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Autore: Memel    14/09/2021    11 recensioni
Ci sono storie che non possono essere cambiate, o aggiustate.
Non importa il numero di cancellature e riscritture, per quanto possiamo impegnarci il finale non cambia.
In questi casi la cosa migliore da fare è abbandonarle, accettare la sconfitta e ricominciare.
Ci sarà sempre una nuova pagina bianca ad attenderci, l’inizio di un nuovo capitolo, di una nuova storia.
~
Tratto dal prologo:
Fu soprattutto Bokuto ad attirare completamente la sua attenzione: imprimeva in ogni azione tutta la potenza che il suo corpo gli permetteva, e la sua passione traboccava da ogni sguardo ed esclamazione durante il gioco.
Sembrava davvero la persona più felice del mondo, intento a fare ciò che più amava e per cui era portato.
Era davvero al posto giusto, nel momento giusto.

[Characters Study / IC / OCxCanon + SideBokuAka]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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N O V E M B R E

霜月

 

 tracks n°44-45  
chapter pic

Nori 1 ; 2 ; 3

 

Era una domenica stranamente calda, il cielo limpido e di un azzurro pastello in contrasto con i colori accesi e autunnali dei numerosi alberi che circondavano la palestra cittadina del quartiere di Sumida.

Nori si tirò su la zip della felpa e dopo aver preso un respiro profondo fece ritorno dentro la palazzina, pronta per riprendere i suoi doveri da manager.

La prima partita di qualificazione per il torneo primaverile si era appena conclusa, e non appena aveva sentito il fischio dell’arbitro alla fine del secondo set, ne aveva subito approfittato per prendere una boccata d’aria e scaricare così tutta la tensione accumulata dagli spalti. 

Ormai si era quasi abituata a tenere a bada l’ansia che l’attanagliava durante ogni competizione ufficiale. Ma il discorso era completamente diverso quando a scendere in campo contro il Fukurodani era il Nekoma: tra tutte le scuole di Tokyo era la squadra che più la rendeva nervosa, e non solo perché sua madre era l’insegnante di riferimento, che, per fortuna, per intercessione del coach Nekomata era riuscita ad evitare di presenziare ad ogni incontro visto il suo sacro amore per il weekend, ma anche per l’affiatamento e la rivalità che da anni intercorreva tra Bokuto e Kuroo.

Quella strana ma solida amicizia l’aveva sempre incuriosita, portandola spesso a chiedersi come due caratteri così forti come i loro non arrivassero mai a cozzare completamente ma riuscissero a coesistere in un rapporto a tratti quasi fraterno. A differenza della relazione basata sul legame tra kohai e senpai che Kotaro aveva con Akaashi, l’amicizia con Tetsuro si fondava su qualcosa di diverso, ma molto vicino al rispetto e al riconoscimento del valore reciproco.

Era soprattutto durante le partite che li vedevano avversari che lo notava maggiormente: adoravano punzecchiarsi prima di scendere in campo, ma quello che realmente quelle battute nascondevano era un muto incoraggiamento per spingere l’altro a tirare fuori il meglio di sé, così da poterlo battere in modo onesto e leale, senza risparmiarsi.

E questo tacito accordo che da anni li legava, spingendoli a migliorare e superarsi costantemente, era ciò che più l’affascinava quando li vedeva insieme, ed anche l’unica cosa che le permetteva di perdonare le assurdità e le idiozie che sparavano fuori dal campo.

“Nori-chan! Non ti vedevo più sugli spalti, tutto bene?” le chiese Yukie, appoggiata alla parete davanti alla porta degli spogliatoi maschili, vedendola arrivare

“Sì tranquilla, ho solo un po’ di mal di testa. Hai visto Kaori? Le ho lasciato i miei appunti subito dopo la fine del secondo set…” 

“L’ho intravista prima mentre parlava con il coach Yamiji vicino ai distributori, mentre per quanto riguarda il tuo quaderno te l’ho messo nella tracolla” disse lei, avvicinandosi poi con sguardo sospettoso “Ma non fa un po’ caldo per tenere la felpa tutta chiusa?” 

“Ehm… ho un po’ di mal di gola!” le rispose Shikako indietreggiando

“Mmm è da un po’ troppo tempo che usi questa scusa, Nori-chan…” le disse con tono malizioso, allungando le mani verso la cerniera, trattenendo a stento un ghigno

Ma in quel momento la porta degli spogliatoi alle loro spalle si aprì di scatto, facendole voltare.

“Oya? Nori-chin! Dov’eri finita? Non ti vedevo bene dal campo!!” esclamò Bokuto, trotterellando verso di lei

“Forse è meglio così! Non oso immaginare quali altri danni avresti potuto fare se ti fossi distratto ancora di più…” borbottò lei di rimando

“Eeehi! Non sgridarmi anche tu! I ragazzi mi hanno appena fatto una lavata di capo, speravo che almeno tu potessi consolarmi!” piagnucolò, afflosciandosi sconsolato su di lei

“Baka, così mi schiacci! Mi vuoi spiegare come diavolo hai fatto a dire che ti eri dimenticato come schiacciare in diagonale, per poi uscirtene con un tiro del genere dopo pochi minuti?” esclamò lei, tentando di sorreggere il suo peso morto

Ancora faticava a credere che una cosa del genere fosse davvero possibile, ma, come le aveva già spiegato in precedenza Akaashi e come aveva potuto vedere lei stessa in diverse occasioni, una tra le tante debolezze di Kotaro era quella di focalizzarsi sulle azioni di gioco che gli riuscivano bene e dimenticarsi nel frattempo di tutto il resto.

Quando aveva visto il muro di Kenma e Kuroo bloccare i suoi tiri lungolinea e la prontezza di Yaku su quelli diagonali aveva davvero temuto il peggio, ma per fortuna ci aveva pensato Keiji a rimettere in carreggiata il loro sbadato capitano e a svoltare le sorti della partita, portandoli in finale. 

Era fortunatamente riuscita a seguire il loro primo set contro il Nekoma, ma dopo aver visto con che velocità avevano conquistato il set point, ed essersi rassicurata grazie all’intervento di Akaashi, aveva deciso di darsi il cambio con Kaori e seguire la partita che nel campo opposto aveva per protagonisti il Nohebi e l’Istituto Itachiyama, i loro prossimi avversari.

“Nori-tan, ci sarai tu in panchina durante la finale dopo?” le chiese Bokuto, il viso appoggiato sulla sua spalla

“Lo sai che Kaori e Yukie hanno la precedenza su di me in quanto senpai, e poi ti ricordo cos’è successo l’ultima volta che è capitato, durante i quarti di finale dei Nazionali del mese scorso!” gli rammentò lei, imbarazzandosi al solo pensiero

Per fortuna non succedeva quasi mai che lei prendesse posto in panchina accanto al coach durante una competizione ufficiale, ma quella volta, per una serie di imprevisti, era andata così.

