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Autore: Calipso19    14/09/2021    0 recensioni
Sequel di UVAPDM 1: l'alba del mito.
L'intreccio della storia a partire dal 1985, quando Michael e Jackie sono sulla cresta dell'onda grazie al successo di Thriller. Ma le cose stanno per cambiare: tutto cambia, in continuazione. E nel tentativo di fermare il tempo costruendo Neverland, Michael dovrà affrontare i contraccolpi negativi del proprio successo, accettare il proprio fisico mutabile e combattere contro un mondo che vuole sopraffarlo. Jackie sarà al suo fianco per aiutarlo, ma anche con lei le cose stanno per cambiare. Perchè, quando la guarda, gli sembra di avere occhi diversi? Perché, quando è con lei, si sente come se fosse uno specchio in frantumi?
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Katherine Jackson, Michael Jackson, Nuovo personaggio, Tatiana Thumbtzen
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Non amare è un lungo morire.


- Sycamore comunque non è male come nome.
- Voglio chiamarla Neverland.

Si era ritrovata, nella vita, a fare quello che mai avrebbe creduto di fare. Era diventata più celebre di quanto avrebbe voluto, più ricca di quanto le interessasse. E come era potuto accadere tutto ciò?
Lei, che era alta come un soldo di cacio, non bella a suo dire, non una modella, una star, una figura politica. Una semplice compositrice laureata in filosofia, figlia di persone semplici e sconosciute.
Lei, che nella vita non avrebbe desiderato altro che fare la madre, essere grassa o comunque in carne, stare a casa a badare alla famiglia. E invece non si era sposata e non poteva avere figli. La natura le aveva spezzato il suo desiderio più grande. Per una serie di coincidenze e conoscenze si era ritrovata già da piccolissima in mezzo ai grandi, i veri grandi dello spettacolo, che le avevano insegnato tutto, tutto di una cosa che aveva imparato ad amare più per averla vissuta che per passione innata. Aveva scoperto di avere talento, tuttavia, nel fare quello che le avevano insegnato: tutto in quel lavoro le riusciva disturbamente naturale e spontaneo, e le veniva bene.
Scriveva successi, e da sola aveva fatto carriera, carriera in un lavoro che quindi non aveva desiderato di fare ma che non poteva evitare, essendo a quanto pare così brava e così fortunata. Certo, non sarebbe riuscita a fare niente se non l’avessero inserita (raccomandata!) in quell’ambiente dove una donna non poteva stare se non sopra il palcoscenico. Era arrivata fin lì grazie a qualcuno.
Allo stesso modo, quando tornava a casa, in Italia, e rincontrava i numerosi amici che si era fatta, non poteva non pensare che essi l’avevano incontrata chiedendole di sua madre, se per caso fosse sua parente e, scoprendo che era la figlia di Anna, non erano riusciti a non apprezzarla direttamente a partire da quello.
Il fatto che poi l’apprezzassero sinceramente le sembrava irrilevante se unito al fatto che, sia come persona che sul lavoro, aveva avuto la spinta iniziale grazie a qualcun altro: nel lavoro grazie a Mike e alla famiglia Jackson, nella vita grazie all’amabilità della propria madre.
Ma quindi lei cosa aveva fatto se erano sempre stati gli altri ad aprirle il sentiero davanti al naso?
In preda a questi pensieri non riusciva a non sentirsi enormemente triste, enormemente inutile.
L’unica cosa che avrebbe voluto fare nella vita era un sogno irrealizzabile, era finita a fare un lavoro che non era mai stato il suo obiettivo e che svolgeva perché era troppo brava per non farlo. In più, tutti la vedevano in modo particolare perché era l’unica donna indipendente, libera e nubile che si destreggiava in quell’ambiente di soli uomini, in una cultura americana che vedeva come principale obiettivo di una persona quello di formarsi una famiglia in cui l’uomo lavora e sostiene economicamente la moglie.
Lei avrebbe dovuto essere quella moglie, avrebbe voluto esserla, e invece si era trovata a fare il marito di sé stessa.  

Ripensò al suo ultimo Capodanno trascorso con Michael.
Erano stati solo loro due, come gli ultimi anni della loro vita. Due contro il mondo.
Perché per quanto fossero persone di successo, apprezzate e anche amate, non potevano che volersi difendere dal Sole di Icaro verso il quale le loro ali li stavano portando.
Il suo ultimo Capodanno si era svolto in un ristorante di lusso, circondati da calici di cristallo e solitudine.

Si poteva essere soli insieme? Si era mai sentita lei stessa, veramente sola?
Da quando l’aveva conosciuto, con l’eccezione di alcuni momenti, si era sempre sentita ’insieme’ a Michael, e non poteva immaginare qualcosa di diverso da quello.
Anche se, ripensandoci, c’era stata un’occasione in cui Michael si era distaccato da lei per raggiungere un luogo senza spazio dove non aveva potuto raggiungerlo. Era stata la sera della Motown 25, durante il suo numero da solista. Si era messo a ballare in modo divino, e lei era rimasta a guardarlo incantata come tutte le altre persone. Ecco, quella sera Michael era diventato irraggiungibile anche per lei, nonostante sentisse che una parte di sé fosse sempre rimasta, in qualche modo, con lui.
In qualche modo, erano sempre loro due.
Non poteva immaginare una solitudine che non fosse senza Michael, come non poteva immaginare una solitudine con Michael.

