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Autore: moira78    17/09/2021    5 recensioni
Candy e Albert si conoscono da sempre e, da sempre, un filo invisibile li lega. Ma la strada che li porterà a venire a patti con i propri sentimenti e a conquistare la felicità sembra essere infinita e colma di ostacoli...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Luke Robinson e gli uomini del cantiere sono stati scagionati, abbiamo appena ricevuto la notizia da Londra, non sarà necessario presenziare al processo", spiegò George scorrendo i documenti tra le mani per essere certo di ricordarsi tutto.

"Bene", ribatté William alzandosi dalla poltrona e battendo due dita sulla scrivania, in un gesto deciso. "Quindi prima del comunicato ufficiale non dobbiamo fare altro? Sono stati convocati tutti i giornalisti? E... oh, Archie dovrebbe venire almeno il giorno prima così possiamo fare un briefing degli argomenti da trattare". Parlava e camminava con un'energia tale che George ne fu piacevolmente sorpreso: William sembrava davvero rinato e lui sapeva benissimo perché.

Le labbra gli s'incurvarono in un lieve sorriso, che scomparve quasi subito. Ora avrebbe dovuto aggiornarlo sui Lagan: "Il signor Raymond vuole sapere se può presentarsi come aveva già espresso il desiderio di fare".

Forse rinvigorito dagli ultimi accadimenti, William mutò la sua espressione in una più seria ma rimase con le spalle dritte e quella postura che tanto gli ricordava quella dei suoi tempi migliori. E di suo padre. Il peso recuperato, inoltre, lo stava ridefinendo anche fisicamente.

"Raymond può venire qui lo stesso giorno di Archie, ma da solo. Su questo non transigo. La volta scorsa ho dovuto fare appello a tutto il mio autocontrollo per non buttare fuori casa sua moglie", concluse con una smorfia.

"Stia tranquillo, signorino William, ha già comunicato che non è sua intenzione portarla con sé. Inoltre, la signora ha ottenuto dal giudice il permesso per recarsi più di frequente a trovare i figli in carcere e all'istituto psichiatrico", spiegò sedendo sulla poltrona di fronte alla scrivania e posandovi sopra i fogli.

Lui sporse le labbra, pensieroso, un dito sul mento come se cercasse le parole. Fece due passi e lo guardò, gli occhi ridotti a due fessure: "A che punto è il processo, per loro?".

George si schiarì la voce: "I nostri avvocati hanno chiesto l'ergastolo per il signorino Neil e il massimo controllo per la signorina Eliza finché non si ristabilisce".

Vide con chiarezza i piccoli muscoli ai lati della mascella contrarsi e l'uomo di fronte a sé si lasciò ricadere sulla sua poltrona presidenziale con un sospiro: "Le accuse di associazione mafiosa sono molto gravi, specie se accoppiate alla chiara intenzione di incastrare terze persone. Eliza, inoltre, ha come capo d'imputazione anche il tentato omicidio di Candy, anche se non so bene come possa essere considerata la manomissione di un chiodo".

George alzò un sopracciglio: "In tribunale si è scoperta ma non ha parlato della modalità con cui ha attuato questo tentativo, se così verrà in effetti considerato dalla legge. Dovremo coinvolgere il maniscalco e il veterinario, nonché recuperare il fascicolo delle indagini avviate all'epoca...". William aveva alzato la mano per interromperlo.

"Va bene, ho capito. Ci penseremo quando sarà necessario, se lo sarà. Notizie della situazione medica di Eliza?", domandò senza alcuna emozione nella voce, come se stesse parlando di affari.

"Non è ancora uscita dallo stato catatonico e la signora Lagan si lamenta che non sia seguita a dovere dai medici", disse con tono altrettanto professionale.

Le labbra di William s'incurvarono per un istante: "Credo che Sarah troverebbe da ridire anche se domani Eliza si svegliasse all'improvviso e i giudici dichiarassero lei e Neil innocenti. L'unico segno di destabilizzazione che ho visto in lei è stata quella frase che ha rivolto ai suoi stessi figli... un momento di debolezza che non ha coinciso col suo comportamento attuale".

"Penso che la signora sia molto provata da quello che è accaduto, ma non possa comunque fare a meno di difendere la sua prole, se posso esprimere un mio parere", ribatté George con diplomazia.

