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Autore: Verfall    15/09/2021    5 recensioni
Sappiamo bene come si siano svolti i due incontri del 26 marzo, ma cosa è avvenuto subito dopo entrambi? In questa serie di missing moments cercheremo di ripercorrere i pensieri e le azioni non solo di Ryo e Kaori, ma anche di altri personaggi che nell’opera non hanno avuto modo di esprimersi tanto quanto avrei desiderato. Un intimo viaggio corale alle origini della storia che tanto amiamo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hideyuki Makimura, Kaori Makimura, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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Salina Cruz, dicembre 19711 – Un nuovo inizio I
 
«Vi è uno spettacolo più grandioso del mare, ed è il
cielo; vi è uno spettacolo più grandioso del cielo, ed
è l’interno dell’anima» Victor Hugo, I Miserabili
 
Nel buio della notte, una petroliera di piccole dimensioni si accingeva a sciogliere gli ormeggi e a salpare dal porto di Salina Cruz diretta verso Rosarito, penultima città messicana prima del confine con gli Stati Uniti. Le luci che provenivano dalla costa non potevano rivaleggiare in alcun modo con le tenebre dense dell’Oceano Pacifico, che sembravano aver inghiottito la placida imbarcazione. Tra gli uomini dell’equipaggio che si affannavano veloci sul ponte principale, ognuno col proprio incarico da portare a termine, ce n’erano tre che si limitavano a stare appollaiati sulla balaustra esterna; anche un occhio poco attento sarebbe stato in grado di intuire che quel trio si differenziava dal resto dell’equipaggio. I due uomini – uno di mezza età e statura minuta, l’altro più alto e giovane – si trovavano vicini mentre il terzo se ne stava leggermente più defilato. Sebbene l’altezza di quest’ultimo fosse superiore a quella di chiunque altro a bordo, osservando il suo viso ci si sarebbe resi conto che era soltanto un ragazzo. Vestivano abiti civili, semplici pantaloni di fustagno e camice quadrettate, ma si poteva intuire facilmente che erano tutto fuorché dei normali civili; gli stessi membri dell’equipaggio sembravano averlo capito e si guardavano bene dall’avvicinarsi e, a parte il capitano con cui avevano pattuito la somma per il viaggio, nessuno si era azzardato a parlare con loro.

«Abbiamo avuto fortuna» emise piano Kenji «Se avessimo perso questa occasione saremmo stati costretti ad attraversare quasi metà Messico prima di arrivare a un altro porto mercantile»

«Avremmo anche avuto fortuna Prof, ma ciò non toglie che il capitano è un maledetto strozzino» sbottò l’uomo seccato, prendendo dal taschino della camicia un pacchetto di sigarette «Ha voluto la mia amata Jeep Willys… è stato un colpo al cuore separarmene!» si lamentò accorato.

«Andiamo Frank, presto ti potrai comprare un’auto anche superiore. E poi, questo bestione ci porta proprio a un passo dal confine; sono riuscito a contattare due miei uomini che operano a San Diego e si stanno già attivando per i documenti» emise l’uomo soddisfatto, mentre giocherellava con le dita tra i corti baffi.

«Sarà… Ad ogni modo ero molto affezionato a quel macinino» e dopo essersi acceso una sigaretta, si rivolse al ragazzo alla sua destra «Ryo?» chiamò, allungandogli il braccio con il pacchetto.

Il giovane annuì e si avvicinò per prendere una sigaretta.

«Tutto bene, my boy? Ti vedo più silenzioso del solito»

«Sì Frank» rispose mantenendosi un po’ schivo e, appena si mosse per allontanarsi, la voce del Professore lo raggiunse.

«Mi raccomando Ryo, solo un paio di tiri. Navighiamo con il petrolio, non vorrei saltare in aria qui, e penso neanche tu»

«No di certo Prof» gli rispose abbozzando un sorriso.

«E questo vale anche per te Frank, sia chiaro»

«Ah non mi dà un attimo di pace! E va bene, vede, ho fatto tre tiri e ora la butto via» e così dicendo spense il mozzicone con i polpastrelli inumiditi di saliva prima di lanciarla lontano nel mare «E pensare che mi aspetta una settimana così… Che inferno!»

Ryo a sua volta imitò l’uomo dopo un paio di tiri e iniziò a camminare pigramente lungo il perimetro della petroliera, facendo scorrere la mando lungo la fredda ringhiera d’acciaio. Si trovava in uno stato d’animo tale che non sarebbe mai riuscito a esprimerlo a parole, consapevole solo di volersi prendere del tempo per sé; non che disprezzasse la compagnia del Professore e di Frank, anzi il contrario, ma sentiva il bisogno di mettere un po’ d’ordine nella sua mente e tra le sue emozioni. Raggiunse lentamente la poppa della petroliera e i suoi occhi si persero nel movimento ipnotico dell’acqua che gorgogliava al loro passaggio, lasciando una lunga scia che la luce lunare rendeva perlacea. Sospirando si inclinò, appoggiando il mento sugli avambracci piegati e prese, poi, un profondo respiro; l’aria marina salmastra si mischiava all’odore pungente del greggio e quella combinazione lo stordì per qualche istante.
Si trovava in mare aperto, per la prima volta. Oltre alla linea costiera alla sua sinistra, puntellata da deboli e sporadiche luci artificiali, tutto il resto era illuminato solo dalla pallida luna, che aveva deciso infine di far capolino tra le nubi. Un orizzonte illimitato si dispiegava davanti a lui e fu preso da un senso di vertigine: per tutta la sua vita aveva vissuto nella giungla e, se non erano gli alberi a bloccare la vista, ci pensavano le alte montagne con i loro profili aguzzi. Lì, invece, non c’era niente a impedire il suo sguardo e, una parte di lui, era impaziente affinché fosse già mattino per poter osservare di più. Sorrise; si sentì libero come non mai, libero da quelle foreste, libero da quelle battaglie che lo avevano occupato tutti i santi giorni. Era diretto verso un posto ignoto e, per quanto Frank e il Professore gli avessero ampiamente spiegato cosa lo attendeva negli Stati Uniti, stentava ancora a crederci che fosse davvero reale. Grattacieli, città moderne, tecnologia avanzata e tanto altro. Quella prospettiva lo incuriosiva non poco e non vedeva l’ora di poter ammirare dal vivo tutte quelle meraviglie, augurandosi di aver lasciato il peggio alle spalle. A quel pensiero, istintivamente portò una mano al medaglione nascosto sotto la camicia e alzò gli occhi al cielo puntellato da una miriade di stelle, chiedendosi se qualcuno vegliasse su di lui ma, quella visione a lui così familiare, non fece che farlo sentire un granello di sabbia solo in mezzo al deserto.
 
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«Sono un po’ preoccupato per Ryo» mormorò l’americano mentre guardava la figura del ragazzo allontanarsi da loro.

«No, stai tranquillo. Vuole riflettere ed è giusto lasciarlo da solo per un po’» rispose il Professore «Sta metabolizzando un enorme cambiamento dopo aver superato la prova più difficile della sua vita, immagino si senta frastornato» e, girandosi verso l’uomo, aggiunse in tono di richiesta «Dovrai essere molto vicino e paziente con lui, Frank. In un certo senso è ancora inesperto e non ha idea di come sia davvero la vita nella parte fortunata del mondo, ma so che lo addestrerai a dovere»

«Non si preoccupi, voglio bene a Ryo come se fosse mio figlio e lo aiuterò a inserirsi nell’ambiente… Però, non so se sarò in grado di essere una figura di riferimento come lo è stata lei…»

Kenji gli strinse affettuosamente l’avambraccio «Non avere così poco considerazione di te mio caro Moon. Hai fatto tanto per il ragazzo e sono certo che continuerai a fare un ottimo lavoro con lui negli Stati Uniti»

«La ringrazio Professore» disse Frank facendosi più schivo.

Non era certo abituato a sentirsi rivolgere complimenti, ne aveva avuti così pochi in vita sua e, il fatto che a riservargli quella gentilezza fosse stato proprio l’uomo per cui provava un rispetto smisurato, lo commosse intimamente.
“Un nuovo inizio, eh?” disse a se stesso mentre osservava la sagoma di spalle di Ryo.
Erano mesi che quegli occhi a lui cari avevano perso la luce che avevano avuto un tempo; sarebbe mai più ricomparsa? Sarebbe stato in grado di fare davvero qualcosa per lui?

