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Autore: IwonLyme    12/09/2021    0 recensioni
Avel Domar ha un solo obiettivo: diventare una persona qualunque. Tuttavia, cresciuto dallo zio a seguito dell'abbandono della madre, si trova davanti una società intollerante e poco disposta a dimenticare le sue origini atipiche.
Munito di poche e collaudate regole, Avel cerca di superare l'ultimo anno di Liceo destreggiandosi tra le aspettative del suo insegnante che lo vorrebbe futuro membro del Cerchio. Gli resta, però, ancora un ostacolo e cioè l'Ultima Separazione, dove si viene esaminati per scoprire se si possegga o meno il Vuoto. Come potrebbe mai qualcuno senza origini come Avel avere quell'oscuro potere?
ULTAR - Il Cerchio è un racconto ambientato in una società fantastica dove le persone posseggono il potere di controllare il Vuoto della materia. La storia è narrata proprio da Avel Domar che si troverà ad affrontare tutte le difficoltà di un inaspettato neofito.
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1 - La collezione di Guram Valio

Ho sempre tentato di essere invisibile. Svanire nel gruppo, uniformato come un qualunque individuo. A questo scopo costruii un piano per riuscirci, anche se la vita non mi aveva dato le giuste carte per vincere facilmente a questo gioco.
Il primo passo era ignorare i commenti e le parole degli altri. Farmene un cruccio, lasciarle sedimentare dentro di me non avrebbe fatto altro che accrescere odio e senso di rivalsa. Entrambi mi avrebbero portato a distinguermi. Apaticamente avrei dovuto ascoltare e, con un ingentilito sorriso, rispondere alle crudeli parole che potevano rivolgermi.
Questa parte non fu difficile da sopportare. Fu facile imparare a perpetrare questo mantra e divenni il più docile degli studenti ed il più mansueto giovane della Periferia.
Il secondo punto della lista era studiare, non dare altre frecce da scoccare ai tranquilli abitanti di Numalia Est. Non puntavo ad eccellere, ma a non creare problemi. A mio malgrado mi scoprii più bravo del previsto e finii per essere un alunno modello fin dai primi anni di scuola.
Quando colsi come questo mi dividesse dalla massa, cercai di peggiorare. A causa di questo mio zio fu immediatamente scomodato per l'abbassamento dei miei voti. Venne chiamato a scuola e lo interrogarono sui motivi dietro a quel "calo produttivo". Arrivai a comprendere fosse meglio mantenere la media alta. La poca notorietà che questo mi dava era più gradita dell'impensierire zio Boron in qualsiasi modo.
Arriviamo ora all'ultimo punto: non lasciarmi coinvolgere troppo. La compagnia sbagliata, così come quella giusta, potevano portarmi a diventare qualcuno. Non dovevo essere scortese, solo distante. Non antipatico, solo poco socievole. Disinteressato agli altri quel tanto da non farmeli amici, ma non troppo perché diventassi uno sgradito membro della società.
Anche in questo non faticai. Al progredire delle scuole i miei compagni cambiavano e li salutavo con un indifferente animo. Ugualmente loro. Ero scarsamente importante per la maggior parte dei miei coetanei, i quali preferivano restarmi lontani piuttosto che essere inseriti nel mio cerchio di conoscenze. Questo con qualche fastidiosa eccezione.
Tutto sommato il mio piano procedeva tranquillamente. Credevo proprio di essere riuscito a integrarmi nel gruppo di Marginati che vivevano nella periferia Est di Numalia e, con tiepido piacere, attendevo l'avvicinarsi del diploma. Conclusi gli studi avrei abbandonato quelle classi dense di persone e avrei potuto ritirarmi ad un vivere più privato, mutare in un anonimo negoziante che nessuno considerava. Era l'occasione per diventare finalmente invisibile.
Purtroppo qualcuno desiderava meno intensamente di me questo placido epilogo.

