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Autore: ConsueloRogue    15/09/2021    1 recensioni
Cosa succede quando due persone s'incontrano per sbaglio nel mondo dei sogni?
Cosa succede quando due anime si sfiorano, anche solo per un attimo?
Cosa succede quando il destino di una persona devia dal suo percorso naturale?
Kim Taehyung è un cantante affermato e un giorno, per caso, appare nella sua vita una strana ragazza, per appena una manciata di minuti.
Da quel giorno s'incontreranno di nuovo nel loro mondo dei sogni.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kim Taehyung/ V, Nuovo personaggio
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo


Dalie Viola - Purple Dhalia





Taehyung era seduto nel VAN a capo chino, la mascherina alzata sul volto e il petto che si muoveva in lenti respiri quasi impercettibili. Gli occhi coperti da un paio di scuri occhiali da sole dalla montatura rettangolare. Fuori dall’abitacolo la primavera era tornata anche quell’anno a caricare di morbidi boccioli rosati i rami degli alberi, ancora spogli dopo il lungo e gelido inverno particolarmente nevoso di quell’anno. Sollevò gli occhi dal telefono nel sentire il rumore del suo manager, che stava rimontando sul VAN con un meraviglioso mazzo di fiori in mano. 

Ventiquattro dalie color porpora.

Ventiquattro come gli anni di Lee Minjae.

Porpora perché l’avrebbe amata per lungo tempo.

«Taehyung-ssi, vanno bene?» chiese il manager passandogli il mazzo con l’accortezza di non stropicciare la sottilissima carta bianca che lo avvolgeva.

Il profumo delicato dei fiori si sparse nel piccolo ambiente ristretto e le labbra di Taehyung si inclinarono in un mezzo sorriso carico di tristezza mentre studiava i petali. Erano lunghi, arricciati e di un viola profondo che rendeva quasi violento il bianco dei bordi. Erano bellissimi e delicati, proprio come lo era stata Minjae.

«Sì, sono perfetti.» mormorò a bassa voce.

Si infilò una mano in tasca ed estrasse un piccolo cordino rosso. Scelse uno dei fiori più al centro, quello che ad un’occhiata approfondita gli parve essere quello più florido e rigoglioso. Legò la piccola cordicella allo stelo verdeggiante e nascose tra gli altri fiori le piccole targhette metalliche che vi erano appese. Sopra vi aveva fatto incidere il nome suo e quello di Minjae, scritti entrambi in caratteri cinesi, così come ricordava di averli letti nei sogni che gli avevano tenuto compagnia fino al suo compleanno. Accanto alle due targhette aveva appeso anche un minuscolo orsetto polare accompagnato da un campanellino.

Li fissò per un secondo e gli occhi gli si inumidirono, nascosti dalle lenti specchiate e scure degli occhiali. Non erano esattamente identici a quelli ancora appesi alla sua bacheca, ma erano comunque simili e sperava che Minjae, sempre che non se ne fosse già andata, apprezzasse quel piccolo gesto che ricordava la prima ed unica volta che le loro vite si erano sfiorate. 

Il volto gli si stirò in un sorriso triste e Taehyung rialzò lo sguardo mentre estraeva delicatamente la bustina bianca che conteneva il biglietto ancora immacolato. 

«Hai una penna?» chiese all’uomo seduto al posto di guida, ancora intento a mettere a posto borsa e portafoglio prima di ripartire per la loro ultima destinazione della giornata.

«Sì, un secondo.» il manager si affannò a cercare una biro nella tascapane che si portava sempre dietro e Taehyung ignorò l’occhiata affranta che gli rivolse. Non era un mistero dove fossero diretti, ma non voleva la compassione di nessuno. Non aveva voluto nemmeno quella di Jimin, che si era offerto di accompagnarlo e di cui aveva declinato l’offerta nel modo più delicato di cui fosse stato capace.

“Che stupido, proprio oggi me la sono dimenticata.” si biasimò Taehyung mentre seguiva con sguardo speranzoso la ricerca frettolosa del suo accompagnatore che scavava nelle tasche della borsa di ecopelle blu.

«Ecco Taehyung-ssi.» annunciò vittoriosamente l’uomo, girandosi verso di lui per passargli una semplicissima ed economica penna nera da discount. 