William si appoggiò allo schienale, girando la sedia verso la finestra per scrutare fuori mentre diceva: "Io credo che rinnegare i propri figli sia contro natura, George. Per quanto si possano dire cose cattive o essere in collera, alla fine credo prevalga sempre il richiamo del sangue. Io non ho figli e non so se avrò mai l'occasione di averne, ma sono certo che siano anche il prodotto dell'amore e dell'educazione che ricevono. Una parte di me ritiene Sarah responsabile anche più di loro due per tutto quello che è accaduto. Forse persino Raymond, che è stato così lontano da non rendersi conto di quanto le cose stessero andando alla deriva a causa degli insegnamenti della loro madre".

George assorbì il senso di quelle parole, ricordando come William senior fosse stato una figura paterna per lui: "Sono d'accordo", riprese. "Ma credo anche che, arrivati a una certa età, siamo tutti responsabili delle nostre azioni e delle nostre scelte. E anche in grado di riconoscere gli errori dei nostri genitori, così come il bene dal male", terminò voltando i palmi delle mani per indicare i due termini opposti.

"Sì, anche tu non hai torto", ribatté William alzandosi di nuovo. Quel giorno sembrava non riuscire a star fermo. Si posizionò in piedi davanti alla finestra, dandogli le spalle. "Spero che abbiano quello che meritano, nulla di più e nulla di meno. Entrambi".

George capì che il discorso era chiuso e si azzardò a chiedere: "Quindi... ehm... la partenza per Lakewood è fissata per il giorno dopo la rassegna stampa?".

Quello che si voltò con un sorriso quasi sognante disegnato sul volto era davvero il William dei vecchi tempi. Anzi, ad essere precisi era quello dei tempi in cui aveva appena stretto una relazione amorosa con la signorina Candy: "Sì. Adrian ha detto che posso anche portarla alla Casa di Pony, quando vorrà".

George ricambiò il suo sorriso: anche se la ragazza non aveva ancora recuperato la memoria, il fatto che le cose tra loro due si fossero sistemate al punto che potessero viaggiare persino insieme rendeva William davvero felice. E lui, finalmente, si sentiva più rilassato vedendolo così. Ma doveva avvisarlo delle implicazioni che si sarebbero create.

"Lo ha già detto alla signora Elroy?", chiese cercando di partire da lontano.

"No", ribatté lui semplicemente, girandosi di nuovo verso la finestra.

"William". Ora il suo tono era più fermo e suonava come un avvertimento.

Lui fece un sospiro rumoroso, avvicinandosi: "Non può impedirci di andare da soli, io sono pur sempre il suo tutore e lei la mia protetta, anche se è maggiorenne".

George si limitò a fissarlo senza cambiare espressione. Lui allargò le braccia e guardò verso il soffitto: "Oh, santo Cielo, George, non siamo neanche fidanzati! Cosa vuoi che pensino mia zia o il resto del mondo? Sto aiutando la mia figlia adottiva nel suo recupero dopo l'incidente che l'ha lasciata senza memoria. Quando abbiamo vissuto insieme senza sapere a vicenda chi diavolo fossimo avrebbero potuto scoprirci in ogni momento e, credimi, quella sì che era una situazione che poteva apparire compromettente!".

George cercò di fare mente locale e intrecciò le mani sulla scrivania: "E infatti non mi ha raccontato che i vicini si sono lamentati al punto che, una volta recuperata la memoria, lei è dovuto andare via dopo poco tempo?".

William chiuse gli occhi per un attimo e gli parlò col tono che si usa per spiegare qualcosa di molto complicato a un bambino piccolo: "George, innanzitutto è stato il padrone di casa a pensare male di noi all'inizio. In secondo luogo, i vicini hanno cominciato a chiacchierare quando mi hanno visto con te". Gli angoli della sua bocca tremarono come se stesse trattenendosi dal ridere.

George spalancò gli occhi, incredulo. Non era sicuro di aver capito bene: "Cosa?", domandò.

William scoppiò in una delle sue fragorose risate, che non gli aveva sentito fare da quando Candy aveva avuto l'incidente: "Indovina un po'? Pensavano che avessi affari loschi con la malavita!".