«Chissà…» sbuffò sommessamente.
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Avvertì improvvisamente un peso all’altezza del petto, un senso di claustrofobia che sembrava non volergli lasciare scampo. Provò a muoversi ma il corpo era come se si fosse cementato al terreno, incapace di alzare neppure un dito.
Poi uno sparo. E un altro, e un altro ancora, sempre più vicini.
“Devo alzarmi, ci stanno attaccando”
Per quanto spalancasse gli occhi non vedeva che tenebre, come se fosse sprofondato in un lago d’inchiostro. I proiettili, però, avevano iniziato a lambirgli le orecchie, poteva sentirli fischiarli così forte da ferirgli i timpani.
“Devo muovermi, cazzo, o sarò spacciato” si disse sempre più angosciato; non si era mai sentito così inerme come in quel momento. Poi, improvvisamente ci fu un silenzio glaciale.
E una risata, fredda e sprezzante, gli fece fermare il cuore per qualche istante. Avrebbe riconosciuto quella risata tra mille.
«Ah Ryo! Vedo che non hai imparato niente. Eppure… Quante volte ti ho detto che un bravo soldato combatte con freddezza?»
Avvertì distintamente lo scatto metallico che annunciava l’inserimento del colpo in canna, poi…
Un colpo risuonò e ciò gli permise di aprire finalmente gli occhi.

«Maldito seas Felipe! Mi hai fatto prendere un accidente! Fai attenzione con quel secchio» le voci, che risuonavano dall’esterno, riportarono il giovane alla realtà.

Si ritrovò steso su una coperta adagiata sul duro pavimento metallico della piccola stiva secondaria, appena sotto il ponte principale. Ancora scosso da quell’incubo atroce, si lasciò andare a un profondo sospiro di sollievo, felice di essere scampato da quell’oblio e, senza pensarci troppo, si alzò velocemente; a quel movimento brusco represse a stento un gemito di dolore. La ferita al fianco gli faceva ancora male quando compiva una torsione del busto veloce. La sua ultima cicatrice da guerrigliero, un ricordo di quell’attacco a tradimento che avevano subìto in Messico, poco dopo aver varcato il confine durante la loro fuga dal Guatemala2. Si ripromise di fare attenzione nei giorni seguenti e camminando con passo felpato per non svegliare Frank e il Professore, che dormivano poco lontano da lui, si diresse verso la stretta scaletta in lamiera e salì verso l’esterno. Un vento tagliente lo accolse, penetrando all’interno della sua camicia flanellata e scompigliandogli i capelli ormai lunghi e ribelli. Si fece scudo portandosi il dorso della mano davanti gli occhi ma, appena abituò gli occhi alla luce, restò senza fiato per lo spettacolo che gli si prospettava davanti. La luce violetta dell’aurora creava un gioco di colori e sfumature sull’ampia tavolozza azzurra dell’oceano per lui totalmente inedito; sentendosi irrimediabilmente attratto da una tale bellezza, camminò fino alla balaustra del lato lungo della petroliera, quello rivolto verso l’oceano e, dopo aver posato le mani sul freddo cordone d’acciaio, chiuse leggermente gli occhi e inspirò a pieni polmoni quell’aria piacevolmente frizzante. Avvertì distintamente il suo cuore colmarsi di una forte emozione a cui non seppe dare un nome, e ne fu talmente sopraffatto che questa fuoriuscì nella veste di una lacrima che si affrettò a cacciar via con un dito.

«Si prospetta una bella giornata»

Ryo si voltò lievemente in direzione di quella voce conosciuta.

«Buongiorno Professore, spero di non averla svegliata prima»

«Per niente ragazzo, non sono certo un dormiglione come Frank» rispose allegro l’uomo, mentre gli si metteva accanto.

I due rimasero in silenzio per un po’, quando Kenji ruppe il silenzio.

«È davvero una meraviglia, non trovi?» mormorò indicando l’oceano con un gesto del braccio.

«Già» fu la risposta laconica di Ryo, che ancora non si era ripreso del tutto da quel momento di commozione.

«Goditi tutto questo Baby Face. Fin quando il viaggiò durerà, voglio che tu assorba il più possibile ogni dettaglio, che tu incida nella tua memoria albe come questa e l’azzurro lucente dell’oceano. Tutto, non tralasciare proprio nulla»

«Perché?» gli chiese semplicemente, cercando gli occhi nascosti dalle immancabili lenti circolari leggermente crepate.

Il Professore gli sorrise «Semplice. La bellezza che ci circonda, in ogni sua forma, è la vera linfa che ci aiuta a restare in vita, a non mollare… A non voler inseguire la morte quando questa sembra essere la soluzione più comoda» e, lanciandogli improvvisamente uno sguardo eloquente, proseguì «Mi auguro davvero che non ti venga più in testa una follia come quella»

Ryo si volse nuovamente verso l’orizzonte, sentendosi come un bambino colto in fallo. Sapeva perfettamente a cosa il Professore si stava riferendo, ma volle comunque fare lo gnorri.

«Se è per l’agguato in Messico, non mi è sembrato che lei fosse così contrario al mio modus operandi…»

«No ragazzo mio, è inutile che cerchi di fare l’ingenuo con me, ti conosco troppo bene» replicò l’uomo facendogli un sorrisino «Mi riferisco al tuo tentativo suicida in Guatemala» e prendendogli il braccio lo obbligò a fronteggiarlo «Non fare mai più una cosa del genere Ryo»

Il giovane sentì sciogliere le sue riserve; per quanto non amasse ricordare il suo tentativo di vendetta nei confronti di Kaibara, aveva immaginato che alla fine il Professore avrebbe affrontato il discorso e, d’altro canto, si meravigliava che avesse aspettato tutto quel tempo per farlo. Sospirò, sconfitto.

«Avevo una tale rabbia dentro… Volevo ucciderlo con le mie stesse mani» disse pianissimo.

«Non ci sei riuscito però, giusto?»

«No… E una parte di me si odia per questo. Se fossi stato più lucido, più preciso, a quest’ora Kaibara sarebbe morto da tempo e-»

«Dovresti essere grato alla parte di te che ti ha impedito di ammazzarlo»

«Come?!» Ryo lo guardò confuso.

Il Professore, dopo avergli lanciato un’occhiata penetrante, preferì scrutare l’immensa distesa dell’oceano.

«Per uomini come noi il confine tra giustizia e crudeltà è terribilmente sottile, basta poco perché la sete di sangue diventi inestinguibile. Ogni volta che si impugna un’arma lo si dovrebbe fare sempre per difendere e proteggere…»

«Ma io avevo un buon motivo!» ribatté leggermente agitato, battendo con forza il pugno sulla ringhiera.

«Sì, la vendetta... In alcuni casi può essere un buon motivo» commentò l’uomo giocherellando con due dita tra i baffi «Riflettici un attimo Ryo: quali erano i sentimenti che ti hanno spinto a confrontarti con lui? Com’era il tuo cuore?» dopo un breve silenzio proseguì «Credo che tu ora ci stia arrivando. Combattere guidati solo dalla rabbia cieca, consigliati unicamente dall’odio, è il modo migliore per perdere definitivamente la propria umanità. Non è questo l’insegnamento che devi conservare di Shin»

A quelle parole il ragazzo lo guardò con gli occhi sgranati.

«Non fare il suo stesso errore Ryo: hai un’indole buona e generosa, non lasciare che venga macchiata e distrutta dall’odio. Custodisci dentro di te il ricordo di Kaibara come dell’uomo che ti ha insegnato a sopravvivere in un ambiente proibitivo, un uomo buono e giusto. Cerca di far riaffiorare dentro di te quei momenti e vedrai che il forte risentimento che nutri nei suoi confronti si mitigherà col tempo»

Ryo avvertì una lieve fitta all’altezza del petto nel sentire quelle parole: era vero, non c’era stato giorno durante la riabilitazione in cui non avesse pensato a un modo per vendicarsi, ma era anche vero che, quando si era trovato effettivamente davanti a lui, l’odio che aveva provato era stato così forte da avergli offuscato qualsiasi percezione. E così, travolto dalla sua stessa smania di vendetta, si era ritrovato incapace di combattere bene, non riuscendo a coordinare i movimenti come avrebbe voluto. Per diversi istanti aveva avvertito quella fastidiosa sensazione di non essere totalmente padrone del suo corpo, ricordandogli dolorosamente quando aveva combattuto sotto l’effetto della PCP. Eppure, alla fine era riuscito ad averlo sotto tiro; aveva steso il braccio, puntato la pistola contro di lui, ma l’indice aveva esitato sul grilletto, dando modo poi a Kaibara di contrattaccare, disarmandolo con un potente pugno in faccia. Non era riuscito a ucciderlo: questa era la verità che gli era rimbalzata nel cervello per giorni, e gli faceva male ammettere che non ci sarebbe ancora riuscito. Una parte di lui semplicemente non poteva concepire l’idea di freddare l’uomo che per anni era stato un punto di riferimento, un vero padre a cui intimamente aspirava di voler somigliare. Quell’uomo, da cui aveva sempre cercato approvazione, aveva ormai perso il suo sguardo caldo, la sua voce forte ma pacata, trasfigurandosi completamente: com’era stato possibile che si perdesse così? Dov’era finita la sua umanità? Perché lui, suo figlio, non era stato in grado di capire il suo tormento? Lui che aveva ricevuto così tanto non era stato in grado di ricambiare, di salvarlo dai suoi stessi demoni. Quel piccolo tarlo si era insinuato in lui da tempo e sembrava non voler più uscire dalla sua mente. Chiuse lievemente gli occhi e rilasciò un leggero sospiro: stentava a credere che tutti gli eventi e i cambiamenti che si erano succeduti in quell’anno fossero veri.

