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Autore: SkysCadet    18/09/2021    0 recensioni
La cittadina di Filadelfia sembra un borgo tranquillo, in cui la gente comune passa la giornata senza occuparsi degli strani avvenimenti che accadono da diverso tempo. Tuttavia, Simon si ritrova - suo malgrado - a combattere per la salvezza delle anime sfuggite al potere dei Lucifer. Tra questi c'è Joshua, un ragazzo con un dono particolare. Il giorno in cui Ariel - una matricola impulsiva dell'università di Filadelfia - lo incontra per la prima volta, capisce che in lui c'è qualcosa di diverso dagli altri ragazzi. Solo un nome sembra in grado di cambiare il corso degli avvenimenti, un nome che i Lucifer non possono nominare...
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ormai mancava davvero poco alla sua esecuzione.

Giorni o, al massimo, qualche settimana e prima di porre fine alla sua esistenza gli avevano ordinato, come ultimo compito, quello di far soffrire così tanto Joshua da fargli rinnegare la sua fede e bestemmiare il suo Dio.

Era così che Acab passava le notti insonni a sorvegliare quel martire, colpendosi ripetutamente la fronte col pugno chiuso della mano destra, sentendo serpeggiare nelle viscere un opprimente sensazione di morte che lo avvolgeva fin nelle midolla.

Non poteva certo deludere la sua famiglia, la più potente del mondo e quella che aveva ricevuto il potere di gestire l'economia mondiale.

Lui non seppe mai nulla dei loro affari, né si sarebbe mai sognato di chiedere spiegazioni a riguardo.

Non poteva fare domande, né sui prigionieri, né sui bambini urlanti che gli passavano davanti; men che meno mostrarsi debole, perché il suo cuore "era di ghiaccio e di ghiaccio doveva restare".

Era uno dei comandi del loro Signore.

Il loro Signore: senza nome e senza volto; molto diverso dal Signore dei suoi prigionieri, che aveva il volto di quei credenti e un Nome che non era consentito nominare.

Quel suo Signore aveva scritto le pagine del Libro delle Tenebre, col sangue dei martiri perpetrati in secoli e millenni di potenza concessagli dagli uomini per mano del gruppo Lucifer.

«Solo Colui che non possiamo nominare, e qualche suo figlio, ha rinunciato ai Regni che abbiamo avuto in sorte dal nostro Signore, caro Acab.» gli disse un giorno suo padre Judas; insieme a quelle parole ne balenarono altre nella sua mente tortuosa: «Ora quel pastore Simon si è messo ad insegnare ai suoi seguaci come fare della sana politica e, questo, al nostro Signore non piace per niente, mi hai capito Acab?» gli aveva detto a denti stretti, stringendogli il mento con tre dita «Faresti bene a velocizzare la tua trasformazione, o finirai male, anche tu.»

Quella trasformazione, la trasfigurazione in una bestia feroce, era il prodromo del passaggio al livello successivo.

Lui, quel livello, l'aveva passato, alla fine.

Fu quel giorno dell'umiliazione alla mensa dell'università, dove Ariel gli aveva calpestato la dignità.

Ariel...

Forse era lei la chiave di volta: la soluzione a tutti i suoi tormenti nella pianificazione della distruzione di Joshua.

Dopo tutto, era successo tutto a causa di lei; per colpa e merito suo, l'anima di Acab era stata messa definitivamente nelle mani del loro Signore.

Era successo la notte alla Cattedrale delle Sette Chiese, quando, dopo aver ceduto al Nome pronunciato dalla ragazza, Acab era stato trasportato dal padre al cospetto del Signore delle tenebre, per partecipare ai riti scabrosi delle oscurità, dove gli occhi umani non vorrebbero mai arrivare e dove l'odore e il suono di rivoli di sangue strisciante permea le pareti, accompagnato dai lamenti e dalle urla agghiaccianti degli innocenti.

