Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: J Stark    19/09/2021    0 recensioni
Cosa succederebbe se inaspettatamente ti ritrovassi nel mondo dell'Attacco dei Giganti? Conoscendo la storia agiresti per cambiare gli eventi o lasceresti che facciano il loro corso? Assisteresti da spettatrice/spettatore alla morte dei tanti personaggi o cercheresti a tutti i costi di salvarli?
Ti invito a scoprirlo unendoti all'avventura di Carol, la protagonista di questa storia.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Ovviamente l’evento era troppo grandioso per illudersi che Hange riuscisse a trattenersi dal reclamare il proprio trionfo.
Era scontato che fremesse dalla voglia di sentire dalla bocca di Carol la conferma di quanto effettivamente ci avesse visto lungo. Per questo quel pomeriggio aveva affidato a Moblit l’ingrato compito di prelevare la ragazza dopo l'allenamento per condurla in laboratorio da lei.
La bionda sapeva già cosa aspettarsi e quando fece il suo ingresso nell'antro della strega, perché altro modo non c'era per definire quell'accozzaglia di alambicchi, provette e carteggi, era ormai pronta al supplizio.

«Avanti Hange, spara» esordì sconsolata accompagnando la propria resa con un ampio gesto delle braccia.

L’altra sfoderò un ghigno sornione senza però staccare gli occhi dal campione che stava analizzando con un primitivo microscopio.

«Che malfidente Carol... e dire che volevo solo fare quattro chiacchere tra amiche prima della partenza di stasera»

La giovane si portò il palmo della mano sinistra al volto per la disperazione.

«Va bene, allora parlerò io così ci toglieremo subito di mezzo l’argomento più spinoso»

Esitò un attimo per essere sicura di avere tutta l'attenzione della donna, certa che per quanto fingesse disinteresse ostinandosi a rimirare quel dannato vetrino, in realtà fremesse dall'impazienza.

«Avevi ragione. Ecco l'ho detto, soddisfatta?»

Hange mise bruscamente da parte l'armamentario ed una luce velò per un secondo le spesse lenti degli occhiali, la bocca completamente allargata in uno dei suoi inquietanti sorrisi a trentadue denti.

«Ma ovvio che avessi ragione, non poteva che andare in questo modo!» trillò avvicinandosi a Carol ed afferrandone saldamente le mani.

«E non sai quanto sia felice per voi! Non ho mai visto Levi così preso da una donna, è come analizzare una nuova specie animale, anzi no un gigante anomalo!»

«Ehm... non ne dubito. Ma nonostante apprezzi il tuo interesse Hange, ti chiedo di mantenere il massimo riserbo su questa faccenda».

«Tranquilla figurati, immaginavo non voleste sbandierare ai quattro venti questa piccante notizia. A dispetto della mia reputazione sono un’eccellente confidente» la rassicurò la Caposquadra, poi fulminea come un temporale estivo mutò piglio e tono «Ad ogni modo...siediti per favore, in tutta sincerità non ti ho fatta venire qui solo per il mio bagno di gloria»

Carol si accomodò un po' sorpresa su una delle due poltroncine di pelle consumata e scolorita che arredavano il salottino del laboratorio. Accettò di buon grado una tazza di tè offertale da Hange, sentendosi preda di un’improvvisa arsura.

«Questa mattina Levi è venuto da me» cominciò seria l’altra scrutando ogni minima variazione di espressione della ragazza.

«Abbiamo discusso a lungo su quanto ci attende a Shiganshina e siamo giunti ad una conclusione. Per quanto le preziose informazioni che hai condiviso con noi ci forniscano un vantaggio non indifferente, non possiamo tuttavia ignorare l'eventualità che la situazione non vada come previsto. E siamo certi che anche tu ne sia consapevole. Siamo entrambi d'accordo sul fatto che tu debba necessariamente sopravvivere e fare ritorno al tuo mondo. Pertanto... se le cose dovessero mettersi male, io e te approfitteremo della confusione creatasi e faremo ritorno qui al Quartier Generale»

Carol restò a fissarla sbigottita cercando di processare quanto avesse appena udito, mentre il calore del tè appena bevuto le risaliva al volto sciogliendosi in una violenta vampata.