Taehyung morse il tappo di plastica rigida coi denti per rimuoverlo. Rimase per un secondo immobile a pensare cosa avrebbe potuto scrivere in quello spazio così ristretto e risicato, forse troppo per tutti i sentimenti che avrebbe voluto trasmetterle, poi iniziò a muovere la punta sulla carta bianca mentre continuava a tormetare il tappo nero con la punta della lingua, l’espressione concentrata nascosta dagli occhiali da sole. 

«Posso partire?» chiese il manager quando vide che Taehyung aveva finito di scrivere e stava rimettendo il tappo alla penna.

«Sì, ora sì.» rispose il moro, sistemandosi contro la seduta di morbida pelle del VAN.

«Se non troviamo traffico dovremmo metterci circa mezz’ora.» annunciò il suo autista, girando la chiave nel cruscotto. Il motore si avviò con un basso ronzio e Taehyung annuì prima di chiudere gli occhi con un sospiro. Avrebbe cercato di dormire fino a che non fossero giunti a destinazione nella speranza che il cuore smettesse di correre in quel modo nella sua cassa toracica.





 

Il van si fermò nel parcheggio sterrato con uno scricchiolio di gomme, una piccola nube di polvere bianca si era levata nel punto in cui erano passati. Il manager di Taehyung si girò per riscuoterlo, toccandogli con delicatezza un ginocchio. «Taehyung-ssi siamo arrivati.»

Taehyung mugugnò qualcosa e aprì lentamente gli occhi, sbattendo piano le palpebre mentre rimetteva lentamente a fuoco la visuale. Lanciò un’occhiata all’orologio dell’abitacolo, alla fine ci avevano impiegato più di mezz’ora. Con un sospiro si passò una mano sulla fronte per tirare indietro i capelli scuri e nasconderli sotto il cappellino nero, mentre l’uomo faceva per scendere dal mezzo.

«No, lascia stare per favore. Vorrei andare da solo. Puoi aspettarmi in macchina» rispose Taehyung con la voce resa bassa e roca dal lungo silenzio del viaggio. 

Afferrò con delicatezza il mazzo di fiori, controllando in modo quasi ossessivo che il biglietto fosse al suo posto e che in alcun modo potesse sfuggire. Si sistemò gli auricolari nelle orecchie e si isolò completamente dal mondo esterno facendo partire la playlist che aveva così faticato a mettere insieme durante quei mesi. Non ricordava alla perfezione tutte le canzoni che si erano susseguite durante i suoi incontri con Minjae e ci aveva messo del tempo per riconoscerne alcune. Anche per quello aveva atteso così tanto, voleva che quella visita, la prima di molte, fosse perfetta. 

Scese dal van e si incamminò lentamente verso l’ampio portale in ferro battuto, pronto a salire la scalinata che lo avrebbe condotto da lei, nelle orecchie la voce malinconica di Lana del Rey. 

Ignorò le pochissime persone presenti mentre vagava per i viottoli bianchi e ordinati. Le persone che lo circondavano erano troppo impegnate a badare ai loro affari per tentare di scoprire il volto di quel ragazzo col cappello da baseball, la mascherina nera e gli occhiali da sole, che procedeva per i viali seguendo le indicazioni che aveva appuntato su un foglietto di carta.

Salì diverse rampe di scale, cercando inutilmente di lasciarsi alle spalle la malinconia che lo avvolgeva da mesi e si fermò davanti a una grande parete di pietra grigia. Cercò con lo sguardo il numero che si era appuntato sul foglio, facendo avanti e indietro, finché non lo trovò. Sentì una leggera fitta al petto e si inginocchiò a fissare una piccola foto tondeggiante che ritraeva una ragazza dal sorriso infantile, i lunghi capelli dalle onde morbide le incorniciavano il volto ovale e, incastonati in quella pelle di alabastro, c’erano quelle due brillanti pietre d’onice che aveva come occhi. 

Sfiorò la foto, pulendola da un sottile strato di polvere, mentre si toglieva gli occhiali da sole per incastrarli sopra la visiera.

«Ciao Minjae.» mormorò con voce strozzata. «Mi dispiace essere venuto a trovarti così tardi.» sfiorò con la punta delle dita le lettere d’ottone in rilievo su quella piastrella di granito lucido, con la stessa tenerezza che avrebbe riservato alla guancia liscia di lei, se solo avesse potuto ancora farlo.