«Non tornerò più sull’argomento Ryo, perciò ti prego di riflettere attentamente su ciò che ti ho detto. Non voglio ripetere l’errore che ho fatto con Kaibara»

Il giovane, colpito, girò velocemente il capo verso il Professore «Che cosa dice? Lei non c’entra niente»

«Invece sì, ragazzo mio. Avrei potuto fare molto di più e invece…»

«No, spettava a me fare qualcosa ma non ne sono stato capace» sbottò Ryo, abbassando lo sguardo.

L’uomo si lasciò andare a un sorriso bonario e, mettendogli una mano sulla spalla, disse in un sussurro «Su questo siete proprio uguali, sempre pronti a volervi far carico di tutte le responsabilità» e, dopo aver trovato i suoi occhi, concluse con fermezza «Sono davvero felice di essere riuscito almeno a fare qualcosa per te Ryo, mi ha fatto sentire meno inutile. Con questo viaggio si chiude un capitolo: non devi dimenticare chi sei stato, ma ricorda anche che non sei più un guerrigliero. Non devi comportarti più come tale»

Ryo per un istante provò un certo smarrimento a quelle parole; non era stato altro da quando aveva memoria, come sarebbe stato ricominciare tutto da capo? L’entusiasmo per la novità che lo aveva colto la sera precedente si intiepidì a quella consapevolezza. Si sentì fastidiosamente vulnerabile, sensazione acuita dalla conversazione avuta con il Professore. In fin dei conti, solo lui poteva permettersi di metterlo con le spalle al muro e solo a lui poteva permettere di sbirciare un po’ nel suo animo; ciò, però, non mitigava il suo turbamento e, dal canto suo, il Professore sapeva leggerlo abbastanza bene da averlo capito. Per questo Ryo non fu particolarmente sorpreso nel sentirlo subito stemperare i toni, e intimamente gliene fu grato.

«Devi sfruttare al massimo questo nuovo inizio: pensa a quante belle opportunità di divertimento ci saranno negli Stati Uniti» disse in tono semiserio.

Ryo abbozzò un sorriso «E naturalmente un bel ragazzo come me non può farsene sfuggire nessuna, no?»

«Assolutamente» gli rispose con una risatina «Non temere, una volta a terra ti darò qualche consiglio, sono un esperto in materia» e iniziando ad allontanarsi aggiunse «Ma per ora va’ a svegliare quella mietitrebbia di Moon, io cerco di rimediare qualcosa di commestibile»

Prima di scendere sottocoperta, Ryo si prese qualche altro attimo per ammirare l’oceano che scivolava davanti a lui.
"Una nuova vita, eh? Peggio della vecchia non penso si potrà proprio fare” si disse tra sé. Per quanto si sentisse leggermente più sollevato dopo aver parlato con il Professore, non poté evitare di provare un certo smarrimento. Il suo sesto senso gli diceva che nella grande giungla metropolitana sarebbe stato più solo che mai, e si chiese se sarebbe stato abbastanza forte per sopportarlo. Sapeva bene che Frank e il Professore, per quanto gli volessero bene, non sarebbero potuti stare con lui per sempre, e sperò che le rispettive separazioni avvenissero il più tardi possibile. 
 
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«Accidenti, non ne posso più!» esclamò Frank con gli iniettati di sangue.

«Sei una lagna continua» commentò Kenji mentre, in canotta, ricuciva un bottone della camicia «Certo che quei mercanti ci hanno rifilato degli stracci davvero di pessima qualità. In un certo senso erano meglio le mimetiche…»

L’americano, nel frattempo, camminava come un leone in gabbia, misurando la stanza con lunghe falcate «Come fa a preoccuparsi di stronzate come quella?» e sbattendo un pugno contro il muro metallico esclamò frustrato «Voglio scendere da questa prigione! Sono ormai quattro giorni che non fumo, mi sembra di impazzire!»

«Ecco cosa succede quando si è abituati a fumare come una ciminiera. Sai che non ti fa bene…»

«La smetta per favore! L’ultima cosa di cui ho bisogno è proprio una ramanzina» sentenziò piccato, appoggiando la fronte alla fredda parete.

Kenji gli lanciò un’occhiata fugace e sorrise conciliante «Invece di borbottare come una pentola di fagioli, perché non fai come Ryo e vai ad allenarti un po’ con lui? Vedrai che ti farà bene sfogarti facendo un po’ di esercizio»

«Con Ryo? Vuole la mia morte definitiva?!» e sospirando aggiunse «Quel ragazzo sembra avere un’energia inesauribile»

«Non ti facevo già così decrepito Moon… E pensare che ho parlato di te nella mia comunicazione come di un soldato di prim’ordine. Vorrà dire che mi sbagliavo…» lo stuzzicò il Professore, certo di colpirlo nel punto giusto.

«E lo sono eccome! Un uomo nel pieno della sua prestanza» gli abbaiò contro, ferito nell’orgoglio «Gliela farò vedere io il decrepito, qui l’unico vecchio è proprio lei!» e così dicendo si fiondò sulla scaletta per raggiungere Ryo.

«Vecchio a chi? Non venire da me poi, quando piangerai per il mal di mare» gli urlò di rimando Kenji lievemente risentito.

Appena rimase solo nella stanza, però, rilasciò un leggero sbuffo e sorrise, riprendendo a riattaccare il bottone. Era soddisfatto per aver strappato Frank da quello stato semi depressivo; sebbene non lo dicesse apertamente, sospettava che il suo nervosismo non fosse dovuto solo dall’astinenza da nicotina e dall’occasionale rollio della petroliera. Da quando gli aveva formalmente affidato Ryo, l’americano sembrava sempre in tensione, come se si preparasse a un esame temibile e, in fondo, non poteva biasimarlo. Avevano passato mesi difficili, carichi di eventi tragici che avevano messo a dura prova la loro tempra, e lui stesso ne aveva osservato i segni su di sé, notando la propria capigliatura farsi quasi completamente canuta in pochissimo tempo. Strattonò lievemente il bottone per saggiarne la resistenza e, soddisfatto, chiuse il punto e tagliò il filo con i denti.
A differenza di Frank, lui stava apprezzando quel viaggio. Rappresentava una piccola parentesi, la classica calma prima della tempesta, e solo Dio sapeva quanti impegni e problemi lo aspettavano una volta messo piede sulla terraferma. Primo tra tutti, dovevano passare il confine con gli Stati Uniti senza imbattersi nella polizia di frontiera e poi raggiungere Chula Vista, dove avrebbero trovato i suoi uomini che gli avrebbero portati a San Diego. Quaranta chilometri in cui poteva succedere di tutto.
Una risata proveniente dall’esterno lo distolse dai suoi pensieri. Era quella di Ryo e gli fece bene al cuore sentirla. Aveva temuto davvero di non poterla più sentire, specialmente quando era caduto in uno stato di semi mutismo dopo il suo ultimo confronto con Kaibara. Comprendeva i sentimenti del ragazzo, sapeva che il dolore per un tradimento subìto da una persona in cui si ripone la massima fiducia era un qualcosa di indescrivibile a parole, e non se la sentiva di condannarlo per aver agito in quel modo avventato. Quando avevano raggiunto Ryo rantolante in una pozza di sangue, aveva capito all’istante che era la sconfitta a far soffrire il ragazzo più del dolore fisico, ragion per cui aveva deciso di non parlargli dell’accaduto, aspettando il momento propizio. Kaibara non si era fatto trovare ma, dopo avere medicato il ragazzo, si era reso conto che, forse, non era totalmente annegato nella sua follia: Shin avrebbe potuto ammazzare Ryo con facilità, ma non l’aveva fatto, causandogli ferite di poco conto. E, d’altro canto, neanche Ryo era riuscito nel suo intento omicida.
“Un legame come quello è difficile da scindere così velocemente” si era detto quando aveva osservato la figura di spalle del ragazzo contemplare le montagne, poco prima della loro fuga verso il Messico. Era così simile a Shin nelle sue posture e nei suoi atteggiamenti che sarebbe potuto tranquillamente essere scambiato per il suo vero figlio. E non lo era forse? Avevano vissuto quasi in simbiosi per quindici anni prima che tutto precipitasse. Aveva faticato per far ritrovare un accenno di sorriso al giovane guerrigliero e poi, improvvisamente, il suo umore era migliorato di colpo a seguito di quel formidabile attacco dopo che avevano superato superato il confine, quando Ryo aveva sbaragliato da solo un intero gruppo di soldati ostili ai guerriglieri che iniziavano a confluire nella zona.
«Temevo di non esserne più capace» lo aveva sentito mormorare in un soffio, mentre si lavava via la sporcizia di dosso dopo la battaglia e, in quell’istante, aveva compreso che la sconfitta subita contro Kaibara aveva minato pesantemente la sua autostima. In fin dei conti, Ryo aveva pur sempre un animo troppo sensibile e schivo per nutrire davvero un ego smisurato, sebbene gli piacesse recitare la parte del gradasso davanti a tutti. Era la sua corazza che si era costruito fin dalla prima infanzia: un immagine di se stesso più forte che lo aiutasse ad esserlo davvero perché, nella loro vita, qualsiasi tipo di debolezza poteva essere fatale.
Si alzò e lentamente indosso la camicia mentre continuava a sentire i soliti schiamazzi dall’esterno. Lo rincuorava sapere che, una volta negli Stati Uniti, il ragazzo avrebbe potuto conoscere una parvenza di normalità; avrebbe sempre lavorato nelle ombre della società, certo, ma ciò non gli avrebbe impedito di condurre una vita alla luce del sole, con tutte le dovute precauzioni.
“Ha vissuto tutti questi anni non vedendo altro che battaglie, fango e sangue eppure è riuscito a non corrompersi fino al midollo” pensò iniziando ad abbottonare l’indumento. Era ammirato dalla tenace forza di volontà di Ryo e, una piccola parte di lui sperava che il ragazzo fosse riuscito a mantenersi immune dalla follia della guerra anche grazie a lui.
Con la coda dell’occhio vide il corpo del ragazzo affacciarsi dalla botola in alto per poi scendere con un solo balzo, facendo risuonare l’intero ambiente. Dietro di lui, un Frank pallido da far spavento scendeva cautamente la scaletta con movimenti tremuli.

