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Autore: RLandH    17/09/2021    2 recensioni
[Spoiler! uno, ma bello grosso, su TOA, qualcosa su MC&TGoA| Crossover con Magnus Chase| What If]
Mi sentivo di essere pronta a fare un tributo a Jason Grace.
“Lo giuro sullo Stige” aveva dichiarato, certo di aver commesso un errore.
La ragazza aveva sorriso per la prima volta, “Ascoltami bene, adesso, non dire la verità. Fingiti un mortale, uno di quelli ciechi, proprio ciechi e di che non ricordi niente. Questo dovrebbe esserti famigliare” lo aveva preso in giro lei.
Sì, decisamente risvegliarsi in lungo sconosciuti con la memoria a brandelli e feroci ragazze che lo trattavano come se fossero conoscenti da una vita era una sensazione che conosceva piuttosto bene.
Solo che non era opera di Hera, ma Kymopoleia.
“Adesso?” aveva chiesto Jason, la ragazza aveva allentato la pressione della lama sul suo collo, permettendo a Jason di respirare bene, aveva provato a puntellarsi sui gomiti, per tirare su appena il busto.
Quella non aveva smesso di sorridere.
“Adesso” aveva esordito la sconosciuta, “Io non sono mai stata qui e tu asseconderai quello che dico” aveva dichiarato, “E permettimi di scusarmi in anticipo, ma farà male” aveva terminato.
Genere: Avventura, Commedia, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cimopolea, Jason Grace, Magnus Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Percy Jackson in The Multiverse'
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BUONSALVE.
Dopo una scarpinata infinita, una giornata folle, una notte insonne, un esame passato, un girovagare senza metà ed un rientro, sono pronta a mettermi nel letto e dormire per le prossime settantadue ore.
Però ho deciso anche di aggiornare.
Un capitolo un po’ più ferraginoso di quello precedente, che in realtà comprenderebbe una seconda parte che avverrà più avanti (ahimè i miei buoni propositi mi stanno abbandonando per la lunghezza) non sto “complicando” la storia, sto solo allungando i tempi di scrittura (della trama). Ad un certo punto ho realizzato: ho creato degli oc ed ho deciso di usarli e caratterizzarli meglio (non tutti, non sarebbe possibile).
Insomma sì questo capitolo parla un sacco dei nostri simpatici nuovi personaggi.
Vorrei ringraziare chi ha letto, ma soprattutto Farkas per la recensione.
Buona Lettura

Ps – Eccovi, qui, una simpatica Astrid https://www.deviantart.com/rlandh/art/Astrid-891761787

 

 

I vicini non si scelgono, in particolare quelli che durano un’eternità

 

 

La sala era avvolta in un discreto brusio.
La valchiria Thrud aveva un’espressione mortificata sul viso giovane.
Jason era granitico.
Cosa doveva fare?
Thrud aveva detto di non contraddirla, ma Thrud l’aveva ucciso.
Il padre dei numi (Jason si chiese se era corretto chiamarlo così), d’altronde, era tranquillo ed aveva sorriso accomodante a sua nipote.
Anche Thrud aveva ricambiato il gesto con il nonno.
“Potremmo fare come ai vecchi tempi” aveva proposto il signore degli Asi.
Altro mormorio si era alzato nella sala.
“Come ai vecchi tempi?” aveva chiesto uno dei Thegn, sembrano tutti sconvolti dalla proposta.
Thrud aveva preso la parola, “Certo, mio nonno, il saggio Odino, propone, per una volta di ritornare alle care vecchie usanze ed io potrei raccontarvi le eroiche gesta che Jason Grace ha compiuto” aveva ghignato Thrud.
Ricordava quello che le aveva detto: Tienimi il gioco.
Non aveva solo messo Jason in pericolo, ma anche se stessa.
“E come sapremmo se sono vere?” aveva chiesto qualcuno dei Theng.
“Nobile Jim Bowie, tu accusi me? La figlia di Thor e Sif? Di poter mentire davanti questa sacra Sala?” aveva chiesto con esagerata scena la ragazza, “Mi sento offesa! Come Valchiria, donna e discendente di Padre-tutto” aveva dichiarato poi Thrud, portandosi una mano al petto.
L’uomo che aveva parlato, non più così giovane, con i basettoni calcati e l’espressione d’un uomo che avrebbe voluto essere in qualsiasi altro luogo che lì.
“Non mi permettere Mia Signora” aveva dichiarato Jim Bowie, mortificato, sedendosi di nuovo al suo posto.
La valchiria aveva perso la sua espressione da bambola frastornata, per riprendere su un certo compiacimento.
Jason aveva sentito sospirare Astrid, le aveva lanciato uno sguardo ed aveva visto la ragazza nascondere il viso dietro una mano.
“Io lo dico sempre, momento migliore della giornata” aveva esclamato Madina senza perdere il sorriso allegro.

Thrud aveva gli occhi di tutti addosso, ma non sembrava affatto turbata da questo, aveva giocato appena con la punta della sua treccia, come a simulare un nervosismo che non aveva. A Jason aveva ricordato Drew Tanaka, la sorellastra poco gentile di Piper, per quel suo modo di fare così calcolato.
“Spero non vi dispiaccia se non sarò molto poetica, ho tristemente ereditato l’arte oratoria da mio padre” aveva cominciato subito Thrud, strappando una risata divertita dall’intera sala.
“Dunque, in un caldo giornata estiva sono stata attirata dal nostro Jason Grace, vi basta guardarlo per capire perché” aveva aggiunto la valchiria, sollevando la mano verso di lui.
In quel momento erano tornati tutti a puntare gli occhi su Jason, che si era sentito con le guance in fiamme, sicuro di essere rosso.
Aveva sentito Mel e Madina sghignazzare, da un tavolo non lontano qualcuno aveva anche fischiato.
Thrud aveva sorriso, con una punta di divertita cattiveria ed aveva ripreso.
“Quindi eccolo Jason Grace, in compagnia nella sua bella fidanzata” aveva ripreso a parlare Thrud.
Il suo primo pensiero era andato a Piper, con quel suo modo che aveva preso a guardarlo nell’ultimo periodo, come se avesse voluto dire qualcosa ma come se le sue labbra fossero incapaci di tradurre i suoi pensieri e il dolore che aveva nel pensare a lei.
E quell’immagine di Piper e Leo al bar, come comuni adolescenti.
E poi … poi aveva pensato che aveva raccontato a Mel e Madina di essere con Apollo e Meg, anche se non gli aveva nominati.

