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Autore: Nao Yoshikawa    19/09/2021    6 recensioni
ScarletStrange con accenni Starker ispirata al film di Makoto Shinkai "Your Name/Kimi no na wa"
Wanda Maximoff e Stephen Strange non si conoscono e vivono in due paesi diversi. Eppure alcune notti avviene uno strano cambio di corpi tra loro, in sogno, che li costringe a vivere la vita l'uno dell'altro.
Vivendo vicino una stazione ferroviaria, Wanda Maximoff era abituata ad essere svegliata dal rumore dei treni in arrivo o in partenza.
Ma quella mattina nessun rumore l’aveva svegliata, fatta eccezione per la sveglia sul cellulare.
Stephen Strange, abituato al silenzio perfetto di casa sua, si lasciò andare ad un gemito infastidito quando sentì distintamente un treno che fischiava. Non c’era stazioni ferroviarie vicino casa. E poi viveva al decimo piano, non avrebbe dovuto sentire niente a priori.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor Stephen Strange, Peter Parker/Spider-Man, Pietro Maximoff/Quicksilver, Tony Stark/Iron Man, Wanda Maximoff/Scarlet Witch
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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1
 
The time finally came
Yesterday seemed nothing
More than a prologue to the prologue
But you can skim trough is you wish
From here on out is my story
 
New York
 
Vivendo vicino una stazione ferroviaria, Wanda Maximoff era abituata ad essere svegliata dal rumore dei treni in arrivo o in partenza.
Ma quella mattina nessun rumore l’aveva svegliata, fatta eccezione per la sveglia sul cellulare.
Non ricordava di averla impostata.
Wanda trovò il telefono sul comodino e lo spense, rimanendo sotto le coperte. Il suo letto le sembrava strano quella mattina, non ricordava fosse così grande e comodo. E soprattutto, si sentiva pesante.
Anche nell’incoscienza percepiva che qualcosa non andava.
Poi, come se si fosse ricordata di qualcosa d’importante, si mise seduta, scostandosi di dosso le coperte.
Un momento, si disse. Ma questa non è la mia camera.
«Cosa…?» si spaventò nell’udire la sua stessa voce. Anzi, quella non poteva essere la sua voce, era troppo profonda e maschile.
Si alzò col fiato corto. Che stesse sognando? Se davvero era un sogno, perché diamine non si svegliava ancora?
Finalmente capì perché si era sentita così strana fino a quel momento. Quello non era il suo corpo. Con le mani tremanti si sfiorò il viso, il collo, le spalle. Poi strinse il petto, muscoloso e senza l’ombra di seno. Abbassò lo sguardo e cercò uno specchio, ma dovette andare in bagno prima di trovarne uno.
Quando vide il suo riflesso per poco non cacciò un urlo. Lì vedeva un uomo che non conosceva. Lei era lì, dentro di lui e questo bastava per convincerla che sì, doveva necessariamente essere un sogno.
Ma allora perché non mi sveglio?
 
Sokovia, Novi Grad
 
Stephen Strange, abituato al silenzio perfetto di casa sua, si lasciò andare ad un gemito infastidito quando sentì distintamente un treno che fischiava. Non c’era stazioni ferroviarie vicino casa. E poi viveva al decimo piano, non avrebbe dovuto sentire niente a priori.
«Wanda! Sbrigati, dobbiamo andare! Non sei ancora pronta?»
Chi è che continua a urlare? E chi è questa Wanda, soprattutto? Ma sto forse sognando?
Più il tempo passava, più Stephen si sentiva sveglio. Era tutto molto strano. Si mise seduto e la prima cosa che avvertì furono i lunghi capelli ricadergli sulle spalle. Li sfiorò con le dita, per rendersi conto che quelle non erano le sue mani.
«Eh?» chiese ad alta voce, rendendosi conto che nemmeno quella voce gli apparteneva. Sì, indubbiamente era un sogno, di quelli molto realistici.
Abbassò lo sguardo, osservando quel corpo diverso da quello a cui era abituato. Le gambe erano scoperte e indossava una maglietta piuttosto larga.
«O è un sogno o sono impazzito» disse, non sentendo dei passi che si avvicinavano.
Qualcuno aprì la porta.
«Ah, allora sei sveglia. Dai, sbrigati o perderemo il treno» disse un ragazzo che non conosceva.
Poi richiuse la porta e lui rimase lì, con un’espressione scettica.
«Bene, è ufficiale. Anche io alla fine ho perso la ragione.»
 
