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Autore: Zobeyde    16/09/2021    9 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ALLIEVO E MAESTRO

 
 



La magione dei Winters apparve scenograficamente in fondo al viale: due piani di pietra bianca, un portico sorretto da colonne classiche e una doppia scalinata elegante che conduceva all’ingresso.
Jim si fermò sotto il colonnato, godendosi finalmente la fresca penombra, e notò che la porta era socchiusa.
«C’è nessuno? Sono io… ehm, Jim. Quello del circo.»
Varcata la soglia, si ritrovò in un immenso atrio scarsamente illuminato, con uno scalone monumentale che conduceva ai piani superiori. Attese diversi minuti lì impalato, nella speranza che si facesse vivo almeno un domestico, ma non arrivò nessuno a riceverlo.
Forse sono in anticipo. O forse, Blake aveva dato per scontato che non venisse più e si era trovato di meglio da fare…
All’improvviso la porta si richiuse con un tonfo, strappandogli un’imprecazione e facendolo piombare nel buio assoluto.
Il vento pensò, dandosi della femminuccia.
Un istante dopo, una dopo l’altra, tutte le lampade iniziarono ad accendersi da sole, conferendo all’ambiente una soffusa luce dorata.
Ok. Bel trucco, gli concesse. Era ben deciso a non lasciarsi suggestionare facilmente: se Blake era davvero uno stregone, avrebbe dovuto impegnarsi di più per risultare convincente.
Con gli occhi ben aperti, si mise a vagare per la casa, enorme, deserta e un po’ lugubre, ma decisamente poco magica.
Attraversò un soggiorno bianco provvisto di pianoforte a coda, un salottino con modanature roccocò e lampadari di bronzo, e poi una sala da pranzo su cui oscillava un pesante ventilatore meccanico. Ma non trovò anima viva.
In casa vigeva un ordine maniacale e ogni superficie era tirata a lucido, segno che il proprietario aveva a disposizione come minimo una squadra di domestici. E anche se avesse dato a tutti il giorno libero, allora chi gli aveva aperto il cancello e la porta? Chi aveva acceso le luci?
A un certo punto, si ritrovò in quella che era chiaramente la biblioteca: grande, ariosa, con librerie a vetro e pannelli in legno che si elevavano fino all’altissimo soffitto affrescato. In fondo, c’era un gigantesco camino di marmo, sopra il quale era esposta una spada; una vera spada, con l’impugnatura a croce rivestita da pelle logora e una doppia lama fittamente intarsiata. Di quelle che i cavalieri usavano per uccidere i draghi. O fare altre cose da cavalieri.
Jim si avvicinò per ammirarla, cercando di decifrare i segni incisi nel metallo lucente. E a un tratto, si accorse di essere spiato da un paio di occhi neri e curiosi.
C’era un corvo, appollaiato su un trespolo accanto al camino, bianco come la neve. Jim non lo avrebbe mai notato se non fosse stato a pochi centimetri dal suo becco, perché se ne stava così perfettamente immobile da dare l’impressione di essere impagliato.
«Oh» fece il ragazzo. «Allora qualcuno in casa c’è.»
Il corvo arruffò le penne, senza smettere di fissarlo.
«Tu non sai dirmi che fine hanno fatto tutti, vero?» chiese Jim. In risposta, l’uccello emise un tenue grido e spiccò il volo, andando a posarsi sullo schienale di una delle due poltrone Chesterfield di fronte al camino. Poi gracchiò di nuovo e, con il becco, sembrò volergli indicare di sedersi.
Un pensiero folle ed elettrizzante al tempo stesso gli attraversò la mente. Vuoi vedere che...?
«Signor Blake!» esclamò Jim. «Accidenti, non l’avrei mai riconosciuta!»
Il corvo inclinò la testa da un lato.
«Questo sì che è un bel trucco» disse il ragazzo, ammirato. «Mi piacerebbe impararlo. Mi faccia indovinare: era una specie di test, vero..?»
