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Autore: Kodama_    13/09/2021    7 recensioni
[AtsuHina]
Due porte, un corridoio, notti che (non) fanno paura e loro che si trovano sempre alla stessa ora.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsumu Miya, Shouyou Hinata
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sette minuti dopo la mezzanotte



Sette minuti dopo la mezzanotte, mette il telefono a ricaricare sul comodino e socchiude gli occhi. Atsumu sta bene.
L’aria soffocante dell’estate s’insinua attraverso la finestra spalancata, il rumore delle macchine lo culla fino a uno stato di dormiveglia. Atsumu sta benissimo.
Pensa a suo fratello: gli manca, ma è orgoglioso. Del ristorante, di lui, di loro.

Quindi distende le labbra. Quella è una di quelle notti in cui l’appetito perenne si sopisce, in cui la smania, l’insofferenza, la pressione martellante di migliorare come giocatore si quietano e sprofondano, lasciando spazio alla tranquillità che lo fa fluttuare privo di peso - brezza leggera, lenzuola che fremono appena.
Quella sera c’è equilibrio. C’è Atsumu, ci sono i suoi piedi uno davanti all’altro, saldi e sicuri, mentre si alternano su quel filo sospeso nel vuoto che non fa paura. Atsumu non guarda in basso ma dritto davanti a sè, e scorge, vede, l’inizio della nuova stagione come un’alba brillante, piena di promesse. Lui è pieno di promesse, straripante di talento e voglia di fare, voglia di far vedere agli spettatori, a se stesso, ciò di cui è capace. La sicurezza gli circonda le dita a spirali, anelli caldi che somigliano all’estate.
Mentre sta per assopirsi, Atsumu pensa che quella è una bella, bellissima notte, che forse ha trovato il ritmo giusto, passi lunghi ma regolari come il suo respiro.
Non c’è niente che possa andare storto, niente che possa turbare quello stato psicologico così difficilmente ricercato. Sa quello che deve fare e lo farà nella maniera più semplice ed efficace possibile. Nessuna distrazione, davvero.

*

Sette minuti dopo la mezzanotte, Shouyou sale sull’aereo che lo riporterà a casa.

*

''Verrà a vivere qui.''
''Chi?''
''Shouyou-kun.''
Sette minuti dopo la mezzanotte, Atsumu si ritrova a biascicare a bassa voce, per evitare che Bokuto o Sakusa possano sentirlo. L’equilibrio a cui aspirava s’è spento come una candela non appena Shouyou è saltellato a sorpresa in palestra. Cazzo, ha pensato Atsumu quando ha visto come si muoveva sul campo, quando l’universo è imploso e poi si è ricomposto - più brillante, più dorato di prima. Cazzo, cazzo, cazzo, devo dirlo a ‘Samu.
''La sua abbronzatura,'' continua dunque, tenendosi il telefono appiccicato alla bocca. ''Le sue cosce.''
''Cristo santo, sto lavorando.''
E difatti in sottofondo Atsumu sente il rumore dei piatti e dei coltelli. Osamu è in vivavoce mentre prepara in cucina gli onigiri. Invece di lasciarlo in pace come dovrebbe, Atsumu scrolla le spalle (i clienti possono aspettare, c’è roba più importante di cui devono parlare, tipo la sua sbandata colossale).
''Il petto. E le braccia. Ha i capelli più chiari. Sembrano quasi rosa. Non hai la più pallida idea.''
''Portalo al ristorante,'' suggerisce l’altro, e Atsumu se lo immagina ghignare. ''Così verifico di persona.''
Atsumu schiocca la lingua. ''Non ci pensare neanche.''
Osamu riattacca. Atsumu sospira e affonda il viso nel cuscino. Soffia forte finché il respiro non gli scotta il naso.
Insomma, Atsumu è davvero felice. Felice di rivederlo, felice che giochi con loro. Cazzo, Atsumu è al settimo cielo. Non si è dimenticato di quello che gli ha detto alle superiori, non si è dimenticato di avergli promesso che avrebbe alzato per lui, ma ritrovarselo nella stessa squadra dopo tutti quegli anni trascorsi è… strano. Eccitante. Completamente folle.
Si spalanca un baratro sotto di lui. Non un baratro che spaventa, bensì una voragine che offre centinaia di scenari e possibilità. Atsumu si affaccia e guarda giù, la paura di cadere proporzionale solo alla voglia matta di lanciarsi e di vedere cosa c’è dentro, l’estasi che scocca nelle vene come gli spari di una pistola.
Atsumu è euforico, un delirio ubriaco gli strizza le viscere, è una specie di ansia che però scaturisce da una cosa bella, è la stessa sensazione che gli aggroviglia lo stomaco quando inizia una partita. Battaglia, vittoria, sconfitta. Hinata Shouyou è un campo da guerra.
Atsumu pensa che sarebbe divertente provare. Che sarebbe divertente provarci con lui. Se ne frega che è un compagno di squadra, se ne sbatte di quello che potrebbe succedere se le cose andassero male. La pallavolo è e rimarrà sempre più importante, Atsumu darà il meglio di sè e costringerà gli altri schiacciatori a fare altrettanto, a prescindere dai rapporti che intercorrono fuori dal perimetro di gioco.
È curioso di vedere, di scoprire, com’è Shouyou quando non ha una palla in mano, se le iridi gli lampeggiano imbevute della stessa fame mentre fa colazione la mattina, quando si lava i denti la sera. Vuole sapere se sa cucinare, se è caotico come Bokuto, qual è il suo piatto preferito, se gioca ai videogiochi, con quante persone è stato (magari è vergine, pensa. Ti piacerebbe, sussurra la voce di suo fratello in risposta. Atsumu lo zittisce, poi rivede il suo viso dorato tutto guance e lentiggini e a malincuore gli dà ragione).
Vuole sapere se il Brasile gli è piaciuto, se ha intenzione di tornarci, che fine hanno fatto gli altri della Karasuno. Atsumu vuole sapere tutto.

