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Autore: _Lightning_    16/09/2021    1 recensioni
Ruusaan Motir è una Mandaloriana, gettata nell'arena degli Hunger Games. Come tutti gli altri ventitré Tributi ha un unico scopo: sopravvivere.
C'è qualcuno che la aspetta a casa, ed è disposta a tutto, pur di tornare da lui. Persino a sacrificare la Via...
[One shot vincitrice del contest "Le Sfide dell'Angolo: The Hunger Games" su Wattpad // Azione // Drammatico // OC]
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Din Djarin, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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PremessaCari Lettori!
Cos'è questa follia? Beh, come da titolo, è una AU (alternative universe) che fonde i fandom di Star Wars e Hunger Games. Che vi dicevo? Follia!
Il merito della nascita di questa shot va al ->Team dell'Angolo<- su Wattpad, che ha organizzato il Contest degli Hunger Games in cui la shot ha partecipato.
La posto qui nella forma "originale", ovvero divisa in quattro sezioni, tante quante erano le sfide del contest. Per questo risulterà un po' "spezzettata", ma ho voluto mantenerla così.
Non è finita qui, però. Infatti, sto lavorando a una minilong che poggia le sue basi su questa shot – che verrà in futuro riscritta e allungata, così che funga da prologo alla storia vera e propria.
Non ho ancora scritto una singola riga di tale progetto: posso solo anticiparvi che il titolo sarà May The Odds Be With You 
Date queste premesse, aggiungo che Ruusaan Motir è un mio personaggio originale, nato in toto dalla mia penna.
Chi segue la mia long Vode An su The Mandalorian la conosce di certo, ma il tutto è leggibile anche senza conoscenze pregresse della serie, di Star Wars o di Hunger Games.
Detto questo, vi auguro buona lettura!
-Light-




Never Tell Me The Odds
Grafica: © _Lightning_
Fanart: © Miryel
->Copertina in HD<-


 

“La famiglia conta più del sangue.”
– Detto Mandaloriano

 

Nella sala della prova non vi è alcun odore, se non la sottile nota metallica che sembra permeare ogni angolo asettico di Capitol. Ruu ha l'impressione di inalare goccioline di sangue a ogni respiro, mentre avanza senza fretta verso il centro dell'ambiente.

Gli Strateghi si raddrizzano indolenti sulle loro poltrone di velluto rosso, rivolgendo verso di lei occhi rapaci da dietro la spessa lastra di vetracciaio che li protegge. Ruu si ferma sull'enorme simbolo dell'aquila stampigliato sul pavimento, proprio di fronte a loro. Li saluta con un cenno del capo appena percettibile, che compie senza mai abbassare gli occhi. Le manca il peso dell'elmo.

«Ruusaan Motir. Distretto Nove.»

Volta loro le spalle senza attendere consenso, in un gesto di sfida che non dovrebbe compiere – non può mettere in pericolo Din, che la aspetta a casa. Deve mantenere la mente lucida, ma sente la rabbia che sfrigola nelle vene.

Non può morire. Non può sbagliare.

Si dirige verso la rastrelliera delle armi con un velo dinanzi agli occhi, ma si blocca con la mano tesa verso la lancia più vicina. Ne osserva i riflessi liquidi, la forma affusolata, la lama che termina aggraziata in una punta letale. Ticchetta l'unghia sull'asta, ricavandone un suono squillante e argentino che riverbera inconfondibile nella sala.

È di beskar. Il metallo sacro al suo popolo, di cui Capitol si è appropriato con la forza. Con cui ha costruito navi d'assalto e armi per annientare i Distretti. È qui, pronto a essere usato dai Tributi: schiere di pugnali, coltelli e asce ammiccano sotto le luci violente dei neon, quasi a farsi beffe di lei che dovrà sporcarle di sangue.

È in quel momento che la rabbia erutta. Ruu afferra la lancia e la fa roteare nel palmo prima di impugnarla. Un respiro secco che le sfugge dalle labbra, un attimo prima di impennarsi in un grido.

Scatta verso alcuni manichini, continuando a far volteggiare la lancia da una mano all'altra in complicate geometrie che sbaragliano nemici immaginari. Arriva di fronte al primo e fa scattare l'arma, assestandogli un colpo col retro – uno schiocco di clavicola rotta – per poi ribaltarla e infiggerne la punta nella giugulare.