«Ah, state già facendo amicizia!»
Jim si voltò di scatto. «Gesù!»
«Temo proprio di no» rispose divertito Solomon Blake, apparso in mezzo alla stanza con indosso un completo di cotone blu dal taglio italiano e il bastone sottobraccio. «E non prendertela con Wiglaf se non risponde alle tue domande: possiede molte qualità, eccetto la parola.»
«Io credevo…» Jim si sarebbe volentieri preso a calci. «È che l’altra sera ha detto di essere il Corvo Bianco...»
«Un vecchio soprannome. L’unico corvo qui al momento è Wiglaf, il mio famiglio.»
«Famiglio?»
«Un demone minore.» Blake estrasse dalla tasca un bell’orologio in argento, apribile, assicurato a una catenina, e gli diede la carica. «Possono assumere svariate forme. Gli ho detto di lasciarti entrare, ma spero non ti abbia spaventato: ha il vizio di sbattere le porte.»
Un demone?! «Veramente, pensavo che avrei trovato lei ad aspettarmi.»
Blake distolse l’attenzione dall’orologio e puntò su di lui due occhi incredibilmente azzurri.
«Gli allievi aspettano» rispose, chiudendo il coperchio con uno scatto. «Mai il Maestro. Considerala la tua prima lezione.»
«Ma lei non è il mio Maestro» obiettò Jim. Non ancora, almeno.
«Eppure, sei qui.»
«Potrei essere semplicemente curioso.»
Blake sorrise. «La curiosità è desiderio di imparare. E se posso soddisfarlo, questo fa di me un Maestro e di te il mio discepolo.»
Jim si accigliò. Sbruffone. «Non abbiamo tutti qualcosa da imparare?»
«Alcuni più di altri. Vogliamo continuare a vedere chi abbaia più forte o diamo un senso a questo incontro?»
Jim si sentì arrossire. Con un paio di stoccate, lo stregone gli aveva fatto fare due volte la figura dell’idiota, schernito e messo a tacere.
Lo scrutò a braccia conserte mentre prendeva posto in poltrona; anche ora che lo vedeva bene non riusciva a dargli un’età precisa, poteva averne una qualsiasi tra i quaranta e i sessant’anni. Magari non lo avrebbe definito bello – il suo volto aveva un po’ troppi spigoli e il naso era piuttosto storto, come se fosse rotto – ma nel complesso possedeva un certo fascino, con la sua corporatura slanciata, la riccioluta chioma corvina e i baffi neri e sottili come segni grafici.
«Suvvia, non è il caso di cominciare col piede sbagliato» disse in tono leggero, esortandolo a sedersi. «Mi fa piacere che tu ci abbia ripensato, dico davvero. E poi, fra poco verrà servito il tè.»
Ancora un po’ indispettito, Jim acconsentì.
«Posso chiederle perché si è stabilito qui?» chiese subito dopo. «Con tutte le ville del Garden District…e in centro ho visto alberghi che sembrano regge.»
«Diciamo che avevo un conto in sospeso con i Winters dai tempi della guerra e quando ho visto che la casa era all’asta non ho resistito. E poi sono nato nella campagna inglese: mi piace la quiete e quindici acri di terreno me ne forniscono a sufficienza.»
«Pensavo che avesse lanciato sui Winters una specie di maledizione» disse Jim, un po’ deluso. «Che so, trasformato tutti in scarafaggi e lasciato andare solo il nonno di Donnie per raccontarlo.»
Blake si mise a ridere. «Oh, se lo sarebbero meritato! Ma all’epoca le mie priorità erano altre.»
«Però sarebbe stata una bella dimostrazione di magia.»
«Tu ancora non credi che sia un mago, non è vero?»
«L’ha detto lei, ci sono tanti bravi illusionisti sulla piazza.»
«Quello che voglio insegnarti io non è illusionismo» replicò Blake. «Anche se, per certi aspetti, i nostri ambiti hanno qualcosa in comune.»
