gli staccò un lembo di pelle. Il tizio con le lacrime agli occhi cominciò ad imprecare come un dannato.

"Brutto figlio di una cagna bastarda lascia che ti prenda e vedrai che ti combino!" Levi si era subito nascosto sotto i tavoli, camminando a gattoni cercando di evitare di essere preso.

"Accidenti Levi non dovevi!" Olga si sentì in colpa, e sperò con tutto il cuore che Fergus non si fosse accorto di quello che stava succedendo. Speranze che svanirono nel momento stesso in cui l'uomo abbandonò di corsa il bancone cercando di intercettare Levi da sotto i tavoli.

Il ragazzino era più svelto del previsto, abituato a sgattaiolare nei modi più disparati per non farsi notare. Il fatto che fosse anche fisicamente molto esile gli forniva un sicuro vantaggio.

"Ehi Fergus ti fai mettere sotto da un moccioso?" le risate dei presenti aumentarono la stizza dell'uomo che cominciò a spostare in malo modo sedie e tavoli fin quasi a farli volare in aria. Levi aveva quasi raggiunto l'uscita quando si sentì afferrare per il colletto della striminzita veste che indossava.

"Finalmente ti ho preso piccolo ratto schifoso. Come ti sei permesso di aggredire uno dei nostri migliori clienti?"

Lo sguardo del ragazzino si piantò in quello di Fergus con tale ferocia da metterlo in soggezione. "Quello non è altro che un viscido maiale!" gli urlò in faccia.

"Ma davvero? Però tu sai che sono i maiali come lui che danno da mangiare a te e a tua madre vero?"

Levi strinse i denti perché sapeva che, nonostante il modo in cui Fergus lo aveva detto, quella era la verità. "Preferisco morire di fame piuttosto che mangiare grazie ai suoi soldi."

"Sei solo un parassita schifoso e ingrato..." l'uomo sollevò la mano con l'intento di colpirlo con violenza.

"Fergus fermati subito!" quell'ordine arrivò dalle spalle dell'uomo facendolo bloccare all'istante e catturando l'attenzione di tutti i presenti.

Levi che teneva le mani sulla testa e gli occhi chiusi, non appena si rese conto che lei era lì si divincolò dalla stretta di Fergus e le corse incontro.

Kuchel stava lentamente scendendo le scale.

"Oh bene... finalmente ti sei degnata di comparire. Voglio che ti sbarazzi subito di questo impiastro di ragazzino, altrimenti gli cambio i connotati."

La donna abbracciò Levi tenendolo stretto a sé. "Sta tranquillo ci sono io adesso, andrà tutto bene."

Aveva tutti gli occhi puntati addosso, come spesso accadeva. Era una donna esile ed elegante, con un viso delicato e degli splendidi capelli corvini. Gli occhi erano identici a quelli di Levi, nei quali spiccava la stessa fierezza e determinazione.

"Non azzardarti ad alzare un dito su mio figlio, non ti conviene Fergus. Se ha creato problemi provvederò io a punirlo, ma tu non devi intrometterti."

Fergus si alterò ancora di più, non poteva permettere che una delle donne che lavorava per lui gli parlasse in quel modo. "Stai tirando troppo la corda Olympia, ricordati che qui dentro nessuno è indispensabile neppure una come te. Anche se mi fai guadagnare bene."

"Mio figlio non è un tuo problema, quindi stanne fuori."

"Lo è dal momento in cui aggredisce dei clienti paganti."

Kuchel allora si rivolse a Levi. 
"È così che è andata?" il bambino non pensava di aver fatto nulla di male, e il fatto che sua madre nutrisse dei dubbi su di lui lo intristì molto.

"Io e Olga stavamo parlando, lei voleva tenermi compagnia perché tu eri occupata. Ma quel tizio è venuto a darle fastidio allungandole le mani addosso."

"Capisco..." rispose lei semplicemente.

"Ragazzino guarda che qui dentro non ci sono mica donne in odore di santità. Farsi toccare fa parte del loro mestiere, ma tu puzzi ancora di latte per capire certe cose."