- Jackie, è arrivata una telefonata per te.
- Scusami.

Si alzò dalla poltrona e uscì dalla stanza, dal salotto dove le sue silenziose riflessioni erano state accompagnate dalla presenza dell’inconsapevole oggetto dei suoi pensieri. Michael le sorrise, nascondendo un velo d’inquietudine dietro gli occhi calmi.
Era sempre eccitato quando parlava della casa che stava cercando di acquistare, la casa dei suoi sogni, ma quel giorno sembrava particolarmente tranquillo.
Ho una brutta sensazione, le aveva detto.
Rimuginando su cosa potesse mai essere quell’incognita, Jackie raggiunse la cornetta.

- Dolcezza.
- Albert? Sei già tornato dal Canada?
- Dolcezza, dobbiamo tornare a Gary.
- Perché mai? - E mentre lo diceva, intuì già il motivo.
- Mi ha telefonato mio fratello, Hammer. Tu non l’hai mai conosciuto. Nostro padre è morto. L’hanno trovato in casa: secondo il medico, è morto la notte di Capodanno.

La voce di Albert era amara, ma non davvero triste. Come poteva esserlo? Quell’uomo non era stato che per entrambi poco più di un mostro.
Eppure, in quel momento, Jackie avvertì la solitudine come mai prima di allora.
L’immagine di un uomo vecchio e solo, brutto di cattiveria e con il fisico lacerato dall’alcool venne sostituita da un uomo vestito di nero e circondato da luce, che ballava da solo come se fosse l’unico abitante dell’Universo.
Rabbrividì.

 
———



Michael era meraviglioso, ma talvolta mostrava segni d’insofferenza. Non sapeva esattamente da cosa fossero dovuti, ma contraddicevano tutto quello che lui era in realtà.
Come se in certi momenti lui non fosse più esattamente lui. Certo, Jackie sapeva che in momenti difficili alcune persone si facevano prendere dalle emozioni e quindi si comportavano in modo diverso, spinti dal proprio inconscio.
Lei non era una di queste. Avvertiva le emozioni montare, ma le combatteva con una forza che non sapeva nemmeno da dove provenisse. E le reprimeva, per fare quello che voleva lei.

Anche al funerale del padre, circondata da una piccola folla di parenti che non aveva mai visto e che non sembravano intenzionati a conoscerla, non aveva versato una lacrima.
Aveva rivolto una preghiera per quell’uomo dall’anima dannata, forse lo aveva perdonato, ma più per la propria idea di bene divino che per certo desiderio.
Aveva rifiutato con volontà le lacrime che aveva sentito salirle agli occhi. Il suo corpo voleva piangere ma lei non glielo permise.
Per il padre, per sé stessa, perché nessun funerale andrebbe celebrato in un giorno di pioggia.

Non era sicura che questa fosse una modalità del tutto sana di agire, ma sapeva che per adesso le era funzionale.
Quello che la preoccupava, in quel momento, era Michael. Era a lui che doveva pensare adesso.
‘E’ strano’ rifletteva, ‘il tuo è un senso di abbandono sociale che non appartiene a te’, pensò come se si stesse rivolgendo direttamente a lui.
Ricordi rilevanti di quando, con quel poco di contatto umano che riusciva a ottenere, lui rinnegava tutto. Anche quelle poche briciole di luce e amore che poteva ottenere. Quella necessaria consolazione.
Che lui rigettava come un martire.
E’ troppo grande, troppo intensa e ingiustificata, e non appartiene a te.
Sorrise per via dei successivi pensieri.
Hai un carattere un pò da bambino a volte, e va bene, ma non sei il tipo da condannarsi così. La causa, la causa sarà un’altra cosa’.

Che la causa potessero essere gli sbalzi ormonali dovuti al decorso della malattia di Michael, che modificava metabolismo e umore, questo Jackie non poteva saperlo, e non lo immaginò nemmeno.
Pensò anzi che, se avesse voluto che Michael si confidasse con lei, lei medesima avrebbe dovuto aprire il suo cuore a lui.
Così un giorno che erano insieme lo prese da parte e gli confidò la natura dei suoi recenti pensieri, seppur in modo un pò distorto.
Gli disse che avrebbe voluto essere diversa.
 