«Ma vedi se è normale scendere in quel modo, sembri una scimmia» commentò caustico il povero americano.

Kenji sogghignò: non importava in che condizioni fosse, Frank non avrebbe mai perso la sua linguaccia, era una sua caratteristica inconfondibile. In tutti quegli anni che lo conosceva non era cambiato di una virgola.

«E io è meglio che non ti dica cosa sembri, perché non saresti neanche riconducibile al regno animale»

Il Professore scosse la testa: inutile, anche Ryo non le mandava certo a dire e sospettava che quell’atteggiamento fosse stato in parte influenzato dal suo rapporto con l’americano. In fondo era stato come uno zio per lui. Decise di divertirsi un po’ a discapito di Frank; non gli era andata giù la sua battutina precedente e lui si prendeva sempre le sue rivincite.

«Devo dare ragione al ragazzo: sembra tu sia stato ingoiato e cagato da uno squalo» disse con noncuranza ultimando la sua operazione di vestizione.

«Anche lei ci si mette?!» esclamò esasperato Frank, strabuzzando gli occhi mentre continuava la sua cauta discesa «Se sapesse cosa ha combinato…» e rivolgendosi rancoroso in direzione di Ryo, che ridacchiava accovacciato su se stesso, urlò «Shut up! Damn boy, you scared the shit out of me!»

«Che cosa hai combinato Baby Face?» gli chiese Kenji con uno sguardo che sembrava dire “Ottimo lavoro”.

Ryo si rimise in piedi e grattandosi la nuca con fare innocente pigolò «Niente di che… Visto che Frank si è unito a me per un po’ di allenamento, dopo i soliti esercizi l’ho sfidato a fare più crunch di me scommettendo un pacchetto di sigarette» e camminando verso il Professore proseguì «Per dare un po’ di brio alla sfida ho avuto una sorta di ispirazione, così ho deciso di allenare gli addominali in maniera creativa: ho bloccato le caviglie alla balaustra e mi sono appeso all’esterno dello scafo»

«Bloccate my ass! Si potevano appena appoggiare sulla ringhiera» intervenne Moon che, nel frattempo, era riuscito a mettere i piedi a terra con sua grande soddisfazione.

«Intanto io ne ho fatti cinquanta e tu a stento dieci!» esclamò trionfante Ryo «Devi ammettere la sconfitta, sei parecchio fuori forma vecchio mio» gli disse facendo un occhiolino.

«Solo un pazzo come te poteva concepire un’idea balzana come quella. A ogni piegamento temevo di precipitare nell’oceano» e rivolto al Professore sottolineò «E sarei diventato davvero cibo per gli squali»

«Sei il solito esagerato Frank» disse Ryo, per poi aggiungere, guardandolo più schivo «Ero vicino a te e avevo la situazione sotto controllo. Se fossi scivolato ti avrei preso anche a costo di cadere entrambi in acqua»

L’americano lo guardò con uno sguardo fattosi improvvisamente più dolce, ma che virò sùbito al collerico appena il giovane proseguì «E forse sarebbe stato meglio. Hai davvero bisogno di farti un bagno, puzzi da fare schifo»

Kenji si mise una mano sulla fronte mentre li vedeva battibeccare come due bambini.
“Proprio non ce la fai a essere onesto con i tuoi sentimenti, eh Ryo?” si disse per poi ricordarsi che, alla fine, nessuno dei presenti ne aveva la forza, incluso lui stesso.
 
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Aveva piovuto per tutta la mattinata e solo nel primo pomeriggio un timido sole fece capolino tra le nubi, rischiarando la petroliera che proseguiva indisturbata la sua navigazione. Ryo si scrollò la cerata di dosso e si passò una mano tra i folti capelli per togliere qualche gocciolina residua di pioggia. Tutto l’equipaggio, inclusi i suoi compagni di viaggio, si erano rintanati sottocoperta o nella torretta di controllo, mentre lui aveva voluto restare solo all’aperto. Sentire l’incessante ticchettio delle gocce sul telo gli infondeva sempre una certa calma e, quando aveva chiuso per un attimo gli occhi, gli era sembrato di ritrovarsi nuovamente nella foresta, accucciato sotto un albero in attesa della battaglia. Questa volta non aveva il fucile tra le mani né pesanti anfibi ai piedi, eppure, anche se era più leggero esteriormente, nulla era paragonabile alla pesante zavorra che sentiva dentro di sé. Un macigno che faticava a mandar giù. Si alzò e camminò pigramente accanto agli oleodotti che correvano al centro del ponte principale; l’equipaggio il primo giorno si era dimostrato un po’ restio a farlo accedere su quella parte dell’imbarcazione, ma alla fine si era arreso alla volontà di quel ragazzo dal fisico così imponente e dallo sguardo così assorto. Si fermò a contemplare la riva rocciosa che si srotolava davanti ai suoi occhi e cacciò fuori un sonoro sospiro, lo faceva fin troppo spesso ultimamente ma la sua rabbia e delusione erano difficili da gestire.
“E se… Una volta negli Stati Uniti cosa mi aspetterà? No, non potrò fidarmi di nessuno, non devo fidarmi di nessuno. Non posso permettere che qualcuno mi tradisca ancora” si disse, abbassando lievemente il capo “Solo il Professore e Frank meritano la mia fiducia. Il resto degli uomini per me non avrà alcuna importanza” si impose fermamente e tornò al punto in cui aveva abbandonato la cerata. Forse non era stata una buona idea passare tutto quel tempo fuori e da solo, gli aveva riportato alla mente due occhi che lo avevano ferito quasi a morte con la loro durezza e ferocia. Si risedette e, per cercare di distendere un po’ i nervi, iniziò con l’indice destro a tracciare i contorni delle lettere dell’alfabeto sulla fredda superfice bagnata; era un esercizio che si ritrovava a fare spesso, soprattutto quando era in attesa dello scontro imminente, trovava in certo senso confortante come quelle semplici linee si susseguivano con il loro ordine prestabilito. Senza rendersene conto, dopo aver ripassato i tre stili di scrittura, si allungò un po’ più lontano, e iniziò a buttar giù una serie di linee molto più complesse e articolate delle precedenti. Tre ideogrammi si erano fissati in modo effimero sull’acciaio prima di disperdersi definitivamente. Gli unici ideogrammi che conoscesse. Il suo nome.
 