Quanto accaduto con il Capitano aveva complicato le cose e questo già lo sapeva, ma non avrebbe mai pensato fino al punto da mettere a rischio l’operazione.

«Non potete permettervi di portare via dal campo di battaglia l'unica persona che conosce il corso degli eventi» replicò glaciale.

Lo sguardo di Hange quasi la perforò.

«Credi davvero che se tutto sfociasse in una carneficina la tua presenza sarebbe determinante? Tutt'altro, se vogliamo metterla sul piano dell'utilità allora è meglio che al primo accenno di pericolo tu riesca a salvarti, così da poter fornire le tue informazioni a chi sarà ancora in vita ed organizzare un nuovo attacco»

Carol si sentiva in un vicolo cieco, la capacità dialettica e l'arguzia della Caposquadra erano un avversario troppo grande per lei.

Ma forse aveva ancora qualche asso nella manica.

«Ciononostante Hange, il tuo ruolo in questa storia è troppo importante per essere ridotta a mera balia della sottoscritta» riuscì ad articolare sperando di sembrare più autorevole di quanto in realtà suonasse nella propria testa.

«Cosa intendi dire?»

«La tua presenza in battaglia è fondamentale, per gli eventi di domani e per quelli futuri. I tuoi compagni hanno bisogno di te, così come il mondo necessiterà della tua guida. Sei un personaggio chiave e se abbandonassi tutto per ricondurre me in città, quello sì che sarebbe un passo azzardato nonché una gigantesca incognita. Potremmo essere sorprese da giganti o da altri pericoli lungo il cammino e la tua eventuale morte arrecherebbe un immane stravolgimento alla trama. Mentre se manterrai la tua posizione a Shiganshina, sia che la missione abbia successo o fallisca il tuo ruolo nella storia rimarrà tale»

La donna sembrò tentennare a quelle parole, ponderandole con il raziocinio e la lungimiranza che l’avrebbero resa in seguito un’eccellente Comandante.

«Hai detto bene, è tutto un “se”. Neppure tu sei certa di quello che potrebbe accadere domani»

«Ma converrai che il modo migliore per evitare che la situazione degeneri è attenersi, per quanto possibile, al corso conosciuto degli eventi»

Hange trasse un pesante sospiro scuotendo il capo

«A Levi non piacerà affatto questo cambio di programma»

«Ecco perché non glielo diremo. La missione richiederà la sua massima concentrazione e ciò non può avvenire se continua a temere per la mia incolumità»

«D’accordo Carol, ma devi promettermi che non ti getterai in azioni sconsiderate. In ogni caso sappi che io analizzerò costantemente la situazione e se giudicherò che l’unico modo per garantire la tua sicurezza sarà portarti via, volente o nolente verrai con me»

«Va bene»

La donna annuì, poi si alzò dalla poltrona e Carol fece lo stesso.

«Comunque vadano le cose, sono contenta di averti conosciuta. Mi consola il fatto che se dovessimo cadere in battaglia la nostra storia non verrà dimenticata e mi piace pensare che rimarremo vivi nel tuo cuore. E non mi importa se siamo il frutto della fantasia di qualche strambo autore, io sono reale al cento per cento. Ma soprattutto io sola sono l’artefice del mio destino, non sarà una penna a decidere per me»

Carol provò grande soggezione al cospetto del vigore e della determinazione della Caposquadra, la stessa forza che poi avrebbe spinto quell’eroina a sacrificare la propria vita per rallentare l’avanzata dei colossali,permettendo all’idrovolante di decollare.

Non le serviva altra conferma che quello non fosse un personaggio fittizio ma una persona in carne ed ossa.

«L’importante è non avere rimpianti, giusto?»

«Mmm questa frase mi suona familiare, l’hai rubata ad un nanetto di nostra conoscenza?» l’assecondò la bruna sghignazzando.

Le due amiche scambiarono ancora qualche parola prima di salutarsi poi, quando la ragazza fece per aprire la porta del laboratorio, l’altra le rivolse un solenne ammonimento.  

«Carol, un’ultima cosa»

L’interessata si bloccò sul posto senza voltarsi, concentrandosi sul ticchettio ritmico dell’orologio a parete che come un rullo di tamburi anticipava un indesiderato colpo di scena.