- Sarei voluta nascere maschio.
- Prego?
Lei lo guardò scuotendo la testa.
- Ma si, avrei preferito. Sarei più forte e in grado di proteggere le persone che amo, sarei sicuramente più sicura di me stessa se fossi un uomo. Inoltre, per me le donne devono poter avere figli per essere tali, e io non mi sento tale perché non posso averne. Quindi… - Lo guardò con occhi tristi, schiava inconsapevole di un pensiero secolare.
Lui la fissò atterrito.
- Non dovresti dire certe cose. Sei una ragazza coraggiosa e forte che è perfettamente in grado di proteggere chi ama e di badare a sé stessa, al contrario di ciò che crede.
Le accarezzò i capelli e il viso.
- E che ha la fortuna di essere bellissima e perfettamente donna anche se, purtroppo, non ci saranno bambini.
Si guardarono tristemente, perfettamente coinvolti nella sventura.
Ma Jackie non riuscì a tollerare a lungo quello sguardo e si voltò, sottraendo i propri capelli alla carezza di Mike.
Lo sentì sbuffare. Lo guardò di nuovo.
Gli occhi di lui diventarono un tutt’uno col mondo da quanto erano lucidi e profondi.
- Se tu fossi nata come vorresti essere, a quest’ora ti staresti lamentando comunque perché ti mancherebbe qualcosa che hai ora. - Le si avvicinò.
- Non credo di avere molto da desiderare sai?
Gli lanciò un’occhiataccia, riferendosi alla propria sterilità, al primo seno minuscolo, alla propria statura e ad altri mille difetti, fisici e caratteriali.
Lui la guardò malissimo e lei si zittì. Per un attimo Michael le era sembrato davvero arrabbiato per quello che aveva detto.
Le appoggiò le mani sulle spalle.
- Bellissima. - Le disse, e lei rimase a fissarlo. - Bellissima e straordinaria. Tu non ti rendi davvero conto di cosa sei. Vorrei che potessi farlo, rimarresti abbagliata.
- Michael…
- Sei una persona meravigliosa, Jaqueline Annie Foster, per quanto tu possa desiderare di essere altro. Tutte le parole belle del mondo non basterebbero per descriverti.
Lei stette zitta.
Non parlava Michael, parlava il suo spirito, quello che usciva fuori solo in rari momenti e che era così forte che non poteva essere contraddetto.
- L’importante, quindi, è accettarsi per come si è. - Concluse allontanandosi, e al sentirlo lei avrebbe voluto corrergli dietro.
Proprio lui aveva parlato!
Pensava forse che non si fosse accorta delle cicatrici, delle fasciature, dei cambiamenti che lui stava apportando al suo corpo approfittando della malattia per sentirsi meglio con sé stesso?
Aprì la bocca per parlare ma non le uscì un fiato.
Quello che in principio era un discorso incoraggiante e bellissimo e che lei avrebbe voluto trasformare in un momento ancora più spensierato, improvvisamente divenne così triste e insostenibile che tutto morì all’istante.
Il mondo smise di roteare come aveva sempre fatto e la lasciò immobile e priva del soffio della volontà.
Forse Michael doveva aver percepito questo cambio d’animo in lei perché tornò indietro, le prese le spalle con delicatezza e le strinse. Lei non potè che guardarlo negli occhi.
- Jackie, non sono i figli a renderti donna, ma è la tua persona stessa a farlo. Sei meravigliosa e l’uomo che amerai sarà il più fortunato del mondo. - Disse sinceramente, guardandola fissa per farle capire che non stava mentendo, e che ci teneva che lei capisse.
Lei ricambiò lo sguardo, un’ombra strana negli occhi, e lui si sentì stranamente coinvolto e legato.
- Grazie Michael.
Si abbracciarono con slancio, mentre lui rifletteva sul lampo che aveva sentito.
Perché il corpo di Jackie a contatto col proprio gli dava sensazioni che conosceva da sempre ma che per qualche motivo ora gli sembravano diverse?
Le circondò la vita con un braccio e le appoggiò l’altra mano sulla schiena in una dolcissima carezza.
La carne di Jackie fra le sue mani sembrava aver acquisito una consistenza nuova, particolare, che gli faceva venire voglia di toccarla ancora. Per sentirla meglio, per sentirla viva e calda.
I suoi capelli profumavano di fiori e di lei, ma nascondevano il suo viso al proprio sguardo.
Lei era sfuggita ai suoi occhi, questo lo aveva visto bene, ma non capiva il motivo e, credendo poi che non ce ne fosse alcuno, appoggiò il mento sulla testa ricciuta e si rilassò.
Jackie lo stringeva forte, le mani a circondargli perfettamente i muscoli tonici dei fianchi dritti e la guancia premuta contro il petto magro.
Riusciva a sentire attraverso il tatto la durezza della ossa, tanto lui rinunciava al cibo, ma di ciò in quell’ora non se ne curava.
Era troppo impegnata a trattenere le lacrime che i pensieri attuali le provocavano. La sopraffacevano con la loro intensità.
Michael’, pensava,’Sei una persona meravigliosa. Hai un’anima nobile e io ti voglio tanto bene e non ti abbandonerò mai’.
Deglutì, mentre una e una sola lacrima millenaria sfuggiva al suo invincibile controllo, vinta da una nuova e brusca rivelazione interiore.

Sei tu l’uomo che amo. Se potessi avere figli mi piacerebbe dirtelo.
 