Stephen si alzò a fatica. Non si sentiva affatto stabile su quelle gambe, era più basso e poi… era tutto diverso, tanto per cominciare non aveva idea di dove si trovasse, quella non era casa sua.
Cercò di essere ragionevole e si disse che quello doveva necessariamente essere un sogno, a volte capitava di farne di così realistici, non si impazziva certo dall’oggi al domani. Si guardò allo specchio: la ragazza a cui quel corpo apparteneva era piuttosto giovane, sui vent’anni. Aveva grandi occhi chiari e un’espressione un po’ impertinente. Alla parete del muro erano appese alcune foto che la ritraevano accanto a quel ragazzo di poco prima. Inizialmente si chiese se non fosse il suo ragazzo, ma quando vide altre fotografie che ritraevano sempre loro, ma da bambini, capì che più probabilmente erano fratelli. E che il nome di quel ragazzo era Pietro.
«Wanda! Non dovresti mangiare?»
Dannazione, è piuttosto frustrante, per essere un sogno.
«Io… sto arrivando!» si sforzò di parlare, ma quella voce era molto più acuta della sua.
Non gli rimaneva molta scelta. Prima però doveva indossare dei vestiti. E per indossarli, doveva spogliarsi.
«Vogliamo scherzare, spero» si guardò, pieno di dissenso. Se era davvero solo un sogno, non c’era niente di cui preoccuparsi. Tuttavia, non era molto educato guardare e toccare il corpo di una ragazza che nemmeno si conosceva.
Alzò gli occhi al cielo.
Non sono certo nato ieri, che vuoi che sia.
 
In fondo vestirsi non era stato poi così traumatico. Stephen però avrebbe voluto capire dove si trovava, aveva intuito solo di vivere vicino una stazione, in un appartamento molto angusto e illuminato da una luce fioca. Pietro era in cucina e aveva appena finito di tostare del pano.
«Ah, eccoti finalmente. Ma cosa…? Wanda, stai forse male?»
Si può sapere chi è questa Wanda?
«Ah? No, perché?»
«Beh…» Pietro la indicò. «Sei tutta in disordine.»
Stephen in effetti non si era pettinato i capelli e aveva indossato i primi abiti che aveva trovato. Non piaceva neanche a lui sentirsi così sciatto, ma non è che i bei vestiti fossero il suo primo pensiero.
«Ah, sì. Non è niente, è solo che stamattina sono un po’ stanca, tutto qui» si guardò intorno, cercando di familiarizzare con l’ambiente.
Quanto dura questo sogno?
«D’accordo. Allora, oggi a che ora finiscono le tue lezioni? Io finirò alle due di questo pomeriggio, ma poi dovrò andare a lavoro e…»
«Io vado all’università?» domandò Stephen senza pensare.
Chiunque sia questa Wanda, se davvero esiste, studia anche.
Pietro fece una smorfia.
«Sempre con quell’aria sarcastica, ma perché mi prendi sempre in giro? E poi non avevi un esame di filosofia, oggi?»
Stephen alzò gli occhi al cielo.
Una facoltà umanistica, ottimo.
«Sì, credo di sì… comunque non ho fame…» disse mentre giocherellava con una forchetta, ignorando Pietro che si domandava cosa diamine avesse sua sorella quel giorno.
 
*
 
 
Wanda si svegliò di soprassalto e si rese conto di essere felice come non mai, quando capì di essere di nuovo sé stessa. Finalmente il suo corpo, la sua camera, la sua vita!
Allora era stato veramente un sogno alla fine, un sogno molto spaventoso, anche se in realtà non lo ricordava alla perfezione. L’importante però è che adesso fosse sveglia, anche se si sentiva piuttosto stordita.
«Wanda, ti prego, dimmi che oggi sei di nuovo te stessa.»
Suo fratello la guardava un po’ intimorito.
«Pietro, ma che… me stessa?» domandò portandosi una mano sulla testa dolorante.
«Non dirmi che adesso hai anche perso la memoria. Altrimenti giuro che questa volta ti porto davvero in ospedale.»
 
Wanda non capì subito a cosa Pietro si stesse riferendo. Dovette aspettare di arrivare in università per capirci qualcosa: Peter Parker era il suo migliore amico, ed era uno studente straniero (precisamente dell’Inghilterra) che studiava storia del cinema. Due anni più piccolo di lei, Wanda provava per lui un sentimento d’affetto profondo, come se fosse un fratello minore. E poi, uno dei pregi di Peter era la sincerità.
«Te lo giuro, Wanda. Ieri sembravi fuori di te. Sei venuta all’esame con i capelli tutti in disordine e hai fatto scena muta al tuo esame. Anzi, hai anche fatto una scenata dicendo che di queste sciocchezze non t’importava. Ed eri molto scostante, mi facevi un po’ paura.»
Queste erano state le parole di Peter che l’avevano lasciata piuttosto perplessa. Lei non ricordava niente di tutto ciò.
«Vedi? Te lo avevo detto io» disse Pietro guardando la sua tazza di cappuccino. Wanda scosse la testa. Adesso iniziava a sentirsi un po’ intimorita. Prima quello strano sogno, adesso quello… Cosa le stava succedendo?
«Io… mi spiace. Sono solo molto stressata ultimamente.»
Ma certo, lo stress poteva essere una buona giustificazione, ma non avrebbe accettato di essere pazza.
«Va bene, però la prossima volta non trattarmi male. Lo sai che sono sensibile!» Peter bevve il suo succo di frutta tutto ad un fiato. «Ah, ma sto facendo tardi! Wanda, allora ci vediamo più tardi in libreria, va bene? E questa volta presentati!»
«Non preoccuparti, oggi sono me stessa» disse con un sorriso. Stava cercando di ignorare Pietro che la guardava con sospetto.
Essere gemelli voleva dire avere un grande legame e suo fratello capiva sempre quando c’era qualcosa che non andava. Forse nemmeno lui capiva fino in fondo quale fosse il problema, motivo per cui ancora taceva.
Andò in aula poco dopo per la prima lezione di latino. Tutti la guardavano in modo strano, sogghignando, ma li ignorò mentre cercava nervosamente il quaderno degli appunti. Quando lo aprì trovò una scritta al centro del foglio, in una calligrafia che non conosceva.
Chi sei?
Lo lasciò cadere. Di certo non lo aveva scritto lei e dubitava si trattasse di uno scherzo. Eccetto Peter non aveva molti amici con una tale confidenza.
Okay. Sono davvero impazzita.
Se ho davvero vissuto la vita di qualcun altro, qualcuno deve aver vissuto la mia vita.
Ma è possibile?
 
