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Autore: GReina    16/09/2021    1 recensioni
[Miya, separati alla nascita au] [accenni sakuatsu, osasuna]
Atsumu non aveva bisogno di una famiglia. Questo era ciò che aveva continuato a ripetersi durante tutta la sua vita. Era forte, indipendente. Figlio unico da sempre e felice (forse) di esserlo.
Tutte le sue certezze crollano, tuttavia, quando improvvisamente vede il proprio volto indossato da un altro.
Genere: Commedia, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Atsumu Miya, Kiyoomi Sakusa, Osamu Miya, Rintarō Suna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Trauma

 Atsumu non aveva bisogno di una famiglia. Questo era ciò che aveva continuato a ripetersi durante tutta la sua vita. Dire che non me aveva una, comunque, sarebbe stato errato. Il ragazzo aveva sempre vissuto con suo padre, ed anche se l'uomo non avrebbe mai potuto dirsi “presente”, se da bambino l'aveva odiato ed accusato, con la maturità dei suoi quindici anni adesso Atsumu poteva benissimo scagionarlo. Miya Chojiro era un uomo d'affari, il che cozzava fortemente col suo essere anche un padre single. Conoscendo la complessità del mondo del lavoro Atsumu non poteva biasimarlo, quindi, per non esserci stato. Se non altro non l'aveva abbandonato come aveva fatto sua madre.
Aveva imparato a sopravvivere con poco: un sorriso al mattino, un cenno di saluto la sera. Checché ne ricordasse non aveva mai ricevuto un abbraccio, mai una carezza o un bacio paterno, ma allo stesso modo mai un colpo sul viso o una punizione per i suoi drammi adolescenziali. Semplicemente, suo padre esisteva per mantenerlo e dargli un tetto sotto il quale dormire; esisteva per pagare la retta scolastica e per accennargli il proprio orgoglio ad ogni traguardo sportivo raggiunto. Per il resto, Miya Chojiro era solo lavoro.
Non avendo mai ricevuto quel tipo di amore, comunque, Atsumu non sapeva cosa si stesse perdendo, e sebbene durante il corso di tutta la sua vita non avesse fatto altro che immaginare come avrebbe potuto essere altrimenti, grazie a questo era andato avanti.
Fu difficile per Atsumu comunicare all'uomo che viveva con lui che la settimana successiva sarebbe andato a Tokyo per partecipare ad un campo estivo di pallavolo della durata di un mese. Non tanto per paura che gli negasse il permesso, tanto perché gli orari di padre e figlio erano agli opposti: Atsumu spesso già dormiva quando l'altro rientrava dopo il lavoro e viceversa questi era ancora a letto quando il più piccolo usciva per la scuola.
Fu con un post-it attaccato al bento che gli aveva preparato, infine, che il ragazzo riuscì ad informare Chojiro. Questi firmò in fretta il permesso e in men che non si dica lui e l'intera squadra dell'Inarizaki erano pronti a partire.
Non era la prima volta che Atsumu visitava la città. C'era stato una volta in gita scolastica durante le medie e ancora accompagnando suo padre ad un meeting di lavoro che sarebbe durato due giorni. Nella prima occasione aveva posto poca attenzione, mentre nella seconda era rimasto costantemente in camera d'hotel. Per questo quando il coach li aveva informati di quel ritiro si era detto immediatamente contento di poter rimediare e finalmente visitare come si deve la capitale. D'altronde era lì che si sarebbero tenuti i Nazionali di pallavolo, lì che aveva sede All-Japan Youth Training Camp. Entrambe cose a cui auspicava con tutto se stesso. Si sentì fortemente deluso, quindi, quando il pullman della scuola deviò verso la periferia piuttosto che andare in centro.
Avrebbe dovuto aspettarselo: il ritiro estivo al quale erano stati invitati, d'altronde, non era aperto solo alla loro scuola. Serviva un edificio in grado di ospitarli tutti e questo certo non era facile da trovare tra grattacieli pieni di uffici e centri sportivi privi di dormitori.
Quella delusione passò in poco tempo. Atsumu aveva conosciuto solo un tipo di amore in vita sua, ed era quello che lo univa alla pallavolo. Aveva sempre faticato a farsi degli amici, ed era ancora così; non comunicava bene, non sapeva come approcciarsi agli altri. Ma bastava che avesse una palla tra le mani affinché tutto cambiasse. Lì non aveva bisogno di parole, lì bastavano solo le sue dieci dita e la magia che esse compivano alzando la palla in maniera perfetta.