Thrud aveva ripreso, “Dovevano incontrarsi con il di lui fratellastro, Lester ed una sua buon’amica, ma … ecco, che il nostro impavido futuro eroe affronta un problema che non aveva calcolato.
C’è questo uomo … un bruto, per quanto appaia raffinato. Peccato la mia camera si sia rotta, lo avreste apprezzato” aveva ghignato lei.
C’erano state un’altra serie di risatine divertite nella sala.
Stava parlando di Caligola …
“Oh, il bruto voleva qualcosa da loro, qualcosa di bello e di dorato” aveva scherzato la valchiria, facendo una pausa, aveva sollevato le mani all’altezza del viso, circa, con i palmi rivolti verso il basso, poi aveva fatto tremolare le dita, per creare atmosfera, che era stato seguito da una serie di ‘uhh’ e ‘ohh’ dei commensali.
Elios ed Apollo. Thrud stava facendo riferimento al suo fratellastro e al titano.
Qualcosa di bello e dorato, scommetteva che Apollo avrebbe apprezzato sicuramente la definizione, scommetteva anche che avrebbe apprezzato anche Thrud.
La valchiria aveva ricominciato a parlare, “Allora, ecco, Jason impavido è già pronto a parare la sua bella, lei di rimando non è da meno. Ottimo gusto, signor Grace, a proposito, una che probabilmente tra qualche anno la ritroviamo qui in sala” aveva scherzato quella.
No, no, Jason voleva che Piper diventasse vecchia, rugosa e grigia e andasse nei campi elisi, nella pace, dopo una lunga vita. “E tra lui e lei, il belloccio se la passa proprio male, le sue navi pure peggio – ebbene sì uno di quei fastidiosi magnati convinti di avere il mondo tra le mani perché manovrano quello che ritengono l’unico metallo importante … l’oro” – c’era stato un momento di pausa, che aveva procurato degli ululati in sala.
Tutti gli occhi erano per Thrud, tranne qualcuno. Jason aveva riconosciuto al tavolo di Mallory e TJ, altre persone, tra di esse una di loro la stava guardando. Non gli era chiaro se fosse un uomo o una donna, aveva un visetto vispo e bello, lo stesso sguardo divertito di Thalia quando aveva un’idea, con due scintillanti occhi diversi.
“… Lo scontro e aspro, brutale. E Jason muore lì, su quella spiaggia e io lo raccolgo luminoso d’oro come la luce d’un faro nell’aspro oceano. Non potevo lasciare un’anima così luminosa a quell’accattona di Ran”, evidentemente Jason si era distratto durante la sua epica morte, ma dalle facce degli avventori, che lo guardavano annuendo, sembravano tutti piuttosto soddisfatti della sorte che Thrud gli aveva dato.
“Mi pare giusto” aveva commentato dall’altro del suo scranno Odino, Jason era quasi certo di aver visto uno dei suoi corvi annuire.
Thrud aveva sorriso al commento del nonno.
“Ma che arma aveva?” aveva strillato qualcuno, Jason aveva cercato nella sala chi aveva parlato.  Era un uomo, aveva il viso sbarbato ed i ricci scuri e nerissimi, aveva un accenno di gobba ma della fierezza nello sguardo, perdeva un po’ di regalità perché indossava anche lui l’armadietto verde petrolio.
Se Thrud fosse stata colta in fragrante, avrebbe dovuta essersi ripresa in fretta, “Ottima domanda, Richard!” aveva canticchiato lei, “Forse una valchiria un po’ irriverente potrebbe aver fatto cadere la sua lama” aveva dichiarato con un certo divertimento Thrud, strizzando l’occhio all’uomo.
Helgi aveva aperto la bocca forse per esclamare quanto tutto quello fosse altamente irregolare, ma Odino l’aveva preceduto, “Bene, bene” aveva stabilito.
Jason Grace, benvenuto!” aveva stabilito padre-tutto.
C’era stato un applauso e Jason aveva potuto sedersi nuovamente al suo posto.
Per quella sera ne era uscito illeso.

“Questa volta Samirah è stata derubata della gloria” aveva scherzato Madina, “Sarò onesta mi mancavano le odi vecchia maniera, certo una volta erano in poesia ed in una lingua vera” aveva dichiarato invece Mal. La fidanzata gli aveva strizzato una guancia, “Oh come fiero il mio cheruscio” lo aveva stuzzicato.
Una giovane Valchiria si era avvicinata per versare loro da bere, aveva sorriso a Jason con un certo compiacimento e lui era stato certo di esser diventato ancora più rosso.
Astrid aveva sollevato verso di lei il suo bel corno potorio di un colore alabastro, sporcato sulla punta di nero fuliggine.
“Quattrocento anni a vederli tubare più di quanto farebbe un colombiere” aveva scherzato Astrid, ferrea.
“Credo in vita di aver fatto passare questo ad un mio amico, forse non è stato molto gentile” aveva valutato Jason.
Astrid non lo aveva distolto lo sguardo, “Che c’è?” aveva chiesto Jason, prima di portarsi alle labbra un po’ del sidro che gli avevano versato.
Era dolce.
Ed anche buono.
“Sto cercando di capire cosa sta complottando zia Trudy” aveva risposto poi Astrid.
Oh .. la valchiria …

Odino aveva attirato l’attenzione alla sala, “Bene, mie graditi ospiti, prima che possiamo darci ai bagordi dell’idromele alle buone carni” e nel dirlo aveva ammirato con l’unico occhio sacro, l’albero d’oro, tra i cui rami c’era una capretta saltellate, che si era fatta piuttosto rigida alla menzione, “Permettetemi di spiegare ai nostri nuovi ospiti come funziona qui, per l’occasione ho presentato una breve presentazione in power point[1]” aveva detto Odino.
Si era sollevato in piedi ed aveva tirato fuori dalla tasca da ginnastica un telecomando, che aveva premuto, alle sue spalle era comparso un quadrato di luce, come se un proiettore si fosse accesso.
“Oh, per la gloria di mio padre!” aveva esclamato Madina, senza quel suo tono allegro.
“Riportatemi qualcosa dopo” aveva dichiarato invece Mel, la ragazza stava per rimproverarlo di qualcosa, quando il guerriero cheruscio si era infilzato alla giugulare con una forchetta.
Jason si era ritrovato sporco di sangue, mentre osservava Mel afflosciarsi atterra, tremare, sputare sangue e poi liquefarsi in una polvere d’oro.
“Lo amo, eh, ma certe volte è un po’ melodrammatico” aveva dichiarato Madina, mentre toglieva con un fazzoletto il sangue dalla faccia.
“Lo sai queste pellicce quanti anni hanno? Un millennio! Dovrò andare al negozio di Blitz per farle smacchiare. A nessuno piacciono le presentazioni di Odino ma Mel esagera, ogni volta” aveva strillato Astrid.
Nessuno sembrava dare peso a loro.
“Cosa è appena successo?” aveva chiesto Jason.
“Hai presente quando sei in una di quelle situazioni in cui pensi: cavolo preferirei ficcarmi una forchetta in gola che essere qui. Questo. Dopo una vita in catene, Mel ha deciso che non permetterà più a nessuno di costringerlo a fare ciò che non vuole, anche assistere ad una presentazione power point” aveva scherzato Madina, il suo sorriso sembrava meno bello, quando il viso era rosso di sangue.
Jason era ancora interdetto.
“Tranquillo, è ancora vivo, si sta riformando nella sua bella camera sul suo comodo letto. Domani lo rivedremo per la colazione e la battaglia” aveva detto Astrid, ancora irritata, “Io invece stanotte dovrò uscire di nascosto per farmi sistemare da un elfo oscuro questo” aveva indicato le macchie di sangue sulla sua pelliccia. “Questa renna l’avevo cacciata ed acconciata personalmente” aveva rimarcato[2].