*

Shouyou si innamora un po’ di tutte le persone con cui gioca.
Non può farci nulla, non lo riesce a controllare. Ama la pallavolo, ama chi la pratica. La devozione dei giocatori nell’affinare battute, ricezioni, alzate e tecniche speciali, brilla come il sole, lo scalda e lo smuove. Quel luccichio di chi sacrifica la vita per quello sport gli cattura occhi e anima, come fanno gli oggetti luccicanti con le gazze ladre, come fanno i tesori con draghi. È colpa della grinta che ci mettono, della voglia di vincere, del credere in se stessi e nella squadra: Shouyou inevitabilmente si lascia infervorare.
Credeva che fosse così anche con Atsumu. Credeva che la scossa lo attraversasse solo sul campo.
Da quando vivono sotto lo stesso tetto, però, da quando Shouyou è tornato, c’è qualcosa di diverso che gli strizza lo stomaco in una maniera stranamente perpetua (è sempre lì, pensa. Quella cosa strana che gli svolazza nella pancia).
Non è solo quando giocano, che ha voglia di baciarlo. È anche - e soprattutto - quando la mattina gli prepara il caffè e ci mette un cucchiaino e mezzo di zucchero (Shouyou in realtà lo prende amaro, ma dopo il primo giorno non ha avuto il cuore di correggerlo e ha scoperto che se è Atsumu a prepararlo, il caffè gli piace in qualunque modo), oppure quando sbadiglia con gli occhi ancora gonfi di sonno, o quando cammina in punta di piedi per non disturbarlo mentre sta meditando.
Atsumu è tipo... una campanella, ecco. Un tintinnio che si palesa quando meno se lo aspetta, più volte al giorno. Shouyou magari si sta lavando i denti, o sta spolverando il tavolo, o sta giocando a Mario Kart con Bokuto, o si sta infilando le cuffiette prima di andare a correre, e poi bam!!!, pensa ad Atsumu senza preavviso. Più che campanella, forse è tamburo. Qualcosa di forte, insomma. Rumorosissimo.
E poi pensa all’odore dei limoni, perché i vestiti di Atsumu emanano il profumo di quell’agrume che ogni tanto percepisce pure se Atsumu non è a casa. O forse non sono i vestiti, forse non è l’ammorbidente, forse è proprio la sua pelle (vorrei davvero tanto scoprirlo, pensa. È possibile scoprirlo senza saltargli addosso?)
Sette minuti dopo la mezzanotte, Shouyou ancora non dorme. Soffia via l'aria come un gatto infastidito, si annoda le lenzuola fra le caviglie, gira il viso prima a destra e poi a sinistra. Del sonno neanche l'ombra e questo lo irrita, perché se c'è una cosa che ha imparato a controllare quelle sono le sue abitudini.
Fissa la porta in penombra. Pensa che Atsumu si trova a qualche metro di distanza, ci sono solo un corridoio stretto e due porte che intercorrono fra loro.
Potrebbe scivolare via dal letto, camminare in punta di piedi per non svegliare gli altri, abbassare la maniglia senza neanche bussare e infilarsi sotto le coperte accanto a lui.
E poi? E poi cosa?
Shouyou sbuffa di nuovo contro la federa. Respira il calore del suo stesso respiro. Stringe i pugni, dita premute contro i palmi. Pensa alle mani di Atsumu, affusolate, quelle che quando si allena lo cercano per battere il cinque o per accarezzargli i capelli. Le immagina intrecciate alle proprie. Le immagina più calde, più strette, più disperate.
Shouyou trema in mezzo alle cosce. Gli piace.
Affonda più forte la faccia nel cuscino e si morde le lingua, la gola chiusa e le orecchie pulsanti. Si ripete il nome di Atsumu (Atsumu-san, Atsumu-san, Atsumu-san) nella testa, si immagina di mordergli il collo e graffiargli la schiena, incidergli mezzelune sulle scapole. Respira più a fondo - l'odore di limoni, il naso sfregato contro la clavicola, le braccia serrate. Sente gli ansimi, i gemiti, le voci graffiate, pietra su pietra.
Immagina due figure bollenti annodarsi su se stesse in un groviglio irriconoscibile, i brividi gli dilaniano le interiora, arriccia le punta dei piedi e ha voglia di stringerle attorno alle caviglie di Atsumu come due mollette (ha delle belle caviglie, pensa poi. Quand’è che ho fatto caso alle sue caviglie? È normale fare caso alle caviglie della gente?).
Infine si infila le dita nelle mutande e finge che non siano le sue.
Fa caldissimo e freddissimo, febbre, gira tutto con impeto mentre l'orgasmo sale. Shouyou si sente ubriaco perso, avvelenato ma con qualcosa di dolce, sta naufragando e non riesce a capire se il mare voglia farlo annegare o sia gentile.
Lo vuole lo vuole lo vuole lo vuole lo vuole.