Si guardò intorno con meraviglia. C'erano il Nekoma, il Fukorodani, il Nohebi, lo Shiratorizawa. E a momenti, lo sapeva, sarebbe arrivata persino l'Itachiyama, la squadra più forte della loro categoria.
Atsumu diede uno sguardo veloce a tutti loro: le divise, i borsoni; ed annusò con avidità l'odore di palestra e sport, da quello della gomma delle suole bruciata, a quello del ghiaccio secco, al deodorante ancora fresco di ognuno di loro. Infine, venne richiamato dal proprio responsabile ed insieme ai suoi compagni si dispose in cerchio per afferrare il proprio mazzo di chiavi.  L'alzatore guardò il numero della propria camera e sorrise. Se felice o amareggiato non lo sapeva: in squadra erano dispari, così troppo spesso il castano si era ritrovato da solo. Era da sempre figlio unico, comunque, e questo – aggiunto al fatto che le circostanze l'avevano costretto presto a diventare fortemente indipendente – presupponeva che dividere una stanza non faceva per lui.
Era felice così, o almeno diceva di esserlo.
Quelle quattro pareti gli sarebbero servite solo per dormire, in ogni caso; quindi mise da parte quei pensieri ed abbandonati i bagagli in camera raggiunse la squadra negli spogliatoi comuni. Fu allora che la situazione iniziò a farsi strana.
“Miya!” venne chiamato da una voce sconosciuta “Credevo che il vostro pullman non fosse ancora arrivato! Da quanto siete qui?” l'alzatore guardò il ragazzo corvino con espressione confusa cercando di capire dove si fossero già visti. Non aveva intenzione di sbattere in faccia allo sconosciuto la sua sbadataggine, comunque, così sorrise tirato e rispose:
“Non da molto.” l'altro gli diede una pacca sulla spalla.
“Allora ci vediamo di là!” decretò lasciando gli spogliatoi. Atsumu scambiò uno sguardo perplesso con Suna e poi con Aran che erano lì accanto, ma nessuno commentò l'avvenuto.
Aveva appena finito di allacciare le scarpe da pallavolo quando una cosa simile accadde di nuovo:
“Ci si rivede!” gli fu detto da un alto ragazzo, rosso di capelli e dall'aria allampanata “Pronto a subire i miei muri?” il castano lo guardò confuso.
“Li ho mai subiti?” chiese, ma l'altro non sembrò prenderlo seriamente, perché rise ed andò via.
Ancora uno lo intercettò in corridoio:
“Miya! Non vedevo l'ora di rincontrarti! Stesso patto dell'altra volta? Se faccio più punti di te domani mi porti i tuoi fantastici Onigiri!” fu a quel punto che Atsumu scoppiò e – voltandosi infiammato verso i suoi compagni – sbraitò:
“D'accordo adesso basta! Si può sapere che razza di scherzo sarebbe questo!?” non era la prima volta che il resto dell'Inarizaki si comportava così, ma se tra loro era presente quel tipo di intimità capace di rendere divertenti cose simili, il palleggiatore non aveva abbastanza confidenza per riuscire a stare al gioco come se niente fosse. L'unica cosa che era capace di pensare, piuttosto, era di come i suoi compagni si stessero divertendo alle sue spalle.
“Guarda che non abbiamo fatto niente.” fu Ginjima a rispondere con un cipiglio. “Tu, piuttosto, dovresti dirci perché conosci tanta gente!” Atsumu stava per ribattere quando una mano si posò sulla sua spalla. Voltandosi vide un ennesimo ragazzo che non conosceva, dai capelli corvini, gli occhi azzurri e la divisa del Fukorodani addosso.
“Osamu, finalmente!” Miya si districò dal suo tocco più rudemente di quanto non avesse programmato.
“Hai sbagliato persona.” furono le sue uniche parole. Lasciò tutti gli altri indietro e raggiunse la palestra.
A quel punto Atsumu era di pessimo umore. Di norma anche la più storta delle sue lune tornava a posto sopra il parquet del campo da pallavolo, ma avere – apparentemente – tutti i ragazzi del campo estivo che lo prendevano in giro glielo stava rendendo impossibile.
Cercò comunque di darsi una controllata. Aveva imparato che la mente domina il corpo, il che vuol dire che non avrebbe mai potuto tornare di buonumore se prima non si predisponeva a farlo.