Non solo era rimasta tesa e distratta per tutta la durata del set, perdendosi nel seguire l’azione e dimenticandosi così di prendere appunti e di preparare le borracce in vista dei break, ma aveva anche contribuito non poco a distrarre Kotaro.

Era noto a tutti i membri della squadra, lei compresa, quanto Bokuto si esaltasse all’idea che una ragazza del pubblico lo osservasse, ma le cose erano ben diverse quando a guardarlo era la sua ragazza, e ad una distanza tanto ravvicinata! 

Inizialmente la cosa lo aveva gasato moltissimo, ma poi, complice la voglia di mettersi in mostra ancora più del solito, aveva finito per commettere una marea di errori grossolani, uno dopo l’altro, che non solo avevano portato gli avversari a trarne vantaggio, ma lo avevano lentamente spinto in un baratro di disperazione in cui aveva trascinato tutta la squadra.

“Ma Nori-chin!! Ti prometto che questa volta mi concentrerò di più!” le disse con tono lamentoso e supplichevole

“Non se ne parla! E poi è già stato deciso che ci sarà Kaori!” gli rispose lei, irremovibile

“Oi, oi, oi state forse litigando? Ops, non volevo disturbarvi!” esclamò Kuroo, sorridendo sornione, uscendo dalla porta dello spogliatoio antistante, trascinandosi dietro un imbronciato Lev “Vi prego continuate pure… anche se forse aspetterei la finale prima di lasciarlo, altrimenti saresti davvero crudele, Nori-chan!”

Lei si limitò a guardarlo male, ignorando come al solito le sue frecciatine, cosa che invece non seppe fare Kotaro

“Ehi Kuroo! Non provare a scherzare su queste cose!!” borbottò, afferrando Nori per un braccio e attirandola a sé per rimarcare la sua posizione

“B-baka!” esclamò lei, arrossendo vistosamente, presa in contropiede, mollandogli una gomitata e svincolandosi dalla sua stretta, cosa che fece scoppiare a ridere tutti i presenti

“Vedo che qui vi state divertendo, eh?” disse Daisho Suguru, capitano della Nohebi, spuntando alle loro spalle “Non sapevo ti fossi trovato la ragazza, Bokuto-san. Quindi l’unico capitano sfortunato in amore rimani solo tu, galletto!” aggiunse, voltandosi a fissare Kuroo

“Tsk, detto da uno che è stato appena mollato non è molto credibile, lo sai serpe?” 

“Ti ho già detto che l’ho lasciata io!”

“Figurati se ci credo, anche Mika-chan avrà capito quanto sei scarso!”

“Prova a ripeterlo, gattino!”

Ma in quel momento un leggero colpo di tosse li fece fermare, mentre Sakusa Kiyoomi passava loro a fianco, degnandoli appena di uno sguardo, come sempre indecifrabile e distante.

“Oggi lui e Komori sono in ottima forma, buona fortuna se pensate di strappargli la finale” commentò Daisho una volta che lo videro scomparire oltre il corridoio

“Questo lo vedremo!” esclamò Kotaro, lo sguardo eccitato e proiettato verso la partita che avrebbe avuto inizio di lì a poco

Nori lo guardò sovrappensiero, sperando davvero che avesse ragione.

 

*

 

La folla di studenti e tifosi dell’Istituto Itachiyama esplose in un ruggito festante, che fece tremare gli spalti, quando sentirono l’arbitro fischiare e validare il terzo ace di fila per la squadra, opera del loro famoso e rinomato asso.

“Non ci voleva proprio… con questa nuova formazione finiremo per rimanere schiacciati dai jump serve di Sakusa!! Devono cercare di spezzare il loro ritmo o rischiamo di perdere anche questo ultimo set!” mormorai senza staccare gli occhi dal campo, mordicchiando la penna che tenevo in mano

“Di questo passo la prossima cosa ad essere spezzata sarà il mio polso, Nori-chan!” mi rispose Yukie, ridacchiando e indicandomi con lo sguardo la salda presa con cui la stavo stritolando

“Oh! S-scusa non me ne ero accorta!” esclamai liberandola da quella morsa, fissando gli appunti che tenevo sulle ginocchia, sforzandomi di concentrarmi

“Devi cercare di darti una calmata, se continui così non arriverai sana di mente all’interhigh di gennaio”

“Lo so, ma è più forte di me… quando li vedo in difficoltà mi sembra di impazzire, e non poter fare nulla per aiutarli è davvero snervante!” confessai, sospirando pesantemente

“Capisco quello che vuoi dire, ma quella che hai davanti agli occhi è la migliore formazione che l’Accademia Fukurodani abbia mai avuto. Non solo Bokuto, ma anche Akaashi, Konoha, Komi, Sarukui, Washio… sono oggi dei titolari forti e solidi, che hanno vissuto sulla propria pelle anni di sforzi e anche di sconfitte. Tu sei fortunata, hai incontrato la squadra nel suo momento di massimo splendore, ma quando sono entrata io, ormai quasi tre anni fa, non era questo il loro livello di gioco. Ne hanno passate tante per arrivare dove sono ora, per questo tutto quello che possiamo fare è fidarci di loro e delle loro capacità!” mi rispose sorridendomi, mettendomi un braccio intorno alle spalle

“Wow, a volte sai davvero essere saggia… senpai!” le dissi in tono scherzoso, ricambiando il sorriso

“Eeeh? È questo il rispetto dei kohai di oggi?!” esclamò, stringendo la presa e scompigliandomi i capelli

Il fischio dell’arbitro che anticipava la prossima battuta ricatturò la nostra attenzione.

Questa volta la seconda linea era riuscita a intercettare la palla ed evitare un ace, rimettendo la squadra in gioco; ma nonostante gli sforzi di Konoha e Akaashi vidi che davanti a loro si parava un’altra pericolosa minaccia, ed era la ricezione di Komori Motoya.

“Quel libero è davvero una scheggia! Mi ricorda molto uno dei piccoletti della Karasuno…” commentò Yukie senza staccargli gli occhi di dosso

“Bokuto sembra non dare cenno di riprendersi, e siamo ormai quasi a metà set!!” esclamai mordendomi le labbra, sentendo il panico montare

“Da come stanno parlottando Kaori e il coach penso che a breve chiameranno il time-out”

“Dici? Sono davvero curiosa di sapere come pensano di risolvere la cosa…” 

Yukie si voltò verso di me, scoccandomi uno strano sguardo.

“Hai ancora mal di testa?”

“Sì, perché?” le risposi, non comprendendo il motivo di quella domanda improvvisa

“Dovrebbero esserci delle aspirine nella tasca laterale del borsone delle borracce. Le portiamo sempre visto che il coach Yamiji soffre spesso di emicrania”

La guardai, continuando a non afferrare il perché di quelle frasi.