– Scusi, Professoressa Nader. Potrei rubarle per qualche attimo Avel Domar? – Domandò un giorno il professore di storia, Guram Valio. Eravamo a qualche mese dalla fine dell'anno scolastico, in quel delicato momento in cui era saggio decidere cosa sarebbe avvenuto a seguito del diploma.
– Certo, Professor Valio. – Concesse la collega. – Vai pure, Avel, i tuoi compagni ti passeranno questa parte della spiegazione. – Dubitavo sarebbe avvenuto e non volevo trovarmi con un buco all'interno dei miei appunti. Senza la possibilità di rifiutarmi, però, mi si alzai dalla sedia. In parte ero incuriosito da cosa il professore desiderasse dirmi e insieme preoccupato potesse crearmi problemi.
Proprio per sbeffeggiare il mio desiderio di essere normale la natura mi aveva dato un'altezza superiore alla media. Ero più alto di molti ragazzi della mia età, con una mossa testa scura che rasavo ai lati lasciando un ciuffo sulla cima. I capelli più lunghi si arricciavano debolmente e li pettinavo indietro perché fossero ben ordinati.
Avevo preso questa chioma da mio zio Boron, oppure dal mio ignoto padre. Ricordavo poco mia madre, ma abbastanza da sapere non l'avessi ereditata da lei. I suoi boccoli erano dello stesso colore delle albicocche mature. Potrei giurare ne avessero perfino il profumo. Nell'unica memoria che conservo di lei li portava sciolti, arrotolati sopra un bel vestito di un giallo vivace. Mi rimboccava una coperta verde in una camera dalle pareti gialle pallide.
Questa era il mio solo ricordo di lei e, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a vederla in viso. I miei occhi erano concentrati ad osservare un ciondolo a forma di stella che lei teneva al collo. Non potevo quindi dire se le mie iridi grigie fossero qualcosa di suo oppure di altri. A volte mi illudevo di ricavare le sue fattezze dalle mie, ma, senza conferme, era solo uno sterile fantasticare e vi indugiavo sempre meno spesso.
– Seguimi, Avel. – Mi invitò il professore rimasto sulla soglia dell'aula. Era il coordinatore della mia classe al Liceo Est di Numalia e, dato che per noi era l'ultimo anno, spesso succedeva che alcuni venissero chiamati nel suo ufficio. Ignoravo, tuttavia, perché quel giorno capitasse proprio a me.
– C'è qualcosa che non va, professore? – Domandai una volta nel corridoio cercando di iniziare il discorso così che non avessi preso troppo tempo alla lezione.
– Nulla, volevo solo farti alcune domande sui moduli per l'orientamento post diploma consegnati l'altro giorno. – Spiegò il docente.
– Cosa vuole chiedermi?
– Arriviamo in ufficio. – Replicò cordiale. Senza insistere oltre attesi di trovarmi nell'ufficio del professore.
Guram Valio era un ometto bassino, con occhiali in metallo poggiati sulla punta del naso. Portava folti baffi biancastri, ingialliti dalle sigarette strette e scure che fumava. I capelli, radi, li spargeva sulla sua testa per nascondere la calvizie, lieve sintomo dello smodato amore che provava per sé stesso. Il suo ufficio rispecchiava maggiormente questo aspetto: era ricolmo di cornici con all'interno attestati di corsi, qualifiche e fotografie di Valio insieme ad esponenti importanti di Ultar. Le sue foto preferite, quelle che teneva difronte a sé, lo vedevano stringere la mano alle maggiori personalità del Cerchio che era riuscito ad incontrare. Se solo avesse ricevuto una domanda in merito, avrebbe potuto parlarne per ore illustrando ogni singolo incontro con un eccessivo ricordo di particolari.
Mi invitò a sedermi in quello sfoggio mentre lui si accomodava sulla sua confortevole seduta. Davanti a me ritrovai il più amato cimelio di Valio: la foto di lui, in giovanissima età, accanto ad un uomo in uniforme grigia, abilmente ruotata verso chiunque avesse preso posto davanti alla sua scrivania.