"Adesso basta Fergus, mi occuperò io di Levi..." Kuchel incrociò lo sguardo dell'uomo al quale suo figlio aveva dato un morso "... chiedo scusa da parte sua. È solo un bambino e certe cose sono lontane dalla sua comprensione. Più tardi posso porre io rimedio a questo incidente. Venga a cercarmi, saprò come sdebitarmi."

Non aggiunse altro, diede la mano a Levi e lo condusse in camera con sé.

Fergus non aveva espresso obiezioni, anche perché il cliente, che ancora si teneva la mano morsa dal bambino, sembrava essere stato stregato dalla presenza stessa di Kuchel.

"Allora? Che avete da guardare, lo spettacolo è finito continuate con quello che stavate facendo." Fergus tornò dietro al bancone e Olga, che aveva assistito impotente alla scena, si rammaricò del fatto che la donna si fosse addossata tutta la responsabilità dell'accaduto.

 

Una volta giunti in camera Kuchel chiuse la porta a chiave tirando un lungo sospiro.

Si recò al lavabo dove aveva le sue cose e cominciò a rinfrescarsi. Levi si sedette sul letto aspettando una ramanzina che, era sicuro, sarebbe arrivata di lì a breve. Aveva la testa bassa e gli occhi fissi sul pavimento, attese che lei finisse, poi la vide immobile per qualche istante prima che finalmente si voltasse attirando così la sua attenzione.

"Cosa credevi di fare me lo spieghi?"

"Io... niente." rispose con un filo di voce.

"Lo sai che il signor Fergus non aspetta altro che commettiamo qualche sciocchezza per sbatterci fuori?"

"Sì lo so."

"E nonostante questo ti sei intromesso in cose che non ti riguardavano, pur sapendo le conseguenze." aveva leggermente alzato il tono di voce, Levi se ne accorse ma decise che avrebbe fatto valere le sue ragioni. Sapeva di non avere torto e glielo avrebbe dimostrato.

"Olga mi stava tenendo compagnia e quello schifoso allungava sempre le mani per toccarla. Mi dava fastidio e così gli ho dato un morso. Anche lei era infastidita si vedeva, quindi ho fatto bene." concluse, sperando di essere stato convincente.

"Può anche darsi... ma non spettava a te decidere per lei. Doveva essere Olga a dirgli di andarsene. Tu sei solo un bambino Levi."

Quell'affermazione lo fece arrabbiare ancora di più. "Io sarò anche un bambino ma non toccherei mai qualcuno contro la sua volontà!"

"Questo è vero, ma ciò non toglie che non saresti dovuto intervenire."

Kuchel si avvicinò al letto, Levi pensò che sicuramente lo avrebbe punito per la sua disobbedienza. Lei invece si inginocchiò accanto a lui e lo abbracciò forte. Il suo era l'unico abbraccio nel quale il bambino si sentiva al sicuro, protetto. Anche Olga, Miley e le altre ragazze lo abbracciavano spesso ma con lei era diverso e non solo perché era sua madre.

Quello era il loro modo di comunicare. Attraverso il tocco, le braccia che si stringevano, i loro volti così vicini potevano capirsi e comprendersi senza dire una parola. Quando commetteva qualche imprudenza Levi nascondeva il viso tra i capelli di lei, era il suo modo per chiederle scusa, per ammettere che era stato avventato. Kuchel, quando poteva liberamente stringerlo a sé, sentiva che nonostante tutto la sua vita aveva avuto un senso. Che non tutte le scelte fatte erano state sbagliate, che andare contro tutto e tutti non aveva portato solo sofferenza e solitudine. Alla fine Levi si era rivelato essere la sua salvezza, quella luce che probabilmente non avrebbe mai avuto modo di vedere altrove.

"Mi dispiace mamma..." gli occhi di Kuchel si chiusero lasciando che le lacrime scendessero non viste. Si asciugò velocemente il viso e puntò gli occhi su suo figlio che cominciava a singhiozzare.

"Ascoltami Levi, tu pensi di aver fatto la cosa giusta?" gli chiese, ma il bambino non era sicuro di aver compreso cosa volesse dire sua madre. "Anche se ti ho rimproverato dicendo che non avresti dovuto impicciarti, tu pensi di aver agito bene o ti sei pentito di ciò che hai fatto?" Kuchel gli chiarì cosa intendeva con quelle parole, e in quel momento negli occhi di Levi sembrò saettare una nuova luce.