In modo meno plateale, anche George rise, abbassando il capo e scuotendolo: "Allora forse non fummo abbastanza discreti. Quindi fu quello il motivo che la spinse, alla fine, a lasciarla?".

William tornò serio: "Sì, non potevo compromettere Candy più di quanto non avessi già fatto".

"Ah-a", fece lui cercando di evitare almeno di puntargli contro il dito indice. "E ora pensa che la signora Elroy non possa temere la stessa cosa?".

"Non credo si preoccupi molto della reputazione di Candy. Piuttosto potrebbe soffermarsi sulla mia, che comunque sono sempre il suo tutore". Albert riprese a camminare, irrequieto.

"Quindi ho ragione a supporre che potrebbe avere da ridire sul fatto che sarete soli a Lakewood con solo qualche servitore a tenervi compagnia?", domandò guardandolo mentre si passava ripetutamente le mani tra i capelli, forse riflettendo.

Di colpo si fermò, come se avesse avuto un'idea. Infatti schioccò le dita come un ragazzino: "Mi accompagnerai tu".

Lui trasalì: "Io? Signorino William... e gli affari? Dopo la dichiarazione pubblica, con i conti finalmente sbloccati, le cose riprenderanno a pieno regime e poi ci sono gli investitori da ricontattare e...".

William annuì: "A maggior ragione. Non è la prima volta che lavoriamo da lì, no? Certo, per arrivare a un ufficio postale, qualora sia necessario, occorrerebbe fare un po' di strada in auto, ma abbiamo i telefoni. Potrai lavorare negli uffici della villa e se avrai bisogno di qualcosa da me ti basterà bussare alla mia porta".

George cominciò a pensare che fosse davvero una buona idea. "Bene, le suggerirei di parlarne con sua zia quanto prima, se mi posso permettere, così non dovremo fare altro che preparare i bagagli", acconsentì.

Anche se la signorina Candy non avesse recuperato a pieno la memoria, era certo che la vicinanza di William avrebbe fatto bene a entrambi, anche se non era lui il medico. Sperò che quella sorta di vacanza servisse per ripristinare un minimo di serenità nelle loro vite.
 
- § -
 
Adrian Carter fissava Candy già da qualche minuto.

Camminava nel parco con circospezione, ma si era allontanato un poco e lei sembrava sempre meno nervosa.

Aveva fatto passi da gigante, però era certo che la strada per il recupero completo della memoria fosse ancora lunga.

Quando Albert si era presentato con Candy svenuta tra le braccia, due settimane prima, aveva subito pensato che avesse avuto una crisi dovuta a un loro incontro fortuito o voluto da lui.

Invece, il patriarca degli Ardlay gli aveva detto che era stata lei a entrare nella stanza del pianoforte, udendolo cantare.

"Vuole dire che è entrata di sua spontanea volontà?", chiese spalancando gli occhi per la sorpresa, mentre si sincerava dei battiti regolari di Candy sentendole il polso.
Albert annuì: "Sì. È probabile che abbia riconosciuto la canzone che le cantai qualche anno fa, in occasione di una nostra gita a Lakewood".

"E poi che è successo?", chiese allontanandosi un poco dal letto. Era da un po' che Candy non perdeva addirittura i sensi, a causa di una delle sue crisi, così sospettò che ci fosse stato uno scambio importante tra loro.

Albert strinse i pugni e si allontanò fino a dargli le spalle: "Mi ha gridato quanto mi odiasse. Ha detto che sono stato io a uccidere Anthony". L'emozione vibrava nella sua voce.
Adrian sospirò, scuotendo la testa: "Mi dispiace. Le prometto che lavoreremo su questo e...".

"Non è stato allora che è svenuta", lo interruppe lui voltandosi di nuovo a fissarlo.

Carter alzò un sopracciglio: "No?".

L'uomo guardò ancora fuori dalla finestra dove i primi, pallidi raggi di sole filtravano attraverso le nubi che si andavano diradando: "Ha visto il mio dolore e le è accaduto qualcosa. Mi si è avvicinata tremando, come se nella sua mente due sentimenti opposti stessero combattendo tra loro. Ha asciugato le mie lacrime e ha cominciato a piangere anche lei, chiedendosi e chiedendomi cosa le stesse accadendo, cosa le avessi mai fatto".