E la tristezza la abbracciò dall’alto.
La consapevolezza la raggiunse come un’ondata gelida sulla schiena, e le dita si strinsero sui lembi della camicia.
Lui, accorgendosi dell’improvvisa rigidità della castana, le prese le spalle e cercò di guardarla in faccia.
- Jackie, che succede? - chiese preoccupato. Lei gli si strinse ancora di più.
- Niente, vorrei solo starti vicino ancora un minuto. - sussurrò con voce bassa. Lui sbatté le palpebre, le gote leggermente rosee.
- Certo, ma va tutto bene?
- Naturalmente. - rispose, mettendo un sorriso nel tono di voce. Si rilassò contro di lui.

E mentre Michael la circondava di nuovo con le braccia, e si lasciava andare con la testa sui suoi capelli, godendosi uno dei pochi sinceri abbracci della sua vita, lei soffocò glacialmente ciò che aveva appena sentito.
Il suo cuore si era legato all’uomo che la stava stringendo.
Avvertiva chiaramente un forte rossore sulla faccia, come mai le era successo, il cuore che sembrava una carica di cavalieri, e l’intera energia dell’amore che la invadeva da sotto in su.
Lo adorava, sì, e non solo.
L’emozione era tale che avrebbe voluto urlare.   

 
———



Nelle settimane che seguirono Michael non le sentì più fare discorsi del genere, e ringraziò Dio per quello, perché vedere Jackie crollare sotto il peso del mondo e delle disgrazie che le erano capitate era una cosa che gli toglieva il respiro.
Ma lei sembrava essere ritornata la solita Jackie, la persona più sorridente che conosceva, e ne era grato.
Mentre lui stesso non poteva sentirsi più diverso da come era prima.

Metà del suo cuore era immerso nella musica. Si sentiva ispirato e ambizioso, e la voglia di non solo eguagliare Thriller ma addirittura superarlo lo rendeva euforico e pieno di energia.
Il medico gli aveva suggerito di rallentare il ritmo lavorativo ma non poteva permetterselo. Quando non era in studio a registrare con Q passava il suo tempo con l’architetto a progettare Neverland e con il coreografo a ideare nuovi passi di danza. La notte, quando l’insonnia non lo faceva dormire, studiava, leggeva e pregava.
Aveva proposto a Jackie di fare un viaggio, l’ennesimo per festeggiare Thriller, ma lei l’aveva rifiutato a causa del suo nuovo ingaggio di tour manager di Diana Ross.
Lui le aveva tenuto il broncio per due giorni, ma una telefonata di Diana stessa l’aveva fatto desistere. Non poteva non essere più che felice per il successo di Jackie.
Ricevette l’invito per il ricevimento di Diana. Sarebbero stati presenti molti vecchi amici e colleghi della Motown, così decise di partecipare nonostante la presenza dei suoi fratelli e la propria avversione per gli eventi mondani.

La festa si teneva in una lussuosa villa della costa orientale molto rinomata per il clima e il panorama quasi tropicale. Era stata la dimora di molte celebrazioni di Elvis Presley e altri come lui.
Nonostante fosse quasi abituato ad essere circondato da sfarzo e ricchezza, non potè evitare di ammirare l’architettura ricca della costruzione. Prese spunto di alcuni dettagli gradevoli che, pensò, avrebbe fatto aggiungere al progetto per la propria casa, ed entrò.
Non poteva sperare di passare inosservato. Molte persone lo circondarono per chiedergli chi un autografo, chi una collaborazione, chi un complimento. Quantomeno l’evento era privato e per quella sera avrebbe potuto godere dell’assenza dei fotografi e dei paparazzi.
Quell’ultimo pensiero lo irritò temporaneamente: aveva di recente discusso con Frank per una voce che proprio il manager aveva contribuito a mettere in circolazione, e quell’atteggiamento lo aveva mandato su tutte le furie. Non sapeva come, ma DiLeo era riuscito a farlo calmare e a spiegare che quella mossa era premeditata e che serviva per la sua fama, e soprattutto che non avrebbe avuto ripercussioni negative nonostante la bizzarria della voce stessa che riguardava le ossa dell’Uomo-Elefante.
La logica di DiLeo lo aveva calmato sul momento ma, ripensandoci ora, si sentiva irritato e nervoso.
Cercò di calmarsi e si concentrò sulle persone che lo circondavano, nascondendosi dietro il vetro degli occhiali, finché scorse Q che lo raggiunse.
Era come vedere un raggio di sole dopo giorni di pioggia.
- La tua fama ti soffocherà - disse il produttore in tono scherzoso, mentre lo conduceva al tavolo dei vini. La frase lo fece comunque rabbrividire.
- Hai già visto Diana?
- Ti porterò da lei non prima che avrai salutato il vecchio Berry, o ti terrà il broncio finché vivrà.