La serata sembrava trascorrere tranquilla come le altre. Il commando si affrettava nelle ultime occupazioni giornaliere e lui, come suo solito, aveva raggiunto Carlos per aiutarlo nella preparazione del rancio. Quell’omone gli stava simpatico, era burbero ma gli piaceva molto scherzare con lui.
«Ehi chiquito, sono spuntati?» gli domandò il cileno mentre ammucchiava la legna per preparare il fuoco.
Ryo scosse la testa «Ancora no» e con l’indice e il medio di entrambe le mani spalancò la bocca, mostrando l’assenza dei due incisivi inferiori.
«Ci vuole un po’ di tempo, Ryo. E questo è solo l’inizio, poi ti cadranno tutti i denti»
«Ma io non voglio restare senza denti, poi come mangerò?»
Carlos ridacchiò con voce tonante «Ah non preoccuparti, ne rinasceranno altri e molto più forti. Potrai mangiare tutto quello che vorrai»
«Spero che finisca presto» disse in tono leggermente rassegnato.
Prese il pentolone dalla capanna della cucina e lo avvicinò al fuoco appena acceso.
«Dobbiamo aspettare, lo sai. Nel frattempo prendi il sacco delle patate così le iniziamo a sbucciare» gli ordinò l’uomo bonariamente e il bambino si apprestò ad eseguire l’operazione, arrancando leggermente sotto il peso del saccone di iuta.
I due si sedettero su un tronco e iniziarono la loro operazione di pulizia. Ryo si impegnò ad essere il più preciso possibile, ma il coltello a serramanico che usava era troppo grande per le sue mani e non riusciva a utilizzarlo con la giusta destrezza.
«Bravo chiquito, stai migliorando» il commento lo colse di sorpresa e alzò gli occhi verso Carlos che non aveva smesso di lavorare «Sai, anche un compito stupido come questo è un ottimo esercizio per allenare le mani. Ricorda Ryo, le tue mani devono essere sempre veloci, forti e resistenti. Così sarai infallibile come il sottoscritto» e così dicendo gli fece un occhiolino complice.
«Veloci, forti e resistenti… Ho capito, allora da domani sbuccerò tutti i giorni un intero sacco di patate da solo» ribatté convinto, ma la sua sicurezza vacillò appena vide l’uomo ridere di gusto.
«Ma no, bastasse solo questo allora gli sguatteri delle cucine sarebbero i migliori combattenti del mondo» e guadandolo un attimo proseguì «Questo è un esercizio di resistenza, per imparare a usare le mani anche quando non senti più i muscoli perché indolenziti dal lungo lavoro. Ma gli allenamenti che fai, quelli sono davvero fondamentali» concluse, continuando a ridacchiare per la sua battuta precedente.
Ryo era sul punto di ribattere quando un urlo lo paralizzò sul posto.
«Ci attaccano! Presto!» gridò Paco, correndo trafelato «Li ho visti avvicinarsi, saranno più di una ventina, salgono da nord»
Pablo uscì veloce dalla sua baracca accompagnato dai suoi uomini e fu seguito a ruota da tutti gli altri guerriglieri; era di pessimo umore, avrebbe ammazzato con lo sguardo e Ryo iniziò a sentire il cuore battergli furiosamente. Non erano mai stati attaccati così vicino al campo e avvertì un certa concitazione nell’aria.
«Qualcuno del villaggio deve averci tradito… Cani maledetti venduti all’esercito!» si ritrovò a imprecare il capo gruppo ma, senza perdere tempo, diede disposizioni di controffensiva «Il Professore, Carlos e Ryo restano qui, tutti gli altri li voglio con me. Usiamo la nostra solita tattica a tenaglia, li prenderemo sui lati quei bastardi» e così dicendo il gruppo si mosse veloce.
Ryo fece in tempo a scorgere Shin e Frank, che gli sorrisero incoraggianti e gli fecero cenno di salire su un albero. Cercavano sempre di tenerlo lontano dalla prima linea, dicendogli che non era pronto, ma a Ryo quelle premure iniziavano a pesare, lo facevano sentire inutile.
«Cosa aspetti? Sali forza» lo esortò il Professore, avvicinatosi mentre imbracciava un fucile a canne mozze.
«Ma anche io voglio aiutare, voglio combattere» ribatté sicuro, mostrando la fionda che aveva sfilato dal tascone dei pantaloni.
«Proprio per questo devi stare in alto Ryo» rispose l’uomo senza scomporsi «Nel caso arrivino qui saresti più utile lì sopra»
Il bambino provò a controbattere ma, dopo aver incontrato lo sguardo deciso di Carlos, annuì e salì veloce sull’albero vicino, mimetizzandosi perfettamente tra le fronde.
 
Ryo riemerse da quel ricordo, che lo aveva sorpreso per la sua nitidezza, e si passò una mano sugli occhi. Quella sera la ricordava ancora benissimo nonostante fossero passati molti anni. Era stato il giorno in cui aveva ucciso degli uomini per la prima volta.
 
Gli spari riempirono il silenzio della notte, portando con sé anche grida concitate.
«Hanno iniziato l’attacco» commentò asciutto il Professore «Carlos spegniamo subito il fuoco» esclamò, poi, come colto da un’idea.
«Ma come Professore? I nostri li staranno già sistemando…»
«Presto!» urlò l’uomo iniziando a buttare terra sul falò «Ho una brutta sensazione. Non possiamo escludere che ci sia un secondo gruppo diretto proprio qui, interessato alle nostre provviste e armi… Anzi non vorrei che ci avessero già accerchiati, Pablo è stato troppo precipitoso»
Ryo li osservava con gli occhioni sgranati mentre nel piccolo pugno stringeva la fionda già carica. Un attacco… Si sarebbe ritrovato nel mezzo della battaglia per la prima volta. Al solo pensiero sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena; quell’attesa lo stava snervando.
Poi, tutto si svolse in pochi secondi.
 
Si ritrovò a stringere meccanicamente i pugni e fu come ritrovarsi nuovamente in quell’inferno.
 