Il lamentio di Astrid era stato soffocato dalla presentazione power point in centoventi-tre slide presentata da Odino, molto lentamente, decisamente logorante, al punto che Jason si era azzardato a togliere la forchetta dalle mani di Madina, molto cautamente, quando l’aveva vista tristemente interessata ad imitare il fidanzato.
Di rimando, lui cominciava a farsi un’idea del perché del gesto di Thumelicus, Odino sapeva essere più pedante di Terminus e del professor Jakob alla scuola maschile.
Le informazioni che aveva dato erano comunque molto interessati, aveva parlato di nuovo dei guerrieri immortali, del Ragnarok, ma poi si era dato in un attenta descrizione dell’universo, diviso dei suoi nove mondi e di tutte le creature che lo abitavano.
Era quasi rassicurante sapere che i giganti, di ghiaccio, erano cattivi anche in quel pantheon.
“E quindi sì, il Ragnarok avverrà quando tre uova di gallo si schiuderanno” aveva concluso, mostrando l’ultima slide: era il soggetto dagli occhi eterocromi che sedeva al tavolo di TJ e Mallory, esibiva un sorriso da gatto del Cheshire, in un selfie vicino ad un uovo, poi era apparsa una slide blu fluo con la scritta in azzurrino che ringraziava per l’attenzione.
Le parole di Odino, le finali, avevano ridestato la sala, dal quasi sonno vegetativo in cui erano atterrati.
“Prego, buon appetito” aveva dichiarato il signore degli Asi.

 

“Oh, grande Thor, stavo per ficcarmi una forchetta in un occhio” aveva ammesso Astrid.
“Io non sono sicuro di riuscire a memorizzare tutte le informazioni” aveva detto invece Jason, ottenendo uno sguardo stupido da ambedue le ragazze.
“Ma hai ascoltato?” aveva chiesto perplessa Madina, “Nessuno ascolta tutti gli interventi di Odino, finiremmo per morire di vecchiaia. Sì, anche qui” aveva dichiarato sprezzante Astrid.
“Be, non so niente di queste cose, informarmi è importante, poi Odino, non è il signore? Non ha fama di essere un dio … ehm, colto?” aveva chiesto retorico.
Non sapeva niente di divinità norrene, quel poco che sapeva era una specie di refuso che Annabeth aveva vomitato mentre cercavano di progettare i templi per le divinità minore.
La sua amica era tornata da Boston, da poco, ed era tornata con una strana infatuazione per le divinità nordiche – prima di fagocitare Jason su tutte le informazioni possibili su nuova Roma e i college.
Pensaci Jason … potremmo frequentare la stessa università” aveva dichiarato una volta, mentre Jason si divertita a disegnare un tempio anfiprostilo per Eros – sebbene non avesse particolarmente a cuore il dio in questione, dopo la sofferenza che aveva dato a Nico, forse per questo la sua vita amorosa era andata a scatafascio?
Ma non solo quella, non avrebbe mai seguito i corsi a San Francisco, non sarebbe mai diventato un architetto con Annabeth.
Non avrebbe mai sposato Piper.
Non sarebbe mai diventato padre.
Non avrebbe mai più riabbracciato Leo.
E Nico … che finalmente si era aperto a qualcuno e lui era morto …

Il forte rumore d’un piatto sbattuto lo aveva ripreso.
Thrud aveva posato a loro tavolo un arrosto fumante, “Oh sì, guerriera cacciatrice immortale di anime e cameriera, sì” aveva dichiarato stanca quella, sedendosi davanti a loro.
“Ciao Zia Trudy” aveva dichiarato Astrid.
“Ciao dolcezza, ciao figlia di Ullr, vedo che continuato ad essere tre, numero magico” aveva dichiarato Thrud divertita.
“Per alcune culture quattro è il numero della morte” aveva civettato Madina. “Per fortuna siete già tutti morti” aveva dichiarato la valchiria, “Adesso servitevi, arrosto di cinghiale, il mio preferito” aveva asserito Thrud.
Astrid non se l’era fatto ripetere due volte ed aveva infilzato con la forchetta un bel pezzo di arrosto.

“Be, Jason per domani, credo tu avrai bisogno di prendere un’arma dall’armeria non posso prestarti più la mia spada, capiscilo” aveva espresso ad un certo punto la Valchiria, nel farlo gli aveva preso una mano e l’aveva stretta amichevole, Jason aveva sentito chiaramente che Thrud aveva lasciato qualcosa nelle sue mani.
“Pensavo ci fosse sta sera” aveva valutato Jason, la famosa battaglia quotidiana.
“Oh, per la gloria, no, si combatte dall’alba al tramonto[3]” aveva dichiarato Astrid, “Facciamo mezza mattinata” aveva corretto Madina.
“Capito, trovati una spada nuova” aveva ripetuto Thrud alzandosi, non prima di aver riempito i due bicchieri ed il corno di sidro, gli aveva anche fatto l’occhiolino.
Non doveva usare la moneta – o almeno immaginava intendesse quello.
Forse era troppo romana.
Poi Thrud si era congedato e Jason aveva infilato, cercando di non dare nell’occhio, il biglietto nella tasca dei pantaloni sbiaditi.
“Devi aver proprio fatto colpo su zia Trudy” aveva rimarcato Astrid, prima di calarsi con pochi sorsi l’intero corno. Madina aveva ridacchiato prima di raccontare che la valchiria in questione non portava poi molto anime lì.
Astrid si era sollevata in piedi, facendo oscillare la chioma, era nera e liscia come la seta, Jason doveva ammettere che si sposava male con l’immagine di una terribile guerriera einherjar vecchia di secoli che spendeva giorni e giorni a combattere. “Tutti a dormire, ora. Nella propria stanza. Domani vi voglio tutti vivi” aveva dichiarato, battendo le mani, “Tranne io, dovrò convincere Blitzen a darmi consigli per tirare via il sangue dalla pelliccia di wapiti[4].
Madina aveva scosso il capo, facendo oscillare la capigliatura afro, “Sì, sì, tranquilla, recupero solo un po’ di arrosto per i nostri due fuggiaschi” si era difesa quella.
Jason si era alzato con Astrid, non era sicuro di voler tornare in camera per leggere il biglietto – e cominciare a capirci qualcosa – o per andare a dormire.
“Jason” lo aveva richiamato la guerriera, mentre si lasciavano alle spalle il tavolo, seguiti da Madina che aveva raccolto su una ceramica una pila di carne con contorno di patate e carote, “Domani devi cercare di uccidere loro” aveva ammiccato verso il tavolo del piano diciannove.
Mallory Keen aveva fatto un segno verso di loro, un cenno del capo, che Astrid aveva ricambiato. Tj lo aveva salutato con gentilezza e Jason si era ritrovato a fare lo stesso.
Con loro c’era anche un enorme energumeno, che teneva una mano sul fianco di Mallory e con l’altra gesticolava. Di spalle vedeva un biondo ed immaginava la persona dagli occhi bicromi.
Anche la valchiria Samirah Al-Abbas si era unita alla combriccola. “Sono stati riconosciuti i migliori qui dentro, ucciderli è sempre segno di prestigio” aveva spiegato la guerriera.
Jason non aveva voglia di uccidere dei ragazzi che gli sembravano pure simpatici, anche se per poco.
“Oggi il Momento della Valchiria è stato emozionante, ma non abbiamo avuto le tre norme, peccato” aveva sbuffato alle loro spalle Madina.
“Sono tre profetesse che annunciano il Destino di ogni guerriero, di solito alle iniziazioni si affacciano” aveva aggiunto quella.
Sì, una cosa che Jason non voleva era un’altra possibile profezia su di lui. Ne aveva avute troppe nella sua vita. Una aveva ucciso il suo migliore amico – anche se poi era risorto – ed un'altra aveva quasi ammazzato la sua ex e ridotto lui alla versione scandinava di uno zombie.
“Forse sono una persona troppo ordinaria” aveva dichiarato Jason, più una speranza che altro.
Erano finiti per lui i tempi delle brutte profezie.
Astrid aveva buffato, “Ad una gamba forse. Ignorando l’eroica morte, se zia Trudy ha spostato il culo dal suo fancazzismo militante e perché deve aver pensato che ne devi valere la pena” lo aveva pungolato lei, mentre raggiungevano le porte dell’ascensore.
“Anche le persone ordinarie sono capaci di atti straordinari” aveva dichiarato Jason, con un sorriso tranquillo.
“Ma sentilo Madina, con i suoi occhi blu, alto e biondo” aveva replicato Astrid, “Mr. Ordinarietà questo kavdlunait bianco come la neve” aveva aggiunto.
“Non sono particolarmente brillante, ma quella era un’offesa” aveva dichiarato Jason. “No, la parola di per sé no, come la ho usata io? Può darsi” aveva risposto Astrid serafica.
Jason si era voltato verso Madina, “Non è roba germanica[5]nope” aveva detto quella, sorridendo tranquilla.