*

Sette minuti dopo la mezzanotte, Shouyou è sdraiato sul suo letto e Atsumu non capisce se sia felice da scoppiare o se stia per morire.
''Facciamo un gioco,'' propone Shouyou.
''Che gioco?''
''Diciannove domande.''
''Ma non ci si gioca tipo a tredici anni?''
Shouyou lo guarda e sgrana gli occhi.
''Perché tredici anni?'' domanda, inarcando le sopracciglia (rosa. Sono rosa. Forse Atsumu morirà davvero). ''A me piace. Ti aiuta a conoscere meglio le persone, e io sono curioso. Tu no?''
Atsumu scrolla le spalle. ''Immagino di sì,'' concede infine. Shouyou sorride, si sistema meglio e strofina la guancia sul cuscino (sarebbe bello, pensa Atsumu, se lasciasse le impronte delle lentiggini sulla federa. Sarebbe bello, gli risponde Osamu, se ti versassi benzina nel cervello e andassi a fuoco. Ma ti senti, quando pensi? Mi fai venire da vomitare).
''Allora inizio io. Gelato preferito?''
''Cioccolato,'' risponde, ricacciando indietro suo fratello. ''Il tuo?''
''Pure,'' dice, e scopre i denti. Atsumu vorrebbe leccarli. ''Dimmi una cosa strana che fai.''
''In che senso?''
''Non lo so, un’abitudine. Tipo che metti il sale sulle finestre perché sei scaramantico. È un esempio,'' si affretta a specificare Shouyou, vedendo che Atsumu ha già spalancato la bocca.
''Uhm…'' Atsumu ci pensa. Un’abitudine strana? Non ne ha, tranne il fatto che da quando vede Shouyou tutti i giorni, il mondo gli sembra più dorato, come se camminasse su un raggio di sole. Ma questo non può mica dirglielo.
''Non riesco a dormire se non abbraccio il cuscino,'' dice di botto, poi si vorrebbe prendere a sprangate in faccia per averlo fatto.
Shouyou ridacchia. ''È una cosa tenera.''
''Dimmene una tu.''
''Mmh,'' Shouyou ci riflette qualche istante, poi schiude le labbra. ''Oh! Porto sempre i calzini diversi!''
E come per confermarlo, scalcia con le gambe e arriccia le dita dei piedi.
È vero, sono diversi, uno è giallo e l’altro è arancione. Atsumu non ci ha mai fatto caso.
''Questa è una cosa tenera,'' risponde. Poi torna a guardarlo in faccia. Gli occhi di Shouyou brillano. Atsumu potrebbe chinare il viso e…
''Hai mai baciato Kita-san?''
''Cosa?'' Atsumu starnazza. ''Kita-san? Perché avrei dovuto baciare Kita-san?''
''Non lo so,'' borbotta Shouyou, e fa spallucce. ''Magari stavate insieme al liceo.''
''Ma che cazzo, no. Io avevo paura di Kita-san. Ho ancora paura di lui,'' si corregge Atsumu. Poi apre la bocca. Quello è il momento giusto per chiederglielo. Non c’entra l’insicurezza, davvero, ma deve sapere, è una curiosità che ha da troppo tempo. ''Tu hai mai baciato Kageyama?''
''No, ma ti pare?''
''Grazie agli dei,'' sbotta Atsumu, e sospira. Insomma, non c’entra l’insicurezza - ripete a se stesso, e quasi se ne convince - è solo che Kageyama è primo nel ranking, ha partecipato prima di lui alle olimpiadi. Non gli andava che fosse il primo anche in quello.
''Qual è la cosa più strana che hai fatto mentre flirtavi con qualcuno?''
Atsumu ci pensa per qualche istante. ''Mi sono finto Osamu.''
''Cosa?''
''Praticamente c’era questa ragazza al liceo. Mooolto carina. Ma lei si era presa una sbandata per ‘Samu - non chiedermi perchè. Perciò mi sono tinto i capelli come lui e l’ho invitata a uscire.''
''E se n’è accorta? Cioè, che non eri lui.''
''Lasciamo stare,'' borbotta Atsumu - no, davvero, quello è un episodio che non vuole ricordare. ''Tu?''
''Io ho fatto finta di essere veggente.''
''Cosa?''
Shouyou ride. Ora è veramente vicino. Quando si è avvicinato così tanto? Atsumu potrebbe contargli le ciglia.
''Ero molto ubriaco. Ed ero in Brasile. E c’era questo tizio, e allora gli ho detto ‘lo sai, ho inventato una magia che mi permette di capire se sei mancino o destrorso. Vuoi vedere se indovino?''
''È la cosa più stupida che abbia mai sentito.''
''Vero, però mi ha baciato. Quindi ha funzionato.''
Di certo non per la tua teoria, pensa Atsumu. Magari anche lui potrebbe fingersi veggente, in quel momento. Potrebbe fingere di saper leggere le carte, o le foglie di tè. Potrebbe dirgli che sa leggere le mani, e poi se le metterebbe in bocca. E poi lo spoglierebbe, e gli leccherebbe ogni millimetro di pelle, e gli conterebbe le lentiggini sulle spalle, e i cuscinetti delle vertebre. È un po’ terrificante, in realtà, l’intensità con cui Atsumu vorrebbe dargli tutto quello che possiede, spiaccicargli la sua stessa anima addosso come una palla di vernice, farsi esplodere come un fuoco d'artificio e rimanergli impresso nelle pupille.
''Qual è la cosa che ti eccita di più?''
Silenzio, secondi che passano. Atsumu sbatte le palpebre, impiega un po’ a capire. Si rigira quella frase nella testa un paio di volte, finalmente decifra l’ammasso di lettere. Lo sguardo di Shouyou brilla, la malizia incastonata fra le iridi come quarzi.
Tu, pensa. E sta quasi per dirglielo, quel ‘tu’ è sulla punta della lingua, basterebbe un soffio. Poi però si rende conto che lui a quel gioco sta perdendo, che Shouyou sta imponendo il suo ritmo come un avversario, e ad Atsumu perdere non è mai piaciuto. Quindi ghigna a sua volta, i denti luccicanti di saliva.
''Vuoi che ti faccia vedere?''
Lo sguardo di Shouyou tremola appena, perchè hah, non se l’aspettava. Quindi l’elettricità giunge impetuosa, si addensa intorno a loro e li avvolge come una bolla, e smettono di esistere la destra e la sinistra, il sotto e il sopra, c’è solo Shouyou che è centro pulsante del suo campo visivo, quindi si avvicina e-
''Hinata.''
Sakusa bussa alla porta. L’incanto si spezza con il rumore secco di un ramoscello. Atsumu si tira indietro, e nello sguardo di Shouyou lampeggia qualcosa di grigio.
''Lo so che è tardi,'' continua Sakusa, in un borbottio. ''Ma ti prego, devi aiutarmi.''
La sua voce è così devastata che persino Atsumu si incuriosisce, accantonando per un momento la disfatta.
''Che succede?'' domanda Shouyou preoccupato, alzandosi dal letto.
''C’è un verme sotto il comodino.''
In quel momento, Atsumu vorrebbe avere un molotov.

