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Autore: arashinosora5927    20/09/2021    1 recensioni
[Dear Evan Hansen]
Evan ha raccontato la sua storia ora il palco è di Connor, okay e anche di Evan che si ritroverà a convivere con una strana presenza.
Riporto parte delle cose così come sono state scritte nel libro limitandomi solo a tradurle, ma per il resto l'idea è mia e nei prossimi capitoli sarà apprezzabile la differenza.
TW: suicidio, Ghost!Connor, disturbi mentali, autolesionismo
Spero possiate apprezzare
[Treebros]
Genere: Angst, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Le finestre di casa Hansen non mi sono mai sembrate più spesse, ho proprio difficoltà a passarci attraverso. Ora che sono in camera mi rendo conto del perché, non volevo passarci, una parte di me aveva il terrore di cosa avrebbe trovato. Ho scelto la notte per tornare nella speranza di non doverlo affrontare e concedermi altro tempo per riflettere come se ci fosse effettivamene qualcosa su cui ragionare.

Saranno le tre di notte o qualcosa del genere: nel mio immaginario a quest'ora si dovrebbero fare solo tre cose, dormire, festeggiare o sesso, eppure non sono nuovo a questo scenario, non ero di quelli che godevano in qualche modo.

Seduto sul letto, le ginocchia al petto e il viso nascosto tra le mani, eccolo il mio Evan Hansen: piangendo disperato come se avesse perso tutto, come se non avesse neanche la forza di respirare, facendosi dei discorsi silenziosi con la consapevolezza di non poter contare su nessuno neanche su se stesso.

Ora mi sento in colpa, cioè vorrei sentirmi in colpa perché vorrei che fosse per me questa sofferenza, che derivasse dalla paura di avermi perso, ma probabilmente ha semplicemente incasinato tutto con mia sorella mandando a monte la possibilità di stare con la ragazza dei suoi sogni.

Mi domando dove sia Heidi, come possa dormire serena mentre suo figlio si disidrata. Evan lo sa, lo so anche io, non importa quanto sia chiaro adesso che i nostri genitori abbiano dei limiti, vorremmo ugualmente che li superassero e ci stessero accanto, vorremmo che si prendessero cura di noi senza pretendere che lo facessimo da soli quando neanche ce lo hanno mai insegnato.

La morte mi ha reso razionale e lucido, così tanto che faccio fatica a riconoscermi. Suppongo che dopotutto fumare erba costantemente avesse davvero intaccato la mia capacità di giudizio e fosse una cura meramente illusoria.

Certo, anche gli incontri che ho fatto mi hanno portato a crescere e l'essere finalmente trattato come un essere umano normale e non come un difetto di fabbrica da nascondere mi sta facendo sentire maturo.

Tralasciando un attimo tutto ciò ho scoperto più o meno in questo istante una forma di amore diversa e più forte di tutte quelle che ho provato fin'ora. Una forma priva di egoismo in cui metto da parte ogni sentimento per me stesso per dare la priorità a ciò che scalpita davvero per esprimersi. Vedere Evan in queste condizioni mi spezza il cuore e non mi importa più la ragione, desidero solo dargli conforto.

La prima carezza che gli faccio sulla testa è così flebile che a stento la percepisce, la seconda sulla spalla destra ha una consistenza diversa e stavolta Evan sussulta e alza lo sguardo verso di me. I suoi occhi sono così rossi, mi domando da quanto tempo stia piangendo. Forse non ha fatto altro in questi giorni, vorrei essere collirio.

"C-Connor?" un sussurro quasi impercettibile, carico di paura, sgomento, speranza e illusione.

"In carne e ossa... più o meno." Mi domando dove trovo la voglia di fare battute anche in momenti simili. Suppongo sia un meccanismo di difesa.

"Connor!" stavolta è un urlo, disperato e intenso a cui segue un altrettanto descrivibile con gli stessi aggettivi pianto.

Mi abbraccia, forte, fortissimo, così forte che se non fossi già morto direi che non riesco a respirare. Mi sta stringendo come se temesse di vedermi sparire come granelli di sabbia in un pugno che non importa quanto cerchi di mantenere trovano sempre una via di fuga lasciandoti la mano vuota a stringere solo un vago ricordo della sensazione.