“Ti consiglio di andarle a prendere… adesso!” aggiunse, lanciando uno sguardo verso il campo, dove Kaori si era alzata per comunicare all’arbitro la richiesta del break

Finalmente capii dove voleva andare a parare e con uno scattò mi lasciai alle spalle gli spalti, dirigendomi verso le panchine proprio mentre l’arbitro fischiava per segnalare la pausa richiesta.

“Oh, Nori-chan! Tutto bene? Mi hai spaventata!” disse Kaori vedendomi arrivare con il fiatone

“Sì, scusami, ho ancora mal di testa e Yukie mi ha detto che ci sono delle aspirine…” le risposi mentre con lo sguardo intercettai la squadra avanzare verso di noi, stremata e fiacca

“Dovrebbero essere in fondo al borsone” mi rispose lei, mentre si chinava per raccogliere le borracce e porgerle ai ragazzi

Le diedi una mano passandogliele, rimanendo poi accucciata vicino alle borse per non disturbare il coach impegnato a discutere con Akaashi e gli altri; mi allungai solo un po’ per poter individuare Kotaro, ma quando lo vidi per poco non persi l’equilibrio e non caddi in avanti.

Se ne stava in disparte, gli occhi incollati al pavimento, in un atteggiamento che purtroppo conoscevamo tutti fin troppo bene.

“Dobbiamo cercare di coprire meglio la seconda linea e sviare l’attenzione di Sakusa da Bokuto, almeno finché non rompiamo il loro ritmo” spiegò Keiji 

“Aaakaaaashiiii, non sono neanche riuscito a sfondare il muro di Iizuna con i tiri diagonali che prima mi venivano così bene!” mugolò Kotaro, facendoli voltare “Penso che se provassi a tirare i miei lungolinea verrei bloccato subito…” aggiunse con tono lamentoso e abbattuto

Strinsi i pugni, sentendo montare la voglia di andare lì e scuoterlo fino a farlo ritornare in sé: non era da lui arrendersi ancora prima di provare, per quanto fosse sempre stato così emotivo e sensibile in campo ora stava davvero esagerando, soprattutto dopo tutti i mesi di allenamenti passati a perfezionare le sue schiacciate. 

Sapevo che poteva farcela e doveva capirlo anche lui.

Prima che potessi fermarmi mi tirai in piedi, voltandomi nella sua direzione.

“Il tuo vero avversario non è Sakusa, baka! Non oggi! Quindi vedi di dare il massimo come sempre!” gli urlai, incapace di trattenermi oltre

Era stato lui a dirmi che bisognava impegnarsi sempre, senza mai risparmiarsi, indipendentemente dall’esito della partita. 

Schiacciare l’avversario che si ha davanti, è questo che ripeteva spesso, ma a volte il nostro peggior avversario siamo noi stessi, i nostri limiti, contro cui dobbiamo sempre lottare, fino a poterli superare.

Anche se il secondo posto garantiva comunque l’accesso al torneo primaverile, questo non voleva dire che poteva arrendersi così facilmente: anche a costo di perdere, doveva metterci tutto sé stesso, imprimere il suo 120%. 

Sentii le guance bruciare ma sostenni il suo sguardo stupito, mentre il resto della squadra ridacchiava e annuiva. Lo vidi fare un passo verso di me ma il fischio dell’arbitro lo fece fermare, e si voltò per tornare in campo, non prima di essersi girato un’ultima volta, ed avermi lanciato uno sguardo infuocato e deciso, come a dirmi che aveva recepito il messaggio.

Alla fine non vincemmo, ma Bokuto diede del filo da torcere a Sakusa e Komori fino alla fine del set, diminuendo lo scarto che ci separava, tanto che finimmo per perdere per soli tre punti.

Nel tragitto verso casa mia Kotaro non proferì parola e io la lasciai in pace, perché sapevo che in quel momento tutto ciò che gli interessava era ripetere nella sua testa tutte le azioni delle partite giocate qualche ora prima, e fiondarsi a casa per recuperare le registrazioni di quella giornata.

Mi azzardai solo a far scivolare la mia mano nella sua, che lui prese e strinse senza esitazione, per poi non aggiungere altro.

“Vedi di riposarti e di non passare tutta la notte a rivedere i replay di oggi…” gli dissi una volta arrivati “Oh, a proposito, ho visto che hai la felpa scucita, se domani me la lasci la faccio aggiustare da mia no-“

Ma non riuscii a terminare la frase che le sue braccia mi cinsero, attirandomi a lui.

“Grazie Nori-chin… per prima” lo sentii dire contro la mia spalla, la voce stranamente pacata e seria, così diversa dal tono esagitato ed euforico con cui dopo la finale aveva scherzato con Kuroo e Yaku, prima di lasciare la palestra e salutarli

“Sei stato tu a dirmi quanto sia importante dare tutto noi stessi, sempre e comunque. Io te l’ho solo ricordato” gli sussurrai, ripensando a quelle parole, che prima di incontrarlo avevo sempre ritenuto sterili e superficiali, ma che adesso sentivo sempre più vere e sincere, ed anche più mie

Lo sentii annuire e mi immaginai il sorriso che doveva avere stampato in viso, mentre affondavo e mi perdevo nel suo abbraccio.

 

*

 

L’ennesimo sibilo del vento contro i vetri della finestra fece rigirare Shikako nel letto, che, sbuffando contrariata, si allungò per afferrare la coperta caduta a terra, per poi stendersela addosso, nascondendosi in essa.

Le cuffie si stavano scaricando e cominciava ad avere anche un po’ di fame, ma c’era troppo freddo per prendere anche solo in considerazione l’idea di uscire dal bozzolo in cui si era avvolta.

Era una delle poche domeniche che passava finalmente a casa, dopo le partite e gli allenamenti intensivi che l’avevano occupata le scorse settimane, e aveva tutta l’intenzione di gustarsela.

Sua madre aveva organizzato una piccola riunione con le sue compagne del liceo e avrebbe fatto sicuramente tardi, mentre sua nonna era stata chiamata a fare da lettrice ad una competizione di karuta del quartiere e non sarebbe tornata prima di sera.

Aveva la casa tutta per sé, non poteva chiedere di meglio.

Se non fosse che quel giorno lei avesse già preso degli impegni.

Il telefono vibrò per l’ennesima volta, costringendola a mettere in pausa la musica e a rispondere.

“Hey, hey, hey, Nori-chin! Pronta per vedere i migliori aceri rossi di tutta Tokyo?” esclamò Bokuto con tono entusiasta, svegliandola del tutto

Avevano programmato quell’uscita da tanto, ma poi, tra il festival scolastico, i Nazionali, le qualificazioni per l’interhigh e i loro soliti impegni quotidiani, il tempo era volato e ora rimanevano solo pochi giorni per godere del foliage autunnale che aveva adornato e trasformato la capitale e i suoi colori, prima che l’inverno, ormai prossimo, sopraggiungesse. 