Senza tergiversare, sollevò dei fogli. Facevano parte di un fascicolo spalancato sul suo tavolo. Potevo giurare che su quello ci fosse il nome "Avel Domar". – Stavo esaminando la tua scelta e volevo chiederti alcune delucidazioni in merito. – Cominciò bagnandosi le labbra con un poco di saliva e tirandosi su i suoi piccoli occhialetti sul naso.
– In merito alla mia scelta? – Ripetei dato che dubitavo di aver lasciato qualche punto in merito che potesse richiedere mie delucidazioni.
– Esattamente. – Confermò il professore. – C'è scritto che vuoi lavorare e vorrei domandarti come mai tu sia giunto a questa decisione.
Non credevo di dover fornire chiarimenti, ma per quieto vivere non mi opposi. La prima regola parlava chiaro: avrei risposto alle pretese di Guram Valio con precisione e sarei tornato velocemente in classe. – Desidero diventare indipendente al più presto. Per questo vorrei trovare un lavoro.
Il professore bofonchiò una risata. – Non devi per forza lavorare per essere indipendente. I tuoi voti sono molto buoni e potresti accedere ad una borsa di studio in qualche università. Così potresti andare avanti a studiare ed essere allo stesso tempo autonomo. – Propose con tono d'ovvio.
– Non credo di avere le doti necessarie per studiare all'università, professore. – Replicai a bassa voce. La presenza di uno come me in un'università di Ultar avrebbe certamente destato troppe attenzioni e scarsamente volevo attirarle dopo tanta fatica a respingerle.
– I tuoi voti sono i migliori tra gli alunni dell'ultimo anno, Avel. Hai sempre ottenuto eccellenti risultati agli esami, migliori di quelli di tutti gli altri studenti del Liceo Est. – Sottolineò il docente indispettito per la mia irragionevolezza. – Ti ho chiamato fuori per farti comprendere come sprecare ora questa occasione potrebbe essere fonte di rimpianti in futuro. – Aprì il cassetto della scrivania e ne estrasse un volantino. – Prova a dare un'occhiata a questo. È un bando del Cerchio. Sovvenzionano giovani promettenti che poi verranno assunti tra i loro ranghi. Nel Cerchio ci sono alcuni posti riservati ai Marginati e, se supererai le selezioni, potresti accedere agli studi e avere un lavoro assicurato alla fine. Provvedono a tutto loro: vitto, alloggio e spese universitarie. È un investimento per la Società di Ultar e questo ti renderà un utile membro di essa.
– Professore, non credo di avere le doti ...
Valio sospirò interrompendomi. – Comprendo le tue preoccupazioni e i tuoi pensieri. La tua situazione famigliare potrebbe essere uno sgradito svantaggio, Avel. – Abbassò lo sguardo sul fascicolo. – Un giovane con una madre dissoluta e senza origini paterne ... il Cerchio certo storcerà il naso, ma una volta esaminati i tuoi risultati ne terranno minor conto. – Le dita del professore scorsero tra i fogli parte del dossier scolastico. Ne sollevarono uno in particolare. Era il certificato di nascita di Avel Domar: padre ignoto, madre Nedia Domar, tutore Boron Domar. – Sarebbe un modo per porre rimedio alla tua malaugurata situazione. Malgrado tutto sei un giovane promettente.
Le mie dita si strinsero istintivamente sul volantino. Non era la prima volta che qualcuno mi parlava in quei termini. Avevo sentito fin dall'infanzia i docenti rammaricarsi per me, stupirsi di come, malgrado tutto, io fossi un bravo bambino. Per loro sarebbe stato meno strano io fossi uno sciagurato come mia madre. Ero abituato a quei toni e avevo imparato abilmente a rispondervi.
Mi dipinsi un lusingato sorriso. – Grazie, professore. Sono felice lei abbia così a cuore il mio futuro. Apprezzo le sue parole. – Parlai carinamente.