 

Quando era stato solo nella sua stanza, Jason aveva aperto il biglietto.
C’erano scritte solo tre cose, in inglese: domani, diciassette, lavanderia.
La grafia di Thrud era … insospettabilmente bella e femminile, piena di lettere tondeggianti dagli spazi ampi.
Si era seduto sul letto, tenendo quel bigliettino tra le mani, pieno di confusione nel viso.
Cosa … cosa doveva fare?
Aveva estratto dalla sua tasca anche al sua moneta.
Thrud gli aveva detto di prendere una spada, probabilmente la sua arma era troppo romana e allo stesso tempo perché si stava fidando ciecamente della valchiria?
Che stava succedendo?
Era morto. Era nei campi elisi.
Era in pace.
Nervoso si era sollevato di nuovo lasciando biglietto e moneta sul letto e rigido come una stecca si era avvicinato ai rami dell’albero dell’universo con reverenziale timore.
Ne aveva toccato con solo la punta delle dita le foglie ed aveva sentito un brivido lungo la sua schiena.
Se si fosse arrampicato, forse avrebbe potuto trovare la via di casa.
Ma quale era?
Quale tra i nove mondi era la strada per casa?
E dove era Casa?
Di Argo non era rimasto niente, della casa di Beryl Grace neanche un ricordo, non gli piaceva la scuola, era troppo vecchio per stare con Lupa, si sentiva un estraneo a Nuova Roma e vedeva nel campo Mezzo-sangue tutti quei sogni che non aveva avuto, tutti quei progetti che non aveva realizzato.
Si fermò, colto da un pensiero, poteva realizzarli? In quel momento, poteva?

Si allontanò di fretta dall’albero, lanciandosi sulla cassapanca ed aprendola, all’interno, c’erano più cose rispetto la biancheria domestica, rispetto a prima.
La stanza esisteva per soddisfarlo. Questo spiegava le foto, quelle della sua infanzia che mai aveva visto, quella che non era mai stata scattata, perfino il bagnoschiuma all’aroma di pino silvestre che aveva trovato nella doccia.
Il valhalla era un paradiso, a modo suo, era il luogo dove finiva i giusti – per i criteri dei nordici – non diverso, in un certo senso, dai campi elisi o le isole dei beati.
Aveva trovato dei fogli A3, delle squadre ed un set di matite a mine dalla punta spessa, c’era anche un goniometro ed un compasso.
Aveva cercato oltre ed aveva trovato un astuccio pieno di matite colorate.
Aveva steso i fogli per terra e si era amato di squadrette e lapis.
Non aveva mai pensato a se stesso come un progettista, fino alla fine dell’estate prima, quando aveva cominciato a lavorare seriamente con Annabeth – circa, vista la difficoltà logistica – al suo progetto. Alla sua promessa.
Perfino il suo professore di edile, si era congratulato con Jason, ‘Hai un talento’, aveva detto. E Annabeth gli aveva proposto di frequentare la stessa università a San Francisco e faceva ancora male pensarci.
Era un einjerjar, ma poteva ancora disegnare.

 