Nori adorava l’autunno: camminare sui tappeti di foglie secche che scricchiolavano sotto i suoi piedi; il chai latte alla cannella e la torta di zucca, che quando viveva in Canada erano la sua merenda preferita in quel periodo dell’anno; vestirsi e coprirsi con mille strati tra cappelli, maglioni e sciarpe soffici e colorate; ma soprattutto, adorava passeggiare con la sua macchina fotografica alla ricerca dei posti e delle vedute migliori per ammirare quella che in Giappone veniva chiamata momiji, la fioritura autunnale.

C’era solo una cosa che non amava di quella stagione, ed era il freddo.

E quel giorno tirava davvero un vento gelido, non proprio la situazione ideale per uscire secondo lei.

“Mmm veramente stavo pensando che, visto il tempo, non è proprio la giornata adatta…” cominciò a dire, cercando una scusa credibile per camuffare la sua solita pigrizia

“Eh? Ma non mettono pioggia, è solo un po’ nuvoloso!” le rispose lui sulla difensiva “Nelle ultime settimane farti uscire sta diventando un’impresa… sembri quasi un animale pronto per andare in letargo da quanto sei apatica ultimamente! Aspetta… l’ho detto giusto, vero?”

Lei si trattenne dallo scoppiare a ridere: adorava quando lo sentiva usare certi termini per lui inusuali.

“Sì, baka! Comunque non ci vedo niente di male a volersi riposare un po’… non possediamo tutti le tue inesauribili riserve di energia, sai?”

Ma lui non le rispose, e Nori riconobbe in quel silenzio la calma che precedeva sempre qualche sua strana proposta, scemenza o…

“Ho un’idea!!” urlò, facendola sussultare

“E sarebbe?”

“È una sorpresa! Ci vediamo tra poco! Non ti muovere da lì, mi raccomando!”

“Che vuoi dire? Kotaro aspetta!! Mi vuoi spiegare che hai in mente?!” provò a chiedergli, ma lui aveva già riattaccato

Si sdraiò sulla pila di cuscini che ingombrava il letto e socchiuse gli occhi, pregando che non ne combinasse una delle sue.

Non si rese conto di essersi assopita fino a quando il campanello all’ingresso non la svegliò, facendola alzare controvoglia.

Si infilò al volo una felpa sopra la t-shirt larga e gli shorts che le lasciavano le cosce scoperte, cosa che le fece venire in mente che forse era ora di tirare fuori il pigiama invernale, e ciabattò fino alla porta d’ingresso.

“Scommetto che ti eri addormentata!” le disse Bokuto, sfilandosi le scarpe ed entrando in casa

Nori lo guardò ancora scombussolata dal brusco risveglio, rabbrividendo per il freddo che si era portato dietro.

“Che cos’hai lì?” gli chiese poi, notando il sacchetto di carta che cercava malamente di nascondere dietro la schiena

Ma lui non le rispose, limitandosi a farle una linguaccia e dirigendosi poi verso camera sua, precedendola.

“Chiudi gli occhi e non aprirli finché non te lo dico io!” le fece promettere dopo che la vide entrare nella stanza e sedersi sul letto, senza smettere per un solo istante di guardarlo sospettosa

Lei alzò le spalle sbuffando, ma obbedì.

Si sforzò di non sbirciare anche quando cominciò a sentire degli strani rumori, come degli scricchiolii, e qualcosa che assomigliava a della carta che veniva strappata… o era forse dello scotch?

“Okay… ora puoi guardare!” esclamò lui, la voce emozionata, voltandosi ad osservarla

Quello che vide la lasciò per qualche secondo senza parole, incapace di muoversi, mentre i suoi occhi saettavano e si perdevano ad ammirare lo spazio intorno a lei, come incantati.

Kotaro aveva ricoperto le pareti della sua stanza di decine di foglie variopinte che, complice il tramonto sempre più in anticipo in quei pomeriggi quasi invernali, sembravano risplendere come piccole lingue di fuoco, grazie ai caldi raggi di sole che filtravano dalla finestra.

“Visto che non volevi uscire ho deciso di portare l’autunno da te!” le disse, sorridendo orgoglioso della reazione che aveva suscitato in lei, sedendosi al suo fianco

I colori divennero sempre più accesi con l’intensificarsi della luce che si riversava nella stanza, tanto che tutto sembrò tingersi momentaneamente di rosso, giallo ed arancione, e di tutte le loro mille ed infuocate sfumature.

Nori si lasciò scivolare sul letto per ammirare meglio quel gioco di luci e colori da cui non riusciva a staccare gli occhi, imitata da Bokuto, che con la sua solita grazia si sdraiò accanto a lei facendo tremare il materasso.

“Sei ghiacciata” le disse, sfiorandole le cosce mentre cercava la sua mano 

Lei sentì un brivido scuoterla e si avvicinò lentamente a lui, nel tentativo di afferrare quel calore che il suo corpo sembrava emanare costantemente. Appoggiò la testa nell’incavo della sua spalla, inspirando l’odore che ormai associava a lui, un misto di bagnoschiuma alla vaniglia, gel per capelli, profumo di bucato, e poi qualcosa di più intenso, che arrivava dalla pelle scoperta del collo e che l’attirava come una sorta di incantesimo.

“Vuoi infilarti sotto la mia felpa?” le chiese ridacchiando, notando la sua pelle d’oca

Nori ne afferrò i lembi, ma invece di infilarvisi sotto la sollevò, fino a che non riuscì a sfilargliela.

Sì accoccolò sul suo petto nudo, scosso da battiti sempre più irregolari, sentendolo bollente sotto le sue dita che, come mosse da fili invisibili, cominciarono a scivolare sulla sua pelle, tracciando disegni indefiniti, sfuggendo al suo controllo.

Avvertì le mani di Kotaro risvegliarsi e cingerle la schiena per avvicinarla maggiormente a sé, per poi risalire fino a incontrare il groviglio di capelli che le copriva la nuca, che sciolse, liberando le sue ciocche indomabili, con cui prese a giocherellare.

Nori alzò il viso, decisa a cercare i suoi occhi, che in quel momento le parvero come pozze profonde, di una sfumatura d’oro incandescente, in cui decide di abbandonarsi per qualche secondo, prima di venire rapita dalle sue labbra impazienti. 

Si perse in quel bacio, smarrendo la cognizione di tutto: del tempo, del luogo in cui si trovava, della felpa che Bokuto le stava sfilando, dei centimetri di pelle nuda e bollente che andavano aumentando, dei sospiri che tagliavano l’aria e che si mescolarono ai sussurri incomprensibili che scivolavano dalle loro bocche.