– Sei un ottimo studente, Avel, è scontato io sia preoccupato vedendo come hai compilato così frettolosamente. – Replicò Guram Valio inorgoglito dalla mia risposta. – Ti chiedo di valutare la proposta. Ti consegno anche un altro modulo, portamelo il prima possibile. – Spiegò allungando un foglio ancora da compilare.
– Come certo saprai, tra due settimane si terrà l'Ultima Separazione e verranno gli esponenti del Cerchio. Sarò felice di consegnare io stesso il modulo al Sovrintendente dell'Accademia di Numalia in persona. Come saprai di certo, ho avuto il piacere di conversare con lui altre volte ai precedenti Test ed è un uomo molto affabile. – Illustrò alzando gli occhi sulle foto appese alle mie spalle. In esse doveva certamente esserci quella del suo primo incontro con quell'importante ufficiale.
– È troppo gentile, professore. Ci penserò attentamente. – Concessi sebbene fossi infastidito dalle sue pressioni.
– Puoi tornare a lezione ora. Questo era tutto quello che desideravo domandarti. – Mi alzai tenendo in mano volantino e foglio in bianco. – Attenderò la tua risposa, anche se ho idea io sia riuscito a smuovere la tua ambizione. – Parlottò compiaciuto pettinandosi un baffetto. – Chiunque sarebbe fiero di avere un esponente del Cerchio in famiglia. Sarebbe un bel premio per tutti gli sforzi fatti da tuo zio per crescerti.
Il mio sorriso non oscillò nemmeno davanti a quelle parole. Ero molto bravo a lasciarmi scorrere quelle frecciatine addosso. Le avevo sentite così tante volte da non rammentarne il numero. – Grazie, professore. – Aggiunsi meccanicamente uscendo dall'ufficio di Guram Valio.
Ripiegai il modulo per l'orientamento mentre camminavo nel corridoio. Ci nascosi il volantino del Cerchio. Non volevo che, entrando in classe, qualcuno lo vedesse, avrebbe attirato acidi commenti e consigli indesiderati. I miei compagni felicemente si sarebbero divisi tra coloro che mi avrebbero dissuaso, sentendosi insultati anche solo al pensiero io potessi scegliere quella strada, e tra pochi che mi avrebbero incoraggiato.
Riuscii a leggere solo alcune parole di mera propaganda: "Fai parte del futuro. La Legge ha bisogno di uomini determinati, il Cerchio ha bisogno di te.". Il Cerchio, l'organo della giustizia e dell'ordine che osservava Ultar e la regolava ... Cosa mai avrebbe potuto vedere in uno come me? Qualcuno con ignote origini, senza un nome. Nel Cerchio si raccoglieva l'elite di Ultar, la Gente del Vuoto e, tra i pochi Marginati che ammettevano tra loro, non poteva certo rientrare lo sfortunato Avel Domar.
Che assurda idea.
La mia decisione era ben ponderata: lavorare come un qualsiasi Marginato mi avrebbe finalmente messo nel ruolo di uomo normale. Nessuno avrebbe più prestato attenzione a me, al mio passato o al mio futuro. Sarei diventato uno qualunque della Società e la Società da sempre si cura debolmente degli uomini comuni.
Lavorare per il Cerchio, quindi, era fuori discussione. Perfino tentare sarebbe stato controproducente.

– Cosa voleva Valio? – Domandò Kemar Jeil.
Io e Kemar avevamo frequentato le scuole insieme fin dalle elementari. Era uno dei pochi con cui avevo sempre condiviso la classe. L’altro era Hud Calz, un ricco ragazzino che si vantava della propria parentela con la Gente del Vuoto.
Kemar era solito prestare un debole orecchio ai pettegolezzi o alle malignità sul mio conto, questo fin dall’inizio. Essendo un secondogenito, inoltre, viveva con quello spirito di ribellione che spesso contraddistingue i figli nati secondi. Aveva un carattere gioviale e questo lo rendeva popolare. I professori, così come gli altri studenti, lo apprezzavano sebbene non ottenesse grandi risultati nello studio. Si percepiva come questo gli interessasse poco, ma la sua indole lo risparmiava dalle critiche.