«Per esempio?»
«L’ingegnosità.» Blake tornò a sorridergli. «Capirai meglio quando sarà il momento.»
«Quando deciderò se diventare suo allievo?»
«Non lo hai già deciso?»
«Potrebbe farmi vedere cosa sa fare.»
«Potrei, ma lascio ai giullari il compito di esibirsi.»
«Però l’altra sera…»
«Eri nei guai e ho agito di conseguenza. Avrei dovuto mettermi a volare, o lanciare palle di fuoco dalle mani per impressionarti?»
Si stava offendendo. Jim pensò bene alle parole successive: «È solo che… è difficile accettare che esista davvero qualcuno uguale a me.»
In quell’istante si udì un tonfo, poi un altro e Jim sentì il parquet vibrare leggermente sotto i piedi: passi pesanti che si avvicinavano.
«Oh, Valdar» disse Blake. «Giusto in tempo, siamo affamati!»
Quando Jim si volse per vedere con chi stesse parlando gli mancò il fiato.
Sull’uscio della biblioteca era apparso un bestione grosso quanto un armadio, con la pelle di un color verde-grigiastro; la sua testa era calva, le orecchie a punta, e aveva una mandibola eccessivamente sporgente, da cui spuntavano due zannone bianche. Se ne stava immobile con indosso un completo di tweed marrone, reggendo con le grosse mani un carrellino carico di sandwiches e pasticcini, oltre a una teiera fumante e tazzine di porcellana.
«Non hai nulla da temere» disse Blake rivolto a Jim, che era rimasto per metà seduto e per metà in piedi e con la bocca spalancata. «Puoi lasciare tutto qui, Valdar, ci serviamo da soli, grazie.»
Jim si sforzò di tornare composto, ma i suoi occhi continuarono a seguire ogni movimento della creatura. Il mostro, tuttavia, si limitò a lasciare il carrello e fissare il ragazzo con altrettanta diffidenza.
«Questo qui è James Doherty» presentò Blake. «Penso che verrà a trovarci spesso, quindi cerca di farlo sentire a casa.»
Il mostro emise un rauco grugnito, scoprendo ancora di più le zanne, poi se ne tornò da dove era venuto.
Jim si schiarì la gola. Ne aveva sentito parlare, certo, ma non credeva che ne avrebbe mai visto uno da vicino: a differenza della maggior parte dei Dimenticati, non erano creature che si adattavano pacificamente alla vita tra gli umani. «Quello era un…un…?»
«Orco, della stirpe di Grendel per la precisione. È un caro ragazzo, ma non troppo loquace.»
«E come ci è finito un orco a lavorare per lei?»
«Una volta ha cercato di uccidermi.»
Jim era senza parole. «Quindi, lo tiene sotto un incantesimo?»
«Cielo, no!» esclamò Blake, indignato. «Ci siamo fronteggiati, l’ho sconfitto e da allora mi ha giurato eterna lealtà: gli orchi hanno uno spiccato senso dell’onore. Ma non darti pensiero per lui, trascorre quasi tutto il tempo nel seminterrato. Il clima della Louisiana è un po’ troppo soleggiato per i suoi gusti.»
Per Jim era tutto assurdo. «Ma cosa accidenti mangiano gli orchi di solito?» chiese, rabbrividendo al solo pensiero.
«Mangiano noi, se possono» rispose infatti Blake, ridacchiando; versò il tè nelle tazzine e presto si diffuse un intenso profumo di bergamotto. «Ma sono anni che Valdar segue una dieta a base di selvaggina e verdure, il che è stato un toccasana per il suo colesterolo. Gradisci latte scremato con il tè?»
Jim annuì, un po’ stranito. Demoni, orchi…voleva la magia, no? Eccolo accontentato.