Non ebbe la chiara idea di quanto si fosse addormentato, ricordava di star perfezionando un ingresso siriaco per un tempio da dedicare alla dea Iris, non lontano dalla casa dove alloggiavano i suoi fratelli, quando aveva capito di non essere più dov’era.
Non era un sogno, era finito altrove, come durante la gigantomachia, che a volte, sfuggivano al controllo dei propri sogni.
Riconobbe subito il luogo, nonostante fosse notte, le acqua del lago del campo le avrebbe riconosciute, erano oscure, ma scintillati alla luce della luna.
Will Solance era apparso sulla riva luminoso come una lampadina, senza eufemismi. Indossava una felpa per ripararsi dal freddo.
Era finita l’estate. Jason non era reale e non riusciva a percepire quanto facesse in realtà freddo.
“Nico?” aveva chiesto timoroso Will.
“Sono qui” la voce di Nico, era venuta dalle spalle di Jason, si era voltato alla sua ricerca, ma era riuscito a scorgerlo solo quando Will lo aveva raggiunto, illuminandolo.
Nella note, senza luci, Nico era parso solo una voce.
“Come sapevi che ero sveglio?” aveva indagato subito il figlio di Ade, “Che fidanzato sarei, se non mi accorgessi che non … me lo ha detto Valentina” aveva risposto Will, sedendosi accanto a lui, vicino alla riva ma non troppo.
“Cioè in realtà Valentina ti ha visto uscire e lo ha detto a Rupert, che stava tornando in casa dopo un’incuriose in cucina per cui sarà punito severamente” aveva spiegato Will.
Nico aveva riso – era un suono quasi estraneo per Jason – “Questo posto si è fatto molto più vivace, noto” aveva commentato.
“Lo è sempre stato, ma visto che tutti gli occhi erano su Percy, Annabeth e te, quando c’eri, era più facile passare inosservato” aveva raccontato Will, senza perdere lo smalto. “Oh, l’infinita faida Apollo-Ares non sarebbe durata così a lungo” il racconto del figlio di Apollo era stato sporcato da qualcosa di malinconico.
Nico aveva allungato una mano ed aveva preso quella del ragazzo, cercando di essere supportivo.
“Mi spiace di averti fatto preoccupare, sono io il significativo fastidioso” aveva dichiarato Nico, “Sì, infatti, abbiamo stabilito che io sono l’abatjour” aveva risposto per le rime Will.
I due avevano riso e Jason si era sentito molto impacciato; era decisamente di troppo e ricco di vergogna nello spirare quel momento di intimità di Nico.
Ma era così dannatamente felice per lui, che se la stesse cavando bene.
Quando aveva lasciato il campo, per cercare Leo, aveva lasciato un Nico che cominciava ad aprirsi al mondo, onesto con se stesso, ma ancora spaventato di ciò che lo aspettava.
“Vuoi dirmi che succede?” aveva chiesto delicato Will.
Nico aveva annuito, “Jason, qualcosa non va” aveva detto, la sua voce era sottile, come un vetro crepato, “Gli è successo qualcosa? Era lui che ti chiamava dal Tartaro?” la voce di Will si era fatta immediatamente ansiosa, Nico aveva scosso il capo.
“No, non era lui. Quello che ho detto ad Apollo era vero.
Jason stava bene, non come Hazel che era nel posto sbagliato o Leo che era così strano … solo che adesso, adesso … non lo sento più” aveva dichiarato Nico.
“Ovunque sia non lo sento più … non lo sento più
in pace. Non so cosa sia successo” aveva raccontato.
Will aveva fatto una pausa, il suo viso era ancora crucciato, “Lui … uhm … potrebbe aver passato il fiume Lete ed essere, ecco, reincarnato?” aveva chiesto, pieno di timore.
Nico aveva chinato gli occhi, quasi vergognoso, “No, è successo con Bianca … la sensazione è diversa. Devo dire che è stato più brutale, come qualcosa spezzato … un momento la percepivo e quella dopo non era più lì. Jason c’è … io lo sento, ma è distante, distantissimo e non è più in pace” aveva specificato Nico, accompagnando l’azione con un certo gesticolare, per dare decisione.
“Oh Nico” si era lasciato sfuggire Jason, pieno di vergogna per quella preoccupazione che stava creando.
“Hai provato ed evocare qualcuno? Nel senso per avere la risposta … per vedere come sta, se è sempre lì” aveva proposto Will, il suo tono era cauto.
Nico lo aveva guardato con le sopracciglia crucciate, “Ero uscito per farlo, sai … di nascosto; tu, Chirone e Mr. D. non siete proprio fan di me che pratico la negromanzia; quindi, …” aveva risposto il suo amico, con un tono un po’ rigido.
“Non sono fan di te che ne abusi e ti fai viaggi in solitaria per il tartaro o in compagnia di
trogloditi[6], non di te che lo usi con giusta moderazione” si era difeso Will, stringendoli la mano.

 

“Jason” qualcuno lo aveva chiamato.

Jason non aveva mai visto il resto di quel momento, perché aveva aperto gli occhi, stanco, affaticato, con il viso riverso sui fogli su cui si era addormentato, prono sul pavimento della sua stanza.
“Jason!” la voce di Astrid era raschiante da fuori la porta, mentre batteva contro il legno.
Lui si era tirato su a fatica, con il collo indolenzito … bene, il valhalla curava ogni ferita mortale ma non le posizioni scomode del dormire ed era andato a fatica ad aprire la porta.
“Hai la faccia di uno che pare stato colpito in faccia da uno scudo” aveva dichiarato Astrid, quando Jason si era palesato.
La ragazza aveva i capelli stretti in due trecce e non indossava più gli abiti di pelliccia, ma una maglia di ferro sopra un paio di calzoni e stivali imbottiti. Aveva uno scudo largo in bronzo dorato, legato alla schiena e portava un’accetta allacciata alla cintura.
Jason aveva annuito, “Mi ci sento, ieri mi sono addormentato sul pavimento” aveva ammesso, sincero, spostandosi per far vedere ad Astrid i resti della sua follia artistica. Quella non aveva fatto una piega, “Non varrà come giustificazione per morire” aveva rimarcato la ragazza, “Andiamo a fare colazione” non pareva un invito.
Jason si era chiuso la porta alle spalle ed era uscito così come era vestito, aveva ancora indosso la maglietta ed i jeans sbiaditi del giorno prima.
Astrid che faceva da apri-fila si era chinata per raccogliere un piatto davanti la stanza di Fred, vuoto, Madina lo aveva lasciato lì pieno, la sera prima. “Be, non si è ancora disciolto” aveva valutato la ragazza, prima di fermarsi a dare due colpi alla porta.
Non aveva ricevuto risposta.
“Oh, Fred, per la gloria degli dei, sei una parodia di un anirniq … a nessuno importa di quella cosa, lo sai” aveva strillato Astridi, prima di allontanarsi.
“Cos’è un anirniq?” aveva chiesto Jason, Astrid lo aveva guardato, ferma in viso, “Uhm … noi, è il respiro e l’anima che permane oltre la morte” aveva risposto la ragazza con semplicità, “Solo che spesso quando un anirniq pervade nel mondo, lo fa più per la vendetta, però ecco, entriamo in tutto un altro campo adesso” aveva dichiarato lei, muovendo circolarmente le dita delle mani, ad indicare l’hotel.
“Non è scandinavo, come la parola di ieri” aveva valutato Jason.
Astrid aveva chiamato l’ascensore, “Buon osservatore, si non lo è, è il credo di mia madre” aveva risposto la ragazza.
Forse anche lei era una semidea, aveva pensato Jason, padre dio e madre umana, nativa, l’opposto di Piper. Forse suo padre era un dio figlio di Thor, giacché aveva chiamato Thrud zia più volte.
“Hai risolto per la pelliccia, poi? Sai dopo il suicidio di Mel?” aveva chiesto Jason, mentre prendevano l’ascensore. “Oh, grazie … Sono dovuta uscire di nascosto e raggiungere il negozio dell’unico elfo oscuro che sa qualcosa di vestiario e forse domani riavrò le mie cose” aveva dichiarato Astrid, “Ovviamente non avevo soldi per pagarlo, mi è costato una settimana di turno a Casa-Chase. Grazie per averlo chiesto comunque” aveva ammesso la ragazza, l’ultima parte l’aveva aggiunta abbassando lo sguardo.
“Oh, prego … aspetta hai detto Casa-Chase?” aveva chiesto Jason.
Le porte dell’ascensore si erano aperte, ad investirli era stato un vento quasi artico, “Oh, chiudi-chiudi-chiudi!” aveva strillato la ragazza cominciando a premere ripetutamente contro il pulsante dell’ascensore per la chiusura delle ante.
“Cosa è appena successo?” aveva domandato Jason, avendo ancora negli occhi l’immagine dell’innevato spazio, che si erano lasciati dietro. Ed il freddo penetrante che aveva colpito il viso. Per un secondo aveva pensato di essere di nuovo alla corte di Borea – ma quella era un’altra vita.
“Mondo non esattamente simpatico” aveva dichiarato Astrid spostandosi nervosa, “Sì, io credo di aver digitato male” aveva ammesso Jason pieno di imbarazzo. Era sicuro di aver premuto il pulsante che aveva premuto Mel, il giorno prima, forse però si era confuso tra cinquecento e passa piani.
L’ascensore, d’altronde, offriva un pannello dei pulsanti piuttosto notevole, che occupava la lunghezza intera dell’ascensore ed era di notevolmente larghezza. Jason non riteneva fosse da lui un errore di questo genere, però poteva riconoscere la probabilità di caduta in errore.