Le commissioni sociali lo stavano rendendo insensibile, tanto che quando scorse l’ospite e la sua accompagnatrice, che non vedeva da qualche settimana, un tempo record per loro, ne fu come scottato.
Jaqueline era bellissima. Ma bella davvero.
Il vestito dorato le fasciava il corpo in modo semplice, ma così elegante e regale da farla sembrare una regina.
Eppure lei aveva un portamento così discreto e umile che, nonostante fosse davvero uno splendore, scompariva di fianco a Diana, e per vederla bisognava proprio guardarla e soffermarcisi per notare che fulgido abbaglio si rivelava.
Da quando l’aveva vista Michael la spiava da dietro gli occhiali, non riusciva a fare altro.
Persino parlare con altre persone, cosa che normalmente prendeva il massimo dell’attenzione, in quel momento gli riusciva abbastanza difficile.
E come poteva non esserlo? Lei era bellissima, e non riusciva a smettere di ammirarla.
Si mordeva il labbro fissandola di nascosto da tutti, impassibile a poca distanza. Nessuno avrebbe saputo dire, se non un attentissimo osservatore, che il Re Del Pop era concentrato su di lei, poiché sembrava assorto.
Lei era girata di spalle, affiancava Diana in una conversazione con una persona importante, un ministro o un governatore.

Quel signore pomposo era fastidioso da ascoltare, parlava di problemi seri come se fossero cose comuni, ma per educazione cercò di prestare attenzione.
Tra l’altro sentiva una strana sensazione, come una leggera pressione ai lombi e un calore sulle braccia.
Si voltò lentamente, leggermente perplessa.
I suoi occhi, rivolti per lo più verso il pavimento per la paura di sorprendersi a fissare qualcuno involontariamente, passarono in rassegna varie gambe e piedi degli invitati, fino al vuoto nel pavimento esattamente dietro di lei, che a breve distanza ospitava una presenza a lei ben nota.
Alzò gli occhi da sopra la spalla e vide Michael.
In piedi, immobile come una statua, sembrava rivolto verso il vuoto di fronte a sé, ma lei non aveva bisogno che si togliesse gli occhiali per giurare che stava guardando lei.
Nonostante le barriere fisiche, i loro sguardi si incrociarono.
Jackie arrossì e fece un mezzo sorriso imbarazzato.
Si accorse che le era mancato.
Lui si morse il labbro per l’ennesima volta e fece un piccolo ghigno e un cenno del capo come per salutarla, portando le mani dietro la schiena e senza smettere di fissarla.
Jackie era indecisa se voltarsi o no, dato che Michael continuava a guardarla e non capiva cosa volesse da lei.
In realtà, sembrava non volerle dire niente di particolare.
La guardava come lei guardava lui, senza un chiaro messaggio, solo uno scambio di sorrisi.
Però c’era qualcosa che le sfuggiva: perché quella conversazione silenziosa, quelle sciocchezze, la rendevano così felice?
Dovette abbassare lo sguardo un paio di volte per cercare di contenere un sorriso a 32 denti che sentiva nascerle in volto, e che per motivi poco importanti non voleva mostrare in pubblico.
Nei momenti in cui lo guardava lui capiva che lei si stava trattenendo dal ridere, e continuò a torturarsi il labbro, aspettando il momento in cui lei avrebbe ceduto.
A guardarla si sentiva il volto in fiamme.
Dio, era adorabile.
Aspettò un minuto e oltre, finché lei non sbirciò dietro di sé per controllare Diana, e nel voltarsi le sue labbra si aprirono in un sorriso, e i suoi occhi incontrarono quelli di lui surclassando la presenza degli occhiali.
Quello era un sorriso vero, sincero, e quello era uno sguardo d’amore, d’affetto, di felicità, che lambì il suo cuore come un’onda di lava, trafiggendolo con un ago di ferro.
Bella come il sole, bella come Dio.
Durò un attimo.
Diana si mosse e, come se l’avesse vista, Jackie si voltò subito per seguirla, dandogli le spalle, un attimo prima che Michael raggiungesse il cuore con la mano in un gesto involontario, cuore che aveva cominciato a picchiare forte contro la pelle.
Lo sentiva pulsare deciso come un tamburo africano, e da esso si sentiva sopraffatto.
Quello sguardo non se lo sarebbe mai dimenticato.
Restò a guardare la sua figura che si allontanava, vedendo che ogni tanto lei faceva il cenno di voltarsi verso di lui ma che poi tornava a guardare avanti, impegnata con Diana e il loro ospite.
E lui era ancora imbambolato lì, in piedi e con la mano sul cuore.
Non gli importava, si sentiva felice.
Immaginava vagamente il perché.