Passata mezz’ora, Miya poté dirsi abbastanza soddisfatto di sé. Era consapevole che se la squadra aveva organizzato quel piccolo teatrino era stato solo per tentare di includerlo in uno dei loro scherzi, ed era dispiaciuto di non essere riuscito a stare al gioco, ma se fuori dal campo l’atmosfera era spesso glaciale, durante il gioco tutto cambiava. Improvvisamente, Atsumu tornò padrone di se stesso: sordo ai sussurri, cieco alle strane occhiate che gli venivano lanciate. Le sue alzate erano perfette e così furono anche le poche schiacciate che ebbe l’occasione di fare. Sembrava che tutto stesse andando bene quando, di nuovo, l’alzatore del Fukorodani decise di avvicinarglisi. Sembrava più cauto, stavolta; come se lo stesse studiando attentamente per capire quali parole usare.
“Tutto bene, Miya?” Atsumu strinse l’asciugamano in uno spasmo, ma sospirando disse invece calmo:
“È solo che non mi piacciono gli scherzi.” il corvino – che rispondeva al nome di Akaashi – si limitò ad annuire, anche se lo fece con aria stranamente confusa.
“È dalle medie che non ci vediamo.” continuò, al che il castano lo guardò infuriato.
“Allora lo fai apposta!” pensò con rabbia. Quel ragazzo aveva il volto d’angelo ma era un vero stronzo. Stava comunque per sorvolare sulla cosa quando ancora gli venne detto:
“Credevo che come liceo avessi scelto l’Itachiyama.” Atsumu gettò il telo sulla panchina.
“E fare cinque ore di treno all’andata e cinque al ritorno ogni giorno!?” il castano non sapeva stare al gioco. E questo era quanto. Tornò in campo e non si fece avvicinare più da anima viva.
 
Il giorno dopo andò meglio. Erano solo le squadre che venivano da fuori città che alloggiavano nell’edificio, cosicché Atsumu si poté lavare e mangiare a sazietà con calma prima di iniziare il suo piccolo allenamento individuale in battuta libero dalla confusione e da tutte quelle ambigue attenzioni non richieste. , la giornata era iniziata decisamente bene, e continuò ad andare bene regalando all’Inarizaki una vincita dopo l’altra dapprima contro il temibile Shiratorizawa di Miyaji ed in seguito contro gli appena arrivati membri del Nohebi. L’alzatore era riuscito quasi a convincersi di essersi lasciato il malumore del giorno prima alle spalle quando – letteralmente – il suo mondo prese a crollare.
Avvenne tutto in un battito di ciglia: l’attimo prima era felice che Itachiyama li avesse finalmente raggiunti, l’attimo dopo stava fissando la sua copia esatta vestita giallo-verde fluo. Fu allora che i sussurri raddoppiarono, poi triplicarono ed in breve non si sentì altro. Atsumu, comunque, quasi non li percepiva; a stento vedeva altro al di fuori del ragazzo castano che si era fatto largo tra i propri compagni per poter guardare meglio il suo volto. All’alzatore girava la testa, credeva di star sognando; saettava gli occhi da una parte all’altra alla ricerca di una cornice che gli indicasse che quello davanti a lui altro non era che il proprio riflesso su uno specchio.
Deglutì, e così fece la sua copia. Faceva impressione, e tanta. I capelli, il naso, la forma degli occhi, le sopracciglia, l’altezza, le spalle. Tutto, tutto era identico. Gli occorsero secondi, forse minuti, ma infine si convinse dell’unica possibile spiegazione:
“Mi somiglia soltanto. È una coincidenza.” poi la voce di Suna lo chiamò, ed Atsumu fu in grado di ridestarsi.
“Miya.” ed entrambi i castani si voltarono dicendo insieme:
“Sì?”
Tornarono a fissarsi. Fu il ragazzo dell’Itachiyama a chiedere per primo, tremulo:
“Ti chiami Miya di cognome?”
“È una coincidenza.” dovette ripetersi a mente l’altro prima di annuire. Fu allora che un po’ tutti i loro compagni ripresero a sussurrare, ma sopra ogni altro si sentì la voce di Akaashi:
“Per tutto questo tempo ti ho scambiato per Osamu. Siete del tutto identici.” Atsumu fissò il corvino senza capire. Gli faceva male la testa; voleva solo scappare. Il secondo Miya gli chiese che giorno fosse il suo compleanno, ma l’altro non rispose. Fu Aran a farlo al posto suo. A quel punto Osamu sbiancò, si trascinò qualche passo in avanti, poi afferrò Atsumu per il braccio. La sua stretta era tutt’altro che salda; la mano era sudata a contatto con la sua pelle e tuttavia fredda; in più, tremava.