– Mi ha chiesto del modulo d’orientamento. – Spiegai sinteticamente. Non rispondere sarebbe stato scortese, ma non avevo per nulla bisogno altri si impicciassero dei miei affari.
– Cosa hai scelto? – Domandò camminando accanto a me.
Sfortunatamente il tragitto dal Liceo Est fino al negozio di mio zio era sulla stessa strada che Kemar percorreva per tornare a casa sua. Spesso riuscivo a evitarlo, ma quel giorno non fu così. D’altronde era chiaro fin dal mattino fosse una difficile giornata.
– Voglio lavorare.
– Cosa ti aspettavi! – Rise lui. – Nessuno vorrebbe veder sprecato il proprio migliore studente! Il povero Valio deve aver avuto un infarto leggendo il tuo modulo. Cosa ti ha consigliato? – Indagò.
– Di continuare a studiare.
– Certo, questo è ovvio. – Sospirò. – In realtà speravo in qualcosa di meglio. Valio è ambizioso, si sa. Conoscendolo immaginavo avrebbe spinto per il Cerchio. Non vede l’ora di vantarsi di avere insegnato ad uno dei selezionati del Cerchio, ma nessuno dei suoi studenti è mai riuscito a farcela. – Mi guardò di sottecchi. – Credevo che a te l’avrebbe proposto. Il primo del Liceo Est potrebbe avere la sua chance di ottenere una delle trenta borse di studio che il Cerchio fornisce ai Marginati. – Il suo intuito mi fece restare in silenzio e questo lo spinse a capire più di quello che avrei voluto rivelare.
– Te l’ha proposto, vero?! Sono un genio! – Si compiacque. – E allora? Cosa farai? – Domandò ancora più ansioso di impicciarsi.
– Non ho alcuna intenzione di inviare la domanda. – Tagliai corto caricandomi di più la borsa sulle spalle e accelerando il passo.
– Non vuoi? – Chiese Kemar affrettandosi. – Almeno cento ragazzi nella nostra scuola sarebbero disposti a tutto per avere i tuoi voti e i tuoi risultati. Il Cerchio non si farebbe sfuggire uno come te. Forse potresti non ottenere la borsa di studio, ma saresti sicuramente selezionato per i posti regolari.
– Non desidero diventare uno del Cerchio. – Replicai.
– È per le tue origini? Se tu entrassi nel Cerchio … tapperesti la bocca a tutti. – Mi incoraggiò. – Trovare un posto lì dentro ti garantirebbe il rispetto di tutti. Faranno di sicuro caso al tuo passato, ma anche se lavorerai sarà lo stesso.
Mi fermai. – Non credevo tenessi in così alta considerazione quelli del Cerchio. – Lo pungolai. Kemar faceva parte di quel gruppo di Marginati per nulla ansioso di rientrare a far parte della Gente del Vuoto. Loro non avevano alcuna Famigliarità con quel gruppo e volevano restare Marginati. Il Cerchio non aveva alcun fascino per la sua famiglia. – Anche tu hai deciso di lavorare, mi sbaglio? Come mai mi consigli diversamente?
– Certo, ma io non sono intelligente! – Replicò Kemar ridendo. – Il mio vecchio ha bisogno di un aiuto con il ristorante, basta già mio fratello maggiore a portare avanti il buon nome della famiglia. Tuo zio, invece, potrebbe anche andare avanti senza il tuo aiuto.
Per quanto i genitori di Kemar l’avessero rimproverato e sgridato per i suoi scarsi risultati, lui non aveva mai desiderato dividersi da loro. Pareva, anzi, volesse esaurire tutte gli atti sconsiderati permessi ad un uomo per bene cosicché, dopo il diploma, avrebbe potuto mettere la testa apposto senza rimpianti. Inoltre era immensamente amato. Ero certo fossero grati lui avesse deciso di essere il loro sostegno. Forse Rona, il fratello maggiore di Kemar, poteva portare lustro alla famiglia, ma era Kemar a sostenerla con ogni forza.