*

Sette minuti dopo la mezzanotte, Shouyou pensa che la felicità è fatta di piccole cose.
Cose appena visibili, rugiada destinata a svanire sotto il primo sole, ma dolce e umida.
Il buio della notte è frammentato dai lampi che trapassano dalla finestra, i tuoni rimbombano fra le pareti e il cielo vomita secchiate d’acqua sulle tegole. A Shouyou la pioggia non piace, il temporale invece sì. Gli fa venire i brividi dietro al collo.
Mentre ode lo scroscio impietoso, pensa ad Atsumu e alle piccole cose che lo rigurardano e che ha iniziato a segnarsi mentalmente da quando è arrivato in Giappone, catalogandole nel cervello con le etichette colorate.
#1- etichetta blu: Atsumu canta. Sempre, mentre cucina, mentre pulisce, mentre si lava. Ed è ossessionato dalla musica francese, perciò oltre a cantare storpia tutte le parole di cui non conosce il significato. Quando Shouyou gli ha chiesto perchè proprio il francese, Atsumu ha detto che la trovava una bella lingua (e il fatto che Shouyou il giorno dopo abbia comprato un libro chiamato ‘francese per principianti è un’altra storia).
#2- etichetta verde: Atsumu ha un’ossessione per i capelli. Balsami, shampoo, creme, maschere, nel bagno c’è di tutto. Si decolora una volta al mese. Shouyou per adesso ha assistito due volte ipnotizzato, mentre Atsumu si passava il pennello sulle radici con la lingua stretta tra le labbra. (''Il mese prossimo,'' gli ha domandato dopo Shouyou con gli occhi affamati, ''posso aiutarti?'' E Atsumu ha detto ''sì'', poi il barattolo con la decolorazione si è rovesciato e Sakusa li ha quasi uccisi.)
#3- etichetta viola: Atsumu colleziona magnetini. Non gli piace viaggiare, ma pretende che gli altri riportino sempre roba da appiccicare al frigorifero.
#4- etichetta rossa: Atsumu deve sentire suo fratello almeno una volta al giorno, altrimenti soffre come un cane (come se fosse una specie di robot, tipo Wall-e, pensa Shouyou, e Osamu è l’olio per non farlo cigolare).
#5- etichetta verde scuro: Atsumu è estremamente disordinato. Pulisce gli spazi comuni per amor del quieto vivere con Sakusa, ma la sua stanza è il caos più totale. L’armadio, però, brilla. Vestiti ordinati per colore, per stagioni, per delicatezza (quelli da lavare a mano separati da quelli che possono andare nella lavatrice), perfettamente piegati affinché non ci sia bisogno di stirarli.
Atsumu i vestiti non li presta a nessuno. Due anni che Bokuto prova a chiedergli una camicia bianca, due anni che Atsumu scuote la testa. Shouyou una volta, dopo che avevano vinto una partita, ha provato a chiedergliela per scherzo. Atsumu l’ha guardato per qualche istante e poi ha detto ''sì, certo, puoi prendere tutti i vestiti che vuoi, non devi mica chiederlo'' (e qualcosa dentro Shouyou è esploso).
#6- etichetta non lo so (non ha ancora un colore, per questa): Atsumu è difficile da capire. È complesso, a discapito delle apparenze. Sembra la persona più sicura del mondo, poi una volta ha bussato alla sua porta e con un sospiro depresso si è buttato sul suo letto, come se volesse finire risucchiato dal materasso. Alla fine, Shouyou ha scoperto che era triste per un allenamento andato male avvenuto tre settimane prima, e Atsumu non riusciva a smettere di pensare alle ricezioni sbagliate. E Shouyou gli ha accarezzato la schiena e dentro di sè si chiedeva come fosse possibile che una persona così fiduciosa - a tratti arrogante - come Atsumu, dubitasse di se stessa. È strano, è incoerente, Atsumu è un groviglio sfaccettato di contrasti, delle volte è megalomane, delle volte si schiaccia, si chiude su se stesso come un riccio, come se volesse scomparire, evaporare, per un minuscolo errore.
La fiducia sfacciata lo rende bello da guardare, gli regala l’alone dorato che hanno le divinità, le insicurezze lo rendono tenero, vero (e Shouyou stravede per ogni suo estremo).
Un altro lampo, un altro tuono. Atsumu è un raggio di sole. Shouyou si abitua alla sua voce, ai suoi silenzi, impara a comprendere quando è infastidito, quando è felice, quando si sente umiliato. Impara qual è la cosa giusta da dire e il momento giusto in cui farlo. Quando invece parlare non serve, ma basta preparare il tè. E si sente orgoglioso, di aver compreso così tanto, e si sente anche eccitato alla prospettiva che c’è ancora così tanto da scoprire.
Atsumu si fonde con le sue abitudini, o forse è Shouyou ad amalgamarsi a lui, e diviene la lancetta che scandisce il suo tempo, e d'improvviso il ticchettio dei secondi smette di fare paura.
Shouyou prende il telefono.
''Kenma,'' dice, quando l’amico risponde. ''Come faccio a sapere se sono innamorato di qualcuno? Intendo, in maniera seria.''
Kenma impiega qualche istante a rispondere, Shouyou sente in sottofondo i rumori di una sparatoria e le dita che cliccano veloci sui tasti.
''Credo sia come con i videogame,'' risponde l’altro, dopo qualche secondo. ''Se non ti stufi dopo un po’, sei sulla strada giusta.''
''Perciò devo solo aspettare?''
''Forse,'' dice, poi impreca e soffia: crepa, stronzo di merda!. ''Non dicevo a te, ovviamente,'' aggiunge in fretta. Shouyou ride.
''Però,'' continua poi, ''il fatto che tu me l’abbia chiesto significa che c’è già qualcosa di diverso rispetto alle altre volte.''
''Hai ragione!'' esclama Shouyou, spalancando gli occhi. ''Sei un genio!''
''Lo so,'' dice l’altro. Poi esita. ''Ti prego. Mi va bene chiunque, tranne Atsumu Miya.''
Shouyou ride. Per quello è troppo tardi.

*

Sette minuti dopo la mezzanotte, la retina degli occhi si fa più sottile, un po' come se si sciogliesse. Atsumu immagina i bulbi dei suoi occhi liquefarsi come plastica sciolta, colare lungo le orbite vuote. Il senso oggettivo della vista viene rimpiazzato dal ricordo, in cui i colori sono sempre o troppo spenti, o troppo vivaci per essere veri.
Poi i ricordi si trasformano in incubi, e al buio, mentre i lampi biancheggiano sui muri e i tuoni rimbombano nella piccola stanza, Atsumu ha paura.
Le mani sono premute contro le orecchie, le palpebre così serrate da far male. Ma la tempesta trova comunque il modo di oltrepassare la barriera fatta di ciglia scure e pelle sottile, perché Atsumu ha gli occhi chiusi ma il suo corpo - la sua anima - si trasformano in un colabrodo. Il panico ha mille pertugi attraverso cui scivolare, mille modi per infiltrarsi fra le ossa, nidificare, e far marcire il sangue di terrore. Vede i fulmini e sente i tuoni, ma non sa se siano reali o proiezioni del suo inconscio. Non importa, comunque.
Atsumu è paralizzato. Non c'è niente di sensato nel modo improvviso in cui diventa vulnerabile, nel modo in cui si sente morire, quando di notte scoppia all'improvviso un temporale (e a lui la pioggia piace). E lo sa, lo sa che i fulmini sono solo luce, lo sa che i tuoni sono soltanto rumore, ma nonostante la consapevolezza oggettiva Atsumu trema, batte i denti come se fosse in preda alla febbre.
Ma non può fare altro che aspettare, attendere che il cielo smetta di ululare.
Vorrebbe suo fratello. Vorrebbe che suo fratello lo abbracciasse, ma Osamu non c'è, Osamu non c'è e lui si sente dilaniato come se avesse un cavatappi in testa che gira, che gli arpiona le cervella.
Poi pensa a Shouyou. A dividerli ci sono due porte e un corridoio.
Atsumu pensa che se Shouyou fosse lì con lui, che se le loro mani, braccia, gambe fossero avviluppate come edera, che respirasse il suo respiro, che se sentisse le sue labbra, la sua fronte, allora forse la notte riuscirebbe a fargli meno paura.
Potrebbe chiamarlo. Potrebbe dare voce al grido ininterrotto nella sua testa.
Ma Atsumu stringe i denti e si costringe a respirare. Pensa a Shouyou che fruga nel suo armadio alla ricerca di vestiti da rubare. Pensa a quando glieli restituisce e si sente un’ombra del suo odore. Pensa che spegne il microonde un minuto prima per non sentire il beep che lo infastidisce, che quando guarda la televisione il volume deve essere sempre un multiplo di cinque. Pensa alla sua ossessione con le guide turistiche, al fatto che vorrebbe andare ovunque e Atsumu si vergogna come un cane perché a lui viaggiare non piace.
Atsumu ci prova, si concentra sulle cose che ha scoperto, su quelle che vuole scoprire ancora, tenta di sovrapporre il suo odore a quello stagnante della tempesta, l'arancione caldo al biancore straziante dei fulmini.
Non funziona.
(La notte fa davvero troppa, troppa, troppa paura.)