Bevvero il tè e Blake lo incitò ad assaggiare qualche dolcetto preparato da Valdar. Con qualche reticenza, il ragazzo ne prese uno di pasta frolla al limone e già al primo morso sia aspettò con terrore di sentire tra i denti un’unghia che scricchiolava o dei capelli umani. Invece era a dir poco delizioso.
«Ora, veniamo a noi» riprese all’improvviso Blake. «Come mai alla fine hai deciso di venire a cercarmi?»
«Ecco» bofonchiò Jim, la bocca piena di pasta frolla. Mandò giù il boccone. «Ehm, forse l’altra sera sono stato un po’ precipitoso. Insomma, mi ha salvato la vita e…»
«Questa non è una risposta.»
Jim esitò. «Perché ho capito che aveva ragione. Potrei migliorare ciò che so fare, dare di più, essere utile alla compagnia…»
«Ancora non mi stai rispondendo con onestà.»
Jim non capiva dove volesse andare a parare. «Sono onesto. Il fatto è che per tutta la vita ho creduto di essere unico, e al circo…non mi fraintenda, voglio bene a tutti lì, ma non credo che capiscano cosa voglia dire avere il potere di fare la differenza e non poterlo sfruttare.»
Blake annuì, gli occhi azzurri che brillavano. «Così va meglio. Quindi, vuoi più libertà e più potere. Non c’è niente di male in questo» aggiunse, quando Jim aprì di nuovo la bocca per ribattere. «Volere di più è nella nostra natura. Il motivo per cui insisto è che per la magia occorrono tre aspetti fondamentali: uno di essi è la Conoscenza e come vedi.» Allargò un braccio verso le librerie. «Qui ne troveresti in abbondanza.»
«Sono tutti libri di magia questi?»
«Filosofia, scienza occulta, alchimia, c’è un po’ di tutto. Ma il sapere da solo non basta. Perché sia efficace, la magia ha bisogno di un quid, di una motivazione: in una parola, di Volontà.»
«E il terzo aspetto?»
«Una predisposizione a cogliere ciò che alla maggior parte degli esseri umani sfugge» rispose lo stregone. «La segreta corrispondenza che lega l’Uno al Tutto. È ciò che distingue quelli come noi dai Mancanti.»
«Cioè chi non pratica la magia?» chiese Jim. «Perché li chiama così?»
«Per convenzione. In tempi remoti qualcuno – un dio o l’evoluzione, poco importa – ha stabilito che fosse necessaria una suddivisione all’interno del creato.»
Jim provò una fitta di disagio; non gli piacevano quei discorsi, soprattutto se fatti in una casa di schiavisti. «Così suona un po’ razzista.»
«Esiste un ordine prestabilito per tutte le cose, non si parla di supremazia di una razza rispetto a un’altra» spiegò Blake. «Ma c’è un motivo se siamo stati perseguitati nel tempo, se ai Mancanti la magia piace solo quando è esibita su un palcoscenico: non possiedono la sensibilità per comprenderla. E quando non si comprende una cosa si finisce per temerla, odiarla. Per questo è bene che i due mondi restino separati.»
«E che mi dice dei Dimenticati?» domandò Jim. «Anche loro rientrano in questo “ordine?”»
Blake sospirò. «I Dimenticati, per quanto mi rincresca, appartengono a un’epoca ormai defunta, in cui uomini e dèi camminavano insieme senza che l’uno superasse l’altro: ma a differenza di noi maghi, non hanno più i mezzi per tenere il passo coi tempi che cambiano.» Fece un cenno verso la porta, da cui poco fa era uscito Valdar. «E per la maggior parte di loro non c’è futuro.»
Con una stretta al petto, Jim pensò ad Arthur: “Quale sfolgorante futuro mi aspetta lontano da qui? Non so niente del mondo, sono nato su questo treno.”
Bevve un altro sorso di tè caldo, riflettendo su quelle parole. Dopo un lungo momento, disse: «Nemmeno mio padre sapeva praticare la magia. E non gli piaceva che io la praticassi.»
«Lo sospettavo. Ma tua madre sì, vero?»