"Non sono pentito e non penso di aver sbagliato. Ho fatto quello che pensavo fosse giusto e lo rifarei ancora se servisse." Kuchel sorrise, riconoscendo in quella risposta il retaggio della sua stirpe.

"Esatto amore mio... è questo quello che conta veramente. Per quanto le persone possano dirti che stai sbagliando o agendo male tu non devi mostrare mai pentimento o rimpianto per le tue azioni. Devi fare sempre ciò che il cuore ti suggerisce. Agli errori si può sempre porre rimedio, ai rimpianti no. Te li porti addosso per tutta la vita e alla fine diventano un fardello del quale non potrai mai liberarti."

Levi annuì mostrandosi d'accordo con quelle parole.

"Mamma... posso farti una domanda?"

"Certamente" rispose lei accarezzandogli i capelli.

"Com'è fatto il sole? È proprio vero che è luminoso e caldo? Che il cielo non è sempre scuro come qui da noi ma è splendente e limpido. Io sento spesso parlare che oltre quelle grandi scale ci sono altre città, persone che vivono libere... ma forse sono bugie." il volto entusiasta di Levi mentre raccontava ciò che aveva sentito si spense di delusione immaginando che quelle storie fossero solo frutto della fantasia di qualcuno.

Kuchel sapeva fin troppo bene che suo figlio era un attento osservatore. D'altronde gli aveva insegnato a diffidare sempre degli altri, a non esporsi troppo per non rimanere ferito. A non illudersi né credere troppo alle persone, perché l'essere umano era bravo a mentire per ottenere ciò che voleva. Eppure non se la sentì di mentirgli dicendogli che ciò che aveva sentito non era la verità. Non voleva distruggere le sue speranze, anzi... voleva dargli un motivo, uno scopo per farlo sopravvivere in quel luogo angusto e ostile. Perché se c'era qualcuno che un giorno avrebbe potuto sperare di andare via da lì quello era Levi.

"È vero, fuori da qui ci sono altre persone che vivono in modo diverso, che godono della luce del sole e respirano aria pulita. Eppure anche loro devono lottare per sopravvivere, la vita non è facile neanche lassù Levi. Questo mondo è spesso crudele ma ciò non significa che non sia anche bellissimo e degno di essere visto." lui l'ascoltava attento e rapito, perché quando Kuchel gli parlava in quel modo dolce e con voce quasi languida a lui sembrava come se ascoltasse una favola, qualcosa di magnifico anche se irrealizzabile. Lei, con il suo modo di fare, lo rendeva possibile e quasi gli sembrava di poter vedere quel cielo terso di cui sentiva solo raccontare.

"E noi andremo lassù un giorno mamma?" eccoli nuovamente quei suoi occhi carichi di speranze e aspettative che lei non voleva disilludere.

"Se ci credi con tutte le tue forze ci riuscirai amore mio, tu sarai in grado di farlo. Quando sarai abbastanza grande per capire che strada intraprendere. Fai sempre affidamento solo su te stesso e potrai realizzare ciò che vorrai."

Levi sorrise, incoraggiato dalle parole di sua madre che sembrava non essere più arrabbiata per quello che era accaduto con quell'uomo. Kuchel ne fu felice, gli diede un bacio sulla fronte e si rialzò per darsi una sistemata. D'improvviso però un capogiro la costrinse a reggersi al letto che aveva di fianco. Il suo viso divenne pallido e un sudore freddo le si incollò addosso facendole mancare il respiro.

"Mamma... mamma ti senti bene?" lo sguardo del piccolo divenne carico di apprensione. Corse subito a prenderle dell'acqua mentre lei cercava di mettersi seduta per riprendere il controllo di sé.

"Tranquillo sto bene... è solo un po' di stanchezza, adesso passa." bevve dal bicchiere che Levi le diede e chiuse gli occhi per un attimo.

"Dovresti riposare mamma. Stasera non vedere nessuno. Se uno di quegli uomini sale quassù tu mandalo via." gli si aggrappò alle gambe quasi temendo che lei potesse scomparire. Kuchel lo strinse accarezzandolo dolcemente.