*

Sette minuti dopo la mezzanotte, qualcuno soffia alla sua porta.
''Shouyou-kun? Sei sveglio?''
Shouyou balza a sedere, il materasso scricchiola provato dal suo movimento brusco. ''Certo,'' esclama a mezza voce, per non disturbare gli altri. ''Vieni.''
Atsumu schiude la porta e ci scivola attraverso. Si siede sul letto accanto a lui e punta gli occhi sulla parete.
''È successo qualcosa?''
''No,'' risponde Atsumu. ''Ma sono andato in cucina per bere e ho visto che avevi la luce accesa, e non è da te, perché di solito vai a dormire tipo prestissimo, perciò…''
Atsumu termina la frase biascicando qualcosa di incomprensibile. Shouyou incurva le labbra in un sorriso gentile.
''Non avevo sonno,'' spiega. ''Non so perché. A volte succede.''
Atsumu annuisce. Shouyou lo osserva e vede le occhiaie violette incorniciargli gli occhi.
''E tu?''
''Io cosa?''
''Tu perché non dormi?''
''Come fai a sapere che non dormo?''
''Perché sembra che ti abbiano preso a cazzotti,'' risponde Shouyou. ''Hai le occhiaie che ti toccano i piedi.''
''Beh, grazie mille,'' soffia Atsumu, stizzito.
Shouyou ridacchia. ''Non era un insulto alla tua faccia, Atsumu-san.'' Anche perché, Atsumu è bellissimo a prescindere, ma questo non glielo dice. ''Allora? Perché non dormi?''
''Non posso dirtelo.''
''E perché?''
''È imbarazzante.''
Shouyou lo fissa, lo sguardo acceso di curiosità. Ora qualunque ombra di sonno si è dissolta definitivamente. Shouyou vuole sapere.
''Giochiamo a diciannove domande.''
''Ancora?''
''Non ti va?''  
Atsumu si limita a rivolgergli un’occhiata vispa, le pupille luccicanti come quelli degli uccelli, poi scopre i denti in un ghigno e scrolla le spalle.
''Va bene,'' dice allora. ''Però devi giurare che non lo dici a nessuno, perché è davvero imbarazzante.''
Shouyou promette, Atsumu si fissa le gambe e Shouyou vorrebbe che si avvicinasse di più, vorrebbe toccargli col piede il polpaccio, infastidirlo, fargli il solletico. Vorrebbe, vorrebbe, vorrebbe. Vorrebbe fare tante cose. C’è solo troppo desiderio.
''Ho paura del temporale.''
''Cosa?'' esclama Shouyou, la sorpresa che lo porta a staccare lo sguardo dalle sue cosce e a fissarlo sul suo viso. ''Dei temporali? Davvero?''
''Sì,'' annuisce Atsumu. ''Perdo completamente il controllo. Non capisco più un cazzo.''
''Ma in questi giorni ha fatto sempre il temporale.''
''Per quello non ho dormito.''
''Perché non me l’hai detto? Avrei potuto aiutarti.''
''Shouyou-kun, per quanto tu sia bravo in tutto, non credo che tu sappia come controllare il meteo.''
Shouyou esita. ''Potrei imparare,'' dice infine.
(Per te lo farei.)
Atsumu gli rivolge un sorriso gentile. Adora quell’espressione, non la vede mai. Atsumu di solito ghigna, perciò il suo sorriso privo di malizia è qualcosa di raro. E gli sta benissimo. ''Lo sai, dopo tutto quello che hai fatto forse ci riusciresti davvero.''
Shouyou ridacchia e in quel momento quelle manciate di centimetri che li separano diventano dolorose, bruciano come fuoco.
''E tu invece? Hai paura di qualcosa?''
Shouyou apre la bocca d’istinto per dire che no, non ha paura di niente. Poi però si blocca e la richiude, riflette. C’è qualcosa che lo manda nel panico più totale? C’è qualcosa che lo terrorizza sino a pietrificarlo?
''I posti chiusi,'' mormora quindi, un po’ spaesato. ''E tutto quello che mi fa sentire intrappolato.''
In realtà, Shouyou ha paura di tante cose. Qualunque obbligo lo rende recalcitrante, qualunque imposizione dettata da fattori che non dipendono da lui, iniziando dall’altezza con cui è nato che l’ha ostacolato nella pallavolo. Shouyou ha paura di tutte le cose che non può controllare, di tutto ciò che è ineluttabile a prescindere dalla sua volontà, di tutto ciò che lo muta in un pesce nella rete, le corde che incidono la pelle sottile, che lo fa sentire schiacciato da montagne. Per questo gli piace smentire le aspettative delle persone, per questo gli piace sfidare gli altri e se stesso, per squarciare i drappi che lo mummificano, per allargare le sbarre della gabbia in cui si trova. Ma mica ci riesce sempre.
Atsumu gli stringe il polso. Shouyou sbatte le palpebre e ritorna con la mente nella sua stanza.
''Scusa,'' dice. ''Mi ero incantato.''
Atsumu si limita a stringergli il polso più forte.
''Credo che dovremmo andare a dormire,'' osserva poi Shouyou, e Atsumu annuisce.
''‘Notte,'' risponde l’altro, e quando si alza Shouyou avverte un bracciale di ghiaccio rimpiazzare la sensazione tiepida lasciata dalle sue dita.
Resta, vorrebbe dirgli. Dormi qui.
Non dice niente, e Atsumu si chiude la porta alle spalle.