«Se la spilla dovesse attivarsi nel bel mezzo della missione, qualunque cosa stia accadendo tu salterai in quel portale. È chiaro?»

Carol non riuscì a guardare Hange negli occhi, timorosa che essa vi avrebbe letto l’indecisione che a quell’affermazione le stava esplodendo dentro.
Capì che la Caposquadra aveva già intuito le sue intenzioni molto prima di lei stessa, altrimenti non avrebbe mai pronunciato quel comando perentorio.

«Agli ordini» ubbidì sommessamente a capo chino prima di chiudersi la porta alle spalle.








 
 
Carol se ne stava seduta sul letto della propria stanza vestita di tutto punto nella divisa della Legione, con le lame posate in grembo.
Aveva lo sguardo fisso su un fascio di luce che fendeva l'aria disegnando una piccola pozza arancio a terra proprio davanti ai suoi piedi. La polvere danzava liberamente dentro quel bagliore mentre l’ultimo sole colorava di calde tonalità l'ambiente.

Mancava poco alla partenza, era tutto ciò a cui la giovane riuscisse a pensare. 

Si accorse che la gamba destra era in preda ad una continua e cadenzata oscillazione; su e giù, su e giù, il piede sembrava una molla impazzita proprio come le capitava durante gli esami in università. Strinse l'impugnatura di una delle due spade scrutando nel freddo acciaio il riflesso del proprio volto contratto dall'ansia. Quanto avrebbe voluto essere anche lei resistente e forte come quell'invincibile metallo o mettere in ginocchio davanti a sé ognuna delle proprie paure e passarle a fil di spada.
Aveva compiuto così tanti progressi durante la sua permanenza sull'isola, era riuscita a superare limiti che non avrebbe mai pensato di valicare.

Eppure in quel momento si sentiva debole, terribilmente debole.

Percepiva i propri muscoli atrofizzati ed inermi come un informe ammasso di gelatina, completamente scollegati dalla volontà. 

Con uno sforzo che le sembrò immane si alzò dal letto, tastandosi la camicia per trovare la sua fedele compagna di viaggio: la spilla che ormai teneva perennemente appuntata al petto.

Era il suo unico effetto personale, non possedeva altro in quel mondo.

O forse si sbagliava.

Quasi senza pensarci gli occhi saettarono alla vecchia scrivania e le gambe si mossero automaticamente nella sua direzione. Aprì lo scricchiolante cassetto e ne estrasse il diario e lo stemma insanguinato perché sì, anche quegli oggetti ormai facevano parte di lei e li avrebbe portati con sé. 
Indossò la calda cappa verde con l'emblema delle Ali della Libertà e si diresse verso la porta.
Esitò un attimo con la mano posata sulla maniglia, gettando un ultimo sguardo nostalgico a quello che era stato il suo piccolo rifugio per quei sette giorni.
Era un'abitudine che l’accompagnava da quando ancora piccola aveva traslocato, e che aveva replicato anche prima di restituire le chiavi dell'appartamento in cui aveva abitato durante l'università. 

Lo considerava come un rito di passaggio, il completamento di un ciclo e l'inizio di uno nuovo.

Il modo di Carol per congedarsi da quelle avventure ed esperienze che ora sarebbero entrate a far parte del passato.

Perché nel momento in cui avrebbe varcato la soglia della stanza, chiudendosi la porta alle spalle, nulla sarebbe stato come prima.

Qualora fosse morta o avesse fatto ritorno a casa, non avrebbe più rivisto quella camera.

Se vi avesse rimesso piede al rientro dalla spedizione, comunque la Carol che avrebbe riposato in quel letto non sarebbe stata la stessa di adesso.

Così come la Carol di una settimana prima, che si asciugava le lacrime su quella federa stropicciata, era diversa dalla ragazza in completo militare in piedi sull'uscio. 

A conti fatti era come se ogni volta dovesse dire addio a sé stessa.

"Grazie" sussurrò a labbra socchiuse.

Poi abbassò la maniglia e dopo aver girato la chiave avanzò a grandi passi nel corridoio già illuminato dalle fiaccole. 
 