Lee Minjae

1996.02.14 - 2020.12.30


«Sono successe tante cose in questi mesi, c’è stata una quarantena e non sono potuto venire da te. Ho… » la voce gli si spezzò, mentre si sedeva a gambe incrociate davanti a tutto quello che gli rimaneva di lei. Appoggiò un auricolare alla pietra fredda e fece ripartire la loro playlist. «Ho trovato tutte le nostre canzoni, sai? Alcune… alcune sono state davvero assurde da trovare, ma ci sono riuscito.»




 

Minjae si asciugò le lacrime col dorso della mano e tirò su col naso mentre guardava la schiena incurvata di Taehyung che se ne andava con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni neri, di nuovo il berrettino calato in testa e gli auricolari nelle orecchie a separarlo dal mondo. Per tutto il tempo che era stato lì a parlare con lei, abbastanza perché il tramonto lasciasse spazio al cielo scuro della sera, era rimasta accucciata accanto a lui ad ascoltarlo. Gli aveva passato le dita tra i capelli soffici e profumati nonostante sapesse alla perfezione che lui non avrebbe mai e poi mai potuto sentire il suo tocco o le risposte che gli dava ogni volta che lui le faceva una qualche domanda. Nemmeno lei aveva potuto toccarlo davvero.

Taehyung le aveva raccontato che la notte in cui si erano incontrati per l’ultima volta, la notte in cui avevano potuto scambiarsi il primo, unico ed ultimo vero bacio della loro vita, avesse inizialmente rifiutato l'idea che fosse tutto vero. Era stato il suo migliore amico Jimin il primo a farlo muovere da quello stato di rifiuto totale.

«Se tutta questa storia è vera, Tae, allora la devi trovare.» 

Aveva continuato ad opporsi fermamente, ma Jimin aveva continuato a insistere senza permettergli di richiudersi nel silenzio come invece Taehyun avrebbe tanto desiderato fare. Lo aveva costretto a raccontargli tutto quello che era successo in quei sogni assurdi, lo aveva esortato a canticchiare le canzoni che ricordava e a sforzarsi di ricordare le melodie che proprio sembravano sfuggirgli ed era stato sempre Jimin a suggerirgli di creare una playlist. 

«Perché mi stai facendo tutto questo?!» gli aveva urlato Taehyung un giorno, sull’orlo di un litigio.

«Perché se è vero ti aiuterà ad andare oltre, Tae, e se non lo è almeno ti metterai il cuore in pace. Lo faccio perché sono il tuo amico e non ti lascerò solo.» gli aveva risposto Jimin con un cipiglio serio e la voce vellutata che usava quando voleva consolarlo. Taehyung le aveva raccontato che era stato quello che alla fine lo aveva fatto cedere e si vergognava di aver cercato di evitare la verità fino a quel momento.

Da quel giorno Taehyung non aveva fatto altro che cercare un modo di trovarla, sempre con la speranza che in realtà non le fosse accaduto nulla di male, che la Lee Minjae di cui parlavano i giornali fosse solo un’omonima e non la sua Minjae. Era partito con l’andare al suo vecchio posto di lavoro, il discount in cui il loro breve incontro aveva segnato i destini di entrambi, ed aveva parlato con il proprietario. Quello lo aveva messo in contatto con suo fratello maggiore Taehyung aveva dovuto faticare parecchio per ruscire a convincerlo ad incontrarsi per parlare di lei.

Le aveva raccontato che era rimasto sorpreso da quanto Minjoon le somigliasse, che la prima volta che li aveva visti al discount era rimasto divertito dal modo in cui li aveva sentiti battibeccare, che Minjoon aveva pianto quando le aveva parlato di lei. Si erano incontrati diverse volte, Taehyung e Minjoon, perché il fratello di Minjae sembrava avere così tante cose da raccontare che non sembrava nemmeno il resoconto di una vita di soli ventiquattro anni.