"Va bene Levi... per questa volta ti accontenterò, rimarremo solo io e te stasera. Una serata solo io e il mio ometto. E Fergus può anche andarsene al diavolo." disse, mostrando un sorriso forzato con il preciso intento di non far preoccupare ulteriormente suo figlio.

"Ti voglio bene mamma."

"Anch'io tesoro mio, te ne voglio tanto." si distese accanto a lei lasciandosi coccolare. Erano così rare le occasioni in cui potevano ritagliarsi del tempo per stare insieme. Il signor Fergus non voleva che la presenza di Levi potesse compromettere il lavoro di sua madre, e lui non faceva troppe domande, cercava semplicemente di fare ciò che la donna gli chiedeva. Vedeva uomini che di continuo, a volte in modo più assiduo altre più di rado, andavano a trovare sua madre ma lui non si era posto troppe domande. Anche perché non sapeva se avrebbe davvero voluto capire ciò che accadeva.

Allora quando trovava un fazzoletto annodato alla porta sapeva di non dover entrare, così si intratteneva con Olga o con le altre ragazze che per lui erano una sorta di balìe. 
Per questo momenti come quelli erano rari e irripetibili. Era ancora piccolo per capire determinati bisogni di certi adulti, ma non lo era abbastanza per non accorgersi che il volto di sua madre era ogni giorno più scarno e sofferente. Chiedersi cosa le stesse succedendo lo spaventava a morte. Ecco perché quando ne aveva la possibilità si aggrappava a lei con tutte le sue forze.

"Sei un bambino dolcissimo Levi, è il mio desiderio più grande è che tu cresca e vada via da questo posto. Voglio che tu sia felice e voglio che trovi qualcuno con cui condividere questa felicità." le lacrime tornarono a solcare il suo viso, perché inconsciamente sapeva che lei non sarebbe stata lì per vedere quel momento.

"Non avere paura mamma, io starò sempre vicino a te non ti lascerò sola, mai." chiuse gli occhi e nel calore di quelle braccia che sembravano rischiarare a giorno anche la più interminabile delle notti si addormentò.

 

 

Quando riaprì gli occhi si accorse che il buio intorno a lui avvolgeva ancora tutto. Si sollevò dal letto guardandosi attorno, aveva ancora la vista annebbiata dal sonno e gli ci volle qualche minuto per realizzare di aver fatto un lungo sogno.

Dalla finestra accanto al letto la luce della luna rifletteva i suoi raggi all'interno della stanza. Si alzò per guardare all'esterno. Un leggero vento muoveva le fronde degli alberi rendendo più stridulo il verso degli animali notturni che si muovevano per cercare riparo tra i rami.

Per un attimo il sogno si era confuso con la realtà, l'oscurità attorno a lui gli aveva fatto dubitare di trovarsi in superficie. Credeva che i ricordi della città sotterranea fossero ormai qualcosa di accantonato in un angolo remoto della sua mente. Invece a causa di quel sogno così vivido e reale si rese conto di ricordare tutto. L'odore delle strade, i volti spauriti e affamati delle persone, la miseria, le condizioni di vita proibitive e... sua madre. Aveva sempre fatto fatica nel ricordare il suo volto, tutto ciò che aveva chiaro nella mente e nel cuore era che le aveva voluto bene, che lui era tutto per lei e che l'aveva protetto dalla vita miserevole che lei era costretta a vivere. Almeno aveva tentato di farlo con ogni mezzo.

Adesso invece si rendeva conto che non aveva dimenticato affatto il suo viso, semplicemente la sua mente si era rifiutata di ricordarlo per proteggersi dalla sofferenza del suo ricordo e della sua morte. Era bella sua madre... di una bellezza che ti entrava negli occhi e nel cuore. Adesso sapeva che la fierezza e il coraggio degli Ackerman era qualcosa che aveva ereditato da lei, e d'improvviso la sentì di nuovo vicina. Si guardò le mani, le dita che mancavano a quella destra, l'occhio irrimediabilmente ferito e le cicatrici che gli avrebbero ricordato per sempre ciò che aveva affrontato.

"Forse... non ero meritevole di quella felicità che tu volevi per me, mamma..." perché l'aveva sognata? Perché proprio adesso doveva ricordare la sua dolcezza, le sue parole, i suoi abbracci.