Lo ammiravo per il suo spirito di abnegazione e invidiavo il futuro monotono che, fin da principio, aveva sempre avuto assicurato. Un luogo tranquillo, una vita semplice, la felicità di un uomo comune: Kemar aveva tutto alla distanza di un singolo passo.
– Non ho l’ambizione di far parte del Cerchio. Valio resterà deluso anche da me. – Rimarcai malgrado le sue parole.
– Come preferisci, Domar. – Si avvicinò e mi tirò una pacca sulla spalla. – Sai, non credo sarà solo Valio a restarne deluso. – Sorrise ed era quello spirito sempre allegro che gli aveva assicurato molti amici.
Avrei voluto domandare chi mai si sarebbe interessato al mio destino, ma non lo feci. Camminai con lui fino a che disse: – Io sono arrivato. Ci vediamo domani.
– A domani. – Salutai guardandolo dirigersi verso la casa che abitava. Era una piccola villetta. La sua era una famiglia di Marginati non particolarmente ricca, ma più agiata di molte che vivevano in quella zona. Non c’era nulla di anomalo nella vita di Kemar Jeil e da sempre sentivo un po’ di invidia per la sua spensieratezza.
Infilai le mani nella giacca mentre quegli stupidi desideri venivano rimandati in fondo alla mia gola. Non aveva senso sperare in qualcosa di diverso. Si nasce senza decidere nulla delle proprie origini, illudersi di cambiarle era una perdita di tempo. Il massimo che uno come me poteva fare era sopravvivere e diventare invisibile, ignoto al resto della Società.
Da casa di Kemar, mi bastava percorrere un altro paio di svincoli per veder apparire l’insegna del negozio di mio zio. Brillava di neon verde acido indicandomi l’ultimo tratto di strada soprattutto, quando, tornando di sera, si rifletteva sullo scuro asfalto. Si accendeva ad intermittenza e diceva: “Attrezzi e soluzioni”. Un nome banale per un negozio anonimo come quello che lo portava. Attraverso le piccole vetrine vedevo spesso il profilo di Boron sistemare alcuni scaffali e, quel giorno, avvenne proprio così.
Anche Boron Domar era più alto della media, ma aveva un fisico molto più corpulento rispetto al mio o a quello della maggior parte degli uomini comuni. Anche se nessuno l’avrebbe mai immaginato, era piuttosto pigro fuori dal suo negozio. Per questo portava la barba incolta, quasi a chiazze. I suoi occhi scuri, cerchiati da rughe pronunciate, gli davano un’espressione perennemente imbronciata e il suo umore spesso si addiceva ad essa. I capelli brizzolati e tenuti molto corti gli riempivano la testa.
Era un uomo burbero e massiccio, non esattamente il genere di persona che si aspetterebbe adatta alla crescita di un bambino. D’altronde non era qualcosa che aveva voluto, ma una situazione in cui si era ritrovato. La mia “sciagurata madre” mi aveva lasciato fuori dalla sua porta un giorno di freddo inverno, abbandonato lì per essere cresciuto lontano da lei. Anche questo era qualcosa che avevo dovuto accettare.
Entrai dalla porta facendo tintinnare le piccole chiavi inglesi appese come sonagli sopra l’uscio. Gli occhi di Boron si sollevarono dallo scaffale. – Avel, sei tornato. Prendi lo scatolone sul banco e sistema quell’angolo. – Ordinò indicando una mensola sulla sinistra.
Seguii le sue indicazioni, presi lo scatolone dopo aver poggiato lo zaino di scuola dietro al bancone. Mi diressi verso i ganci al muro dove erano sistemate corde di diversi diametri. Presi a riporre silenziosamente i nuovi prodotti come rifornimento per quelli venduti.
Boron ultimò alcuni spostamenti e poi, avvicinandosi a me, prese parte degli articoli dallo scatolone per aiutarmi. – Com’è andata oggi? – Domandò con il suo tono di voce scuro e farfugliato.