*

Questa volta, Atsumu non sa che ore siano. È notte, ma potrebbero essere le dieci, come le due, come sette minuti dopo la mezzanotte. Ha di nuovo la faccia schiacciata contro il cuscino, le mani serrate a pugno contro le orecchie. Vorrebbe premere più forte, perforarsi i timpani con gli indici per non dover più sentire.
Gli occhi sono cuciti dalle ciglia. I lampi bianchi e i tuoni trovano il modo di raggiungerlo comunque.
Atsumu respira. O almeno ci prova. Nel caos che si apre a corolla dentro il suo stomaco, in quella sistole e diastole di luce e rumore, prova almeno ad avere un respiro regolare. Inspira, espira, inspira, espira, conta i secondi che passano - troppo lenti, lenti, lenti, sembrano intrappolati nel fango - e spera che ne manchino pochi alla fine della tempesta.
Qualcosa cigola, ma Atsumu percepisce quel rumore a malapena, troppo concentrato a tenere a bada quella marea di sconforto che si gonfia nello stomaco come i peli rizzati di un gatto. Quando qualcosa gli tocca la guancia, però, sbarra gli occhi e sobbalza.
Nella penombra, scorge il viso di Shouyou che lo guarda preoccupato. Un lampo lo illumina, Atsumu ha giusto un istante per pensare che sia stupendo (persino adesso?, domanda la voce sconvolta di Osamu, ricordati che ti stai cagando sotto), poi chiude di nuovo gli occhi e preme più forte le dita contro le orecchie perché sa che il tuono sta per arrivare.
E difatti il tuono arriva, e quello è uno scoppio, e Atsumu affonda di nuovo la faccia nel cuscino più incasinato di prima. La tempesta ora è vicinissima, e c’è pure Shouyou che lo fissa. Atsumu pensa che dovrebbe darsi un contegno, che dovrebbe trovare almeno il coraggio per mandarlo via, non ci vorrebbe che qualche istante, ma l’idea di aprire gli occhi è un’utopia. Non riesce a muovere un muscolo, ha perso il controllo.
Quello è un terrore così vero, così intenso, che fugge dalla razionalità. Non può scacciare Shouyou - lampo, tuono - non può scacciarlo, spera solo - lampo, tuono forte, fortissimo - spera solo che non chiami gli altri perché è già abbastanza umiliante così.
Shouyou si sdraia al suo fianco. Atsumu non lo vede, ma percepisce il suo corpo. Se solo non ci fosse il temporale, se solo Atsumu non avesse così tanta paura, (se solo, se solo, se solo), scoppierebbe di gioia - lampo, tuono, lampo, doppio tuono - per favore fermati, fermati, fermati.
Shouyou lo abbraccia. Atsumu sente la manica del suo pigiama premere contro la guancia, le sue dita che gli pettinano i capelli.
''Non posso mandare via il temporale,'' dice Shouyou - è una voce che fa pensare al sole, sole contro i cumulonembi. ''Però posso restare qui e provare a far passare il tempo più veloce.''
No grazie, vorrebbe rispondere Atsumu. Lo apprezzo molto ma te ne devi andare.
Poi però rimbomba l’ennesimo tuono fortissimo, e l’istinto di Atsumu è quello di schiacciare la fronte contro la prima cosa che si trova davanti, come uno struzzo quando ficca la testa sottoterra. Prima c’era il cuscino, adesso c’è la clavicola di Shouyou.
Merda, pensa Atsumu.
Shouyou poggia la fronte contro la sua. Un'ulteriore barriera contro la paura.
''C’era una volta una bambina di carta*,'' sussurra Shouyou.
''Cosa?'' gracchia Atsumu, la voce distorta, spezzata. ''Mi stai davvero per raccontare una favola?''
''Potrei raccontare barzellette,'' propone l’altro, ''ma non sarebbero divertenti come le tue.''
Atsumu vorrebbe ridere. In realtà, Shouyou potrebbe distrarlo in altri modi. Tipo con uno spogliarello, tipo leccandogli il collo, tipo infilandogli le mani nelle mutande. E forse, forse, in quel caso riuscirebbe a tenere gli occhi aperti nonostante i lampi, riuscirebbe a non sentire i tuoni.
Di nuovo un boato che scoppia, il cuore in gola. No, non quella sera. Atsumu vuole baciarlo, ma non così, non in quella situazione.
''Una storia va bene,'' soffia allora, e Shouyou inizia a raccontare.
E la tempesta non finisce. E la tempesta è imperterrita, prosegue per ore, ma Shouyou rimane, continua ad accarezzargli la schiena e la nuca (e si sa, le carezze quando si è vulnerabili si sentono di più).
È davvero capace di controllare il tempo, pensa Atsumu, o forse glielo dice ad alta voce. Perché sì, continua a piovere, fulmini e tuoni scoppiano alla finestra, riecheggiano fra le pareti. Shouyou però è come un raggio di sole, e Atsumu ci si aggrappa stretto.
(La notte fa ancora paura, ma un po’ meno.)

*

Osamu crede nell’amore. Ci crede perché l’ha sperimentato in prima persona: l’amore che lui prova per la cucina, l’amore che Atsumu prova per la pallavolo, quella passione che si trasforma in ragione di vita e che ti spinge ad alzarti, a cadere, ad alzarti di nuovo nonostante i fallimenti, nonostante i lividi, il sangue, la depressione, la sensazione (delle volte certezza) di non farcela, buio assoluto. Nonostante tutto, si continua. Si respira, un passo indietro, a volte due, delle volte si cambia completamente strada, ma non ci si ferma.
Osamu crede nell’amore pure perché suo fratello gli prova che esiste ogni giorno. Atsumu è quella parte di lui senza la quale si dissolverebbe in un soffio. Atsumu è quella parte di lui con cui può permettersi di essere sincero, nudo. Atsumu è l’unica parte, di lui e del mondo, di cui si fida completamente.
L’amore, secondo Osamu, è quando puoi permetterti di dire la verità, sempre.  
Sette minuti dopo la mezzanotte, Osamu serve gli onigiri a Shouyou e a suo fratello e mentre li osserva pensa: questo è amore.