Prima di lasciar evaporare dalla sua mente annebbiata l’ultimo barlume di lucidità rimastole, e abbandonarsi completamente a quella frenesia famelica che sembrava ormai possederla, pensò ad una sola cosa soltanto, e cioè che in fondo il freddo non era poi così male se voleva dire potersi perdere nel calore e tra le pieghe del corpo del ragazzo chino in quel momento su di lei.

 

*

 

Fissavo lo schermo senza comprendere se le immagini che mi passavano davanti agli occhi fossero reali o frutto della mia immaginazione. Mi sentivo ancora scombussolata, come se mi fossi improvvisamente svegliata dopo un bel sogno.

Eppure era tutto vero, era successo davvero, come il mio corpo indolenzito e piacevolmente stanco poteva testimoniare.

Aumentai il volume del televisore per far sì che le voci e le musiche del film che avevamo messo potessero coprire i miei pensieri, che in quel momento non avevo la forza di affrontare.

Avvertivo l’irrequietezza di Kotaro seduto accanto a me, ma nonostante le sue occhiate furtive e le sue mani inquiete, che tormentava e con cui giocherellava, mi sforzai di ignorarlo, sentendo il mio corpo completamente paralizzato dall’imbarazzo che provavo.

Lo vidi finalmente farsi coraggio ed aprire bocca, voltandosi verso di me.

Ma in quel momento, come nel più classico dei film horror, la luce andò via, lasciandoci completamente al buio.

Sforzandomi di non urlare, gli afferrai di getto il polso per la paura, sentendolo sussultare al mio tocco.

“N-Nori-chan, m-mi hai spaventato!!” esclamò, la voce tesa e stridula

“Forse è solo un guasto momentaneo della via, proviamo ad aspettare che torni” suggerii, cercando di fargli coraggio, sapendo che era più terrorizzato di me

Restammo così per qualche minuto, le mani intrecciate, incapaci di proferire parola.

“Mmm ora che ci penso il primo giorno che ci siamo trasferite qui nonna mi ha mostrato uno sgabuzzino con il quadro elettrico vicino all’ingresso, forse dobbiamo semplicemente riattivare la corrente da lì…” mormorai, ricordandomi improvvisamente di quel particolare “Hai il cellulare? Io l’ho lasciato in camera” aggiunsi, voltandomi verso il suo profilo, nascosto dall’oscurità

Lui lo estrasse, attivando la torcia e puntandomela addosso.

“Su fammi luce ed accompagnami” gli dissi, alzandomi e tirandolo per la manica della felpa

“O-okay!” 

Quella situazione era diventata improvvisamente comica, pensai, mentre procedevo a piccoli passi con Bokuto incollato a me, il suo fiato a solleticarmi il collo: avevo capito che fosse un fifone dopo la nostra disavventura nella casa infestata al festival della cultura, ma non pensavo certo a questi livelli.

Finalmente arrivammo al ripostiglio, e dopo aver tirato su la leva dell’impianto elettrico la luce fortunatamente tornò.

Lo sentì sospirare drammaticamente e senza più riuscire a trattenermi oltre scoppiai a ridere, percependo la tensione accumulata fino ad allora svanire completamente.

“Ehi Nori-chin!! Non starai ridendo di me, vero?” disse lui, mettendo su un broncio esagerato

“Avevi una faccia terrorizzata troppo buffa!” confessai, tra una risata e l’altra

Lui mi guardò fingendosi offeso ma dopo qualche secondo si chinò su di me, sfiorandomi i fianchi.

Capii subito cosa aveva intenzione di fare.

“Ora ti faccio ridere io!” esclamò iniziando a farmi il solletico, uno dei miei punti deboli, facendomi tremare per le risa incontrollate

“Basta Kotaro, mi arrendo! Dai smettilaaa… o te la faccio pagare, baka!” gli urlai, sentendomi arrivata al mio limite di sopportazione

Lui finalmente si fermò, ghignando, per poi afferrarmi al volo quando vide le ginocchia cedermi e farmi perdere l’equilibrio.

Mi prese in braccio e sorridendo mi riportò in casa, mentre cercavo di riprendere fiato.

“Pensavo di averti fatta arrabbiare… di aver fatto qualcosa di sbagliato… prima” mi sussurrò con tono preoccupato, cosa che mi fece sentire inspiegabilmente in colpa

Effettivamente non gli avevo rivolto parola dopo quello che era successo, rimanendo nascosta nel suo abbraccio per assaporare e metabolizzare gli istanti appena trascorsi, staccandomi da lui solo per rivestirmi, finendo poi per proporgli di vedere un film per smorzare quella strana tensione che era scesa su di noi.

Ero felice e sentivo che i miei sentimenti per lui crescevano e diventavano più forti ogni giorno che passavamo insieme, ma avevo tenuto quei pensieri per me, facendolo così sprofondare in un vortice di paranoie e dubbi che conoscevo molto bene.

Così, misi da parte l’orgoglio e ogni possibile imbarazzo e glielo confessai.

“Tutto quello che fai e che hai fatto fino ad ora... mi rende felice, Kotaro. Sempre. Anche se non te lo dico ogni volta… capito?” gli dissi, sfiorando con la punta del naso l’incavo del suo collo, sentendo le guance surriscaldarsi

Lui si fermò di punto in bianco e chinando la testa verso di me mi strappò un bacio, senza smettere mai di sorridere.

 

*

 

“Nori? Sei a casa?” chiese Hiyori Shikako, togliendosi il cappotto, rabbrividendo infreddolita mentre si chiudeva la porta alle spalle

Si massaggiò le gambe stanche per la giornata passata in piedi e poi si diresse sbadigliando verso il salotto, intuendo dai rumori della tv accesa che la nipote stesse guardando un film come era solita fare spesso a quell’ora.

Lanciò uno sguardo distratto, la mente rapita dal pensiero della cena da preparare, ma quello che intravide la fece fermare e tornare sui suoi passi.

Il kotatsu era stato spostato dal centro della stanza e al suo posto si ergeva uno strano e instabile fortino fatto di cuscini e coperte.

“Nori?”

La diretta interessata sbucò da sotto quella bizzarra costruzione, in viso un’espressione imbarazzata e sorpresa, la stessa che sua nonna le aveva spesso visto fare da piccola, quando tornando a casa scopriva che aveva finito per divorare tutta la confezione di gelato comprata da poco.

“Buonasera obaasan!” disse Bokuto spuntando a sua volta, facendola sussultare

“Oh, Bokuto-kun, non ti avevo visto! Nori, potevi dirmelo che veniva, non ho cucinato nulla per stasera!” brontolò, guardando male la nipote, per poi fiondarsi con aria trafelata in direzione dei fornelli

Shikako la seguì con lo sguardo, scuotendo la testa, pensando che stesse esagerando come al solito, voltandosi poi quando si sentì tirare per la manica da Kotaro, che la guardava con occhi imploranti.

Sapeva cosa voleva dire quella sua muta richiesta.