Lì, dove ogni sera, scendeva da quei gradini ferrosi, svegliando Joshua col rumore delle sue suole.

Quella sera si era seduto nel penultimo gradino e si era acceso la sua sigaretta, soffiando fuori dalle labbra una nube di fumo grigiastro.

Aveva poggiato il capo al muro di pietra, prima di piegarsi in due e poggiare il gomito sul ginocchio picchiandovi la fronte sul pugno.

Non voleva morire.

Non in quel modo.

Avrebbe voluto trovare un appiglio a cui aggrapparsi per non morire; una soluzione semplice per fare quel che gli chiedevano. A volte, però, quei credenti erano così duri da far crollare, che, alla fine, sopraggiungeva la morte.

Questa volta, però, sarebbe sopraggiunta la sua, prima di quella di Joshua se non avesse fatto in tempo ad adescare Ariel, in qualche modo.

«Come va?»

La voce di Joshua nelle ombre di quella cella solitaria, lo avevano fatto sobbalzare, scattare in piedi e perdere dalle labbra la sigaretta appena accesa, tanto era stato il suo stupore.

«Che razza di domanda è?» ringhiò il moro con voce acuta, raccogliendo i resti della cartina, in un gesto di stizza.

Joshua aveva ormai perso ogni speranza di salvezza, lì, in quella notte perpetua, dove si pentì di non aver ascoltato le parole di Simon, quando, come un padre, lo incoraggiava a seguire gli esempi più alti della Chiesa eletta: modelli di santità e fede, nonostante le mogli, nonostante le famiglie.

Si era detto capace di rinunciare all'amore carnale, fatto di corpi che si incontrano e di anime che si legano. Tuttavia, quel che lui considerava erroneamente 'carnale' era ciò che di più bello e piacevole Dio aveva creato: l'amore di un uomo e una donna che, a loro volta, hanno in eredità la facoltà divina di produrre vita.

Al contrario, questo era ciò di cui Acab sentiva una feroce mancanza e a cui aveva dato un nome: odio.

Acab coltivava odio verso la vita, senza ricordare quel che l' aveva fatto scaturire.

Per questo, il prigioniero aveva anche considerato con pietà la situazione di Acab, che, mai come in quelle sere, appariva evidentemente tormentato da una tenebrosa scure che pendeva sopra la sua testa.

«Chiedo...» disse in un colpo di tosse «dato che ormai so come andrà a finire, cerco di passare il tempo...»

«E come dovrebbe andare? Eh?» rispose il moro arrotolando una nuova cartina. «Sicuramente, va meglio di quanto stia andando a te!» esclamò poggiandosi con le spalle al muro, prima di inspirare profondamente dal tubetto di carta e tabacco e buttare fumo grigio dalle narici.

«Menzogne...» mormorò Joshua, facendo vibrare le catene ai piedi, dopo un fragoroso colpo di tosse.

«Menzogne, eh?» ripeté Acab, in una smorfia di ira che gli fece contrarre i muscoli del petto e aggrottare le sopracciglia. «Voi e la vostra fede...» sbuffò «Voi che vi sentite detentori della Verità. Non lo odi nemmeno un po' il tuo Dio per averti condotto in questo luogo?»

Quelle domande avevano il sapore di una provocazione, ma nascondevano la voglia di sapere di più di quel che gli avevano sempre detto.

A Joshua tornarono in mente i momenti in cui Ariel lo riempiva di domande mentre, adagiati sul divano, l'uno di fronte all'altra, chiacchieravano beatamente, fissandosi negli occhi.

E ci volle un po' per rispondere a quella domanda che gli provocò una fitta al petto, lacerato nella carne e nel cuore.

«In realtà... » tossì «È stata tua sorella a condurmi qui... » tossì nuovamente con un gemito prima di concludere: «E sono state le mie scelte a condurmi nel vostro covo. Gesù Cristo non c'entra nulla.»