“Quello era Jotnheim, il mondo dei giganti di ghiaccio. Si, uhm … non è frequentato esattamente da personcine simpatiche. Io e da un paio di secoli che dico che certi piani andrebbero bloccati, onde evitare spiacevoli incontri. Una volta sono finita a Muspellsheim, il regno del fuoco, ma … ehi … io sono solo Astrid Einardottir” aveva ammesso calma lei, sistemando i capelli, che erano sfuggite alle trecce, dietro l’orecchio.
“Da quanto tempo sei qui, se posso chiederlo?” aveva chiesto Jason, mentre spazzava via un po’ di neve che si era depositata sulla sua maglietta. “Mille anni, secolo più, secolo meno” aveva dichiarato Astrid, “Il tempo poi si confonde” aveva aggiunto, questa volta le porte si erano aperte sul piano giusto, la sala con i tavoli, l’albero d’oro spendente con la capretta saltellante e le valchirie a cavallo di destrieri fatti d’aria.

“Ascolta il piano: adesso mangiamo, andiamo in armeria, vediamo se riusciamo a tirare un po’ di spada, poi combattiamo ed uccidiamo i ragazzi del piano diciannove” aveva dichiarato Astrid, tirando dritto verso il medesimo tavolo della sera prima. Non erano presenti né Mel né Madina.
In realtà Jason poteva notare che la sala sembrava semideserta, anche al tavolo dei Thegn mancavano più della metà. “È presto, vero?” aveva chiesto, aggiustandosi gli occhiali.
“Hai presente quella frase fatta da: mi riposerò da morto? Dimenticala” aveva dichiarato Astrid accomodandosi sulla panca.
Jason l’aveva imitata.
Una valchiria era venuta a servire loro da bere, succo di frutta ed un piatto di affettati, “Salume di cinghiale” aveva dichiarato, prima di allontanarsi dopo aver strizzato l’occhio a Jason.
Astrid aveva roteato gli occhi, “Non farti sedurre da una valchiria, non finisce mai bene, chiedi a Sigfrido … piano centoventidue” aveva dichiarato quella poi, piegando le labbra in un sorriso freddo.
Jason era avvampato, “No, io … no, ho una… avevo, cioè … c’è … questa raga-Piper!” era riuscito a farneticare, mordendosi poi il labbro, aveva sospirato.
“Avevo una ragazza, Piper, c’eravamo già lasciati, però non sono pronto a farmi sedurre da … valchirie” aveva dichiarato Jason, grattandosi il collo.
Piper.
Tra le sue morti l’aveva sognata, assieme a Leo – stavano bene.
Stavano bene.
Astrid lo aveva guardato, intensamente, “Prendilo come consiglio da applicare per i prossimi secoli, ecco” aveva detto poi.
“Ma loro non sono tipo … uhm vergini guerriere?” aveva chiesto Jason, dopo una pausa, forse nella sua mente aveva inevitabilmente sostituito le valchirie con le cacciatrici …
Oh, Thalia.
Doveva … contattarla?
“Oh, per la gloria degli dei no. Sono quasi tutte zitelle, ma per scelta, ma sicuramente la castità non è una prerogativa. Perché dovrebbe esserlo? L’imene da maggiore capacità nell’utilizzo di un’arma?” aveva replicato Astrid, lo aveva fatto con un sorriso quasi spontaneo, perdendo quell’alone di boria e rigidezza che sembrava accompagnarla in ogni suo commento.
“Direi di no” aveva ammesso, rosso di imbarazzo Jason.

Avevano fatto colazioni, con una certa velocità, qualcuno aveva chiacchierato con Astrid, del più e del meno, la ragazza era stata molto schietta nelle risposte e poi aveva condotto Jason in un altro piano dell’hotel. “A proposito sai dove è la lavanderia?” aveva chiesto lui, mentre riprendevano l’ascensore, “Provi già la fuga?” lo aveva interrogato Astrid.
Jason aveva aggrottato la fronte, “Cosa?” aveva chiesto, “Oh, be, oltre la porta di ingresso … che tecnicamente non potremmo mai varcare e la scarpinata sull’albero, una delle uscite per midgard è in lavanderia” aveva spiegato Astrid.
Jason era rimasto in silenzio, “Oh, non ne avevi idea” aveva valutato lei. Jason aveva annuito.
Thrud voleva farlo fuggire?
“Allora deve essere un piano di zia Trudy” aveva commentato Astrid, senza particolare inflessione nella voce, doveva conoscerla bene evidentemente.

 