“Va bene, puoi andare a darle una mano!” gli disse, sbuffando esasperata da questa nuova abitudine che aveva preso di recente

Lui si alzò di scatto, e dopo averlo schioccato un veloce bacio sulla fronte, saltellò in direzione della cucina chiamando a gran voce Hiyori.

Nori cercò di tornare a concentrarsi sullo schermo di fronte a lei, mentre in sottofondo sentiva Bokuto e sua nonna ridere e andare d’amore e d’accordo. Non sapeva perché, ma Kotaro a sua nonna piaceva molto: le chiedeva sempre di lui e a volte arrivava anche a darle qualche porzione di cibo più generosa nel bento, sapendo che pranzavano quasi sempre assieme. Quando glielo aveva chiesto le aveva risposto che dopo tutti quegli anni sentiva la mancanza di un uomo in casa e che lei e suo nonno Shota avevano sempre desiderato un nipote, e per questo avevano più volte pregato sua madre Midori di regalarle un fratellino.

Alla fine si decise a mettere in pausa il film e con un sospiro si alzò in piedi, trascinandosi spazientita verso la cucina: non sapeva come ma quei due erano capaci di farle apparire divertente anche cucinare, pensò, sorridendo e aumentando il passo per raggiungerli.

 

*

 

“Bene, con oggi concludiamo il capitolo dedicato alla vita e alle imprese di Toyotomi Hideoshi, chiudendo così la parte del programma dedicata ai tre unificatori dell’era Sengoku” disse Matsumoto-sensei, alzando gli occhi dal libro di testo e guardando i suoi alunni “Mi aspetto che integriate questi appunti al resto del materiale delle ultime settimane e che cominciate seriamente a studiare… gli esami di fine trimestre sono sempre più vicini!” esclamò con tono fintamente minaccioso, a cui la classe rispose con un coro di lamenti e mormorii

La campanella finalmente si decise a suonare, e gli studenti si alzarono dai banchi sospirando di sollievo per quell’agognata pausa che sembrava non arrivare più.

“Metterci ansia ormai è diventato il suo passatempo preferito!” commentò Ume-chan, voltandosi verso Nori 

“Già…” le rispose lei, scrutando pensierosa le note prese a lezione, immaginandosi già i pomeriggi di studio che l’attendevano fino al prossimo mese

Sospirò sconsolata, appoggiando la testa sui libri, alzando lo sguardo solo per lanciare un’occhiata fugace in direzione del banco di Akaashi, dove lo vide chino su un volume che non sembrava per nulla scolastico.

“Ah! Vedo che hai preso l’ultimo numero di Shonen Jump! Io devo ancora leggerlo!” esclamò, arrivandogli alle spalle e facendolo sussultare

“Nori-san! Se vuoi dopo te lo presto” le disse, ormai abituato a quella loro consuetudine

“Grazie mille! Oh, a proposito, questo weekend a Roppongi Hills inaugurano la mostra dedicata alle nuove serie uscite quest’anno e pensavo proprio di farci un salto… ti va di andare assieme?”

“Va bene, possiamo metterci d’accor-“ le rispose Keiji, per poi fermarsi improvvisamente, sentendosi osservato

Nori seguì il suo sguardo, accorgendosi così di Bokuto, che dalla soglia dell’aula li spiava in modo molto poco furtivo

“Non c’è bisogno che ti nascondi, ti abbiamo visto” disse lei, facendolo uscire allo scoperto

“Ho sentito che stavate parlando di manga e non volevo disturbarvi…” borbottò lui, strascicando i piedi e raggiungendoli

“Veramente stavamo discutendo di una nuova mostra di Shonen Jump a cui vorremmo andare…” gli spiegò Akaashi

“…se vuoi puoi venire anche tu” aggiunse Nori, notando i suoi occhi brillare all’idea di accompagnarli “Allora se non ci sono obiezioni prendo i biglietti per domenica, sabato ho già promesso a nonna di accompagnarla a fare alcune commissioni” continuò poi, con fare pratico

“Per me va bene” rispose Keiji

“Aspetta! Intendi proprio questa domenica?! Dovevamo andare a Disneyland, ricordi? Mi avevi detto che saresti venuta quando avrebbero messo le luci di Natale, e l’accensione è proprio questo weekend! Ci sarà anche una nuova parata, non possiamo perdercela!!” esclamò Bokuto con tono melodrammatico

Nori lo guardò boccheggiando: si era completamente dimenticata di averglielo promesso.

Non poteva tirarsi indietro, non con quei suoi due occhi da gufo spalancati su di lei, non con quell’espressione implorante e ferita con cui la stava supplicando.

“Va bene, vorrà dire che prima andremo alla mostra e poi a Disneyland!” disse infine, pensando già ai giorni di fuoco che l’aspettavano quel fine settimana e alle ore di sonno e nullafacenza che vedeva ormai andare in fumo

Kotaro si lasciò andare ad un’esclamazione di gioia che fece voltare tutti gli studenti, nonostante fossero ormai abituati alla sua presenza, che lo videro alzare i pugni in aria e ridere sguaiatamente.

Shikako lo guardò scuotendo la testa, sorridendo divertita da quella sua rumorosa ma genuina reazione. Akaashi sospirò, tentando di far calmare Kotaro, senza successo ovviamente.

“Possiamo prendere la metro per raggiungere il Parco, sia la Hibiya che la Keiyo line…” mormorò con aria assorta Nori, scorrendo lo schermo del cellulare

Keiji si voltò verso di lei, osservandola con attenzione: era davvero cambiata da quando l’aveva conosciuta, la Nori di qualche mese fa non sarebbe mai stata così propositiva e accondiscendente, mentre la ragazza che gli stava ora davanti era ormai una persona capace di afferrare le occasioni che le si presentavano dinanzi, di disegnare il proprio destino, seguendo le proprie passioni, senza più alcun timore o dubbio a frenarla.

Ed era convinto che Bokuto centrasse qualcosa in questo cambiamento, che l’avesse in qualche modo ispirata e indirizzata, senza rendersene conto.

Come aveva fatto con lui, e come continuava a fare con tutte le persone che incontrava sulla sua strada.

 

*

 

Strinsi a me il sacchetto di carta carico di stampe e tankobon nuovi di zecca mentre la metro raggiungeva con un piccolo sussulto la stazione di Maihama, la nostra fermata.

Ci accodammo alla folla di gruppi e coppie come noi diretti verso l’ingresso principale del parco divertimenti, di cui cominciammo a scorgere in lontananza l’immenso palazzo in stile vittoriano da cui saremmo entrati, e, poco più avanti, i profili colorati e sognanti delle attrazioni e degli edifici.

Lanciai uno sguardo a Bokuto che davanti a me saltellava e strepitava per arrivare, peggio dei bambini che lo circondavano, e ad Akaashi, al suo fianco, che lo osservava arreso ma allo stesso tempo felice di vederlo così contento ed eccitato. 