Quando Q lo raggiunse per prima cosa salutò i suoi accompagnatori, come seconda e ultima e da allora permanente non potè non notare la bellezza che aveva stregato tutti, quella sera.
Riuscì ad riavvicinarsi a Michael, e a scambiare con lui uno sguardo d’intesa.
I due uomini erano d’accordo: la loro Jackie era uno splendore indescrivibile.
- Non ho parole - commentò Q, quasi emozionato dal piacere che provavano i suoi occhi nell’ammirarla.
- Da condannare. - rispose Michael, con quel poco di voce che gli era rimasta.
Finalmente i due riuscirono a salutare Diana, che li accolse con calore e affetto.
Michael la abbracciò con amore, ma i suoi occhi erano fissi su Jackie.
- Michael, tesoro, quando imparerai a toglierti gli occhiali e a stare senza in mezzo a noi?
- Diana, sei sempre splendida. I miei complimenti per il tour, è stato fantastico. - le disse Q.
I due si misero a parlare, e Michael si ritrovò di fronte a Jackie.
Avrebbe voluto abbracciarla, ma non mosse un muscolo.
Lei lo guardava, gli sorrise un’altra volta, ma non si mosse. Aprì la bocca per parlare. Voleva dirgli che era sorpresa di vederlo a un evento del genere, ma non lo fece.
- Jackie, sei meravigliosa stasera. - disse Quincy, mettendosi fra di loro con un sorriso caloroso. Diana si era allontanata per parlare con qualcun altro.
- Q… - Jackie cominciò ad arrossire vistosamente.
- Che rimanga fra noi tre: sei la più bella stasera. - Il produttore le strizzò l’occhio con fare complice, e sorrise a entrambi. Michael non disse nulla, ma mosse il capo in un cenno d’assenso.
Jackie sentì i propri occhi diventare lucidi.
Presero da bere e passeggiarono fra gli invitati, commentando la festa. Sembravano circondati da persone per bene e, aggiunse Q, sarebbe stato assurdo vedere la metamorfosi non appena l’evento si sarebbe trasformato, come quasi ogni festa fra celebrità, in un’orgia di sesso, droga e segreti. Il produttore avvertì i due amici che, non appena avrebbe avuto il sentore dell’inizio del degrado, se ne sarebbe andato.
Jackie era incredula.
- Hai propria la faccia di una che non è abituata a questo genere di cose, Jackie. Buon per te! - commentò ridacchiando l’uomo che la vedeva come una figlia.
- Non posso credere che succeda quello che avete detto. Mi sembra assurdo.
Arrivarono due o tre uomini a farle delle proposte. Dopo l’ennesimo tentativo di abbordaggio, Jackie si rivolse a loro.
- Ok, adesso ci credo.
Ma rimase di nuovo incredula quando vide Diana fermarsi volentieri di fronte alle lusinghe degli altri, con sua immensa sorpresa. Michael non sembrava stupito quanto lei, quanto dispiaciuto e dissidente.
Aveva parlato poco quella sera, e non le era stato complice come al solito, ma lei attribuì questo comportamento al disagio nell’essere in mezzo alla folla.
Gli prese il braccio, toccandolo per la prima volta quella sera.
- Tu… Tu non sei sconvolto nel vedere queste cose?
- Jackie, abbiamo quasi trent’anni. Non dovresti esserlo nemmeno tu.
Ma l’inquietudine dipinta sul viso di lei lo fece desistere dalla volontà di starsene per conto proprio, e le strinse la mano.
- Andiamo a casa. Mi devi raccontare di queste settimane senza di me.
S’incamminarono nel buio del giardino, verso il parcheggio.
- Ah, sono state una goduria. Ogni tanto fa bene allontanarsi dalle persone permalose.
- Stai dicendo che non ti sono mancato?
- No, affatto.
- Eppure quella che hai indosso è la collana che ti ho regalato io.
- Può succedere in un modo governato dall’entropia, Michael.
- Dio ha voluto che la mettessi per mostrarmi quanto ti sono mancato.
- Le coincidenze accadono.
- Ti sta benissimo. Ho scelto veramente bene.
- Devi essere egocentrico anche quando fai i complimenti a una donna?
- Non a una donna qualunque. Solo a te, Jackie.

 
———


In quei giorni era uscito al cinema un nuovo film, e naturalmente Mike e Jackie non potevano lasciarselo scappare.
Si chiamava The Clan Of The Cave Bear, e faceva parte del genere di film che Jackie prediligeva. Era tratto da un libro moto particolare, e narrava una storia altrettanto inconsueta.
Quelle ambientazioni selvagge e incontaminate fecero battere forte il cuore della ragazza, così come il modo di comunicare a gesti dei personaggi. La protagonista era così bella, e il suo nome aveva un suono così suadente, che Jackie ne rimase profondamente ammaliata.
La vita primitiva che conduceva, le avversità e le difficoltà date dall'essere diversa, le fecero crescere una grande malinconia. Poteva essere davvero così semplice comunicare, con i gesti e le intenzioni, anziché con le parole e i fraintendimenti.
Affascinata, Jackie tornò a casa immaginando un mondo dove ciò potesse essere ancora possibile. Dove il disastro umano non si fosse radicato molto in profondità. Dove potesse essere ancora possibile vivere secondo le leggi di Madre Terra.
Jackie, tornando a casa, sognò l'Africa.