 

***

 

Le luci di Filadelfia, incanalate tra le fessure della serranda della stanza,  accarezzavano la pelle rosea di Lucia, evidenziando le minuscole lentiggini che ornavano il suo piccolo naso.

Quella notte, trascorsa beatamente, era stata per lei un balsamo rigenerante, capace di affievolire tutte le tensioni accumulate in quei mesi di notti insonni.

Era passato il giorno del suo ventunesimo compleanno e, ancora tra le candide lenzuola, sentiva sulla pelle le vibrazioni elettriche provocate dal pomeriggio passato con Heliu: emozioni che le fecero comparire un sorriso, mentre le palpebre mostravano al sole gli occhi smeraldo.

Il ragazzo aveva avuto il desiderio di farle una sorpresa. Così, chiedendo l'aiuto di Nathan, pensò di riuscire nel suo intento.

La mattina si era alzato di buon ora, sapendo di trovare Nathan affaccendato tra le mura della mensa del Centro.

«No.»

«Ti prego, Nathan!»

L'aveva raggiunto a passo svelto, sgattaiolando via dalla sua stanza. Percorrendo le scale, trovò il ministro di Simon piegato sulle ginocchia, impegnato nella sistemazione di alcuni pacchi nell'androne della sala mensa. Vedendolo lì, si fiondò vicino al ministro implorandolo di consentirgli di usare la sua moto.

«Guarda, ti prego anche in ginocchio!» esclamò il ragazzo poggiando le ginocchia nude sul pavimento e congiungendo le mani, implorante.

«Perché, invece di pregare me, non preghi Gesù Cristo per il cuore di quella povera ragazza?» gli aveva risposto Nathan, senza interrompere il suo lavoro, facendo ondulare i capelli mossi dentro uno di quei pacchi bianchi.

«Io prego per lei. Ogni notte!» esclamò Heliu, con volto corrucciato.

In fondo, non era che una semplice richiesta la sua: cercare di conquistare il cuore di Lucia con una gita. In moto.

Tuttavia l'ansietà di Nathan non riguardava tanto la gita, quanto il fatto che il ministro non si sentisse sicuro di voler vedere accanto a Lucia un ragazzo così poco maturo.

«Ne hai parlato con nostro padre delle tue intenzioni? È come se fosse sua figlia, lo sai, vero?»

«Certo che ne ho parlato, mi ha detto lui di pregare per lei!»

«E allora, continua a pregare.» rispose l'uomo mentre cercava di sistemare pacchi di pasta insieme a dei cartoni di latte, che sarebbero serviti per donazioni a famiglie bisognose, ma, evidentemente, Heliu pensava di star interagendo con un uomo qualunque.

«Nathan, sei uno degli ministri più vicini a Simon. Dovresti sapere che la preghiera è accompagnata dalle azioni...» il ragazzo, acuendo il tono della voce, si pose di fronte al ministro con le mani ai fianchi, mentre l'altro alzava pian pian il capo con sguardo fortemente sorpreso.

«Ah, sì?» disse, alzandosi e ponendosi davanti ad Heliu con braccia incrociate e gambe divaricate «Facciamo una cosa» iniziò, ponendo le mani congiunte sulle labbra «tu prendi la mia moto, come mi hai implorato ieri, cerchi di convincere Lucia a salirci, anche se penso che non farà un passo senza dirlo a Simon, e poi, se, e dico se non dovesse accadere nulla, accetterò che tu mi ricordi le prediche di Simon.» concluse con una sonora pacca alla spalla del giovane.

«Sei così... Così...» cercò di commentare il ragazzo, con fronte aggrottata.

«Saggio? Sì me lo dicono in molti! E adesso sparisci.» concluse, spingendolo altrove, rivolgendo nuovamente il capo al pacco di cartone da sistemare.