E pensare che neanche un’ora fa aveva provato a lasciarci soli con una scusa inventata sul momento, come se fossi così masochista da voler passare le ore successive a fare da sola da baby-sitter a Kotaro in giro per Disneyland!

“Akaaashiiii, Noriii-chaan! Si vede il castello! Andiamo sulle Splash Mountains? Oh, ma quello è davvero Topolino!?” lo sentimmo esclamare, mentre si dirigeva a tutta velocità verso una piccola folla di bambini

Ecco, lo avevamo perso.

Due ore, sette attrazioni, tre waffles, e centinaia di foto dopo eravamo finalmente pronti per vedere la famosa parata natalizia, pigiati tra la folla in attesa delle accensioni delle luci che di lì a poco avrebbero illuminato a festa il castello e la via principale, per poi raggiungere tutte le zone del Parco.

Mi raddrizzai le orecchie da Minnie che Kotaro mi aveva costretto a indossare, per essere così coordinata a quelle di Topolino che aveva preso per lui e Akaashi, e sbadigliando stanca aprì la tracolla per prendere la mirrorless.

Con un tuffo al cuore mi accorsi che non c’era, e presa subito dal panico cominciai a ripercorrere mentalmente tutto il tragitto fatto fino a quel momento per capire dove potessi averla lasciata.

“Nori-san, tutto bene?” chiese Akaashi, seduto accanto a me, vedendomi interdetta

“Non trovo la macchina fotografica! L’unico posto in cui ci siamo fermati è lo stand di waffles vicino Main Street, forse devo averla appoggiata da qualche parte quando ho tirato fuori il portamonete…” dissi, pregando con tutta me stessa di non sbagliarmi “Faccio un salto veloce per vedere se è ancora lì, torno subito!” gli urlai mentre mi facevo largo tra le famiglie e le coppie accalcate attorno a noi

Corsi tra la folla cercando di ripetere lo stesso percorso di prima, fino a quando individuai il chioschetto dove ci eravamo fermati a fare merenda. La ragazza dietro il bancone fu molto gentile e disponibile e mi disse che aveva portato la mia mirrorless all’ufficio oggetti smarriti, che si trovava proprio vicino all’ingresso del Parco.

Seguii le sue indicazioni, non trovando fortunatamente fila, e dopo qualche minuto la mia amata fotocamera tornò finalmente tra le mie mani.

Uscii dall’edificio sentendo tre chili in meno di ansia pesarmi sullo stomaco, accorgendomi solo allora che nel frattempo si era fatto buio, e file e file di luci colorate ricoprivano ora ogni centimetro e via del Parco, trasformando l’aspetto di ogni attrazione e negozio. Tirai fuori il cellulare per scrivere a Bokuto e Akaashi ma mi accorsi che si era spento, forse il gps aveva dato il colpo di grazia alla batteria, indebolita dopo anni di utilizzo. Sospirai, cercando di non farmi prendere dal panico, e decisi di seguire a ritroso la strada fino al castello, dove magari li avrei trovati ancora.

Ma ai miei occhi la piantina che avevo memorizzato quel pomeriggio appariva completamente diversa ora, in quel miscuglio di oscurità e colori accecanti, e dopo qualche minuto di giri in tondo dovetti ammettere a me stessa di essermi davvero persa.

Il pensiero di essere da sola e senza alcuna possibilità di chiamare qualcuno mi fece sudare freddo, mentre una sensazione che non provavo da tanto, ma comunque familiare, mi mozzò il respiro, facendomi perdere per qualche secondo l’equilibrio. 

Mi appoggiai ad un lampione, cercando di tranquillizzarmi, sentendo la mente sempre più succube di quel senso di panico che aveva lentamente preso possesso del mio corpo, centimetro dopo centimetro, immobilizzandomi in una morsa fatta di palpitazioni, calore e sudore.

Erano anni che non vivevo un episodio simile.

L’ultima volta che avevo avuto un attacco di panico risaliva al mio ultimo ingresso in campo, alla mia ultima partita, la goccia che aveva fatto traboccare un vaso colmo da troppo, troppo tempo.

Ma non fu quello il ricordo a venirmi in mente in quel momento, no, ciò che mi tornò davanti agli occhi fu un pomeriggio di dieci anni fa, quando per la prima volta sperimentai sulla mia pelle questa subdola e orribile reazione.

Era una sera d’estate piuttosto ventosa, i miei genitori mi avevano portato ad un concerto durante il festival estivo che ogni anno si teneva a Victoria, presso la Galleria Bateman.

Ricordo che le sale del museo erano affollate e che dopo l’esibizione, mentre i miei si erano fermati a parlare con una coppia di amici, mi ero allontanata, attratta dai colori di un quadro che sembravano quasi chiamarmi dall’altro lato della sala.

Non so bene cosa successe ma finii per perdermi e per lo spavento mi misi a correre fino a quando non imboccai l’uscita di sicurezza, trovandomi così a pochi metri dalle acque dell’oceano, su cui si affacciava l’edificio. 

E lì, immersa nell’oscurità di quella notte senza luna, con uno specchio nero e profondo a osservarmi, lontana dai miei genitori, e incapace di orientarmi in quel luogo a me sconosciuto, lì sperimentai il mio primo, bruttissimo, attacco di panico.

Negli anni avevo imparato a convivere con la mia ansia, e con queste sensazioni così forti e frastornanti, ma anche se sentivo di essere cresciuta e di essere ora più forte, quella sera mi resi conto che a volte anche i muri più alti e all’apparenza più solidi possono nascondere spiragli nascosti, da cui può insinuarsi ancora la paura.

Scossi la testa per scacciare quei pensieri: non ero più la stessa persona di un anno fa, quella ragazza che aveva chiuso in un cassetto tutte le sue insicurezze e paure insieme alle proprie speranze e ambizioni, perché non aveva la forza di affrontare le prime, né il coraggio di interrogarsi sulle seconde.

Ora possedevo qualcosa in più, qualcosa che quando giocavo a pallavolo non avevo, e su cui ora, che quel cassetto ero riuscita ad aprirlo e porvi ordine, potevo contare.

Ed era la consapevolezza: di me stessa, di quello che volevo fare e diventare, di chi ero, di cosa mi mancava e di quali invece erano i miei punti di forza; ma soprattutto, era la certezza di sapere che il buio è solo ciò che ci permette di individuare la luce, l’oscurità solo ciò che consente al sole di splendere così tanto, fino ad abbagliarci.

E fu allora che riuscii a regolarizzare il mio respiro, che sentii il battito arrestare la sua accelerata.

E quando una testa è libera da pensieri e distrazioni vede le cose con lucidità, con chiarezza.

Sapevo cosa fare, e così mi mossi, dirigendomi verso l’unico posto dove avesse senso andare in quel momento.