 
———


Era insonne da tempo ma la cosa sembrava non nuocere troppo alla sua salute. O forse lo stato d’euforia che lo pervadeva da mesi lo teneva sveglio e non gli permetteva di rilassarsi a sufficienza.
La notte, dopo che la casa si svuotava, lui scendeva e si chiudeva in palestra, dove poteva provare dei nuovi passi per i videoclip delle nuove canzoni. Sarebbe passato ancora diverso tempo prima di iniziare le riprese, ma si sentiva ispirato e voleva portarsi avanti.
Nuove idee, nuovi pensieri ma soprattutto nuove sensazioni e desideri lo rendevano energico e bisognoso di stancare il proprio corpo e la propria mente con la danza e la composizione, fino a prosciugarsi.  
Quella sera fu diverso.
Entrò e girandosi verso la stanza, trasalì.
Non solo i due assistenti ballerini, che lui chiamava apposta in orario notturno e perché erano simpatici, ma una nuova figura era appoggiata contro la parete a specchio. Jackie lo guardava impassibile, quasi minacciosa nonostante il suo abbigliamento scomposto che indossava per dormire.
La guardò come si guarda un’allucinazione.
- Cosa ci fai qui? - Aggiunse dolcemente. - Non dovresti essere a letto? - L’aver detto quella frase lo fece rabbrividire.
- Dove dovresti essere tu. - Si avvicinò. Vide una nota di preoccupazione nel suo sguardo, oltre che di stanchezza. - Da quanto sei insonne, Michael?
Sbuffò.
- Non lo so, non ho tenuto il conto dei giorni. - Le sorrise. - Ma sto bene.
Lo guardò senza credergli. Lui si mise una mano sul cuore.
- Te lo giuro. Non mi spingo mai oltre il mio limite e sto molto attento alla mia salute. In questo periodo però sono molto preso con nuove idee e ci sto lavorando sopra.
- Sono solo preoccupata. A volte esageri. - disse lei incrociando le braccia. Lui avvertì un moto di tenerezza.
- Se vuoi puoi restare qui a controllarmi, ma preferirei che tu andassi a dormire.
Lei lo guardò stupita.
- Mi stai dicendo che mi mostreresti qualcosa a cui stai lavorando? Qualche passo che non hai ancora mostrato a nessuno?
Lui le sorrise e le indicò un divanetto sul quale avrebbe potuto sedersi. Si era completamente dimenticato della presenza di altre persone.
Lei si accomodò, desiderosa di godere della bravura di Michael nella danza. Si sarebbe riempita gli occhi di quel talento.
Eppure la sua mente si soffermò su altro. Non solo la dinamicità dei movimenti e la loro grazia, ma anche la forma voluttuosa di quel corpo in tensione.
Riuscì a malapena a rendersi conto di star guardando Michael in quel modo nuovo e intenso che cominciò a sognare.
Ricordò un episodio di quando era bambina e viveva ancora a casa del padre. Quando Katherine le faceva da mamma adottiva e lei correva a casa dei Jackson per avere dei momenti di tranquillità.
In particolare, ricordò un momento in cui Katherine la stava consolando dopo che era scappata da qualcosa di spiacevole accaduto in casa. Cos’era stato? Forse un sopruso. La sua mente non voleva ricordarlo.

- Sei così giovane da essere inconsapevole. - Katherine l'accarezzò sulle guance e le ravvivò i capelli. - Ma il sesso è un argomento da adulti, e se tuo padre non ti rovina prima, con la grazia di Dio, potremo parlarne fra qualche anno.

Così Jackie ricordava alcuni frammenti di vita a Gary, e quei ricordi le sembravano così bui e tetri in confronto a ciò che era venuto dopo, che anche solo sognarli le faceva venire il mal di testa.
Allora in casa di suo padre era venuta a contatto, ancora piccolissima, con i sanguinosi pensieri degli adulti, e a nulla o quasi erano serviti gli sforzi di Albert per tenerla lontana dalla verità.
Doveva aver avuto almeno sette anni quando, ricordava, gli altri suoi fratelli la prendevano per le braccia, la facevano sedere sul davanzale della finestra e le ponevano domande imbarazzanti, a cui Jackie non aveva saputo rispondere. Poi ridacchiavano muovendo le dita su diversi parti del suo corpo, e quando lo facevano Jackie scoppiava sempre a piangere.
Quei "giochetti", come li chiamavano quei ragazzi incoscienti, finivano sempre quando Albert tornava dal lavoro in officina e adirato la strappava dalle loro grinfie, portandola con sé nella propria camera per cullarla o da Katherine, che provvedeva con le sue qualità di mamma a calmarla e coccolarla.
Ma certe immagini le erano rimaste impresse nella mente, e aveva subito tutta l'infanzia sotto il rinnego e il disgusto dei rapporti sessuali.
Crescendo sotto l'ala protettrice di Katherine e Albert, e successivamente della famiglia Flint in Italia, aveva capito come stavano le cose realmente.
Inoltre, aveva preso da Michael la capacità di non parlarne e di esserne esente da tutti gli effetti.
Almeno fino a Thomas, che aveva risvegliato la sua nascosta femminilità.
Il ricordo continuò.

- So già tutto del sesso - Jackie scrutò con gli occhi languidi la sua mamma adottiva, suscitandole sorpresa - Ho visto i cani della signora Stevenson. - Davanti a quella affermazione, così buffa espressa così seriamente da una bambina innocente, suscitò l'ilarità di Katherine, che decise di raggirarla furbescamente per terminare il discorso lasciandola disinteressata sull'argomento.