Sentì una raffica di proiettili passare un paio di metri sotto di lui e avvertì il cuore tamburellargli all’impazzata.
“Respira. Prima cosa è respirare con calma, non devo avere paura” si disse come un mantra per scacciare via ogni tipo di emozione mentre tendeva la fionda. Nel frattempo, Carlos e il Professore avevano risposto al fuoco e si erano riparati dietro al tronco che lo aveva visto poco prima preparare la cena. Il fuocherello, non ancora del tutto spento, ostacolava la vista dei due uomini in basso ma per lui non era un problema; ormai i suoi occhi si erano perfettamente adattati all’oscurità così, appena colse il lieve oscillare di un cespuglio di felci, trattenne il fiato, mirò e scoccò un colpo sicuro. Un urlo a malapena soffocato gli segnalò che aveva centrato il bersaglio.
Inorgoglito, per poco non perse l’equilibrio quando una serie di proiettili gli fischiarono accanto. L’avevano individuato e sfogavano la loro rabbia su di lui.
«Scendi subito Ryo, ti copro io!» gli urlò Carlos, mettendosi a correre e rendendosi bersaglio per i soldati.
Il bambino si affrettò nella discesa, stringendo i denti appena avvertì il tronco tagliarli i palmi delle mani, ma non si fermò. Una volta a terra, strisciò fino a raggiungere le spalle del Professore che era impegnato a ricaricare il fucile.
«Tieniti pronto Ryo. Appena ti do il segnale corri verso il laboratorio e nasconditi nel deposito, intesi?» gli comunicò in un tono che non ammetteva repliche.
Non rispose, limitandosi a osservare serio il sottobosco davanti a loro. Perché non si facevano avanti quei soldati? Avrebbe tanto voluto chiederlo, ma intuì che il Professore non avrebbe voluto parlare in quel momento.
«Hijos de puta, mi state stancando» sentì Carlos borbottare poco distante.
Qualche istante dopo vennero investiti da una scarica di colpi e Ryo si appiattì ancora di più al terreno.
«Vai!» gli urlò il Professore e, dopo qualche attimo di esitazione, iniziò a correre piegato in due. Aveva percorso quasi metà strada quando un’altra violenta sparatoria, seguita da un grido soffocato di Carlos, lo fecero fermare. Si voltò e vide il cileno riverso per terra mentre il Professore manteneva disperatamente la posizione. Contravvenendo a quando ordinatogli, si arrampicò veloce su un altro albero e, dopo aver individuato un’altra sagoma muoversi poco lontano, pescò una delle pietre più grosse e acuminate dal suo borsello appeso alla cinta, prese la mira e sperò con tutto il cuore di non sbagliare.
Il suo tiro colpì nuovamente il bersaglio e l’uomo si accasciò con un tremendo urlo, ma la situazione iniziò a precipitare quando notò una decina di uomini muoversi nervosi tra le fronde. Ce la poteva fare il Professore a tener loro testa? Ebbe paura di no quando lo vide sempre più in difficoltà così, senza perdere tempo, armò un altro colpo. All’improvviso si sentì tirare con forza per un piede e per la sorpresa spalancò la bocca senza, però, riuscire a emettere alcun suono.
«Eccoti finalmente piccolo bastardo. Sei tu la scimmietta che si diverte sugli alberi, eh?»
Ryo si dimenò a testa in giù ma l’uomo lo lanciò via con rabbia; l’impatto con il terreno lo fece restare qualche istante senza fiato e provò un dolore acuto all’avambraccio sinistro.
«Meno male che non ho sprecato proiettili per te, mi basterà schiacciarti come un insetto»
Il soldato fece due passi e una volta arrivatogli accanto lo colpì con un calcio all’addome. Ryo sbarrò gli occhi e strinse i denti, incassando il colpo in silenzio; la sua mente iniziò disperatamente a cercare un modo per salvarsi.
“Il Professore sta tenendo a bada gli altri e il resto del gruppo è impegnato sull’altro fronte… Carlos chissà se è ancora vivo…” pensò mentre si portava il braccio destro attorno alla vita, non riuscendo ancora ad alzarsi. In quell’istante le sue dita sfiorarono il coltello che aveva nascosto sotto la camicia: quel contatto gli diede fiducia. Non si sarebbe arreso, avrebbe mostrato che tutti i suoi allenamenti erano serviti.
«Usano anche i mocciosi questi miserabili, sono proprio alla frutta» e con disprezzo il soldato sfilò il pugnale dal fodero laterale, chinandosi pronto ad affondarlo nel petto del bambino.
Ryo sentì un’energia animale scorrergli dentro, semplice e primordiale istinto e, facendo appello a tutte le sue forze, si alzò rapidissimo, appoggiando un ginocchio sul terreno per avere una presa più salda e tese il braccio verso l’uomo, stringendo gli occhi per lo sforzo. Fu una frazione di secondo, avvertì una strana resistenza e sentì la lama sprofondare in tutta la sua lunghezza; quando riaprì gli occhi vide l’uomo annaspare per poi cadere pesantemente contro di lui, travolgendolo. Si ritrovò nuovamente a colpire il terreno sullo stesso lato dolorante e questa volta non riuscì a reprimere un gemito di dolore. Si divincolò da quella stretta mortale, riuscendo a sgusciare come un serpente da sotto quel corpo imponente che si era irrigidito di colpo.
Risentì nuovamente gli spari e si accorse che fino a quel momento non aveva avvertito altro che il suo respiro e battiti del suo cuore. La scarica di adrenalina per qualche istante non gli fece sentire alcun dolore.
«Ryo? Ryo ci sei?» gli domandò il professore, che si era girato proprio in quel momento verso di lui leggermente preoccupato, prima di lanciare una granata «Visto che non mi ascolti, corri ad avvisare gli altri, di questo passo non so se riuscirò a bloccarli ancora a lungo» la sua voce era sempre calma anche se aveva avvertito una punta di impazienza.
«Vado» gli urlò di rimando e, una volta messosi in piedi, iniziò a correre.
Fu costretto a tenersi il braccio con l’altra mano; non riusciva a muoverlo e a ogni accidentale oscillazione avvertiva un dolore lancinante. Non aveva fatto molta strada quando si trovò di fronte Kaibara e Moon che tornavano in fretta.
«O mio dio, Ryo che ti è successo?» gli domandò Shin con occhi preoccupati.
«Ci hanno attaccati. Il Professore vuole rinforzi» rispose serio, mostrando di aver appreso quanto gli era stato insegnato. Durante un combattimento non c’era posto per inutili chiacchierate.
L’uomo fece un lieve cenno col capo e si diresse in direzione degli spari mentre Frank, dopo essersi fermato un attimo per osservarlo, gli mormorò sollecito «Wait for us here, my boy»
Quando li vide allontanarsi si permise di inginocchiarsi esausto, per poi cadere a terra privo di sensi.
 
Ryo si alzò, non riuscendo più a nascondere il suo nervosismo, e iniziò a camminare verso la prua della petroliera, il vento imperioso gli scuoteva i capelli, scoprendogli la fronte sempre nascosta dal ciuffo. Si era abituato alla navigazione, tutto sommato non era così male e sarebbe stata un’esperienza che avrebbe ricordato con piacere. Su quel pensiero, però, si rabbuiò colpito dalle sue stesse riflessioni.
“Ricordare con piacere… Sicuramente non ho molti ricordi di cui gioire” si disse, posando gli occhi ardesia sulla distesa dorata davanti a lui. Eppure, anche i ricordi più dolorosi custodivano quel piccolo elemento che li rendeva degni di essere vissuti, nonostante tutto. Come l’evento che la sua mente stava riproducendo per lui.
 
«Ryo? Riesci a sentirmi?»
Aprì gli occhi e vide il volto familiare del Professore osservarlo con la sua aria imperturbabile. Si ritrovò disteso sul tavolaccio del suo laboratorio e, prima ancora del dolore, fu investito dall’odore pungente e dolciastro della tintura di iodio. Doveva essere ancora buio, i lumi rischiaravano appena l’intero della baracca.
«Bene, direi che sei tornato tra noi» e così dicendo l’uomo si affacciò alla porta, facendo segno con la mano.
Ryo lo seguì con gli occhi, girando lievemente la testa, e lo vide uscire dalla stanza appena Shin fece il suo ingresso. Aveva il viso sporco di terra e sangue, portando con sé quel particolare odore di battaglia che aveva imparato a conoscere; nel suo sguardo, però, c’era solo una luce calda a rischiarare le sue pupille. Il bambino si sentì subito più tranquillo e abbozzò un sorriso, che venne prontamente ricambiato.
«Sei stato molto avventato Ryo» disse Kaibara passandogli una mano sui capelli «Ma sei stato anche molto bravo. Mi hai sorpreso, ti sei dimostrato più abile di quanto pensassi… Ora sei un guerrigliero a tutti gli effetti»
Ryo sentì un moto d’orgoglio gonfiargli il petto e percepì gli occhi farsi pericolosamente umidi. Batté velocemente le palpebre per ricacciare le lacrime. Si impose di non cedere.
«Ti sei battuto per proteggere il tuo campo, rischiando la tua incolumità. Certo, hai anche preso delle vite, ma è il prezzo da pagare quando si è come noi…» commentò l’uomo improvvisamente più cupo.
«Davvero ho ucciso?» gli domandò incredulo.
«Sì, a quanto pare tre uomini. Due con la fionda e il terzo con un colpo da manuale, dritto al cuore. Se continui così sarai presto preciso e infallibile come pochi. Però…» e Shin lo fissò serissimo «Non devi provare gioia o soddisfazione nell’uccidere, hai capito Ryo?»
Il bambino annuì, ancora troppo travolto dagli eventi e dalle emozioni per parlare.
«Bravo ometto» e rispondendo alla sua muta risposta Kaibara si affrettò a chiarire «Gli avvenimenti di stanotte non ti hanno reso solo un guerrigliero: dopo ciò che hai fatto… Ora sei diventato un vero uomo e, come tale, devi avere un nome completo come tutti. Ho già scelto da tempo un cognome per te, ma non riuscivo mai a trovare il momento giusto… Beh, direi che alla fine è giunto» e sorridendogli gli sussurrò «Ryo Saeba, benvenuto tra noi»
Ryo non riuscì più a trattenere l’emozione e una piccola lacrima si fece strada tra le ciglia. Lievemente imbarazzato la cacciò subito via con la mano, sperando che passasse inosservata.
«Per fortuna ti sei fatto solo una microfrattura al braccio ma la contusione è molto estesa, dovrai tenerlo a riposo per un po’. Ce la fai ad alzarti adesso? È giusto che comunichi tu stesso il tuo nome agli altri»
«S- sì» e dandosi una spinta con gli addominali doloranti si mise a sedere.
«Shin… Grazie» gli disse con un lieve sorriso.
 