*

Sette minuti dopo la mezzanotte, Shouyou si porta il boccale di birra alle labbra. Non è ubriaco, ma si sente piacevolmente leggero, i colori sono brillanti e le risate dei compagni riecheggiano ovattate. Hanno vinto la partita contro gli EJP-Raijin e adesso festeggiano. Atsumu, bagnato dalle luci calde dell’izakaya, risplende. Shouyou non riesce a smettere di fissarlo. Vorrebbe sbottonargli il colletto della camicia e affondargli i denti nel collo, lasciargli solchi e graffi sulla pelle, cucirgli la sua ombra addosso. Vorrebbe fare tante troppe cose, e l’adrenalina che circola nel sangue non lo aiuta a sopire quel bisogno famelico di stringerlo (non di stringerlo, quanto di possederlo, marchiarlo, fargli male e fargli bene, Shouyou vorrebbe fare qualcosa di folle, vorrebbe fargli perdere completamente il contatto con il reale, vorrebbe portarlo in un posto dove non ha mai portato nessuno).
Shouyou si sente vittima e artefice di un vortice che non riesce più a controllare. Punta gli occhi su Meian seduto di fronte a lui, concentra l’attenzione sulle sue parole, tenta di partecipare alla conversazione ignorando il ginocchio di Atsumu che sfiora il suo da sotto al tavolo.  
Poi delle persone lo guardano e ammiccano. Shouyou non è geloso, ma qualcosa nella testa scatta comunque. Senza pensare (perché non vuole), nasconde la mano sotto al tavolo imbastendo quanta più naturalezza possibile. Inizia a chiacchierare con Shion e nel frattempo le sue dita sfiorano il ginocchio di Atsumu, che si irrigidisce al suo fianco. Shouyou non lo guarda, si complimenta con Shion per la splendida ricezione del secondo set, e nel frattempo fa risalire la mano lungo la coscia. Sente il tessuto dei jeans, il tepore della pelle. La gamba di Atsumu sussulta, a Shouyou scoppiano stelle filanti davanti agli occhi. Continua a risalire piano, fa scivolare le dita nella parte interna, gli molla un pizzico, lascia carezze a forma di cerchietti con il pollice.
''Atsumu, va tutto bene?''
Meian gli offre la scusa per voltare il viso. Shouyou scopre i denti in un ghigno quando vede l’espressione sbarrata di Atsumu.
''Sì, sto be-''
Shouyou ne approfitta e gli poggia la mano dritta fra le gambe. È duro come l’acciaio, e il sorriso diventa ancora più crudele quando Atsumu boccheggia ed è costretto a interrompersi lasciando la frase a metà.
''Devi vomitare?'' domanda preoccupato Shion, e Sakusa disgustato allontana la sedia dal tavolo.
''Non devo vomitare,'' lo rassicura Atsumu, riprendendo a parlare. ''Non adesso, almeno. Ma non mi sento molto bene, perciò me ne torno a casa.''
''Ti accompagno,'' civetta Shouyou angelico, ''nel caso potrei reggerti la testa.'' Atsumu gli scocca un’occhiata assassina, poi sbuffa.
''Omi, passami la giacca.''
''Alzati e prenditela da solo.''
''Vuoi che ti vomiti addosso?'' sbotta Atsumu. Sakusa inarca un sopracciglio e non si muove, quindi Bokuto allunga un braccio e gliela porge. Atsumu, da seduto, si infila il cappotto leggero, che copre quello che deve coprire al momento, poi si alza. Shouyou saluta gli altri e lo segue nella notte, una felicità surreale che scorre al posto del sangue. Marciapiede semideserto, luci fioche dei lampioni.
''Sei arrabbiato?''
''Sì,'' risponde Atsumu. ''No. Non lo so. Perché l’hai fatto?'' domanda poi.
Shouyou fa spallucce. ''Mi andava.''
''Anche a me va di fare un sacco di cose, ma non per questo lo faccio.''
La voce di Shouyou è un sussurro. ''Forse dovresti.''
Atsumu si blocca. Shouyou si blocca un passo dopo il suo. Sorride quando le dita di Atsumu gli circondano a coppa le guance calde, chiude gli occhi quando avvicina il viso e i loro nasi sfregano. Sente il suo respiro rimbalzare nel proprio, il pollice lambirgli lo zigomo. Shouyou porta la mano sopra quella di Atsumu, la stringe, e Atsumu finalmente lo bacia.

A Shouyou tremano le ginocchia. Ha la certezza che fra poco si scioglierà come un biscotto al sole, carta sotto le gocce di pioggia. Atsumu non bacia affatto come si aspettava. Credeva che la pancia si sarebbe squarciata per la fame, credeva che sarebbe stato tutto denti e morsi, invece Atsumu è quella combo perfetta fra tenerezza e decisione, è l’acqua densa e salata dell’oceano che però ti fa galleggiare, ti fa priva del peso e ti spinge verso il sole.
Quando Atsumu allontana il viso e gli sorride leccandosi le labbra, Shouyou rimane spiazzato per qualche istante. Poi gli allaccia le braccia intorno al collo.
''Baci incredibilmente bene,'' soffia. Lo sai?
Atsumu sorride, sornione. ''Sì, me lo dicono tutti.''
''Un altro ancora?''
E Atsumu magnanimo lo accontenta. Adesso però Shouyou sente i denti, percepisce l’urgenza, perché le dita di entrambi si uncinano i vestiti, disperati, respiri corti e pesanti. Shouyou vorrebbe essere scopato lì, in mezzo alla strada, non gli importa che qualcuno li veda. Si appiattisce contro il muro, apre la bocca per proporglielo-ordinarglielo-supplicarlo, le mani svelte che trovano i bottoni dei pantaloni. Atsumu però si stacca dal suo collo e gli mette la mano sul petto - tentativo di respingerlo, di respingere se stesso.
''Casa,'' ringhia, ''dobbiamo andare a casa.''

