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Autore: daphtrvnks_    12/09/2021    0 recensioni
La mia pelle una volta pallida, un vanto per chi viveva nel lusso, ora è scura.
L'americana continua a guardarmi, abbiamo legato in queste ultime settimane, sa che io, una stupida cinese, non posso fare molto.
Riproverò questa notte. 
Sopravviverà, ne usciremo insieme.''
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bulma, Chichi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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8 Gennaio 1943

I capelli scuri ormai ricresciuti le scendevano dolci sulle spalle, sporchi e annodati, Chichi incominciava a non sopportarli più. 

Al suo fianco Bulma trafficava con dei fili in ferro passando il suo tempo ad intrecciarli con fatica, spesso sospirava ed arricciava il naso quando, forse per qualche pensiero improvviso, si distraeva facendosi male alle dita pungendosi. 

Erano ricadute all'inferno e quei due giorni di pace passati a Nagasaki sembravano oramai un sogno, una mera illusione che seppur bella, ora, faceva più male.

A malapena capiva se quel Goku che aveva incontrato e con cui aveva fatto l'amore fosse frutto della sua immaginazione, non riusciva a capacitarsene, ma quando l'americana si lamentava di quel Vegeta capiva che sì, era stato tutto reale, non era matta, era tutto accaduto e lì, poi, la paura e la preoccupazione prendevano il sopravvento.

Nessuna lettera, nessun messaggio, niente le era arrivato tra le mani da quando il giovane soldato giapponese era partito per la guerra senza avvisarle di dove sarebbe andato e quando sarebbe tornato lasciandola in un limbo di incertezze e frustrazione da cui non riusciva più ad uscire portandola ad arrovellarsi le cervella nella speranza che lui fosse ancora vivo, vagliando tutte le ipotesi di quello che gli sarebbe potuto capitare.

Si ricordava di lei? 

La pensava?

E se la pensava perché non le scriveva?

I giorni a Sumatra erano passati lentamente dal loro ritorno, senza più la squillante voce di Lazuli, che da ciò che le era stato riferito si era trasferita nel club delle lenzuola alla ricerca di una vita, seppur così si potesse definire, più tranquilla a costo della sua dignità di donna.

Al posto dell'esuberante tenente Vegeta ora vi era Lapis; un tipo schivo, il quale rimaneva chiuso nel suo ufficio impartendo ordini ai suoi sottoposti. 

Non si era mai fatto vedere ma da ciò che i soldati affermavano confabulando tra loro tra una ronda e l'altra era che fosse un tipo lunatico, organizzato e preciso, con abitudini particolari e strane voglie.

A loro non si era mai fatto vedere e forse, era meglio così.

Un'altra novità da quando erano tornate era che vi fossero nuove detenute, tutte donne del posto che si erano ribellate al dominio dei giapponesi.

Da ciò che Bulma le aveva raccontato l'isola di Sumatra era prima della guerra sotto i coloni Olandesi, gli abitanti del posto furono per breve tempo felici della loro liberazione etichettando i Giapponesi come dei salvatori ma la situazione cambiò radicalmente quando si ritrovarono a dover far fronte a un nuovo impero a cui sottostare abituandosi a nuove regole e dinieghi. 

Si era così creata una coalizione di rivoltosi per avere l'indipendenza e ora, nel loro campo di prigionia, ecco che apparivano nuovi volti stanchi e affamati.

Le loro espressioni però erano diverse da quelle delle sue compagne europee, americane o asiatiche che fossero. Sembrava che qualcos'altro le spingesse a sopravvivere, non solo la voglia di vivere, l'istinto primordiale, ma anche l'amore per la propria terra, le proprie origini, la loro identità.

Non parlavano quelle donne, sembravano aver paura di noi straniere che per puro caso ci eravamo trovate sulla loro isola, ci osservavano con diffidenza esaminando nel dettaglio i tratti dei nostri visi. Lavoravano, si dimenavano quando qualcosa le veniva ordinato.

Non andavano avanti per inerzia come noi, lottavano e cercavano la libertà, e forse, avevano anche trovato una via di fuga. 

2 Febbraio 1943

Non sembrava far freddo lì a Sumatra, come se l'inverno in quei luoghi dimenticati da Dio non esistesse, in compenso le piogge torrenziali allagavano i terreni lasciando una forte umidità. 

Aveva appena smesso di piovere ma Bulma era già a conoscenza del fatto che sarebbe durato meno di due minuti. Uscì dal suo piccolo rifugio appoggiandosi al palo in legno che faceva da stipite lasciando dietro di sé il tessuto in lino che faceva da 'porta'.

Una ragazzina, appena diciott’anni da quello che poteva affermare osservando il suo fisico minuto, la sorpassò, dandole una spallata.

La turchina non fece in tempo a lamentarsene che la ragazza svanì sotto i suoi occhi correndo in direzione delle recinzioni, lì dove i soldati erano appostati. 

Se l'avessero vista sarebbe stata fucilata sul posto e Bulma di certo non poteva permettere che ciò le accadesse, di certo non davanti ai suoi occhi.

Le corse dietro urlandole di fermarsi, ma quella ragazzina non capì le sue parole, sul punto di arrivare dinanzi ai soldati svoltò l'angolo a destra verso l'ufficio di Lapis.