Quando ripensava a momenti come quello, sentiva ancora vivo l’affetto nei confronti di quell’uomo e, allo stesso, una rabbia furiosa per quello che era diventato… Per quello che gli aveva fatto. Il Professore, però, gli aveva consigliato di focalizzarsi sui ricordi del “vero” Kaibara, dell’uomo che gli aveva dato un cognome e che gli aveva insegnato a scrivere il suo nome in quei caratteri giapponesi così complicati, che si divertiva a tracciare per terra o a incidere sulla corteccia. Un nome a sua detta che lo rappresentava2, che lui ormai considerava suo a tutti gli effetti e che non avrebbe mai cambiato, anche se fosse mai riuscito a scoprire la sua vera identità. Stava seguendo il suo consiglio ma faceva tremendamente male ricordare, e si chiese se non fosse meglio cercare di dimenticarlo del tutto.
Il suono di passi leggeri ma conosciuti lo distolse definitivamente dal suo viaggio mentale. Attese che l’uomo gli si sistemasse accanto prima di rivolgergli uno sguardo.

«Che razza di tempo, piove per mezza giornata e poi ci ritroviamo la sabbia addosso» disse Moon passando un dito lungo la ringhiera per poi osservare i granelli brunastri.

Ryo abbozzò un sorrisetto nel sentire quel borbottio «Si dice che più si invecchia e più di diventa intolleranti. Direi che è proprio il tuo caso Frank»

«Sei proprio un ragazzo insolente, avrei dovuto sculacciarti di più in passato» gli rispose fintamente arrabbiato l’americano.

Dopo qualche minuto di silenzio, l’uomo gli disse senza distogliere lo sguardo dall’oceano «Una sigaretta per i tuoi pensieri»

«Ma se non te ne sono rimaste altre! Con la scommessa ho vinto il tuo ultimo pacchetto» rispose prontamente Ryo divertito.

«Eh no, my boy, un professionista del mio calibro non è mai a mani vuote» e, con un rapido gioco di mani da consumato baro, fece materializzare una sigaretta.

«Ehi, questo trucco non me l’hai mai insegnato!» esclamò sorpreso Ryo, strappandogli dalle mani l’oggetto per verificare che fosse vero.

«Beh, ci sono ancora molti numeri che non ti ho mostrato, però una volta che ci saremo stabiliti ti mostrerò il repertorio completo» commentò orgogliosamente «E comunque è vero, ho davvero una mia piccola scorta personale ben nascosta e che fumerò tutta nei primi dieci minuti in cui metterò finalmente i piedi a terra»

«Credo che ti farò compagnia» gli disse Ryo, infilando il prezioso bottino nel taschino della camicia.

«Vedi che non ti ho dato la sigaretta per niente»

«Ok, va bene… Ricordavo» disse in un sospiro, appoggiando entrambi gli avambracci alla ringhiera.

«Sempre preciso, tu»

«Pensavo a quella sera» disse infine il ragazzo con un sorriso triste «Quando sono diventato un vero guerrigliero»

Dopo qualche istante, Frank disse in tono enigmatico «Ricordo bene quella sera. Provai un po’ di invidia per Kaibara quel giorno»

Ryo si girò verso di lui, genuinamente sorpreso «E perché?»

«Ecco» balbettò l’americano, passandosi una mano nei corti capelli castano ramato punteggiati di bianco «Beh… Lui ti ha dato un nome e lo ricorderai sempre per questo. Può sembrare un gesto semplice ma in realtà non è così. Per voi giapponesi, poi, è tutto così complicato, quando mi spiegò il significato dietro quei segni astrusi mi sentivo scoppiare il cervello» esclamò scuotendo la testa «Però è un gesto che lo identifica come padre. I genitori in quanto tali scelgono il nome dei propri figli. Quello che non mi è stato possibile fare» disse abbassando gli occhi verso i suoi piedi.

«Davvero?» domandò Ryo, stupito che Frank si stesse lasciando così andare; non era solito mostrarsi così intimamente.

L’americano annuì «È una storia un po’ lunga… Con mia moglie ero in brutti rapporti e vivevamo praticamente separati in casa; sicuramente se non fossi partito avremmo continuato con le pratiche del divorzio. Lei, però, mi aveva nascosto di essere incinta così sono partito ignaro per il Guatemala, fino a quando, poco prima che io e Shin decidessimo di lasciare l’esercito per unirci ai rivoltosi, lei mi inviò una lettera con la foto di una neonata. Sul retro solo due righe e il suo nome… Ah shit, quanto vorrei fumare in questo momento!» sbottò nervoso.

Ryo lo fissò, non volendo interrompere quella rara confidenza.

«Quella scoperta mi scombussolò profondamente... In un certo senso mi ha fatto male sentirmi escluso da colei che, con gli anni, è diventata ciò che mi ha tenuto in vita» e, incontrando lo sguardo interrogativo del ragazzo, continuò «Ah my boy, ora non puoi capire perché sei troppo giovane. Anch’io quando avevo più o meno la tua età non ne volevo sapere di far famiglia, i marmocchi non gli sopportavo e vivevo solo per me stesso; però, quando in mezzo alla guerra vidi quella foto sentii scattare in me qualcosa. Mi resi conto che una parte di me sarebbe sempre vissuta in lei e, grazie a lei, avrei continuato a vivere anche negli anni avvenire nei suoi figli e nipoti. L’immortalità dell’uomo in fin dei conti è rinchiusa nella sua discendenza. Così, ogni giorno mi imponevo di resistere con la speranza di poterla incontrare, volevo disperatamente conoscere quella parte di me racchiusa in mia figlia. Sicuramente lei non sa neanche che sono vivo… E chissà se vivono ancora nella vecchia casa…»

Ryo l’osservò in silenzio; gli sembrava di vederlo con occhi nuovi, non aveva immaginato che, dietro la sua apparenza, Frank celasse una sua profonda sensibilità, e lo fece sentire meno solo sapere che qualcun altro condivideva la sua stessa debolezza. Moon scrollò il capo, per poi osservalo con uno sguardo malinconico.

«Quando si è immersi in una quotidianità di violenza e morte bisogna aggrapparsi alla vita per non sprofondare. In fin dei conti, è la stessa cosa che ha fatto Shin con te»

«Come?» esclamò Ryo punto sul vivo.

«Sì. So che non te ne ha mai parlato, ma tu hai rappresentato il suo legame con la vita. Lui non ha retto, però… Forse il suo destino era segnato, ma sono certo che senza di te si sarebbe perso moltissimi anni fa. Purtroppo uomini come lui non sono fatti per questo mondo…» concluse amaro, sospirando lievemente «Ognuno ha almeno un motivo per vivere, sono certo che anche tu troverai il tuo»

Una volta che l’uomo si fu allontanato, Ryo rifletté su quanto gli aveva confessato Frank e si ritrovò ad essere più confuso di prima. Certo, era piacevolmente sorpreso, non immaginava che Kaibara si fosse espresso in quel modo nei suoi confronti, però la sua presenza, la sua stessa vita alla fine non era stata sufficiente per impedire la sua caduta verso le tenebre. Forse non aveva fatto abbastanza come figlio? Lui stesso aveva trovato conforto nella vicinanza di Shin durante quegli anni, ma lui stesso gli aveva insegnato quanto fosse indispensabile trovare la forza sempre dentro di sé. Quindi Kaibara non era stato onesto fino in fondo con lui? Si poteva trovare un motivo per andare avanti anche grazie a una persona? Gli sembrò un concetto molto astratto e terribilmente rischioso: se non fosse stato abituato a fare affidamento principalmente sulle sue forze, non sarebbe riuscito a riprendersi in alcun modo dal tradimento di suo padre. Senza contare, poi, che il Professore gli aveva parlato di bellezza e non di rapporti umani come rimedio contro le brutture della vita, quindi chi aveva ragione? Qual era la verità? Era solito ascoltare i consigli, ma preferiva sempre giungere a una sua personale conclusione, perciò, dopo qualche minuto di riflessione, decise di perseguire per il momento con la linea di condotta che si era autoimposto: non doveva legarsi in modo significativo ad altre persone, doveva restare solo per non rischiare altro dolore. La forza per andare avanti l’avrebbe dovuta trovare solo dentro di lui. Era vivere quello? Avvertì una fitta al cuore al pensiero di quella prospettiva di vita così fredda e solitaria, ma se la sarebbe fatta andar bene. Non aveva altra scelta se voleva sopravvivere ancora in questo mondo.
 
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All’alba del settimo giorno di navigazione la piccola petroliera, dopo diverse manovre, fece il suo ingresso nella stretta insenatura del porto mercantile di Rosarito. Nel piccolo magazzino sottocoperta, i tre uomini stavano ultimando di raccogliere le loro poche cose in larghe sacche di tela quando sentirono bussare al portellino della botola.

«Avanti» disse ad alta voce il Professore, mentre cercava di chiudere con fatica la borsa con le sue apparecchiature.