Astrid lo aveva condotto in quella che doveva essere l’armeria, “Non so come farti vestire” aveva dichiarato lei, “Buona parte di noi ormai combatte con quello che ha addosso senza problemi, però ecco, per il ragnarok dovremmo indossare armature e co, ma appesantiscono tantissimo e se non ci sei abituato e come combattere dentro una pentola rovente che ti schiaccia a terra” aveva dichiarato la ragazza, mentre valutava tra le spade, una da dare a Jason.
“Fa schifo anche non combattere con l’arma con cui sei arrivato qui” aveva aggiunto lei, nel dirlo aveva sfiorato la sua accetta, “Ma succede: Lars altrimenti dovrebbe combattere con un estintore. Una volta lo ha detto, è stato esilarante” aveva ammesso, sembrava divertita, nonostante il suo tono fosse piatto.
Jason aveva raccolto una spada.
Erano diverse dalle spathe e i gladi a cui era abituato lui. Ne aveva presa una, aveva l’elsa sottile, con un pomello polilobato sulla cima. La parte per proteggere la mano era stretta e dritta, la lama era pesante, lunga ed affilata da ambo i lati. Il metallo aveva delle notevoli sfumature ocra, che davano all’arma un aspetto suggestivo. La spada non era particolarmente bella o elegante, ma aveva qualcosa.
“Quello è in ferro di torba, dal colore direi limonite” aveva commentato Astrid, “Buono o cattivo?” aveva chiesto Jason, che doveva ammettere che in lame conosceva l’oro imperiale, il ferro di Stige ed il bronzo celeste, oltre che le armi standard, anche se non le maneggiava spesso, visto che potevano ferire i mortali. “Impermeabile, di solito viene utilizzato per utensili e navi. Se ci hanno fatto una spada e perché non avevano molto altro ferro” aveva valutato Astrid, prendendola e soppesandola, “Direi che è americana, comunque, anzi canadese” aveva fatto una pausa.
“Si chiama Panikpak” aveva detto restituendola, “La ha fatta mio padre, chiama tutte le sue spade così, o Atuat … come buona parte delle spade da queste parti, intendo le spade che trovi qui, buona parte le fabbrica mio padre, non che le spade da queste parti si chiamano così!” aveva dichiarato Astrid.
Jason aveva avuto una brutta analessi in relazione a Caligola e tutte le navi con il medesimo nome, della sorella, ormeggiate alla baia. Era un’ossessione, era un significato specifico.
Astrid lo aveva guardato con aspettativa.
Jason si era fatto rigido un secondo, stringendo l’elsa della spada e poi aveva chiesto: “Tuo padre è come Vul…Volevo dire come un dio armaiolo?” aveva chiesto.
Astrid aveva fatto oscillare le trecce nere, come aveva mosso il capo, “Non esiste un dio del genere, i nani sono i fabbricanti. Mio padre è semplicemente un fabbro, cioè in realtà è un semidio, però non c’entra nulla, è un fabbro, dicevo – uno bravo, istruito da Dvalinn in persona” aveva dichiarato con orgoglio Astrid.
Jason l’aveva guardata.
“Uhm … è uno dei nani più celebri della mitologia, non che uno dei fabbri e armaioli più notevoli dei nove mondi. Ha forgiato la Tyrfing[7]. È stato anche l’amante di Freya, la dea più cazzuta di tutto il reame?” aveva proposto Astrid. Jason aveva annuito, “Questo è il momento in cui ti confesso che degli dei norreni conosco solo Odino, Thor e Loki?” aveva proposto.
“Ricordami di fare un’incuriose ad Adsgard per andare alla biblioteca” aveva dichiarato Astrid, “I potremmo andare anche a quella pubblica di Boston” aveva valutato lei.
Panikpak vuol dire qualcosa?” aveva domandato Jason, “Madre-asfissiante!” aveva detto la guerriera prima di fare una pausa, “No, è semplicemente il nome di mia madre” aveva replicato mentre gli passava anche una cotta di maglia ed un elmo.
“Niente corna?” aveva chiesto Jason. Dagli occhi tristi che Astrid aveva assunto, per aver citato sua madre, Jason, figlio della sconosciuta Beryl Grace non aveva voluto, insistere. “Roba da galli” aveva risposto Astrid – aveva fatto una piccola smorfia che pareva un sorriso.

All’armeria avevano incontrato anche Mel, che doveva essere in piedi da ore.
Non aveva i segni sul collo nudo della forchettata mortale, ma anzi sembrava in perfetta forma, nudo dalla vita in su, sudato, con le guance arrossate ma inflessibile, con scudo rettangolare ricurco al braccio e con una spada corta alla mano, indossava su un braccio una lorica di ferro lucidissimo, sorretta al busto da una spessa cinghia e degli schinieri coordinati. “Mel sta cercando di diventare un guerriero Berserk, ma non ci riesce. Troppo disciplinato” aveva dichiarato Astrid, con un filo di rabbia.
Jason aveva un solo pensiero in mente.
Mel combatteva come un mirmillone.
Una vita in catene, aveva detto Madina.
Ed era un cheruscio.
“Era un gladiatore” si era lasciato sfuggire Jason, “Sì, ma a lui non piace parlarne” aveva dichiarato Astrid, mentre si avvicinava a lui.
Jason ebbe un brivido, ricordando poi le parole di Thrud. Iniziava a sospettare che il tacere la sua identità non fosse solo dovuto al fatto che aveva sconfinato in un altro pantheon.
Il ragazzo aveva messo giù lo scudo ed aveva sorriso raggiante verso di loro, “Pronti a morire?” aveva chiesto tutto allegro.
“Mai” era stata la risposta fiera di Astrid.


 

Madina aveva raggiunto loro, dopo, con calma, mentre beveva dal bricchetto di un succo alla pesca. Indossava gli spallacci, i para-gomiti e le ginocchiere. Gli indisciplinati ricci erano sistemati in uno chignon mirabolante ed aveva un’espressione serena. Più che una guerriera pronta ad un combattimento mortale, sembrava pronta ad una gara di roller, senza roller e con faretra legata alla cintola ed arco alle spalle.
“Jason, caro” aveva detto Madina, mettendoli un braccio attorno alla spalla, “Probabilmente a parte quella brutta storia con il mafioso e la tua ex, hai la faccia di un bravo ragazzo che non si è mai messo nei guai. Quindi non ti preoccupare se sarai sopraffatto dal terrore, vorrai scappare e morirai con un’arma sulla schiena. Magati domani andiamo a fare yoga mortale[8] così ti prepari meglio. Però sai come si dice … La prima volta fa sempre schifo” aveva dichiarato la figlia di Ullr con tranquillità.
“Astrid te lo concederà questa volta. Io ti coprirò nella fuga. Posso centrare in mezzo agli occhi una formica” aveva aggiunto Madina, tirando un paio di colpi alla sua faretra piena di frecce.
Mel gli si era avvicinato, ancora vestito da mirmillone, “Io invece ti dico: scatenati. Non avere timori, niente di quel che succederà oggi, avrà conseguenze” aveva dichiarato con allegrezza ed un sorriso da squalo.
“Grazie ad entrambi per i consigli” aveva dichiarato Jason pieno di disagio, aveva seguito Astrid con lo sguardo, era un po’ più avanti di lui.
Stava parlando con un nerboruto guerriero con un uniforme americana, l’elmetto e la faccia dipinta da verde che ricordava a Jason quei soldati nei film sul Vietnam ed una donna slanciata, biondissima e regale.