E cosa sai dirmi, precisamente, della storia d'amore fra quei cani? - Molto poco a quanto pareva. Ma Jackie era stata abbastanza astuta da riuscire a dissimulare la sua ignoranza in materia dicendo poco e facendo intendere molto.


 
———


Iniziò a ballare incurante di tutto, del tempo che passava e persino del batticuore che la presenza di Jackie gli provocava ormai da qualche mese.
In quello che gli parve poco più di un minuto, ma che avrebbe potuto essere un’ora come due, la coreografia era pronta. Soddisfatto, si asciugò il sudore dalla fronte e si accorse di essere solo.
Prese l’asciugamano, se lo mise in spalla e uscì.
Tutti se n’erano andati. Li aveva congedati senza rendersene conto, non era la prima volta che succedeva.
Era rimasta solo Jackie, o meglio, una parte di lei. La vide, seduta sul divanetto, con un braccio appoggiato a un bracciolo e la testa a ciondoloni da una parte.
Come diavolo aveva fatto ad addormentarsi in piedi senza cadere?
Rimase ancora per un minuto ad osservare sorridendo quella stramba scultura vivente, e decise di portarla a letto. Avrebbe avuto un gran mal di collo il giorno seguente.
Sogghignando, si avvicinò e si abbassò per prenderla in braccio.
- Ciao principessa.
Mentre lei mugugnava frasi senza senso senza svegliarsi, le passò un braccio sotto le gambe dopo averle messo il suo dietro il proprio collo. La testa di lei ricadde quasi indietro e poi rimase ballonzolando stranamente eretta.
La tirò su senza difficoltà. Era leggerissima, e solo allora notò quanto fosse dimagrita. Sapeva ovviamente che magra, ma non aveva immaginato così tanto. Domani le avrebbe fatto un discorso.
Raggiunse la camera da letto e la appoggiò sopra le coperte. Le tirò via le scarpe e le calze, lasciandole qualche affettuosa carezza, e lei mosse un piede appena sentì il solletico, facendolo ridere silenziosamente. Prese un’altra coperta e gliela rimboccò, fermandosi ad osservarla quando le fu vicino.
Jackie era proprio bella, anche se con un’espressione ebete e quel rivolo di saliva che andava ingrandendosi lì, al lato della bocca.
Glielo pulì con il dito e la osservò ancora. Le palpebre erano così morbidamente adagiate a chiudere gli occhi che sembravano ali di farfalla pronte a spiccare il volo.
Le arricciò una ciocca di capelli con il dito. Erano morbidissimi.
Lo sguardo ritornò sulle labbra. Immaginò di leccarle, prima quello superiore e poi quello inferiore.
Improvvisamente quel pensiero diventò una volontà quasi irrefrenabile, a bloccarlo solo la consapevolezza della peccaminosa erezione che nasceva nei pantaloni, e la presenza della sua amica come oggetto di quel desiderio.
Niente di eccezionale. Aveva trent’anni e si era fatto milioni di volte un pensiero simile su una donna. Ma adesso si sentiva accompagnato da qualcosa di nuovo ma conosciuto, un braciere formicolante all’altezza del petto e del collo, che sfociava in un vuoto risucchiante lì, nello stomaco.
Si rese conto che l’intensità di quell’emozione non era nel gesto, ma nell’identità della persona oggetto di quel desiderio.
In quello che provava per lei.
Un blocco alla gola. Insensibilità sulla faccia. Formicolii alle dita e tutte quelle cose al petto.
Il respiro gli si spezzò a metà mentre si chinava verso di lei, una lacrima gli si fermava sulle ciglia.
Non le toccò le labbra, ma quel respiro nella sua gola aveva l’esatto valore di un bacio. Di certo non lo aveva fatto tremare di meno.
Aprì la bocca, spostandosi all’altezza della sua guancia, lontano da quelle labbra tentatrici, che avrebbe voluto assaggiare con la propria lingua, che sentiva uscirgli sotto i denti.
Chiuse il pugno su una ciocca dei suoi capelli, e pensò come sarebbe stato bello stringerli più vicini alla radice, sentirla gemere e insieme dire un ‘Ahia!’ indignato, guardarlo con aria torva e insieme languida, gli occhi persi nei barlumi del piacere o lucidi di divertimento.
Respirò i vapori del suo collo e il suo ventre cominciò a pulsare in modo fastidioso. Gli sembrava che tremasse il letto.
Non era giusto per Jackie che lui stesse lì a pensare certe cose di lei. Cercando di muoversi il più delicatamente possibile, si scostò e indietreggiò fino alla porta, controllandola per la cieca paura che si fosse svegliata e accorta di tutto.
Una volta fuori, si accorse di un errore madornale. L’aveva portata nella propria camera, nel proprio letto.  
 
———



Da allora non era riuscito a guardarla più con gli stessi occhi. Quando era con lei, si sentiva come uno specchio in frantumi.
 
  
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