Dopo un sonoro cigolio, fece la sua comparsa la testa coriacea del capitano della nave.

«Señores volevo avvisarvi di affrettarvi, tra meno di mezz’ora il porto sarà piuttosto affollato e sarà difficile passare inosservati»

«Grazie Capitano, siamo quasi pronti» gli rispose Kenji cordiale, avvicinandosi alla scaletta «Come ultima cosa, volevo chiederle se ci sono dei mezzi per raggiungere il confine…Non ufficialmente s’intende»

L’uomo si acciglio e iniziò a grattarsi le tempia con l’indice «Beh, un modo ci sarebbe…Ma è costoso…»

«Non è un problema» lo bloccò il Professore risoluto.

In quel momento l’uomo scese, avvicinandosi a loro con fare cospiratore «Allora, poco lontano dalla raffineria troverete una pompa di benzina con un chioschetto. È l’unica non potete sbagliarvi. Lì chiedete di Julio, è un nome in codice per far capire loro che avete bisogno di passare il confine... Ma non credo che vi lascino solo l’auto, vi accompagnerà qualcuno perché solo loro conoscono il sentiero più sicuro per evitare la dogana e i posti di blocco, almeno è quello che si dice…»

«Grazie mille Capitano, ci è stato molto utile» lo congedò il Professore mentre si accingeva a prendere le sue borse; Ryo e Frank lo aspettavano già pronti.

«Ah señor…» aggiunse il marinaio titubante «Fate attenzione ai coyotes4, quelli non si fanno molti scrupoli ad ammazzare e derubare chiunque voglia passare la frontiera. Si sentono certe storie, e-»

«Ah, per questo non c’è alcun pericolo. Sono loro che dovrebbero fare attenzione a noi» gli rispose con un sorriso divertito mentre iniziava a salire la scaletta.

L’omino, sconvolto, li fissò salire per poi sparire dall’apertura in alto.
“Chi diavolo sono questi uomini?” si chiese, tamponandosi il sudore dalla fronte con un fazzoletto sporco.
 
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«Cos’era quell’affermazione Prof? L’ha sentita in qualche film di serie Z?» domandò Moon mentre camminavano a passo spedito lungo la banchina poco affollata.

«Non capisci niente Frank, ogni tanto bisogna saper concludere i discorsi con qualche bella frase a effetto» replicò soddisfatto «E pensa che l’ho così spaventato che ci ha anche regalato un pastrano a testa. Con questo freddo le mie ossa ringraziano eheh. Anzi, mi devi un favore»

«Non si dia troppe arie» sbottò seccato l’americano.

Ryo li osservò bisticciare come due ragazzini e sorrise lievemente, mentre stringeva tra le mani i due pesanti borsoni. I loro effetti personali erano piuttosto risicati, tutto lo spazio lo prendevano le armi che erano riusciti a portare con loro.

«C’è una cosa che non capisco» disse a un tratto, interrompendo il dialogo tra i due uomini «Perché dovremmo servirci di altra gente per raggiungere gli Stati Uniti? Con l’altro confine non abbiamo avuto grandi problemi, la polizia di frontiera si lascia corrompere facilmente. Anche senza macchina non siamo così carichi da non poter marciare»

Il Professore scosse il capo «Ah Baby Face, me l’aspettavo questo tuo dubbio» gli rispose mantenendo un aspetto serafico «Certo che potevamo andare a piedi, sono quasi otto ore di marcia ma siamo abituati a molto peggio. In questo caso, però, ci cerve un mezzo. Guardaci: anche il poliziotto più stupido d’America si renderebbe conto che non siamo semplici clandestini. Qui possiamo ancora stare relativamente tranquilli, alla gente piace farsi i fatti propri ma, una volta arrivati nel primo paese degli Stati Uniti, attireremmo l’attenzione e sùbito uno sceriffo troppo zelante verrebbe a darci fastidio. E poi, ammesso che alla dogana si riesca a corrompere facilmente la polizia di frontiera, resta il fatto che degli sbirri vedrebbero la nostra faccia. Ricorda: meno gente ci vede e meglio è, soprattutto per te e Frank che dovrete vivere e lavorare lì. Bisogna evitare a tutti i costi che ci possa essere il minimo indizio per identificarvi o rintracciare i vostri spostamenti. Ecco perché è meglio affidarsi a questi sciacalli; è nel loro interesse evitare i controlli e con loro risparmieremo tempo e fatica. Comunque sono criminali di poco conto e, se davvero dovessero giocarci qualche brutto scherzo, non avremo problemi a sistemarli e prenderci il loro mezzo»

«È proprio un diavolo Prof» commentò Frank mentre, in estasi, stringeva tra le labbra la sigaretta tanto bramata.

«Che significa?» domandò Ryo, fermandosi dopo aver mosso pochi passi «Io e Frank vivremo lì, e lei?»

Quella frase lo aveva messo in allarme.

L’uomo gli sorrise bonariamente, scrollando leggermente il capo «Io non posso restare ragazzo mio, rischierei davvero di rimetterci la pellaccia. Vi accompagnerò fino a San Diego, poi le nostre strade si divideranno» e, ricominciando a camminare, aggiunse «Su muoviamoci, entro stasera voglio essere a Chula Vista»

Ripresero la marcia, ma un scomodo silenzio era sceso tra di loro, ognuno perso nei proprio pensieri. Ryo continuava a ripetersi che lo sapeva che le cose sarebbero andate così, che sarebbe arrivato infine il momento in cui ognuno avrebbe preso la propria strada ma, nonostante tutto, quella consapevolezza gli strinse lo stomaco.
 
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1 Approfitto di questa noticina per esplicitare le date di nascita che ho pensato per vari personaggi e che avrei dovuto fare prima. Naturalmente è solo una mia personalissima valutazione visto che non ci sono certezze, ho solo cercato di dare a ognuno un’età il più verisimile possibile. Ryo: 1953; Kaibara: 1933; Professore: 1916; Moon: 1932.
 
2 Piccolo rimando a quanto detto dal Professore a Kazue e Kaori nel capitolo 83 (edizione Panini) e nel capitolo 39 (edizione Star Comics). Citando testualmente: «[…] Erano anni che non gli vedevo quell’espressione determinata. L’ultima volta…Ah, sì, è stato in Messico. In quell’occasione fece fuori da solo un intero plotone… Nel giro di mezz’ora!»
Se non mi sbaglio è l’unico riferimento a un preciso Paese del periodo di guerriglia, mentre per il resto si parla del generico Centroamerica.
 
3 Naturalmente anche il dolce Ryo merita un angolo kanji tutto per sé (quelle che scriverò saranno ovvietà per gli esperti di CH, ma concedetemelo lo stesso). Partiamo dal nome. Dopo le mie solite ricerche è saltato fuori che tra, i vari kanji utilizzati per il nome Ryo e derivati, non risulta quello utilizzato dallo sweeper, ovvero il cui significato è “cacciare di notte con le torce”. Quindi il caro City Hunter è cacciatore di nome – vero e d’arte – e di fatto (è probabile che questo riferimento sia stato voluto da Hojo. Apro una sotto parentesi solo per aggiungere che la lettura Kun di è “kari”, basta metterci una “o” in mezzo e abbiamo Kaori – ma qui siamo a livelli di complotto/coincidenza che Adam Kadmon spostati!).
Veniamo ora al cognome. Saeba è un effettivo cognome giapponese, ma mi sono sorpresa nel non trovare alcun riscontro della grafia 冴羽. Analizzando i kanji, il primo   "sae" è lo stesso che compone il nome Saeko e che si ritrova nella grafia classica di Saeba. Ciò che stona è il secondo kanji  "ba", il cui significato principale è “ala”. Come prima associazione, ho subito pensato all’aereo su cui viaggiava Ryo e, poiché sappiamo essere stato Kaibara a dargli il cognome, non escludo che possa aver scelto degli ideogrammi significativi per il vissuto di Ryo e che gli abbia insegnato a scriverli (ma questa è solo una mia fantasia!) Concludo il mio ennesimo sproloquio linguistico dicendo che, alla luce di quanto detto sopra, Ryo non solo non esiste in quanto privo di documenti e stato civile, ma anche dal punto di vista del nome è in certo senso inesistente, in quanto ha una combinazione di ideogrammi inedita.   
 
4 Per coyotes si intendeva i trafficanti di immigrati clandestini che, specialmente al confine tra Messico e Stati Uniti, abbandonavano i loro clienti nei territori desertici, condannandoli a morte certa. Giusto per togliere possibili dubbi, in quel periodo il muro non esisteva ancora in quanto venne costruito a partire dal 1990.
   
 
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