Alla fine, dopo vari solleciti, Heliu era riuscito a convincere Nathan: avrebbe portato Lucia in moto fin sul Promontorio Raphael: una scogliera frastagliata, che dava sul mare, al cui vertice era stata posta una enorme croce bianca, alla base della quale era posto un faro, che, illuminandola, aiutava i naviganti a vedere la costa.

Così, dopo aver verificato che Heliu avesse ancora tutti i punti della patente e assicuratosi della lontana data della scadenza, lo invitò a seguirlo nel retro dei magazzini.

Dopo aver percorso una cinquantina di metri dall'ingresso del Centro, Nathan si bloccò di colpo, facendo sbattere Heliu contro la sua schiena.

L'uomo, guardingo, accigliò lo sguardo per assicurarsi che nessuno, a parte il ragazzo, lo stesse seguendo. Dunque proseguì, iniziando a giocherellare con le chiavi.

«Nervoso?» domandò, facendo scattare la serratura del lucchetto.

«Chi, io? Vuoi scherzare? Sto solo per portare via la ragazza più dolce del pianeta in groppa al mio destriero!» rise, mostrando i canini, mentre si avvicinava all'uomo dai capelli scuri che faceva cigolare il cancello.

«Il tuo destriero?» ripeté Nathan, fissandolo con un sopracciglio inarcato.

«Sì, cioè, dai... Hai capito!»

«Ho capito che mi sto mettendo nei guai, Heliu!» esclamò una volta fermo accanto ad un mucchio di lenzuola ingiallite e impolverate che assumevano la forma di un qualcosa di indefinito.

«Ora, Heliu ascoltami bene. Devi considerare che questo gioiello che sto per mostrarti non è adatto ai principianti. È una Yhamaha SR 400. Comprendi?»

«Ma io non sono un principiante!»

«Bene. Che il Signore ci aiuti, allora!»

Nathan sollevò le lenzuola dal mezzo, smuovendo un cumulo di polvere, mostrando al ragazzo una moto in perfettissimo stato e lanciandogli le chiavi al petto, gli disse: «Lucidala e riportamela al suo vecchio splendore!»

Così, dopo aver sistemato la moto, come gli aveva detto il ministro, corse tutto sporco di grasso e sudicio di sudore verso il Centro dove si sarebbe buttato sotto la doccia.

Nella corsa, però, attento solo allo sfarfallio del suo stomaco, non si rese conto di stare per buttarsi addosso a Lucia, che, di spalle, stava facendo una passeggiata, tenendo per mano un bambino di tre anni o poco più.

Fece in tempo a tenerla dalle spalle per non farla cadere; se fosse finita a terra, non gli avrebbe concesso nemmeno un saluto, si convinse.

«He... Heliu?»

Lucia, voltandosi di scatto, invece di inveire verso il ragazzo, si limitò a voltarsi sconcertata e imbarazzata, constatando, solo in quel momento, che le sue spalle erano rigate di nero.

«Dio! Lucia perdonami, sono un demente!» furono le esclamazioni di Heliu, sbiancato e tremolante «Non... Io sono...» farfugliò, cercando di mettere insieme un paio di frasi per farsi perdonare.

La ragazza, alla vista del volto sbiancato del giovane, non riuscì a contenere una risata, che illuminò lo sguardo di Heliu, provocandogli un largo e lucente sorriso.

«Tranquillo! È tutto a posto...» sorrise, mentre, abbassando gli occhi al piccolo che teneva per mano, tentò di nascondere quel velo di rossore che le stava infiammando le guance.

Quel giorno, Ariel si sentiva stretta in un dolore al ventre che percorreva i nervi fino a martellarle le tempie e dopo aver cercato invano un rimedio, decise di trascorrere del tempo con Lucia per il suo compleanno: la compagnia della sua amica avrebbe alleviato tutte le tensioni, inconsapevole di quel che di lì a poco sarebbe successo.

Dirigendosi verso la porta della stanza di Lucia, fece per bussare, ma si ritrovò di fronte alla porta semi aperta.

