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Autore: Tobias Kelley    15/09/2021    0 recensioni
[Bad Ending Route]
Il mio occhio sinistro si aprì dopo molto tempo. Uno scenario tetro si mescolava in mille sfumature di grigio e nero tra le quali, di tanto in tanto, brillava una luce cupa, ma che pareva naturale. Non ebbi bisogno di abituarmi ad essa, tanto fioca quale era, ma mi volle un po' per capire che mi trovavo disteso sulla schiena a fissare un cumulo di pericolanti macerie che mi pendevano sulla testa.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Connor/RK800, Hank Anderson, Kara/AX400, Markus/RK200
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo
 

«Aaaah, non ne posso più di vivere in questo dannato posto.»
«Io lo trovo carino, tenente.»
«Sta’ zitto, Connor.»
Aggrottai la fronte e ritornai a leggere il libro che tenevo aperto sulle ginocchia.
«La gente è tutta così carina e mielosa, cazzo! Non posso mettere un piede fuori di casa che quell’idiota del nostro vicino se ne esce con i suoi Buongiorno! oppure Bellissima giornata per una passeggiata oggi, vero? Cristo santo, alle sette di mattina! E le sue torte, poi?»
«Hanno un aspetto delizioso.»
Hank mi guardò arricciando il naso come suo solito.
«Se al posto della farina usasse il thirium, le assaggerei volentieri.» Richiusi il libro, lasciando in mezzo l’indice della mano destra per tenere il segno. Squadrai il tenente con sguardo di sfida. «Anche se, in effetti, ha messo su qualche chiletto, negli ultimi tempi. Forse dovrebbe rimettersi a lavorare per la polizia. Sono sicuro che troverebbe un buon posto, qui in Canada. Sono tutti così carini e mielosi, no?»
«Certo. Poi racconterei loro che ho picchiato Perkins e ne lascerei almeno quindici svenuti a terra.» Hank ridacchiò ripensando al pestaggio effettuato poco tempo prima alla centrale di polizia di Detroit per guadagnare tempo e permettermi di sgattaiolare all’interno della sala in cui erano custoditi i devianti che avevamo catturato.
«Lasci passare un po’ di tempo.» Incrociai le gambe sul divano e usai il telecomando sul tavolino per accendere lo stereo.
«È stato carino da parte tua riportarmi i miei vestiti e i miei dischi.»
Lo guardai con disapprovazione. «Sono solo le dieci di mattina e lei è già ubriaco.»
«Cosa?»
«Abbastanza ubriaco da dirmi addirittura che sarei stato carino
Hank mi spinse scherzosamente, ma finì lo stesso per farmi cadere dal divano e rubarmi il posto accanto a Sumo, che brontolò sommessamente prima di adagiare la testa sulle ginocchia del padrone. I due erano abbastanza ingombranti da occupare tutto il sofà, così dovetti spostarmi su una poltrona isolata. Il libro mi era ovviamente caduto a terra, facendomi perdere il segno.
«In realtà non volevo portarle le sue cose. Quindi non sono carino. Volevo solo avere dei vestiti di ricambio durante il viaggio.»
Hank mi guardò storto, simulando fastidio. «Tu hai indossato la mia roba?»
«La sto indossando anche ora.» Accennai alla felpa del dipartimento di polizia, troppo larga per me, e ai pantaloncini che avevo visto indossare a Hank la sera in cui lo avevo trovato svenuto sul pavimento della cucina. Mi meritai un cuscino in faccia.
«Avevi detto di aver preso dei vestiti in un negozio, il giorno in cui sei riemerso dalla torre.»
«Già, ma ogni tanto li lavo, a differenza sua. E non potevo depredare l’intero negozio. Luke non voleva nemmeno che rubassi quelli…» La mia voce si era fatta stranamente malinconica dopo aver pronunciato il nome dell’androide. Hank parve accorgersene. «Ti manca, non è vero?»
Annuii in silenzio e mi strinsi le ginocchia al petto. «È successo talmente in fretta che non ho fatto in tempo a metabolizzare il tutto. Faccio ancora fatica a familiarizzare con queste cose. Una parte di me pensa davvero di avere un qualche bug.» Risi.
«Nessuno riesce a familiarizzare con queste cose, Connor.» Hank alzò gli occhi dalla testa di Sumo, che stava coccolando. Era stranamente serio. Seguii il suo sguardo fino a posare il mio su una fotografia appesa alla parete: Cole. Hank non l’avrebbe mai superata. Io non sarei mai stato come quel bel bambino nella foto. Eppure, accanto a quella cornice, un’altra immagine mi sollevava il morale ogni volta che mi capitava di guardare in quella direzione: Sumo era in primo piano, leggermente rivolto verso un Hank forse un po’ brillo, con una bottiglia di birra in mano e addosso una delle sue solite camicie orribili. Accanto, io gli stavo reggendo un pacco da sei bottiglie, come se quella che lui aveva in mano non fosse sufficiente. Lo guardavo storto, ma non sembravo molto più di un bambino indispettito. Un quadretto divertente che ero riuscito ad appendere in salotto senza che Hank facesse troppe storie.