Per un attimo Bulma rischiò di scivolare sotto il terreno fangoso con le sue scarpette completamente nere e sporche, riprese fiato e la seguì ignara di dove quella sconosciuta la stesse portando con la sua ingenuità. 

Evitò di urlare ancora per evitare di attirare attenzioni non desiderate, non doveva assolutamente essere lì e se fosse stata scoperta si sarebbe cacciata in un bel guaio. 

Oltre un albero dalle grandi fronde vi erano delle siepi e dietro di queste una alta recinzione ancora sgocciolante. 

Quella ragazzina, sicuramente abitante del posto dati i suoi abiti, se ne stava inginocchiata in un punto preciso, scavando con le mani gettando dietro di sé fango e zolle d’erba. 

Bulma si avvicinò con cautela per poi affiancarla cercando di capire cosa stesse combinando ma soprattutto perché. 

Aveva creato una fossa, ma era più grande di quanto avesse potuto immaginare, quella non doveva essere la prima volta che si era ritrovata a scavare in quel punto. 

I suoi occhi azzurri varcarono la recinzione, la giungla selvaggia si stagliava oltre il campo. 

Era la libertà quella, pura e meravigliosa libertà. 

L’americana poggiò una mano su quella dalle unghie rovinate della più piccola, la quale si girò ad osservarla un po’ impaurita. 

- Sono Bulma, fatti dare una mano. – 

Accennò rivolgendole un piccolo sorriso sperando di tranquillizzarla, la ragazza non rispose, continuò a scavare ora aiutata dalla più grande. 

Quando tornò a piovere si fece di lato, l’indonesiana trascinò dei rami, foglie e rametti nascondendo ciò che avevano fatto per poi rialzarsi. 

Guardò per qualche istante Bulma e prima di tornare a correre per rifugiarsi dal diluvio sussurrò, quasi impercettibilmente, il suo nome. 

- Mai.- 


5 Febbraio 1943

Un mese. 

Era passato un maledetto mese da quando si erano ritrovati in quella fottutissima cella. 

Per Kakaroth non era la prima volta e non sembrava risentire di quello spazio angusto ma per Vegeta quella gabbia era troppo da sostenere. 

Dal primo istante in cui era stato sbattuto lì dentro i suoi nervi avevano iniziato a vacillare rendendolo isterico. 

Goku, il suo compagno di cella o, per meglio dire, di sventure, se ne stava a fissarlo nell’attesa che i suoi cinque minuti terminassero o che venissero a prenderlo per riempirlo di mazzate fino a farlo svenire e rigettarlo in un quel metro quadrato di cemento. 

Ciò che i suoi aguzzini chiedevano, nel più gentile dei modi, erano informazioni. 

Informazioni che loro avevano ma che non avrebbero mai rivelato. 

Goku lasciava la situazione nelle mani di Vegeta, non perché volesse addossargli questa responsabilità o per vendetta, semplicemente perché lui non avrebbe potuto sostenerla e risolverla. 

Kakaroth pendeva dalle labbra del suo superiore perché non aveva idea di come muoversi in una tale situazione, stava semplicemente fermo a prender botte con la lingua stretta tra i denti fino a farla sanguinare, con gli occhi neri e gli zigomi gonfi. 

I piedi pestati, i calci allo stomaco, senza cibo. 

Vegeta rispondeva, lo sentiva dalla stanza degli interrogatori ridersela di gusto, spostare tavoli, parlava in giapponese, no, non avrebbe mai parlato la lingua di quegli egocentrici.

Anche se sì, era incoerente. 

Vegeta parlava inglese, a Sumatra parlava inglese con le detenute, parlava con Bulma. 

Ma con loro no, come se non avessero il diritto di sentirgli parlare quella lingua rozza, dai vacaboli sciatti e troppo semplici. 

La lingua dei cani. 

Da parte sua quella lingua non gli piaceva, gli suonava strana perché ciò che voleva dire usciva dalla sua bocca con una intonazione differente, non dava valore alla parola. 

Goku sbuffò, seduto in un angolo buglio con le gambe incrociate. 

Provava a meditare. 

Vegeta rimaneva attaccato alle sbarre stringendole con le mani e guardandole oltre. 

- Dobbiamo avvisare che siamo qui, quei coglioni ci credono morti. – 

Scosse poi il capo girandosi ad osservare l’amico, gli bastò uno sguardo e Goku sembrò intuire che stesse per dirgli qualcosa che non gli sarebbe piaciuto per nulla. 

- Vuoi o non vuoi che quella comunista sappia che sei vivo? – 

Gli occhi onice del ragazzo si spalancarono, arrossati dal sonno, si avvicinò poggiando le grandi mani sul cemento freddo avanzando allo stesso modo di una scimmia. 

- Che cazzo vuoi dirmi con questo? – 

La voce del giovane si incrinò in una maniera così cupa che Vegeta poté solo accennare un sorriso prima che il bordo della sua maglia venisse afferrato dalla mano del soldato stretta in un pugno

- Voglio dire che ho letto le tue lettere, sono rimaste a Guadalcanal Kakaroth, ti avevo detto di dimenticarla. - 







  
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