– Bene. – Replicai sinteticamente. Raccontavo raramente i dettagli delle mie giornate allo zio, sia perché non volevo tediarlo, sia perché spesso temevo potessero infastidirlo. Non avevamo un rapporto distante, solo a nessuno dei due piaceva parlare troppo a lungo.
– Sei tornato con Kemar? – Chiese lo zio. Annuii. – Ti sei trovato davvero un amico simpatico. Invitalo qualche volta a pranzo da noi.
– Non siamo amici, capita solo di fare la stessa strada. – Replicai. – Poi, come ti viene in mente? Invitarlo a pranzo? Sai che i suoi genitori gestiscono un ristorante. – Aggiunsi scherzando un poco per non impensierirlo.
– Cos’ha la mia cucina che non va? – Replicò risentito Boron. – Siamo sopravvissuti fino ad ora senza morire, dunque è più che sufficiente.
Sorrisi. – Certo siamo sopravvissuti. – Rimarcai la sua stessa curiosa scelta di parole.
– Smettila, Avel! – Mi rimproverò con una leggera spallata. – Domandaglielo.
– Non siamo così amici. – Ripetei.
– Come vuoi. – Borbottò.
Sistemò ancora un paio di corde, poi prese un sospiro come era solito fare quando si preparava a pronunciare una lunga frase. – Sai, oggi mi ha telefonato un tuo professore. Ha detto di chiamarsi Valio. – Confessò mozzando il mio mezzo sorriso.
– Perché ti ha chiamato? – Domandai cercando di restare calmo. Non ero stupido, non facevo fatica ad immaginare il motivo, ma il professore si era spinto ben oltre l’accettabile. Già mi infastidiva mi avesse disturbato durante una lezione per fornirgli spiegazioni a decisioni in cui lui non aveva il diritto di esporre la propria opinione, ma che si fosse spinto perfino a scomodare mio zio … era inammissibile. Non sopportavo l’idea Boron pensasse ci fosse una qualche sorta di problema. Mi ero ripromesso di non dargliene mai, per nessuna ragione.
– Mi ha chiesto i documenti per l’Ultima Separazione. – Spiegò mio zio. – Poi ha iniziato a blaterare qualcosa sul post diploma. Dice che saresti sprecato ad andare a lavorare. Mi domando cosa facciano le persone se non lavorare. – Sospirò. – Poi ha parlato delle selezioni per il Cerchio. Dice che dovresti iscriverti, che sarebbe uno spreco altrimenti.
– Il professore parla per sé stesso. – Risposi irritato. – Non è mia intenzione iscrivermi alle selezioni del Cerchio, è lui che me l’ha proposto oggi.
– Bella proposta del cavolo. – Si oppose Boron intonando una scura risata. – Con la famiglia che ti ritrovi ci metteranno un attimo quelli del Cerchio a sbatterti fuori. Se faranno qualche ricerca più a fondo scopriranno il passato di tua madre ed il mio … sarà solo un’inutile perdita di tempo. – Concluse sollevando lo scatolone vuoto. – Qui, invece, vivresti tranquillo. Una vita comune che tra quei mastini non avresti per niente. – Aggiunse piegando il cartone.
– La penso ugualmente. – Concessi a bassa voce.
– Continuava a dire dei tuoi voti, di come passeresti sicuramente le selezioni. – Sbuffò. – I buoni voti servono ovunque. Anche qui al negozio. Essere stupidi non è un vantaggio in nessun tipo di lavoro.
– Hai ragione. – Confermai sorridendo.
Sollevò lo scatolone vuoto con un ghigno soddisfatto. – Fagli dire ciò che vuole a quel Valio. Tu fai quello che desideri. – Tagliò corto. – Non corri il rischio di deludermi, ragazzo mio, hai già ampiamente superato le mie aspettative. – Mi confortò.
Fui scaldato da quelle parole. A dire il vero mi domandavo spesso con quali aspettative Boron avesse scelto di crescere il figlio di sua sorella, un bambino nato per un miserabile concatenarsi di eventi, senza padre e senza identità. Sapere, però, di averle in qualche modo rispettate mi faceva sentire in pace. Non volevo essere una delusione per mio zio, questo forse lo pretendevo ben sopra il diventare una persona comune.