«Sì» confermò piano il ragazzo. «Lei mi incoraggiava, diceva che quelli come noi sono destinati a fare grandi cose. A cambiare il mondo.»
«Pensi che sia vero?»
Jim posò la tazza sul piattino.
«No, penso che si sbagliasse. Non è riuscita a cambiare proprio niente: sì è ammalata come fanno tutti e poi è morta. E…io sono rimasto solo con questi poteri.»
Un’ombra attraversò il volto dello stregone. «Mi dispiace molto. Nessuno dovrebbe subire una privazione simile, soprattutto se così giovane.»
Jim fu scosso da un fremito d’irritazione e distolse lo sguardo. Se c’era una cosa che proprio non sopportava era la compassione. «Allora, la sua offerta è sempre valida? Mi insegnerà la magia?»
«Te la insegnerò» acconsentì lo stregone. «Ma a due condizioni.»
Lo sapevo che c’era la fregatura. «La ascolto.»
«La via della magia è tortuosa» disse Blake. «E per seguirla occorrono passione e sacrificio. Il mondo a cui ti introdurrò è profondamente diverso da quello a cui sei abituato; soprattutto all’inizio non capirai molte cose, altre ti spaventeranno, per questo mi occorre la tua completa e incondizionata fiducia. Credi di potermela offrire?»
Jim sbatté le palpebre. «Tutto qui?»
«Cos’altro ti aspettavi?»
«Non so, un patto di sangue, sacrificare il mio primogenito maschio…»
«Dare fiducia non è cosa da poco» sentenziò Blake, ignorando i suoi tentativi di fare ironia. «Significa che qualunque cosa io di dirò di fare tu la farai, qualunque segreto ti chiederò di custodire non mi tradirai. E se mi occorrerà il tuo aiuto me lo garantirai in qualsiasi momento, senza se e senza ma.»
Jim incrociò le braccia. Posta in questi termini, non sembrava più molto allettante. «Pensavo che sarei diventato un apprendista stregone, non il suo tirapiedi.»
«Tutti devono fare la gavetta. E il prezzo del mio aiuto è questo.»
«E se non mi piacesse quello che mi ordina? Se mi chiedesse di fare del male a qualcuno o di infrangere la legge…?»
«Imparerai che quelli come noi sono al di sopra di certe strutture, ma la decisione spetterebbe comunque a te. Come ho detto, per far magia bene occorre motivazione: non ti obbligherei mai a fare qualcosa che non vuoi. Sappi però che se venissi meno all’accordo anche la nostra collaborazione smetterebbe di esistere con effetto immediato.»
In pratica, un ricatto. «E cosa mi accadrebbe se decidessi di tirarmi indietro?»
«Niente. Ti accompagnerei alla porta e ti augurerei una vita lunga e felice. Lo capirei, credimi, quello che ti sto offrendo non è un dono.»
«Ma ieri ha detto che mi avrebbe reso più potente.»
«E intendo farlo, ma ciò non implica che ti renderò la vita più facile.»
Quella frase gli ricordò quanto detto da Margot durante la lettura dei tarocchi: “Le carte parlano di un viaggio in cui qualcuno ti accompagnerà, ma non posso dire se cambierà la tua vita in meglio.”
Malgrado ciò, Jim non riuscì a trattenere un sorrisetto provocatorio. «Mi lasci indovinare: è uno di quelli per cui i soldi non fanno la felicità, eh?»
«Punti di vista, suppongo. Allora, accetti o no?»
Jim prese qualche minuto prima di rispondere e lo stregone attese senza mettergli fretta. In cosa si stava cacciando, esattamente? Non sapeva nulla di quell’uomo, né delle sue intenzioni.
Inspirò profondamente, mentre percorreva con lo sguardo le pareti rivestite da libri: preziosi tomi rilegati in pelle, coi titoli incisi in maiuscole dorate. Tutto quel sapere proveniva da parti del mondo di cui non conosceva neanche il nome. E sarebbe stato a sua disposizione, se avesse voluto…
“Posso darti la possibilità di spingerti oltre i tuoi limiti, di sperimentare, raggiungere vette che non immagineresti.”