*
 
New York
 
L’incubo era finito. Era pian piano sfumato, ma Stephen aveva addosso ancora una spiacevole sensazione. Comunque i sogni erano sogni, non potevano influenzare la vita vera, motivo per cui decise di ignorare le sue sensazioni. Quella mattina aveva un appuntamento con Tony Stark delle Stark Industries, che era colui che più si avvicinava alla figura di migliore amico, anche se i due non mancavano mai di discutere.
«Ah, guarda chi c’è. Sei tornato te stesso?» domandò Tony con indosso gli occhiali da sole.
«Di che stai parlando?» domandò Stephen sedendosi.
«Fai il finto tonto? La giornata di ieri è stata abbastanza indimenticabile. Mi hanno detto che sei scappato da lavoro, sembrava che ad un tratto ti fossi dimenticato come fare il neurochirurgo. Ti hanno visto andare in giro come un turista e hai anche mangiato tanto, questo non ti fa bene alla salute.»
Stephen era certo che Tony lo stesse prendendo in giro a causa di quel suo ghigno divertito, ma le sue parole non fecero altro che crescere quell’orribile sensazione che ci fosse qualcosa di strano.
«Ti hanno detto male, allora. Non ho fatto niente di tutto ciò.»
O almeno, non lo ricordo.
«Beh, ha fatto scalpore, ti ho anche chiamato e sembrava che non mi conoscessi. Non hai assunto qualche droga, vero? Non è etico per un medico. O forse è lo stress, te lo dico sempre che ti ammazzi di lavoro.»
«Piantala di parlare, adesso!» lo zittì. «Io sono perfettamente me stesso.»
«Oh, d’accordo» Tony Stark alzò le mani in segno di resa. «È solo che saresti più simpatico se ti lasciassi andare, tutto qui.»
Stephen lo ignorò.
Mettendo il caso che quello che era successo non fosse un sogno – ma di certo lo era – allora voleva dire che per un giorno aveva vissuto la vita di qualcun altro. E che qualcun altro aveva vissuto la sua vita.
Ma è possibile?
Tirò fuori il portafoglio per pagare il caffè che aveva ordinato e fu sorpreso di trovarci dentro un bigliettino, su cui era scritta frase in una calligrafia elegante.
Anzi, più che una frase era una domanda e Stephen era sicuro che fosse rivolta a lui.
Chi sei?
Questo era inquietante. E frustrante. Non stava riuscendo a venirne a capo e questo non era da lui.
«Stephen?» chiamò Tony. «Non devi andare a lavoro?»
«Cosa? Ah, sì. Sì, è vero. Devo andare» disse assorto nei suoi pensieri.
Non sono pazzo, ci deve essere una spiegazione.
Una cosa del genere non succederà più.
Ma quella domanda continuava a tornare.
 
Tu                                            
                                               Chi sei?
Tu
 
 
 
While dozing off
I deamed i saw a place different from here
Whitin my lukewarm cola
Outise the windows of my classroom
On mornings spent swaying to and from the train

 
Nota dell'autrice
Le strofe all'inizio e la fine sono prese dalla colonna sonora di Your Name (tradotta in inglese ovviamenre). You Name è uno dei miei film preferiti di Shinkai, nonché mia ispirazione per questa storia, dove per forza di cose ci saranno delle cose diverse, anche se i punti cardine rimangono quelli. So che la coppia è un po' strana, ma a me piace tanto ed ero nel mood perfetto per scrivere qualcosa, quindi vi prego apprezzate il coraggio :P
Spero vi sia piaciuto, mi rendo conto che per chi non conosce il film forse è un inizio un po' confusionario, ma tutto sarà più chiaro dopo (circa).
 
   
 
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