La aprì con un lieve gesto della mano soffermandosi poco dopo all'interno della camera per guardarsi intorno.

La stanza rispecchiava appieno la ragazza, ed era completamente diversa dalle altre stanze del Centro, che risultavano tutte uguali, come un qualsiasi dormitorio.

Era come se fosse entrata nella camera di un'adolescente.

C'era un armadio ampio in legno bianco e la scrivania, la cassettiera e il comodino riprendevano lo stesso stile, rendendo l'ambiente confortevole e rilassante.

Lo specchio posto sulla scrivania era adornato di foto e citazioni di Simon che Lucia usava ammirare per infondersi fede.

Una in particolare colpì la sua attenzione, una citazione di Simon che recava l'iscrizione:

"Se le tenebre scatenano l'inferno, io sono pronto a scatenare il paradiso!"

Batte le palpebre un paio di volte e poi si rivolse verso la porta del bagno aperta, da cui proveniva una luce calda.

«Lucia!» chiamò, sentendo la voce acuta dell'amica che la chiamava dal bagno.

Si avvicinò lentamente, scorgendo la sua figura di fronte allo specchio del lavabo nell'atto di osservarsi le spalle.

«Tutto ok, festeggiata?» esordì, con un sorriso sghembo la mora, accostandosi a lei per guardarla dal riflesso.

«Va tutto fin troppo bene» fu la sua risposta, immersa nel contemplare delle strisce nere che le rigavano le spalle.

Ariel le vide e, con una smorfia, commentò: «Qualche bambino ti ha sporcata di grasso?»

«No» rise, arrossendo e legando i capelli in una coda alta « è stato Heliu... »

«Chi?!» esplose Ariel in un acuto che spaccò i timpani all'amica che le fece segno di silenzio, mentre chiudeva la porta dietro di lei.

«C'è qualcosa che devi dirmi?» le domandò con occhi sgranati.

«Te l'avrei detto appena prima di uscire...»

«Uscire?»

Lucia sentì il cuore esplodere di emozione. Ancora non aveva metabolizzato l'accaduto e dirlo ad Ariel le permise di sfogare le sue più intime sensazioni.

Così, prima di emettere suono, si coprì il viso con entrambe le mani e disse: «Mi ha invitata a uscire, stasera!»

«C... Cos... Cosa?» balbettò Ariel, avvicinandosi per bloccarle i polsi e guardarla in viso. «Raccontami tutto!»

Così Lucia raccontò dell'incidente e del successivo arrivo di Heliu dietro la porta della sua camera, che, con aria imbarazzata le aveva detto di prepararsi per una sorpresa fuori dai cancelli del Centro.

«Quando?»

«Tra poco!»

«E non ti muovi? Hai già deciso cosa metterti? Un vestito! Sicuramente!» esclamò Ariel, dimenticandosi dei suoi dolori e continuando ad andare in giro per la camera, dopo aver quasi sfondato la porta del bagno per dirigersi verso l'armadio della biondina.

«No! Niente gonne!»

«Oh Dio, Lucia! Non fare la puritana! Sei cristiana, mica mormone!»

«No...Non è per quello!» disse Lucia, bloccando Ariel dalle braccia per focalizzare lo sguardo su di lei.

«Heliu mi ha detto di vestirmi comoda e assolutamente senza gonne!»

«Sono sconvolta» commentò con occhi sbarrati.

«Quale ragazzo non vorrebbe vedere la sua amata con una gonna... quantomeno sobria?»

«Semplicemente un ragazzo come Heliu»

Ariel sbuffò, sedendosi nel letto della giovane Lucia, guardandola mentre, di spalle, cercava qualcosa nel suo armadio e fu in quel momento che Ariel avvertì nuovamente i dolori che l'avevano afflitta poco tempo prima.

«Tutto bene, Ariel?» le aveva domandato Lucia, in con sguardo apprensivo.

«Sì, tranquilla!» mentì.