Taehyung le aveva raccontato tutto un po’ tra i sorrisi e un po’ tra le lacrime, ma in realtà Minjae non aveva affatto bisogno che lui le dicesse com’era andata. Doyun l’aveva nascosta nel suo piccolo appartamento in affitto e le aveva permesso di fermarsi un po' più del previsto per vegliare su Taehyung e decidere cosa fare una volta che avrebbe attraversato il Velo.

Minjae aveva seguito Taehyung per tutto il tempo, lo aveva visto andare alla ricerca di suo fratello ed era rimasta accanto a loro ogni volta che quei due si erano incontrati, poco prima che scattasse il lock-down. Aveva anche scoperto sentimenti di suo fratello dei quali non sarebbe mai entrata a conoscenza se non fosse stata nelle sue condizioni attuali. Se non fosse morta.

Era rimasta ad ascoltare Taehyung tutto il tempo, divisa tra il desiderio che quel momento fosse eterno e il rimorso di non poterlo toccare, di non potergli fare sapere che era lì, per lui, ad ascoltarlo. Del non potergli dire che non lo avrebbe lasciato solo. In alcuni momenti aveva anche riso, soprattutto quando Taehyung si era bloccato, in imbarazzo, sul fatto che alla fine di tutti quegli incontri con Minjoon si era fatto consegnare un piccolo album di sue fotografie che poi si era portato a casa per nasconderlo in un cassetto del comodino.

Minjae, comunque, lo sapeva. E sapeva anche che spesso Taehyung estraeva il piccolo album e rimaneva in silenzio a guardare le sue foto, prima di riporlo e spegnere la luce. Sapeva anche che nel portafoglio di Taehyung ora c’era anche una sua piccola foto insieme a quelle delle persone che riteneva speciali.

Doyun le posò una mano guantata sulla spalla e si chinò verso di lei, con un sorriso dolce su quel volto perfetto dalle labbra carnose e rosee, così in contrasto con quel lungo cappotto nero dall’aria intimidatoria che si sposava così bene con il ruolo che ricopriva. Anche lui sarebbe stato per sempre cristallizzato in quell’attimo e una cappa di tristezza calò sulle spalle di Minjae al pensiero che anche quello fosse involontariamente accaduto a causa sua.

«Minnie, sei pronta?» le chiese Doyun offrendole un fazzoletto bianco con le sue iniziali ricamate in piccolo in un angolo della stoffa. A quanto pareva la grande organizzazione che gestiva la Morte aveva una serie infinita di creature predisposte a occuparsi di ogni aspetto delle anime intrappolate nel ruolo di accompagnatori come lo era Doyun.

Minjae si girò a guardarlo. Prese quello scampolo di stoffa morbida per soffiarsi il naso e si rimise in piedi, singhiozzando ancora sommessamente. «Non lo so, credo… forse sì.» rispose con un pigolio acuto, asciugandosi le lacrime che continuavano a rigarle il volto contro la sua volontà. Non avrebbe voluto piangere in quel modo, ma quello che le aveva detto Taehyung subito prima di andarsene aveva abbattuto l’ultimo avanzo di volontà che le aveva impedito di piangere per tutta la durata del loro breve ma lungo incontro.

«Cercherò di vivere bene, Minjae. Diventerò una persona di cui andresti fiera e nella prossima vita ti troverò. A qualsiasi costo.»

Doyun le posò una mano sulla nuca e gliela massaggiò delicatamente per cercare di consolarla.

«Vuoi sapere cosa ha scritto nel biglietto?» chiese, nonostante conoscesse già la risposta, mentre indicava i fiori che Taehyung aveva disposto ordinatamente nel portafiori attaccato alla lapide lucida e fredda. Oltre quella lastra di pietra c’era tutto ciò che rimaneva delle ceneri della raggazza.

«Sì, grazie.» mormorò Minjae annuendo brevemente.

Il ragazzo accanto a lei si inginocchiò, spostando indietro il cappotto con un movimento elegante. Con delicatezza estrasse dalle dalie la bustina bianca. Lui, a differenza sua, non aveva perso la sua capacità di poter interagire con il mondo. Seguì i movimenti di Doyun in trepidante attesa, mentre quello estraeva il piccolo biglietto dalla bordatura color oro dalla piccola busta bianca indirizzata a lei.