Era ciò che aveva sempre desiderato, ormai non aveva dubbi. Era alla magia che pensava ogni sera prima di addormentarsi, era sempre la magia il suo chiodo fisso qualunque cosa facesse. Ed era stufo marcio di esercitarsi di nascosto, di ritagliare piccoli momenti per coltivare il suo vero talento, come se fosse qualcosa contro natura. Era stufo di dover indossare ogni sera una maschera e quel ridicolo costume da due soldi.
Voleva apprendere, crescere, mettersi in gioco. Sapeva di avere il cervello e la forza per arrivare lontano. Ma valeva la pena donarsi completamente a uno sconosciuto, per quanto affascinante, per ottenere una possibilità simile?
La vera domanda è: chi altro potrebbe darmi una possibilità simile?
«Va bene, ci sto» decise alla fine. «Però…»
«Credevo avessimo stabilito “senza se e senza ma”.»
«Non dipende da me» si giustificò il ragazzo. «Come faccio con il lavoro? Sono ancora il mago di Maurice, non posso mollare tutto. A meno che lei non decida di partire con noi martedì, quando smonteremo…»
Ma Blake stava già scuotendo la testa. «Questo è fuori discussione, ci sono certi affari che mi trattengono a New Orleans.»
«E allora cosa facciamo?» Facciamo… siamo già diventati un “noi”?
Questa volta fu lo stregone a concedersi un momento di riflessione. «Non voglio importi un cambiamento così drastico dall’inizio, ma non vorresti prendere in considerazione l’idea di licenziarti?»
Jim rimase di stucco. «No, io…non posso, mi dispiace.»
«Il signor O’Malley ti tiene vincolato in qualche maniera? Ti ricatta, o minaccerebbe di fare del male a qualcuno a cui tieni se te ne vai?»
«No» rispose lui. «Insomma, non è uno stinco di santo, ma non credo lo farebbe.»
«Quindi, devo dedurre che il vincolo che ti lega alla compagnia sia puramente affettivo.»
Si era aspettato un commento sarcastico, che dicesse che per la magia occorrevano sacrifici e che uno stregone non aveva tempo per certe sciocchezze. Invece, lo aveva detto in tono straordinariamente comprensivo. Jim se ne sentì rincuorato.
«Sono la mia famiglia» rispose, in tutta onestà. «L’unica che ho.»
Lo stregone emise un altro piccolo sospiro. «In tal caso, cercherò una soluzione che metta tutti d’accordo. Appena l’avrò trovata te lo farò sapere. Si è fatto tardi, il taxi è fuori che ti aspetta.»
Si alzò in piedi e Jim, sorpreso, lo imitò quasi di riflesso. Non si era reso conto di quanto tempo fossero rimasti lì a parlare.
«Cosa devo fare ora?» chiese con una certa impazienza, mentre veniva scortato alla porta.
«Nulla, solo aspettare. Mi farò vivo io.»
Quello che dico sempre io alle ragazze, pensò lui, scettico. «Posso parlare a qualcuno di quello che ci siamo detti oggi?»
«Non ti ho confidato nessun segreto mortale. Per ora» aggiunse, facendogli l’occhiolino. «Cena con i tuoi amici, fatti una dormita e non rimuginarci troppo.»
«E qual era l’altra condizione?»
Per la prima volta, fu Blake ad assumere un’espressione lievemente stupita.
«Ha detto di avere due condizioni» spiegò Jim. «Non mi ha detto qual è la seconda.»
Inaspettatamente, lui rise. «Oh, era più un favore personale.»
«Cioè?»
Blake gli tenne aperta la porta, continuando a sorridere. «Brucia quel costume e dacci un taglio con le sceneggiate. Non avrai più bisogno di farti chiamare Khazam.»

 
  
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