Carter trattenne il respiro. Erano davvero a un passo dal vero cuore di Candy e dal ripristino della sua memoria?

"Ha detto che in realtà non mi odiava, ma che invece... non è riuscita a finire, perché allora è svenuta", continuò lui. Si volse ancora per mostrare un sorrisetto: "Mi ha lasciato sul più bello, no?".

Adrian si batté le mani sulle ginocchia, rialzandosi: "Bene, direi che Candy è andata molto avanti ma si è tirata indietro all'ultimo momento. Il mio sospetto è che il prossimo salto sarà quello che le riporterà la memoria e ciò, ovviamente, include il venire a patti con i propri sentimenti per lei. Ma quello che mi ha raccontato coincide con i sospetti che ho avuto io".

"Ovvero?". Interessato, Albert fece qualche passo verso di lui.

"Non è il trauma, o peggio, l'odio a impedirle di ricordare. Di sicuro avere nel suo inconscio eventi dolorosi tra cui lo stesso incidente, così simile a quello di Anthony, è stato uno degli elementi determinanti. Ma quello che io credevo il fulcro del problema non è che una sorta di... conseguenza, se così vogliamo dire. In realtà lei teme l'amore o l'innamoramento, perché è convinta che possa portare solo dolore".

Albert spalancò occhi e bocca per lo stupore: "Ma io non le ho mai dato motivo di dubitare del nostro rapporto, anche se era appena iniziato", protestò.

Carter si mise le mani in tasca: "Non dico che non sia vero, ma si metta nei suoi panni: il suo primo amore, in età giovanile, muore per una caduta da cavallo che ha avuto una dinamica sorprendentemente simile alla propria. Quindi s'innamora una seconda volta e tutto finisce a causa di un'altra donna, anche se le motivazioni sono più che comprensibili. Non appena il suo cuore si apre per la terza volta ha un incidente...". Tacque, vedendo che Albert annuiva, comprendendo il ragionamento.

"Visto così, tutto torna. Però devo rettificare... il suo primo amore sono stato io, almeno da quello che mi ha raccontato. Aveva sei anni quando ci siamo visti sulla Collina di Pony la prima volta". Carter ridacchiò al suo sguardo sognante e Albert arrossì leggermente. Forse si era reso conto di essersi lasciato un po' andare.

"Bene, Albert, io non conosco nei minimi dettagli la vostra storia, se non qualche elemento sparso: a un certo punto lei ha perso la memoria e avete vissuto insieme, poi c'è stata la scoperta della sua identità... insomma, da quel che ho capito dai racconti della signorina Annie e di suo nipote vi sono state dinamiche molto complesse che è inutile che conosca io. Non appena potrò rendermi conto che Candy è in grado di gestire le sue crisi e viaggiare la affiderò a lei. Andate alla Casa di Pony, andate a Lakewood, o ovunque vi sia traccia del suo passato. Parlate, cercate di far tornare i ricordi insieme". Mentre parlava, Adrian si rese conto dell'emozione e della speranza che gli illuminavano il viso.

"Non ci sono pericoli di... ricadute?", chiese.

Adrian scosse la testa: "Sono quasi certo di no, ma me ne assicurerò forzando un po' la mano io stesso, in questi giorni. Ormai è lei a voler sapere e lo dimostra il fatto che sia entrata nella sua stanza senza che nessuno glielo abbia chiesto, confessandole la sua lotta interiore".

"Pensi che dovrei provare ad arrampicarmi?", domandò Candy alzando gli occhi sul grande albero e distogliendolo dai suoi pensieri.

Carter scoppiò a ridere: "Questo devi deciderlo tu!", rispose stringendosi nelle spalle.

Candy rimase per un attimo con la testa rovesciata all'indietro, come valutando sul serio quell'opportunità. Aggrottò le sopracciglia e disse: "Ora capisco", mormorò così a bassa voce che lui intuì le sue parole dal labiale.

Le si accostò, certo che stesse ricordando qualcosa: "Cosa capisci, Candice?", domandò con tono leggero.

"Scimmietta. Tarzan Tuttelentiggini. Ecco perché mi chiamava così, quel Terry. Probabilmente mi arrampicavo sugli alberi anche davanti a lui". Carter deglutì, a disagio. In quei giorni non era la prima volta che lo nominava. Aveva già stabilito che doveva suggerire ad Albert di parlarle anche di lui, che faceva parte comunque del suo passato e del suo trauma attuale.