Il suono del campanello mi distrasse da quei pensieri. Vidi Hank rovesciare gli occhi. «Sarà di nuovo quel rompicoglioni di Wilson. Avrà portato una di quelle torte orribili di sua moglie. Presto, nasconditi sotto al letto. Io mi chiuderò nell'armadio.»
«Come, scusi?»
«Sht! Non deve sapere che siamo a casa! Nasconditi!»
«Non ci penso nemmeno!» Alzai gli occhi al cielo e scoppiai a ridere, alzando di proposito la voce perché si potesse capire anche da fuori che eravamo entrambi in casa. «C'è la sua auto parcheggiata in mezzo al giardino. Wilson sarà pure un tipo gentile, ma non è del tutto scemo.»
Hank mi fece il verso e andò ad aprire la porta, mentre Sumo scodinzolava e si spalmava sull’intero divano, ora che era libero e tutto per lui.
Senza pensarci, cominciai a scarabocchiare su un blocco di fogli, mentre ascoltavo Hank rispondere con tono sarcastico alle gentilezze del vicino. Se avessi voluto, avrei saputo replicare qualsiasi cosa esattamente come appariva nella realtà, ma non era quello che volevo. Hank mi aveva presentato a tutti come suo figlio per toglierci di dosso i sospetti del vicinato e scomode insinuazioni, ma non ci credeva veramente. Io non ero Cole e non lo sarei mai stato. Ero solo un amico che cercava in tutti i modi di diventare un frammento della sua vita e, per questo, volevo abbandonare qualsiasi cosa che potesse ricordare a Hank che non ero umano come lui. Ovvio, non mangiavo, non avevo bisogno di bere o di andare al bagno. Ogni volta che cucinavo qualcosa mi tagliavo e sanguinavo blu. Spesso non dormivo ˗ Hank non si era certo premurato di arredare la casa con un letto in più per me, quindi passavo le mie nottate sul divano oppure m’infilavo nel suo letto quando era abbastanza ubriaco da poterlo spingere sul lato opposto senza che si svegliasse. Nonostante tutto questo, cercavo di essere il più naturale possibile in tutto quello che facevo. Come quel disegno. Gli occhi che mi guardavano non erano perfetti, le labbra mi erano venute un po’ storte. I capelli, quelli mi riuscivano bene. In fin dei conti, non era così male.
«Che fai?» Hank aveva chiuso la porta di casa e mi aveva affiancato ancora prima che potessi rendermene conto.
«Oh, beh…» Cercai di nascondere quello scarabocchio, ma Hank fu più veloce e me lo tolse dalle mani. Lo osservò un po’ e il suo fare strafottente si fece presto malinconico.
«Sei migliorato», disse solo, restituendomi il disegno. Mi spettinò i capelli con una mano e si allontanò per inveire contro Sumo, che aveva conquistato l’intero divano.
Gli occhi di Luke mi guardavano sereni dal foglio di carta, stringendomi il cuore in una conchiglia di tristezza. Non sarei mai potuto tornare a Detroit. Se solo avessi visto un modello uguale a lui camminare per le strade, sarei sicuramente scoppiato in lacrime come un bambino. In Canada, invece, eravamo veramente in pochi.
Perso negli occhi dell’AP700, non mi ero accorto che Hank mi stava guardando. «Domani vado a comprarti una cornice.»
«Non ce n’è bisogno, è solo uno scarabocchio.»
«Ma lo guardi come se fosse vero. Forse merita di essere appeso da qualche parte.»
«Posso farne di migliori.»
«E allora appenderemo anche quelli. E che cazzo, Connor, una volta che voglio essere gentile!»
Mi venne da ridere e mi alzai per andare a sedermi ai piedi del divano. Accarezzai Sumo e, in cambio, ricevetti una possente leccata sul braccio. Appoggiai la testa su quella del cane, un cuscino peloso e caldissimo. Quello che avevo non era molto, ma era comunque qualcosa. Era una famiglia.





 
Angolino dell'autore: Per come vanno le cose, ero convinto che non avrei mai pubblicato l'epilogo di questa mini storia! Di per sé era già conclusa con il brusco finale del capitolo precedente, ma volevo dare un po' di spazio a Connor e alla sua nuova vita quasi umana. Forse, anche se dico sempre il contrario, mi piacciono i lietofine.
Ultimamente non mi va molto di scrivere: ho tante idee, ma confuse, e credo che aspetterò un po' prima di pubblicare qualcosa di nuovo; almeno il tempo per riordinare i pensieri.
Quindi grazie di cuore a chiunque abbia seguito questa storia fino alla fine e a chiunque perderà anche solo cinque minuti per lasciarmi un parere, positivo o negativo che sia.
Grazie di cuore,
Tobias <3
   
 
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