La testa del manichino si stacca di netto e Ruu è già alle prese con il successivo: un fendente ne mutila un braccio, lacerando plastica e gommapiuma; un altro viene trapassato da parte a parte; un altro ancora cade riverso a terra con l'imbottitura che straripa dal ventre come viscere. Ruu si volta verso l'ultimo e scaglia la lancia, trafiggendolo dritto al cuore.

Si ferma, voltandosi verso gli Strateghi ed ergendosi nel mezzo di quel massacro solo per ora fittizio. Nel tornare al centro della sala per congedarsi, recupera la lancia. Prima di potersi frenare, in un lampo d'ira accecante, la infigge con tutta la forza che ha per terra, per poi abbandonare la sala senza una parola.

La lancia vibra appena, conficcata nell'occhio dell'aquila di Capitol, con la nota acuta del beskar che echeggia nella sala deserta.

 

 

Il cannone ruggisce nell'aria fuligginosa, confuso col brontolio cupo dei vulcani. Ruu, per un istante, si sente quasi a casa.

È un'amara coincidenza vedere dinanzi a sé la pianura basaltica, dilaniata da bianchi getti di vapore e scossa da tuoni sotterranei. Somiglia sin troppo a quella che la accoglieva a Nevarro di ritorno da un viaggio. Le sembra di vedere Din che le corre incontro: uno sprazzo di rosso sul grigio, due fossette ridenti sulle guance. La raggiunge – le arriva al petto, è cresciuto ancora – e le passa attraverso come un fantasma.

Solo allora mette a fuoco ciò che la circonda.

Ventitré Tributi, ancorati alla fragile sicurezza delle piattaforme. Un cielo lattiginoso, pesante. Qualcuno che piange, appena udibile.

Si getta un'occhiata alle spalle: dita di grano accarezzano la lucida Cornucopia. La sua bocca si spalanca, invitante. Armi e provviste la decorano come una chiostra di denti acuminati.

Riporta lo sguardo verso il vulcano che sembra chiamarla. Conosce quel terreno, sa come muoversi.

Un brillio metallico cattura il suo sguardo, nel momento in cui il livido sole artificiale muta inclinazione: tre lance sono infisse nelle zolle verso la coda della Cornucopia, confuse tra le spighe.

Il cannone aumenta d'intensità. Un vento infernale le graffia il viso con dita roventi. Il sentore di zolfo si sedimenta in gola, stroncandole il respiro. Il cuore le sfarfalla nel petto come un uccellino in gabbia. Un gigantesco dieci viene proiettato nel cielo, e non c'è più tempo per pensare, mentre i boati sovrastano le eruzioni: Ruu appunta gli occhi sulle aste metalliche e contrae i muscoli, pronta allo scatto.

Qualcuno sembra tirarla per una manica, verso il vulcano, verso casa: coglie un lembo di stoffa rossa ai margini del suo campo visivo.

Lo zero squarcia il cielo. Ruu sfugge a quella stretta lieve – è solo il vento – spiccando in una corsa.

Ombre rapide sfrecciano attorno a lei. Un tonfo, un grido strozzato. Respiri veloci, asfittici, tramestio frenetico di piedi e scricchiolio di spighe. Un sibilo, poi un dolore lancinante la azzanna: il freddo di una lama le falcia la scapola. Ruu scarta di lato, una mano premuta sulla ferita, l'altra tesa ad afferrare una lancia.

Il metallo freddo impatta col suo palmo, ma non arresta la sua corsa: svelle l'arma dal terreno, con l'impronta di un respiro accelerato sulla nuca, fa per voltarsi – e inchioda di colpo, gli occhi stralunati.

Una sagoma minuta la supera con un guizzo. Il bambino, quello che non ha mai voluto guardare per più di qualche secondo, temendo di riconoscervi un volto amato. Si dirige verso una montagnola di zaini lì accanto, una mano tesa – e non la raggiunge. Un Tributo lo scaraventa contro il muro della Cornucopia; un kriss balugina nella sua mano, pronto a colpire.

Ruu non pensa: scaglia la lancia e trafigge l'uomo alla gamba. Il grano lo inghiotte con un fruscio, smorzando il suo grido.