"Vi siete amati molto, almeno dai racconti che mi sono stati fatti, ma alla fine la vita vi ha separati". Decise di non darle informazioni ma di parlarle comunque dei sentimenti che aveva provato. Faceva parte delle prove che stava facendo per capire quanto Candy fosse diventata resistente ai ricordi.

Mani alle tempie, occhi socchiusi, capo che si abbassava.

Ma nessuno svenimento.

Osò pensare che, al massimo, avesse una leggera nausea: se fosse perché aveva fatto grandi progressi ma anche perché ormai la storia con Terence era finita non poteva saperlo, tuttavia il suo occhio clinico non registrò la reazione esagerata di alcuni giorni prima.

Sorrise un poco, finché le sue parole lo gelarono: "Forse dovrei incontrare lui, invece di andarmene in giro con il mio tutore. Per avere tutti i pezzi del mosaico".

I pensieri di Carter andarono al viso pieno di speranza di Albert e, in modo decisamente assurdo, volarono a Frannie che gli aveva spezzato il cuore ed era lontana. Non era un Cupido, ma un medico, e le sue vicissitudini personali non avrebbero dovuto influenzarlo.

Cercò, quindi, di essere più distaccato possibile quando le disse: "Candice, ne abbiamo già parlato: Albert, il tuo tutore, che tu stessa hai detto di non odiare, era il tuo presente quando hai avuto l'incidente. Stavi vivendo con lui, avevate maturato sentimenti ben diversi da quelli che legano un padre e una figlia o più banalmente due amici. Il tuo trauma è legato al timore di innamorarti, come ti ho spiegato, ed è solo parlando con lui che potrai recuperare a pieno la memoria. Ma puoi, anzi, devi fargli tutte le domande che vuoi su Terry. Successivamente potreste anche decidere di andarlo a trovare, o invitarlo qui".

Candy si appoggiò al tronco con una mano, ormai dimentica del suo proposito di poco prima: "Non sono sicura che ritrovare la memoria sia la cosa migliore, per me. Se davvero il mio timore è legato al fatto di innamorarmi ancora di un uomo, potrebbe rimanere anche dopo e William... Albert rimarrebbe comunque solo".

Carter cercò di controllare il respiro. Aveva preso troppo a cuore quella storia, non c'era dubbio: "Candice, non devi recuperare la memoria per far felice Albert. Devi farlo per te stessa, a costo di deluderlo! Non vuoi ricordarti anche di tutti i tuoi amici? Delle donne che ti hanno cresciuta?".

"Posso imparare a conoscerli da capo! O cambiare vita e andarmene altrove! Se poi la mia memoria tornerà meglio, altrimenti so già tutto quello che mi serve". Le sue spalle tremavano e Carter capì che dentro di lei c'era una nuova lotta.

"Hai tanta paura di scoprire quanto lo ami da voler rinunciare a tutto, inclusa la tua felicità?", domandò tentando, ancora una volta, di rimanere neutrale. In fondo, le stava solo dicendo la verità.

"E come fai a sapere che la mia felicità è con lui? Ho avuto l'incidente mentre ero con lui e potremmo aver avuto degli screzi di cui non sono a conoscenza che...".

"Non ho mai detto che la tua felicità debba per forza essere con lui, Candice", la interruppe gentilmente, avvicinandosi a lei fino a porle le mani sulle spalle. "La tua felicità sarà avere la possibilità di scegliere cosa fare con Albert e con tutto il resto della tua vita avendo indietro i tuoi ricordi! Non lasciare che ci siano lati oscuri, dai questa possibilità a se stessa".

E ad Albert, pensò, ma lo tenne per sé.

Lei sospirò: "Non sono certa di riuscirci. Potrebbero volerci anni e non credo che lui possa portarmi in vacanza per tanto tempo", disse chiudendo gli occhi.

Carter annuì: "Ci daremo un limite massimo e ci scriveremo. Scambieremo anche delle telefonate e potrete entrambi parlare con me per ogni evenienza o dubbio. Io sono sempre il tuo medico, Candice".