La guerriera dai capelli scuri era tornata da loro, “Ho parlato con Freydis[9], il novantatreesimo piano, organizzerà un colpo dall’alto. Loro vanno sul boschetto a sud e noi prenderemo a nord, insieme a Jemmy ed il centoventicinquesimo piano” aveva dichiarato, prima di spiegare per bene il suo piano.
Jason, terribilmente romano, trovava la strategia un po’ caotica.
“Quindi, sì, squadra venti-novantatré-quarantacinque-centoventicinque” aveva valutato Madina con espressione seria. “Il piano settantotto?” aveva chiesto invece Mel.
“Hanno abbandonato il gruppo, per unirsi ai piani diciotto, centosedici e trecento-novantanove” aveva detto sdegnosa Astrid.
“Non è un problema” aveva dichiarato Madina con calma.
“Occhi sul premio sempre” aveva ripreso la parola Astrid, “Sopravvivere?” aveva chiesto Jason.
“Sempre, a qualsiasi cosa e vincere. Quando combatteremo al Ragnarok saremo un unico esercito, ma oggi, troviamo nemici ideali, formiamo gang. Siamo tutti contro tutti” aveva spiegato Astrid.
“Ma soprattutto tutti contro il piano …” aveva ripreso Madina, “Diciannove!” l’aveva anticipata Jason, che gli aveva sentiti ripetere quella cosa un certo numero di volte, “Esatto, Jason, al momento sono considerati i più forti e benedetti da Odino in persona” aveva dichiarato Madina.
“Però” aveva attirato l’attenzione Mel, “Ci stiamo, ehm, fidando di Freydis?” aveva chiesto preoccupato, “Sì, è una figlia di buona donna ma è una delle più vecchie amiche di mio padre” aveva risposto quasi indignata Astrid.
“Ha ingannato i suoi amici e costretto suo fratello a commettere degli omicidi per coprirla” aveva risposto Mel, “Nessuno può costringere un fratello a fare niente, dovresti saperlo, visto come è finita la tua famiglia” l’aveva offeso senza ritegno Astrid, evidentemente.
Se Mel non l’aveva caricata di forza, era stato per il tempestivo intervento di Madina, “Lo hai fatto di nuovo” l’aveva rimproverata.
Astrid aveva perso l’espressione di supponenza per una più consapevole, “Scusa” aveva ammesso, prima di cambiare repentinamente discorso, “Fred piuttosto?” aveva chiesto.
Madina si era morso il labbro.
“Ci fa da copertura dal cielo, ha detto. Si apposterà sul balcone” aveva dichiarato Mel, ancora rigido. “Be, spero non provochi un terremoto come quello che ha scatenato nel millesettecento-cinquantacinque che ha raggiunto perfino Midgard[10]” aveva detto Astrid.
Madina le aveva tirato un buffetto a pugno chiuso – neanche troppo gentile – sulla spalla, “Astrid!” l’aveva rimproverata.
“Sai perfettamente che non è per quello che non esce! E tu sai anche che è una paturnia inutile, abbiamo perfino la progenie di Loki di questi tempi” aveva risposto Astrid massaggiandosi la parte indolenzita della spalla. “Se non impari ad essere più gentile, resterai da sola ed immagino non debba essere bello per l’eternità” il rimprovero di Madina era sembrato molto materno, accompagnato con un sorriso stanco.
Jason non aveva potuto aspettare il resto della frase, perché Mel lo aveva preso in disparte, con gli occhi luccicanti, “Non preoccuparti di loro. Madina come me ha dovuto imparare come ci si comporta, con le cattive, ed Astrid invece è cresciuta sola come un cane e non ha mai imparato l’educazione; dovevi vederla un millennio fa cosa era!” aveva dichiarato il guerriero cheruscio, “Adesso andiamo. Jason, preparati a rimanere strabiliato” aveva enunciato conducendolo verso un ampio portone.
Bianco, a due ante, immenso quasi.
Si erano accodati all’uomo vestito da soldato, che aveva ora un nutrito gruppetto di persone alle sue spalle e la donna elegante dai capelli biondi.

All’uomo vestito da soldato si erano aggiunti altri compagni, tutti suoi coetanei, così come alla regale donna bionda e tutta la sua troupe. Fredys, immaginava fosse quello il suo nome, aveva voltato lo sguardo verso di loro, aveva occhi azzurrissimi, uno sguardo affilato come un coltello. I capelli erano un biondo-ocra, come il grano ardente, stretti in una treccia severa. “Nuovo?” aveva valutato lei, guardando Jason; la voce di Freydis era dura come pietra che batteva contro altra pietra. Mel aveva annuito per lui, “Buona morte nýlidi[11]!” aveva dichiarato lei, sorridendo, prima di spalancare le ante del portone. Jason era stato invaso dalla luce, del sole più forte che avesse mai visto.

Mel aveva ragione: Jason avrebbe dovuto prepararsi ad essere stupito.
Dopo la vita – e la morte – che aveva avuto, i luoghi che aveva visitato, mitici e reali, il paradiso quasi, Jason non credeva di poter ancora essere meravigliato, ma lo era.

Quello che si apriva davanti a lui, in quella che pareva la corte interna dell’hotel, era uno sconfinato campo verde, dalla forma quadrata. Quasi una maestosa Central Park, imprigionata ai bordi da alte mura in marmo bianco, da cui si affacciavano ringhiere d’oro. Da cui gente di ogni tipo si affacciava, facendo grida da stadio, stendardi di ogni genere pendevano. In un tripudio di colori che si riversavano sul bianco marmo come un carnevale.
Jason aveva seguito con lo sguardo il profilo del palazzo, perdendo i contorni in nebbia fitta e lontananza.
Davanti a lui il giardino, però era terra, incolta, con colline, discese, zone boschive e campi aperti, tutto in un ecosistema ampio, sì, ma finito. Come un piccolo mondo in miniatura.
Da porte, come quella che aveva attraversato Jason, centinaia e centinaia di soldati si riversavano all’interno del giardino, che sembrava, anche pullulato essere in grado di contenerli tutti e rimanere vasto.
Quello, sì disse, era diverso dai panorami luminosi dei campi elisi, dalle acque tranquille e le sabbie argentee … e pensò anche: fosse magnifico[12].
Poi vide un uomo correre davanti a lui e cadere atterra strangolato da un laccio, a cui erano legate due pietre, che gli era finito addosso.



[1] Letimov ricorrente della saga di Magnus Chase

[2] Per favore non odiatemi Astrid, non è una di quelle militanti della moda che non hanno problemi ad indossare pellicciotti, ma è una persona che viene da un certo contesto storico. Vi dico, io, che le pellicce sono forse una delle poche cose rimastele della sua “prima vita”.

[3] Un tempo (cioè credo fino a prima della prima guerra mondiale o giù di lì) si combatteva solo durante le ore diurne e nelle stagioni calde, questo spiega anche perché c’erte guerre *coffcoff*anibalica*coffcoff* duravano vent’anni e passo.

[4] È una tipologia di cervo nord-canadese.

[5] Le lingue scandinave (che sono al momento per 4 diverse: norvegese, danese, svedese e islandese) sono tutte lingue germaniche, nota inutile ma …

[6] Non è un’offesa, Will intende proprio la specie.

[7] Se avete letto Magnus Chase conoscete già la spada in questione, se no, diciamo che è una signora spada (attenzione al genere) che può creare un po’ di complicazioni. Tipo deve uccidere ogni volta che è sfoderata.

[8] Magnus ci fa sapere che nell’Hotel Valhalla c’è una stanza che serve a questo.

[9] Freydis (Eriksdottir) è un personaggio che appare nella Eirik Saga Rauda e Groelandinga saga, sorella di Leif Eriksson e figlia di Erik, nonché un bel tipetto, pure parecchio infame. Secondo la Wiki di Riordan si trova nel Valhalla.

[10] 1755, c’è stato un terremoto a Boston!

[11] Novellino in islandese (che tra le lingue scandinave è la più antica, anche se Fredydis è tecnicamente di famiglia norvegese, però ecco, suo padre si è trasferito in Islanda e se non sbaglio con i suoi fratelli lei ha vissuto anche in Groenlandia – e in Vinlandia)

[12] Jason è stato cresciuto come Romano, quindi bho per me l’educazione militare deve averla avuta. Inoltre, tra tutti i pg di Riordan, Jason tra tutti e sempre stato quello più aperto ai confronti e quant’altro. La prova nasceva anche dal suo voler migliorare Roma prendendo le cose che aveva apprezzato dal Campo Greco e co … Cioè non lo so, mi sembrava il pg adatto ad apprezzare.

   
 
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