*

Sette minuti dopo la mezzanotte sono passati da un pezzo. Sono passati da un pezzo, ma mentre Atsumu si chiude la porta alle spalle la concezione dei secondi, delle lancette, del tempo che scorre rimane fuori, seduta come un cane nel corridoio che separa le loro stanze - non può entrare, niente li può toccare. In quel momento, in quel posto, in quell’attimo che possono far durare quanto vogliono, ci sono solo gli occhi di sgranati di Shouyou che brillano. Atsumu lo vede, lo vede dentro.
Groviglio sul letto, vestiti che scivolano via, carne bollente, ossa che tremano, saliva.
Atsumu gli prende le mani, se le porta alla bocca, le morde piano, gli succhia le dita, gli bacia i polsi come se fossero fatti di cristallo (Shouyou non è fragile bensì prezioso, e Atsumu ha riguardo).
Mentre affonda i denti su ogni briciolo di pelle a cui può arrivare, mentre Shouyou gli lecca il collo fino a salire all’orecchio, Atsumu sente di avere tutto, e non in senso metaforico. Fra le sue braccia, Shouyou diventa un’entità pulsante, le radiazioni di una stella. Ho tutto, pensa, e ci crede davvero. Lascia che il suo corpo sprofondi in quella luce - che si squagli, pensa, va bene tutto, va bene qualunque cosa.
Stringe l’anima di Shouyou. Trema come le ali di un passero, come se fosse sovraccarica, pronta a scoppiare, ma è nuda ed è sua, in quel momento è sua, la possiede, può farci quello che vuole.
''Apri le gambe,'' dice.
Shouyou sorride sghembo e spalanca le cosce. Lascia che Atsumu lo guardi, la fame che cresce insaziabile, poi gli afferra il  viso con forza e lo costringe a riportare l’attenzione sui suoi occhi. Atsumu sente i suoi polpastrelli scavargli nelle guance. Shouyou lo guarda come se volesse mangiarlo, come se volesse essere mangiato.

''Shouyou,'' sussurra Atsumu dopo, corpi sudati ma stretti, labbra sulla fronte. ''Somigli a un raggio di sole.''
(La notte non fa più paura.)

*

Atsumu entra nella stanza in punta di piedi, Shouyou lo aspetta sdraiato con un sorriso sghembo. Non l’hanno ancora detto agli altri, anche se probabilmente Bokuto e Sakusa l’hanno capito (ci provano ad essere silenziosi, davvero).
Atsumu si infila sotto le coperte, Shouyou si porta sopra di lui e gli morde l’orecchio, le mani veloci che scivolano sotto il suo pigiama, pelle d’oca sotto le dita. Shouyou pensa: voglio che duri per sempre. Lo farò durare per sempre.
Gonfia perciò le guance con disappunto quando Atsumu sposta il viso mentre sta per baciarlo e lo allontana di qualche centimetro.
''Che hai fatto?''
''Niente,'' risponde subito Atsumu. ''Prima però posso chiederti una cosa?''
''Vuoi giocare a diciannove domande?''
''Tipo, però ne ho solo una.''
Shouyou incrocia le mani sul suo petto e ci poggia il mento sopra, lo guarda dal basso, vigile, pronto a rispondere come in attesa di una battuta - avambracci in posizione, leggerezza, tempismo. Sente il battito del suo cuore rimbalzargli contro il palmo. Shouyou schiaccia la mano più forte per sentirlo. Vibra contro la pelle, il ritmo si mischia al suo sangue, è disarmante, meraviglioso. (No, davvero, il cuore batte, Atsumu respira, Atsumu esiste, è un rapporto causa-effetto struggente). In quel momento afferra l’assurdità e l’immensità di essere vivi, si sente così grato che ha voglia di mettersi a piangere.
Atsumu apre la bocca. Poi la richiude. Poi la riapre. Poi la richiude. A quel punto, Shouyou si preoccupa.
''Atsumu-san, è una cosa brutta?''
''No,'' dice l’altro. ''È solo imbarazzante.''
Shouyou gli strofina il muso fra i bottoni delle clavicole, per incoraggiarlo. Atsumu sospira, poi lo guarda. ''Tra di noi c’è solo sesso?''
Shouyou ritira tutto, Atsumu è un idiota. Sgrana gli occhi - ma davvero, si può essere così scemi?
''Come?''
''Tra di noi c’è-''
''Ti ho sentito,'' lo interrompe. ''Era un come incredulo, Atsumu-san. Tipo un: ma che cazzo stai dicendo?''
''Oh,'' risponde Atsumu. ''È un no, vero?''
''No cosa?''
''No che non è solo sesso. Perché per me non lo è.''
''No che non lo è.''
Atsumu gli soffia un meno male in fronte. Shouyou ha il sospetto che si ritroverà a doverlo tranquillizzare spesso (ma è una cosa tenera, gli piace, va bene).
''Ora mi puoi baciare?''
Atsumu lo accontenta. Mentre si aggrappa alla sua schiena, prima di lasciarsi trascinare, Shouyou si domanda come faccia una persona che bacia così bene a essere così insicura.
''Aspetta un momento,'' dice Atsumu, staccandosi di nuovo - e Shouyou, che non è di indole violenta, adesso ha davvero voglia di mollargli un pugno. ''Che ore sono?''
''È importante?'' piagnucola, addentandogli il collo. Le orecchie di Atsumu arrossiscono.
''Sì, lo è.''
Shouyou sospira, poi afferra il telefono sul comodino.
''Sette minuti dopo la mezzanotte,'' dice, prima di tornare a spalmarsi su di lui. ''Contento?''
Atsumu lo guarda e Shouyou si sente la cosa più preziosa al mondo, si sente il mondo di qualcuno, un raggio di sole, una galassia, tutto. ''Non immagini quanto.''




*riferimento al libro ‘Il viaggio straordinario di Olga di carta’, di Elisabetta Gnone


Note di Cora
Si distribuiscono secchi per vomitare! Gratuitamente, pensate un po'!
No, comunque, mi dispiace. La cosa divertente è che io ODIO scrivere fluff, odio scrivere hurt/comfort, odio scrivere storie prive di angst, perciò prendiamoci un momento per applaudire il clown che sono.
Che poi, a me piace il lieto fine, lo adoro, ma deve essere sofferto e sudato. In questa storia non c'è niente di sofferto e sudato. Io davvero non so da dove l'abbia cacata, questa cosa.
Detto ciò!  Intanto io ringrazio come sempre time_wings, che mi ispira anche quando non sa di averlo fatto (la storia sul veggente che per flirtare finge di indovinare se x sia destrorso o mancino è tutta vera, gente! Un applauso anche a lei!), e ringrazio voi per essere arrivati sin qui e per aver letto. ♥ Alla prossima, nella speranza di tornare con qualcosa di decente.
See ya!
p.s.: il titolo è preso dal libro 'Sette minuti dopo la mezzanotte', che non c'entra assolutamente niente con questa storia ma visto che questo è il mio spazio ne approfitto per CONSIGLIARLO SPASSIONATAMENTE (!!!!). Ora evaporo sul serio, ciao!
   
 
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