“Siamo fratelli.” era un’affermazione a cui stentava a credere persino colui che l’aveva dichiarata, eppure non poteva essere altrimenti. L’alzatore, comunque, si rifiutò di accettarlo. Scansò la mano.
“Non dire cazzate!” urlò “Io non ti conosco. Sono figlio unico.” ignorò le diverse esclamazioni che seguirono e corse verso i bagni.
Non si sentiva bene. Raggiunse un cubicolo e vi ci si chiuse dentro. Gli era sembrato di vedere una figura ai lavandini prima che si chiudesse la porta del piccolo locale alle spalle, e proprio per quello tentò di controllarsi, ma non ci riuscì. Il suo mondo era stato stravolto; neanche riusciva a descrivere lo shock che aveva provato nel vedere la propria faccia addosso ad un altro. Era come se la sua mente si rifiutasse di assimilare la situazione; i pensieri lo affollavano a migliaia ma volavano via prima ancora che potesse formularli.
Aveva un fratello; un gemello.
Ma non era possibile.
Sua madre lo aveva abbandonato; non lo aveva voluto.
Ma aveva voluto Osamu.
Sobbalzò spaventato quando alcuni colpi raggiunsero il legno della sua porta. Atsumu fissò inorridito in direzione del rumore, ma non riuscì a parlare.
“Tutto bene lì dentro?” non riconobbe la voce e questo lo fece calmare. Non avrebbe sopportato quella del secondo Miya, né quella di Akaashi o di qualsiasi membro dell’Inarizaki venuto lì solo per trascinarlo fuori. Così, Atsumu tentò di rispondere, ma senza successo.
Si allarmò; tutt’a un tratto consapevole di stare annaspando nel suo stesso respiro. Si portò le mani alla gola ed il suo panico crebbe.
Aveva un fratello; un gemello.
Sua madre non lo aveva voluto. Ma aveva voluto Osamu.
Tentò di respirare, ma più tentava di farlo, più gli sembrava di soffocare. Aveva ancora le mani alla gola, strette l’una all’altra, tremanti e fredde. Gli occhi spalancati, la bocca secca, le orecchie ovattate dal suono assordante del proprio battito cardiaco.
“…ira. Respira. Respira.”
Era confuso; non capiva.
“Ho un gemello. Mia madre ha abbandonato me per tenere lui.” sollevò i piedi e si abbracciò le ginocchia continuando a respirare a fatica.
Fu allora che, guardando in basso, scorse una mano guantata infilata nella fessura tra pavimento e porta intenta a porgergli qualcosa.
“Riesci a raggiungerla?” sentì la voce più chiaramente. Atsumu annaspò ancora, ed incapace di alzarsi si limitò a sporgersi in avanti. Il proprio peso lo fece arrancare a terra, ma questo gli permise di avvicinarsi allo sconosciuto; in mano aveva una busta di cartone. Miya la prese con mani tremanti.
“Va tutto bene.” continuò il ragazzo senza volto “Copriti naso e bocca con quella e respira da lì.” Atsumu fece come gli era stato detto. Passò un minuto, poi due. Iniziò a calmarsi, ma poi notò la tuta del suo salvatore: giallo-fluo. L’iperventilazione tornò.
“Non sforzarti.” gli disse l’altro “Va tutto bene. Hai tutto il tempo che vuoi.” Atsumu si prese ancora qualche secondo, ma infine fu più forte di lui e a fatica chiese:
“Mi-ya-?” la voce tacque per qualche attimo prima di rispondere:
“Non è qui. Vuoi che te lo chiami?” il panico invase l’alzatore che allungò una mano ed afferrò i pantaloni dello sconosciuto, trattenendolo.
“Non farlo.” gli venne risposto che aveva capito, poi nell’aria tornarono solo i suoi respiri malati.
Atsumu non seppe quanto gli ci volle. Ispirò ed espirò a fondo quando infine fu libero di farlo. Deglutì un paio di volte, infine ringraziò l’anonimo soccorritore.
“Adesso sto bene.” lo informò poi “Ho bisogno di qualche minuto da solo.” vide l’altro spostare il peso da un piede all’altro, infine sembrò prendere una decisione. Si chinò quel tanto che bastava, poi la sua mano raggiunse ancora Atsumu, stavolta per porgergli una mascherina chirurgica. L’alzatore riuscì ad accennare una risata.
“Porti sempre buste di cartone e mascherine con te?” la risposta arrivò celere e inaspettata.
“In effetti sì.” Miya non seppe cosa rispondere, quindi non disse nulla, e nel frattempo il ragazzo dell’Itachiyama andò via.
   
 
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