Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: Storysofy    19/09/2021    0 recensioni
Dal testo:
Fu un contatto breve, la punta del mio mignolo contro il bordo del suo palmo. Mi pervase un'ondata di disperazione, mentre avvertivo cosa sarebbe successo a quel ragazzo nel giro di un pomeriggio. Mentre venivo a conoscenza di quello che era probabilmente il suo più grande segreto e la sua più grande vergogna. Avrei voluto stare zitta, probabilmente avrei dovuto stare zitta, eppure glielo dissi.
Genere: Generale, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il paesaggio scorreva veloce sulle rotaie del treno. Il mio tempo libero in quel periodo si contava in fermate. L'inizio della scuola mi impegnava dalle ore otto del mattino alle dieci di sera. Gli unici momenti in cui alla mia mente era concesso riposo erano quelle sei fermate, per andata e ritorno. Trenta minuti in tutto. Mi sedevo da sola e mettevo le cuffiette, guardando fuori dal finestrino, sperando che nessuno mi si sedesse accanto. Isolarmi era l'unico modo per me di potermi rilassare, se nessuno mi avesse guardata negli occhi, toccata, o avesse tentato di rivolgermi la parola, il mio sonno per quella notte sarebbe stato risparmiato, avrei potuto dormire senza dover assumere una ragionevole dose di sonniferi per attutire incubi e sensi di colpa e l'indomani avrei affrontato la giornata senza troppi problemi, forse sarei persino riuscita a concentrarmi seriamente sullo studio. Ero stata brava quella mattina, ero riuscita a parlare il meno possibile, senza nemmeno salutare il mio vicino di banco. Il professore di educazione fisica era mancato da lavoro a causa di un incidente d'auto che lo aveva lasciato sul ciglio della strada, con una multa tra le mani e l'auto sfasciata. Eppure io lo avevo avvertito, che avrebbe fatto meglio a venire con i mezzi quel giorno, uomo avvisato mezzo salvato, si suol dire, ma non si può pretendere che un insegnante ascolti un'alunna di prima venuta a dirgli che presto si potrebbe ritrovare molto vicino alla morte. Il professore aveva almeno avuto il buon senso di mettere in pratica quelle lezioni di educazione stradale con cui ci riempiva la testa e di allacciarsi la cintura, rimanendo dunque ben incollato al sedile. Quindi il professore era vivo e vegeto e io ci avevo guadagnato due ore di buca da passare con il naso nel libro di epica, poco male, educazione fisica non mi è mai piaciuta, e adoro l'epica. A fine lezioni mi ero affrettata ad alzarmi dalla sedia, raccattare il materiale sparso sul banco e dirigermi verso la stazione il più velocemente possibile. Vorrei dire che ci andai di corsa ma, come avrete intuito, non sono una grande amante dell'attività fisica, quindi mi limitai a camminare alla mia massima andatura, sembrando di conseguenza indiavolata o particolarmente su di giri. Meglio. Per quanto mi riguarda, nessuno ama rivolgere la parola alla gente indiavolata o su di giri, e l'ultima cosa che volevo in quel momento era fare pubbliche relazioni con gente che nel prossimo futuro sarebbe morta o quasi. Mentre attraversavo la banchina una mia compagna mi salutò, distogliendo l'attenzione dal suo gruppetto di pettegole, io feci orecchio da mercante, poi però mi sembrò di avvertire qualcosa e tornai indietro. «Oggi, quando torni a casa, usa le scale, non prendere l'ascensore.» Le dissi. La ragazza scoppiò a ridere ricordandomi che viveva al quinto piano e mai si sarebbe sognata di fare tutti quei gradini, io mormorai un "fidati di me" e me la filai prima di poter sentire le risate delle ragazze e pentirmi di aver appena salvato la vita a una di loro. Uomo avvisato, mezzo