Strinse i pugni, terrorizzato al pensiero di chiudere gli occhi e rivedere il suo volto che aveva risvegliato un dolore mai sopito. Si accorse che stava trattenendo il respiro solo quando un abbraccio improvviso riuscì a sciogliere quella tensione che sentiva addosso. Il calore di un corpo, ormai familiare, premuto contro la sua schiena aveva come sempre il potere di lenire i tormenti del suo cuore e della sua mente.

"Scusami... ti ho svegliata non volevo."

"Non mi hai svegliata, mi sono semplicemente accorta che non eri accanto a me. Riesco sempre a sentire quando ti allontani." Levi accennò un sorriso che lei poté solo immaginare. Si sorprendeva sempre di quella innata complicità tra loro, di quel capirsi così profondamente anche senza parlare.

"Stai tremando, hai forse avuto un incubo?"

"No, tutt'altro."

"Vuoi parlarne?"

Lui strinse le sue mani ancora più forte, legandole al petto e tenendola più stretta a sé. 
"Preferisco di no." rispose. Non era orgoglio il suo, o il voler nascondere un passato che bene o male in molti già conoscevano. Ma davvero non sapeva da dove cominciare nel parlare di lei.

Per tanti anni il rapporto con sua madre era stato così unico e speciale da non poter includere all'interno nessun altro. Spiegarlo adesso avrebbe significato condividere una parte di quel rapporto con un'altra persona, e non sapeva se ci sarebbe riuscito.

"Va bene così, non preoccuparti. Voglio solo che tu sappia che quando vorrai, io sarò pronta ad ascoltarti." lei si sciolse da quell'abbraccio facendolo voltare. Aveva lo sguardo lucido di chi a stento trattiene le lacrime. Si sentiva in colpa ed egoista, lei era lì, con quegli occhi che ancora una volta gli provocavano un turbinìo di emozioni, e lui non riusciva ad aprirsi come avrebbe voluto.

Le baciò dolcemente le labbra assaporando la morbidezza della sua pelle e il calore che il suo tocco emanava. Lei ricambiò con insolita audacia, accarezzandogli i capelli e sussurandogli all'orecchio.

"Non devi temere più l'oscurità Levi, perché nessuna notte dura in eterno. E dovunque lei sia sono sicura che è orgogliosa dell'uomo che sei diventato. Adesso... cerca solo di essere felice come lei avrebbe voluto."

Il suo corpo ebbe un leggero fremito che lei fermò stringendolo ancora più forte. Cosa poteva dirle, cosa poteva aggiungere a quelle parole che ancora una volta avevano colto nel segno senza bisogno di chiedere né fare domande. 
Credeva che non avrebbe più avuto con nessuno la stessa silenziosa intesa che aveva con sua madre. Pensava che nessuno mai l'avrebbe capito, compreso e accettato per quello che era. Una delle rare volte in cui fu felice di aver commesso un errore.

"Grazie, per essere così come sei." non aggiunse altro, perché lei conosceva già tutto ciò che serviva sapere.

Levi affondò il volto nell'incavo della sua spalla respirando profondamente quel profumo così unicamente suo. Era lei la sua felicità, quella felicità che aveva creduto di non meritare, che aveva cercato e inseguito per tutta la vita. Adesso poteva tenerla stretta a sé e giurò che finché avesse avuto vita non gli sarebbe più sfuggita dalle mani.





Inedita pubblicazione del sabato. Ho voluto regalare, a chiunque avesse piacere nel leggerla, questa one shot madre/figlio dedicata a Levi e Kuchel. Non sappiamo quasi nulla di lei, tranne il suo mestiere, ma io ho immaginato che il suo rapporto con Levi fosse pressapoco così. Ovviamente era un sogno... perchè le cose che ci mancano, le persone che vorremmo rivedere, popolano sempre i nostri sogni. E' come se volessero ricordarci che non ci hanno dimenticato e che noi, nonostante il dolore che portiamo dentro, non dobbiamo dimenticarle.
Di chi sono le braccia e le parole che consolano Levi? Io la mia idea ce l'ho, ma voi potete immaginare ciò che più vi aggrada. D'altronde la fantasia serve proprio a questo. Spero che la lettura sia di vostro gradimento, grazie in anticipo a chiunque leggerà. Alla prossima.

 

   
 
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