“Siete i suoi genitori? Avete perso una bambina di nome Nori-chan, ho capito bene?”

“Esatto! Ha i capelli lunghi e soffici, gli occhi color miele, le orecchie di Minni rosa e-“

“Bokuto-san! Dobbiamo dirgli che non è una bambina che stiamo cercando!”

Sorrisi nel vedere quella scenetta, soprattutto nel constatare lo stato pietoso in cui sguazzava Kotaro, la faccia accartocciata in un’espressione di terrore mista a panico, le mani artigliate al povero braccio di Keiji, che cercava di calmarlo e allo stesso tempo di rispondere all’addetta al banco informazioni che li guardava interrogativa.

“Ehi, sono qui bak-“ 

Ma non riuscì a terminare quella frase che sentii due braccia serrarsi attorno a me, mentre la mia visuale veniva coperta dalla maglietta umida di Bokuto.

“Nooooriiiiii-chaaaan!!!” ululò, facendomi sussultare e stringendomi ancora di più a sé, togliendomi così ogni possibilità di movimento “Ti abbiamo cercata ovunque… ero così preoccupato!!”

“Mi dispiace, non volevo farvi stare in ansia, ma avevo il telefono scarico e ad un certo punto mi sono pure persa…” ammisi, sentendolo tirare su col naso, per poi staccarsi da me e guardarmi negli occhi

E solo allora lessi la stessa apprensione che anni fa avevo intravisto sui volti dei miei genitori, quando dopo un’ora mi avevano finalmente ritrovata mentre piangevo e vagavo per il porto.

In quello sguardo scorsi qualcosa che non avevo mai associato a Kotaro, ed era la paura. 

Mi sentii una sciocca per aver giudicato con tanta leggerezza la sua emotività, lui che più di tutti aveva saputo offrirmi un sostegno, lui che mi aveva guidato nel comprendere i fantasmi che mi portavo dietro, ispirandomi nell’imboccare la strada su cui ora mi trovavo.

Dietro quella spavalderia e cieca fiducia in sé stesso, dietro quel sorriso capace di spazzare via ogni incertezza, dietro quel muro possente e smisurato, c’era altro. 

C’erano degli spiragli.

Vedere sempre il lato positivo, capire che qualcosa non è impossibile ma solo difficile, sono lezioni che può dare solo chi si è trovato faccia a faccia con le proprie debolezze e ha deciso di accettarle.

Mi resi conto che Kotaro non era tanto diverso da me, e che la sua forza, che tanto gli ammiravo, nasceva dall’esperienza, da delle lezioni di vita che aveva vissuto sulla sua pelle, e che lo avevano reso il ragazzo che ora mi guardava con occhi spalancati e allarmati, velati di ansia.

Occhi che volevo solo rassicurare.

“Ora che ti ho trovato non ho intenzione di lasciarti andare, ok?” gli dissi, sorridendogli e stringendo le sue mani, cercando di imprimere in quella frase un significato che andasse ben oltre la circostanza in cui ci trovavamo

Lo vidi sciogliersi, ogni traccia di tensione scivolare lentamente via di fronte alla sicurezza che trapelava dalle mie parole, mentre il viso si rilassava in un ghigno soddisfatto e leggermente sorpreso.

È vero, ogni muro ha degli spiragli, ma sta a noi decidere se utilizzare quelle fessure per lasciar entrare la luce o altra oscurità, altra paura.

E io come lui avevo fatto la mia scelta, pensai, lasciandomi guidare dalla sua stretta su quelle strade che non mi sembravano più tanto ostili ora che sapevo dove andare.

“Mi raccomando, non lasciare mai la mia mano, Nori-chin! Anche se devi andare in bagno o…”

“Bokuto-san, non starai esagerando?”

“Certo che no, Akaashii!! Non possiamo più correre rischi, vero Nori-tan?”
 “Va beneee!” 

Gli risposi con una smorfia fintamente esasperata, assecondandolo divertita, sollevata nel vederlo tornare ai toni leggeri e ai modi spensierati a cui ormai ero abituata.

E mentre ero circondata dai suoni ovattati e dai colori, ora pastello ora vivaci, di quell’atmosfera tanto surreale, pensai a come ogni giorno dal mio ingresso nella palestra della Fukurodani avessi scoperto e compreso sempre più parti di me stessa, tasselli che incastravo e facevo combaciare fino a comporre il disegno che pian piano prendeva vita nella mia mente, e che ormai non includeva più soltanto me.

 

 

 

 

- - -
 
N O T E
 

Ciao a tutti!

Perdonate questa super pausa estiva ma ci voleva davvero!

Volevo aggiornare da tanto, troppo, tempo e anche se i restanti capitoli sono già scritti c’è qualcosa che come sempre mi blocca e mi porta a procrastinare, ovvero la fase di rilettura e betaggio. Ecco, sappiate che io odio con tutta me stessa rileggere/correggere quello che scrivo sin dai tempi della scuola quando insistevo con i professori per voler consegnare il mio tema/versione con largo anticipo. Si vede che sono del Leone XD Il problema è che per quanto rileggo trovo sempre dei micro errorini e questo mi da sui nervi ahahah soprattutto quando magari pubblico il capitolo e rileggendolo ormai online mi accorgo di alcune cosine che APRITI CIELO XD

Ma chiudiamo questa digressione, spero che il capitolo vi sia piaciuto, come sempre è bello corposo! Dopo il primo bacio passiamo ad un altro tipo di prima volta che, lasciatemi dire, è stata qualcosa di molto delicato e difficile da immaginare, visto che non sono pratica nello scrivere certe scene (per ora!). Il mio obiettivo era appunto quello di creare qualcosa di unico e delicato, un po’ diverso dal solito, fatemi sapere che ve ne pare. Per creare l’atmosfera mi hanno aiutato molto due delle canzoni soundtrack del capitolo: “Stay Right Where You Are” di Ingrid Michaelson e “Hostage” di Billie Eilish, ve le consiglio di cuore se non le conoscete.

In questo capitolo tocchiamo anche temi che sento molto vicini, e per questo ci sono particolarmente affezionata. Questa storia mi ha davvero aiutata ad esternare tanti pensieri consolidati nel tempo, e il POV di Nori mi è infatti servito tantissimo.

Non vedo l’ora di accompagnarvi verso i prossimi sviluppi e, visto che l’ultima volta vi era piaciuto tanto, vi do le tre parole chiave del prossimo capitolo: algebra – pigiama – mandarino

Ah, ultimissima precisazione e poi chiudo: se notate che mancano dei punti alla fine delle frasi del discorso diretto, o subito dopo, è una mia scelta stilistica, so benissimo che è sbagliato ma non sono una fan della punteggiatura puntigliosa nel discorso diretto, perdonate questa mia fisima XD

Un abbraccio e alla prossima,

Mel

   
 
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