Fu solo un attimo, ma durò abbastanza perché Adrian si sentisse a disagio: Candy lo guardò negli occhi con un'intensità tale che desiderò ci fosse Frannie al suo posto. "I tuoi occhi sono simili ai suoi".

Internamente, Adrian si tese mentre chiedeva: "Intendi a quelli di Albert?", chiese sapendo che non era affatto così.

"No, a quelli di Terry".
- § -
 
Albert si chiuse alle spalle la porta della stanza di sua zia facendo un respiro profondo: era stata una conversazione lunga e articolata, ma non era quella ad averlo lasciato sfinito.

Si stava ancora dando dell'idiota per essersi lasciato trasportare dalle illusioni come un ragazzino stupido.

Per fortuna, quando quel pomeriggio aveva parlato con Adrian, era tornato coi piedi ben piantati per terra. O, almeno, era quello che sperava.

Non che prima camminassi a *nove piedi da terra. Ma comunque meglio che ripiombare negli abissi sotterranei del dubbio.

Che diavolo aveva pensato, sciocco che non era altro?, si chiese camminando a grandi passi verso la sua stanza e aprendola di scatto.

Candy non mi si è buttata fra le braccia giurandomi amore eterno. E quando ha provato a dirmi qualcosa di più si è sentita male: sarebbe evidente persino a Neil che ricordare le è impossibile, per il momento.

Non sapeva se Candy non volesse o non potesse, ma Carter aveva propeso per entrambe le cose.

E poi gli aveva detto di Terry.

Candy lo aveva sognato, aveva sprazzi di memoria in cui sentiva la sua voce e vedeva i suoi occhi, tanto che li aveva rivisti in quelli del proprio medico, seppure non fossero proprio identici.

Con gesti stizziti contro il destino malevolo e la sua stessa ingenuità, Albert si slacciò la cravatta tirandola malamente e rischiando di strozzarsi, tolse la giacca gettandola su una sedia e si buttò sul letto con tutte le scarpe.

Al diavolo, dovrò parlarle di lui! Mi sembra di essere tornato ai tempi di Rockstown...

All'epoca, con i sentimenti già chiari nel suo cuore, sperava di potersi liberare facendo felice lei: non era forse quello lo scopo della propria vita?

Rendere felice Candy.

Con un sospiro spazientito, Albert gettò via le scarpe con i piedi e si diresse in bagno seminando i vestiti a casaccio sul pavimento. Da quando si sforzava di mangiare di più e aveva riacquistato peso gli sembrava di non riuscire più a star fermo, aveva energie da vendere e di certo avrebbe cercato di coinvolgere Candy in qualche escursione a Lakewood.

Appena ho cercato di rendere felice anche me stesso è successo il disastro. Forse anche io dovrei perdere di nuovo la memoria!

Aprì l'acqua della doccia al massimo del calore sopportabile, risucchiando aria tra i denti quando, per poco, non si ustionò. La regolò lievemente e rimase sotto il getto, massaggiandosi i muscoli contratti col sapone.

Cosa avrebbe fatto se lei gli avesse chiesto di tornare da Terry? Avrebbe dovuto assecondarla, su quello non c'erano dubbi. Aveva concordato con Adrian che l'avrebbe aiutata a recuperare la memoria anche se avesse significato perderla definitivamente e lo avrebbe fatto.

Certo, se Terence si stava davvero innamorando di un'altra donna, come gli aveva scritto in una lettera recente, Candy non avrebbe avuto alcuna possibilità e avrebbe sofferto di nuovo.

Se solo ti ricordassi di me, dell'amore che ci legava!

Il desiderio egoistico di averla per tutta la vita accanto, a ogni costo, in quella casa, a Lakewood, tra le sue braccia, nel suo letto e persino sotto quella dannata doccia, lo pungolò con forza.

Ringhiò di rabbia, tirando un pugno al muro.

Adrian gli aveva chiesto se sarebbe stato abbastanza forte da sopportare quella prova con Candy.

Lui aveva risposto di sì, che, come sempre era stato, sarebbe andato all'inferno per lei.

Sotto l'acqua bollente di quella doccia, nudo nel corpo e nei sentimenti, Albert capì che era proprio lì che era diretto.
- § -
 
* circa tre metri
   
 
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