salvato. Detto e fatto. Un paio d'ore dopo, quando l'ascensore del suo condominio si sarebbe bloccato e sarebbe caduto con lei dentro, lei sarebbe potuta morire o avrebbe potuto ritrovarsi semplicemente con un braccio rotto e qualche livido, oppure si sarebbe ritrovata davanti alle scale del condominio e ripensando al mio avvertimento avrebbe iniziato a salirle. Il treno arrivò, salii, mi sedetti al solito posto: ultimo vagone, ultima fila, il lato finestrino che dà sulla stazione. Tirai fuori cuffiette e cellulare dalla tasca, feci partire in riproduzione casuale la discografia di una band punk, in modo che la chitarra elettrica sovrastasse il brusio indistinto prodotto dagli altri passeggeri. Rimasi salva fino alla prima fermata. Con "salva" intendo "sola", il posto a fianco a me era infatti ancora vuoto. Ahimè, osai tirare un sospiro di sollievo. «È libero?» chiese una voce. Distolsi lo sguardo dal finestrino, sperando con tutta me stessa che il ragazzo non stesse parlando con me, che si stesse rivolgendo al passeggero davanti, ma il cuore mi batteva forte nelle orecchie come quando stavo per percepire qualcosa. Quando mi voltai, infatti, mi ritrovai davanti un ragazzo. Avrà avuto la mia età, forse un anno di più. Stavo per inventarmi una scusa per scacciarlo, emanava pessime vibrazioni, poi realizzai che con tutta probabilità quello era l'unico posto rimasto vuoto sull'intero treno. «Sì, siediti pure.» dissi allora, accennando un sorriso e facendomi un po' da parte, in modo che non potessimo toccarci. Rimisi la cuffietta destra, prima che potessi fare altrettanto con la sorella lo sentii chiedere «che cosa ascolti?», mentre sussurravo il nome della band, il ragazzo si abbassò per prendere un libro dallo zaino, colpendo per sbaglio la mia mano ancora alzata in prossimità dell'orecchio sinistro, facendomi cadere la cuffietta. «oh, scusami...» mormorò, e si affrettò a raccoglierla e a pulire la gommina con il bordo della maglia. Mi porse nuovamente la cuffia, la presi, fallendo nel disperato tentativo di non toccare la sua mano. Fu un contatto breve, la punta del mio mignolo contro il bordo del suo palmo. Mi pervase un'ondata di disperazione, mentre avvertivo cosa sarebbe successo a quel ragazzo nel giro di un pomeriggio. Mentre venivo a conoscenza di quello che era probabilmente il suo più grande segreto e la sua più grande vergogna. Avrei voluto stare zitta, probabilmente avrei dovuto stare zitta, eppure glielo dissi. «Non farlo anche stasera.» mormorai, lui mi guardò confuso, poi portò lo sguardo sul polsino della felpa che indossava, come per assicurarsi che i danni che si era procurato fossero nascosti ben bene, e lo erano, se avesse incontrato chiunque altro tutta la devastazione che quel ragazzo si portava dentro sarebbe passata inosservata: i modi gentili, la voce allegra, e una felpa era tutto ciò che gli serviva per nascondere tutto, una maschera perfetta. Ma il ragazzo aveva incontrato me. La conversazione sembrò finire lì. Per tutto il viaggio sembrò sovrappensiero, poi il treno si fermò, a me restava una fermata, ma evidentemente per lui era il momento di scendere. Solo mentre si stava mettendo lo zaino sulle spalle mi rispose. «Ci proverò.» sembrava insicuro, ma mi fece sorridere. «Domani se vuoi puoi sederti di nuovo qui, così ti racconto un paio di cose.» Lo informai. Il ragazzo annuì e si affrettò a scendere. Lo salutai con la mano dal finestrino, lui ricambiò, non sembrando troppo turbato. Il mezzo ripartì, e io rimisi le cuffiette. Il paesaggio scorreva veloce, sulle rotaie del treno.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Storysofy