Lo sguardo terrorizzato del bambino la sfiora, poi schizza via tra gli steli. Ruu afferra l'altra lancia e segue la sua scia. Coglie di nuovo una macchia rossa dietro di sé, fugace.

Ruu?

Si volta per un istante.

È solo sangue, che tinge di vermiglio l'oro delle spighe.

 

 

Ruu estrae la lancia dalla gola del Tributo agonizzante. Il gorgoglio dei suoi rantoli si spegne con un sibilo, gli occhi già vitrei.  Sfrega la lama sugli steli di grano, ripulendola; il cannone tuona una, due, tre volte, tanti quanti sono i Tributi ai suoi piedi. Non li ha uccisi tutti lei – uno ha la testa fracassata da una catena, l'altro la nuca squarciata di netto – ma avrebbe voluto.

Sono i Favoriti, alleati di Capitol: hanno massacrato gli inermi, già ebbri di vittoria. Il cadavere del bambino le balena dietro gli occhi, trafitto da frecce e ripiegato su se stesso come una fogliolina avvizzita. Un peso le stritola il petto.

Non sono guerrieri, quelli: le armi presentano aloni rossastri, le armature sono inzaccherate – segni d'incuria, di negligenza. Nessun Mandaloriano lascerebbe mai che il sangue rimanga sulla lama per più di una battaglia o che la corazza perda lucentezza. Loro non hanno una Via che guidi i loro passi, se non quella di Capitol lastricata di caduti.

Ruu serra la presa sulla lancia, sbiancando le nocche. Torna al presente, al festino insanguinato a cui ha preso parte versando la sua quota di morte, accettando l'invito di Capitol.

Il Tributo del Dodici la squadra vigile, con gli occhi affilati e mobili di chi è abituato a guardarsi intorno, circondato dal pericolo. Le sue spade hanno assaggiato il sangue, ma sono già immacolate e riflettono la luce anemica del crepuscolo.

Anche lui e la ragazza con la catena hanno ucciso solo i Favoriti – lei è già fuggita, sparendo come uno spettro così come è apparsa.

Getta un'occhiata alle fauci della Cornucopia: l'elmo ammicca invitante accanto al numero nove, in sua attesa. Poco più dietro, tra le provviste, scorge jetpack e corazza. Basta quell'attimo, e l'altro Tributo scatta come una molla, diretto al suo bottino – Ruu fa lo stesso, roteando la lancia in un frullio argentato.

Afferra l'elmo, se lo calca in testa e ne ispira il familiare odore di ferro mentre indossa la corazza. Un pezzo di sé torna al suo posto; il metallo risuona a tempo coi battiti accelerati del suo cuore. Aggancia il jetpack alle spalle e lo stridio di una lama contro il retro dell'elmo la assorda. Si volta: l'altro Tributo carica il secondo colpo; adesso ha uno strano dispositivo agganciato in vita.

Ruu sferra un affondo a vuoto e decolla, accompagnata dal ruggito delle fiamme. Il jetpack la solleva, leggera, oltre il profilo spigoloso della Cornucopia. Dall'alto, le ricorda le aeronavi abbattute da Capitol, divorate dalle fiamme fino a diventare scheletri metallici.
L'altro Tributo la osserva dal basso, prima di balzare a sua volta in aria grazie al suo congegno. Aggancia un rampino alla coda della Cornucopia e sparisce nel grano, lanciandole un'ultima occhiata.

Ruu può immaginare cosa abbia pensato; quali leggende possa aver rievocato la vista di una Mandaloriana in tenuta da guerra. E lei vuole che sia così. Vuole che Capitol la veda e ripensi alle vite stroncate dal beskar, ai guerrieri mai del tutto domati. Vuole che provi almeno un'ombra della paura provata allora.

Si libra più in alto, col sole che sfavilla sul beskar, quasi a sfiorare l'aquila che domina l'arena. Deve apparire invincibile, agli occhi di Din. Sente una vertigine nello stomaco, come il giorno in cui l'ha preso in braccio e l'ha portato via in volo, lontano dalla morte e dalla guerra.

Per la prima volta dall'inizio dei Giochi, spera che la stia guardando.

 

 

Din la sta guardando.