Lo lesse e le labbra gli si incresparono in un piccolo sorriso mentre attorno a loro la fioca luce dei lampioni iniziava a calare rapidamente, come se qualcuno stesse spegnendo le lampade in sequenza. Una fitta nebbia biancastra iniziò ad ammucchiarsi ai loro piedi, muovendosi rapidamente e sollevandosi in volute agitate che lambirono loro le gambe. Doyun risollevò lo sguardo su Minjae che si guardava attorno spaesata e schioccò le dita. Con un sonoro crack un altro biglietto, in tutto e per tutto identico a quello che Taehyung aveva lasciato tra le dalie, gli comparve tra le mani e lui si chinò a riporre l’originale tra i fiori profumati, carichi dell’umidità della sera.

«Credo che… credo che dovresti tenerlo con te, Minnie.» disse sorridendole dolcemente prima di avvolgere la piccola mano di lei con la sua, fredda e guantata. 

«Perché?» chiese Minjae confusa, scrutando i grandi occhi azzurri di Doyun incastonati in quel volto pallido e triangolare.

«Perché…  mi sono affezionato a entrambi, ormai. Leggilo quando sarai dall’altra parte e dovrai decidere cosa fare. Non voglio più vederti piangere, ma spero che dopo aver letto deciderai di aspettarlo. Meritate un piccolo lieto fine, conceditelo tu visto che il Destino non lo ha fatto per voi.» le disse con voce vellutata mentre un sorriso triste gli increspava le labbra. Dopo ventidue anni di silenziosa veglia il suo compito stava giungendo al termine, finalmente anche lui avrebbe abbandonato quell’esistenza a metà.

«Grazie Doyun. Grazie di… beh, di tutto.» mormorò Minjae riconoscente, con le lacrime che si facevano di nuovo strada nei suoi occhi.

Si girò verso il cancello di ferro battuto che era comparso accanto a loro, decisa a fare finta di niente nonostante fosse evidente per entrambi che si fosse rimessa a piangere. Studiò i bottoni dorati e le volute arzigogolate dal gusto curiosamente rococò. Sembrava quasi il cancello di Versailles, come se qualcuno, ai piani alti, avesse avuto una strana passione per l’architettura europea di fine settecento. «E così è… è tutto qui?» chiese cercando ostinatamente di ignorare l’Oscurità assoluta che dimorava oltre.

«Sì, è tutto qui. Dobbiamo solo fare un passo e il mio lavoro sarà terminato.» rispose Doyun guardando quella porta così familiare.

Minjae annuì mordendosi le labbra, strinse un’ultima volta la mano di Doyun e si girò verso di lui con un piccolo sorriso. «Grazie Doyun. Spero che ti incontrerò ancora e che potremo essere amici nella prossima vita. Arrivederci?» chiese, incerta.

Lui non rispose, si limitò a rivolgerle un piccolo sorriso, poi con uno strattone deciso mosse un passo, tirandosela dietro. Entrambi oltrepassarono il cancello, inoltrandosi nell’oscurità con passo deciso.

Una luce abbacinante colpì gli occhi di Minjae, che alzò un braccio per coprirsi il volto. Era sola, la presa gelida e rassicurante di Doyun non c’era più. Provò un piccolo moto di sconforto, ma posò lo sguardo sul biglietto. Non le interessava guardarsi attorno, prima lo avrebbe letto.

Lo aprì trattenendo il respiro per abitudine, non aveva bisogno di farlo. Le mani le tremavano così tanto che dovette agitarle nell’aria per poter fermare il tremore. Finalmente i suoi occhi scuri si posarono sulla scrittura ordinata del suo alieno. 

 

“A te che amo pur non avendoti mai conosciuta.”

Kim Taehyung

 





Fine



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Angolo Autrice

NON STO PIANGENDO E' CHE C'è VENTO.
Ok, dopo letture e riletture credo di essere bene o male soddisfatta di questo epilogo. E' la mia prima storia (non one-shot) che si è conclusa ufficialmente e... niente. Spero che vi sia piaciuta e che vorrete lasciare un'ultima recensione al suo ultimo capitolo. A differenza delle altre storie 18+ questa fa... beh, fa solo male.
Grazie mille a chiunque l'abbia letto in silenzio o commentandola, ci rileggiamo su Blooming domenica.
As always ILYSM, BORAHE!

Consuelo

 
  
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