«Ora è il tuo momento. Lava via quel grasso, fatti bella e fallo sognare!»

«Sicura che è tutto ok? Sei stranamente pallida... »

«Sicura!» le ripeté, alzandosi di scatto per dirigersi fuori dalla stanza.

«Raccontami tutto al tuo ritorno!» esclamò in un largo ma finto sorriso, prima di chiudere la porta della stanza alle sue spalle.

Rimase un paio di secondi fuori dalla porta, si incupì, invidiando la gioia della ragazza e, avvertendo il desiderio di scappare da quel luogo, fece di corsa le scale, con una foga tale che le venne un capogiro negli ultimi gradini che davano all'androne della mensa.

Nathan, passando di lì, si accorse della situazione precaria di Ariel, che in una frazione di secondo sarebbe andata a terra rovinosamente se lui non avesse fatto un balzo per prenderla in tempo.

«Ariel!»

Fu l'ultimo suono che udì la ragazza prima di abbandonarsi al buio.

Quando i suoi occhi si aprirono, si ritrovò seduta nell'infermeria del Centro, su di una sedia di legno, con il capo appoggiato ad una colonna portante e le gambe sollevate, poggiate su di uno sgabello di alluminio, mentre Nathan, appoggiato al tavolo accanto a lei, tamburellava i palmi sulla superficie liscia, con aria tranquilla e impaziente.

Così, alzando lo sguardo nella sua direzione, Ariel aggrottò le sopracciglia, con aria cagnesca.

«Ma...» iniziò a parlare, con le labbra secche e livide «Non vedi che non mi sento bene?» gli domandò, portandosi una mano sugli occhi.

«Tu non ti senti bene perché non vuoi stare bene. Il passato influenza troppo il tuo presente» furono le parole del ministro, lanciate come freccia improvvisa e letale nella sua mente.

«Perché mi dici questo?»

L'uomo gli avvicinò un cartoncino, spostandolo nella sua direzione col palmo della mano, nascondendone il contenuto.

«Cosa avevi intenzione di fare?»

Ariel, ancora preda di una testa pesante e girevole, aggrottò le sopracciglia con respiro lento, per poi rivolgere lo sguardo al cartoncino nero lucido.

Non ricordava di averlo mai visto.

Così lo prese con tre dita e lo portò vicino agli occhi. Era un cartoncino che riportava delle scritte fluorescenti di un colore purpureo, difficile da leggere su quel fondale scuro.

«È una macchinazione, Ariel. Una loro macchinazione.» esordì Nathan, con sguardo torvo.

«Non capisco...»

«Io so che tu sei stata sempre qui, in questi giorni, ma è molto strano che il vento abbia portato alla tua porta un invito al ballo del Dark Lithium, non trovi?»

Mentre il ministro pronunciò il nome del Lido in cui Ariel aveva scambiato delle battute con Judas, la mente cominciò a vorticare e provare una forte sensazione di nausea. Deglutì saliva, cercando di mettersi seduta e fissare il ministro negli occhi: «Io... Non so di cosa tu stia parlando...»

Nathan sospirò profondamente e rivolse lo sguardo all'ampia vetrata dietro la ragazza, che mostrava un cielo terso color zaffiro, prima di incrociare le mani e portarle alle labbra.

«Il tuo malessere spirituale si somatizza...» cercò di spiegarle «evidentemente hai un desiderio recondito nel tuo cuore...» ispirò poggiando il palmo sul dorso della sua mano «Puoi parlare con me, se vuoi. Non temere.»

Nel momento in cui Nathan le toccò la mano, la sentì così calda da ritrarla quasi subito dal suo tocco, mentre una consapevolezza sgorgava nel suo animo.

«Ne parlerò a Simon. Grazie Nathan, ti sono debitrice.»

«Assolutamente!» rispose con un sorriso rassicurante «Non sei più debitrice di nulla, da quando sei qui.»

 

   
 
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