Ruu lo sa, mentre vede la spada che sta per decapitarla. Arresta i propulsori e perde quota, schivando il fendente. Un lampo di dolore le attraversa il braccio; sbanda, stringendo i denti sotto l'elmo.

Il soldato del Dodici è agile: si muove nell'aria come fosse acqua, tuffandosi e piroettando senza sforzo. Sfrecciano entrambi nel canyon attraversato da un fiume di lava. Lapilli e schizzi di magma li sfiorano anche a quell'altezza. Ruu dà un colpo di talloni, s'impenna sotto di lui e lo supera alle spalle. Il ragazzo cerca un appiglio per il rampino. Non lo trova, lì le pareti sono troppo distanti. Riesce a voltarsi con una torsione del busto.

I suoi occhi sottili si sgranano nel vederla caricare il braccio e la paura gli macchia le iridi: sa che è troppo tardi. Ruu stringe la presa viscida di sangue sulla lancia e inghiotte la consapevolezza bruciante di stare giocando al gioco di Capitol, ma la famiglia conta più del sangue.

Non è quello il senso della Via, lo sa.

Mira alle due ali ricamate sul giustacuore del ragazzo. Potrebbe essere Din, un giorno. Scaglia l'arma, una saetta argentea che fende l'aria. Invece dell'impatto del beskar nella carne, un clangore la assorda: la lancia cade nel vuoto, in una pioggia di meccanismi e frammenti metallici.

L'ha mancato.

Il Tributo, con un propulsore distrutto, beccheggia a mezz'aria e precipita a spirale verso la lava. Digrigna i denti, gli occhi infiammati della sua stessa rabbia.

Lo capisce in quel momento, ancor prima che il suo rampino le artigli la corazza, trascinandola verso la lava assieme a lui. Capisce che quei Giochi non dovrebbero avere un Vincitore. Che per trafiggere l'aquila di Capitol non deve librarsi alta quanto lei, ma lasciarsi cadere. Che quella dovrebbe essere la Via da seguire.

Lo capisce – ma Din la sta guardando e la aspetta.

Dà un colpo di propulsori e la corazza si stacca dall'imbracatura. È questione di un attimo: un brillio affilato, una lama di dolore nel ventre, lì dove prima c'era il beskar. Incrocia un'ultima volta lo sguardo inerme del ragazzo. Sa che lo rivedrà ogni giorno negli occhi di suo figlio.

Vi si sottrae e si porta in salvo sulla riva scoscesa. Crolla, le mani premute sulla ferita. Alza il capo verso il fiume: una sagoma si contorce ai margini della lava, avviluppata dalle fiamme.

Il cannone tace. L'unico suono è lo sfrigolio del magma accompagnato da rantoli stentati. Il suo sguardo si appunta lì vicino, sulla corolla di una rosa lavica. Come quelle che, a Nevarro, ornavano la riva delle caldere con puntini azzurro cenere. Din gliele portava in dono con le mani piene di spine, sorridente.

Tende un dito verso il fiore. Ne accarezza i petali, nell'istante in cui il cannone tuona. Il ricordo sembra sfaldarsi sotto il suo tocco, come la fragile corolla della rosa.

Ha vinto i Giochi – e ha perso molto di più. Intravede una Via davanti a sé, stretta e scura.

La porta verso Din. Verso casa.

 

FINE

 

 



Note dell'Autrice:

Grazie a chiunque sia arrivato fin qui, e a chi vorrà lasciare un commento o un voto alla storia ♥

Dedico questa storia a ToBeMore, perché le sue parole mi sono stati preziosissime nel corso del contest degli Hunger Games, avendomi offerto consigli, confronti e supporto durante le varie fasi. È stato qualcosa di inaspettato, ma che mi ha fatto davvero tanto piacere ♥
Un abbraccio anche a miryelProxylaAlice_Alberti e crilu98, compagni partecipanti e/o finalisti, coi quali è stato un piacere gareggiare. Alcuni dei loro personaggi sono citati in questa storia (la ragazza con la catena, il bambino, Jean), quindi se vi hanno messo curiosità vi consiglio di dare una sbirciata ai loro profili ;)

Alla prossima, spero con la minilong (o con qualche altro dei miei ottomila progetti),

-Light-

 

   
 
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