– Ora vai a lavarti, Avel, tra poco chiuderò il negozio ed ho intenzione di farmi un lungo bagno.
Boron afferrò il mio zaino da sotto il bancone e me lo lanciò. Presi al volo la borsa e andai verso il retro del negozio. Lì si trovavano alcune scale che mi avrebbero condotto al piccolo appartamento sopra la rivendita. Una bella doccia sarebbe servita a rimettere ordine nei miei pensieri. Quello che Valio desiderava aveva la minima importanza per me, ma le parole di Kemar mi ronzavano in testa. Chi altri avrei deluso?
Immaginai, mentre l’acqua mi scorreva sulla schiena, come iscriversi al Cerchio poteva essere vista da altri come la soluzione per rimeditare alle mie origini sbagliate. Una sorta di rivalsa che il ragazzino, più dotato di quello che ci si sarebbe aspettati, avrebbe potuto prendere sulla sua debosciata madre e le sue pessime decisioni. Tuttavia io non vivevo con questo senso di vendetta, piuttosto preferivo l’idea tutti dimenticassero il mio passato. Non volevo diventare colui che, malgrado tutto, ci era riuscito. Mi avrebbe spezzato il cuore.
La storia che mio zio mi aveva raccontato, riguardo a Nedia Domar ed al suo destino, era un oscuro pensiero. Non avevo molti ricordi di lei, a parte la stanza di quel pallido giallo in cui mi metteva a dormire sotto una verde coperta. Non conoscevo il suo viso e non credevo avrei mai riconosciuto la sua voce tra quella di altri. Potrebbe essere triste per molti, ma io ringraziavo quelle fossero le uniche immagini di lei. Da esse traspariva un debole amore, sentimento che Nedia Domar, purtroppo, non provò mai realmente per il figlio cresciuto nel suo ventre.
Avessi posseduto altre memorie, forse avrei conservato l’immagine di lei che cercava favori da persone influenti, la sua dipendenza da sostanze e denaro che finì per consumarla e per portarla lontana dalla sua casa. Quella stessa debolezza e ambizione che mi pose nel freddo inverno davanti alla porta di mio zio Boron.
Preferivo ricordare solamente le sue mani tirare sotto il mio mento una calda e soffice coperta. Quella era mia madre, la signora con il ciondolo a forma di stella, non conoscevo Nedia Domar e tutti i suoi demoni. Ma per quella donna dai capelli color albicocca, il bel sorriso contornato da rosee labbra, per lei provavo una pallida devozione e il mio petto si stringeva quando qualcuno insultava la sua esistenza.
Né mio zio né mia madre avevano un brillante passato, ma una vita difficile e al limite della legalità. Quei trascorsi non solo potevano essere un ostacolo, ma portare indesiderati guai. Certo lo zio si era allontanato da tutti i loschi affari che potevano infangarlo, diventando un uomo onesto per crescermi, ma era chiaro desiderasse in minima parte si indagasse nella sua vecchia vita. Esporre la mia famiglia alla lente del Cerchio per essere selezionato … sarebbe stato tremendamente stupido.
Dubitavo la soluzione alla mia natura atipica fosse proprio l’iscrizione al Cerchio, ma, e questo mi scavava il petto, nemmeno lavorare nel negozio dello zio avrebbe cambiato molto. Su questo Kemar aveva ragione. In quel modo sarei rimasto il ragazzo senza genitori nell’appartamento sopra un’insegna con luce verde intermittente per tutta la vita. Mi soffocava il pensiero di quel futuro così rinchiuso.


______
Benvenuto nel primo capitolo! Grazie per aver dedicato un po' del tuo tempo a scoprire questa nuova storia. Come ti è parso l'inizio? Ti è venuta voglia di continuare? Spero di sì. Ci vediamo presto con la seconda parte!
Iwon Lyme
   
 
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