 






 
Tutti i soldati erano in fermento sulla cima delle mura, in attesa che i montacarichi li calassero dall’altro lato.
Carol rimase ancora una volta rapita dalla bellezza di quel vasto panorama scaldato dalla luce morente del sole che tramontava oltre l’orizzonte.
Silenzioso come sempre Levi le si accostò, spingendosi anche lui lontano con il proprio sguardo come a sondare la distesa di pianure e foreste che li separava dal Wall Maria.

«È sempre una vista mozzafiato, vero?»

«Sì, credo che non potrei mai stancarmene» rispose lei ed approfittando delle cappe che li celavano ad occhi indiscreti gli strinse la mano.

«Devo radunare gli altri, tu sei pronta?»

Era una domanda che le aveva posto spesso durante gli allenamenti quando si trovavano di fronte ad una sfida particolarmente complessa, eppure in quel momento suonò molto diversa alle orecchie di Carol. In essa vi percepì tutta la preoccupazione, l’amore e l’ansia che Levi stava vivendo. Sentimenti che alla luce della nuova intesa sviluppatasi tra i due giovani ora erano esplosi in tutta la loro potenza, rendendo ancora più arduo il tentativo di nasconderli agli altri, ma soprattutto a loro stessi.
Vedere Levi scendere a patti con questa ritrovata emotività le fece battere il cuore di gioia.

«Prontissima»

Il Capitano le rivolse un lieve sorriso, prima di allontanarsi con la sua solita camminata fluida e sinuosa verso il resto della squadra.

Per la maggior parte del viaggio avrebbero cavalcato insieme, si era infatti deciso di procedere mantenendo unita la formazione per fronteggiare eventuali attacchi da parte dei giganti in campo aperto.
Giunti in prossimità delle montagne attorno a Shiganshina il contingente si sarebbe poi diviso seguendo il piano prestabilito.

Nel frattempo ai piedi delle mura la popolazione si era radunata in massa, urlando a gran voce per salutare i coraggiosi eroi che avrebbero strappato le terre ai giganti.
Sasha, Connie e Jean erano completamente galvanizzati da quell’atmosfera carica di ammirazione e rispondevano a tono alle grida di incitamento.
Più perplessi erano invece gli altri militari, decisamente poco avvezzi a quell’insolita dimostrazione di stima verso il Corpo di Ricerca da parte del popolo.
Levi rimase piuttosto impassibile a quegli elogi sperticati, non si scompose nemmeno nell’udire alcune persone rivolgere lodi direttamente a lui.
La sua espressione mutò però radicalmente quando Erwin, in preda all’eccitazione, levò il pugno al cielo prorompendo in un fragoroso urlo che aizzò ancora di più la folla sottostante.

«L’OPERAZIONE DI RICONQUISTA DEL WALL MARIA HA INIZIO!» esclamò Smith sguainando la propria spada e con dipinta in volto la sua invincibile determinazione.

I membri della Legione ammutolirono di fronte alla magnificenza che trasudava da ogni poro di quell’uomo.
Carol fu certa che qualsiasi dubbio qualcuno dei presenti avesse mai avuto sulle capacità di comandante di Erwin, si fosse polverizzato in quell’istante.  
Quando pochi minuti dopo i montacarichi ebbero calato oltre le mura destrieri e soldati, le grida del popolo erano ancora bene udibili nonostante la spessa pietra che li separava.

Tutti erano in religioso silenzio in attesa di un ordine di Erwin, che ritto sul proprio purosangue in testa alla colonna scrutava la verdeggiante pianura davanti a sé.

L’adrenalina montava già nel corpo di una Carol ancora incredula di essere partecipe di quell’evento memorabile.

Con una voce che avrebbe fatto tremare anche la più solida catena montuosa, il Comandante Smith diede ufficialmente inizio a quella che sarebbe stata la più gloriosa delle missioni.

«SOLDATI AVANZATE!»

fu l’urlo di battaglia che riecheggiò nell’aria e nei cuori di tutti mentre avanzavano al galoppo verso l’orizzonte infuocato.

L’esaltazione era tale che in quel momento non esistevano più confini davanti a quegli uomini.

Solo il brivido di spronare al limite i propri corsieri, per afferrare il prima possibile la gloria eterna che erano certi li attendesse alla prossima alba.

Laggiù, a Shiganshina.
   
 
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