"Scusami, ti prego perdonami, farò tutto ciò che vuoi, ma non lasciarmi. Non posso vivere senza di te, io non posso..." una raffica di parole, così concitate che non riesco neanche a seguirle tutte, ma ho colto il concetto.

È strano, è questo che si prova a capire di avere ragione? A sentirsi voluti? Che sebbene il malesse spingesse in un tutt'altra direzione a non avere torto era proprio la voce profonda e pura che cercava di esprimersi?

"È sbagliato" mormoro dando voce a sentimenti che neanche sapevo di avere.

"Cosa?" mi chiede Hansen senza accennare ad allentare la presa.

"Quello che hai detto, tutto, come lo hai detto. Non devi fare di tutto per trattenermi, non lo devi fare con nessuno. Non devi farti a pezzi per entrare nel mondo di qualcuno, il tuo posto è quello in cui viene compreso tutto il tuo essere, è quello dove vieni accettato così come sei e spronato a fare uscire il meglio di te, a trasformarti nella versione migliore di te stesso, ma per te stesso, non per fare un favore agli altri."

Silenzio, i miei pensieri seguono un filo e si danno battaglia su chi debba parlare per primo, aspetto per non fare confusione.

"Mi ha ferito quello che è successo e non lo negherò e non dirò nemmeno che non ho diritto di provare ciò che provo, ma sarò molto lucido e ti dirò che non è colpa tua, che non hai fatto niente di male in realtà e quello che è successo non deve distruggerci, non deve andare così per forza. Sai cosa ho scoperto? Che sono io a decidere se farci fare a pezzi oppure no, è un potere nelle mie mani. Fa male doverti condividere con Zoe, ma fa più male renderti infelice."

Un'altra pausa, stavolta più lunga.

"Evan, io voglio stare qui, io voglio stare con te, per questo sono tornato. Questo posto, al tuo fianco, è stato il primo dove ho sentito realmente di appartenere. Forse perché siamo due pezzi rotti che si stanno aggiustando, forse perché semplicemente funziona così, forse perché con te ho parlato come non avevo mai fatto con nessuno, ma sento semplicemente che è così. Quindi va bene, ci feriremo ancora forse, litigheremo e io avrò dei momenti in cui mi ritirerò da qualche parte, ma tu resti la mia casa, Evan e troppo lontano da casa non ci so stare."

I suoi occhi brillano, lo fanno come non hanno mai fatto prima. Sebbene questo sia il momento perfetto per un abbraccio Evan invece si allontana, appoggia la fronte contro la mia e sorride profondamente. "Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata."

Le sue parole mi ammutoliscono, tutto ciò che riesco a sentire è il mio cuore che batte forte, al punto da spegnere i pensieri.

"Ero disposto a tutto pur di non perderti, anche a perdere me stesso quando ancora non mi sono neanche mai trovato, ma tu mi hai appena fatto capire che non è giusto dimostrandomi quanto mi vuoi bene."

Una leggera risata lascia le mie labbra. "Oh Hansen, aspetta di sentire che cosa ti tocca fare prima di essermi così grato."

Terrore, terrore puro nei suoi occhi velato con una scintilla di speranza e determinazione. "Dopo aver scoperto cosa significa stare senza di te non ho più paura di niente."

Silenzio, un lungo, un lunghissimo silenzio. Poi parole, semplici, dirette. "A saperlo che ti avrei aiutato tanto me ne sarei andato prima." Hansen coglie l'ironia, ma questo non mi salva da uno scappellotto dietro al collo.

"Sei un idiota, Connor" dice senza smettere di sorridere, riesco a vedere quanto leggero sia adesso il suo cuore.

"È possibile... visto che ti sto per dare la benedizione per uscire con mia sorella."

I suoi occhi si illuminano di nuovo, diventano fanali in una stanza buia. "Dici sul serio?"

Una linea morbida increspa le mie labbra. "Hansen, non ti ho detto quelle parole per fare un discorso di grande spessore psicologico, le ho dette perché le sento davvero. Prima forse le pensavo soltanto, ma adesso i miei sentimenti  hanno raggiunto i pensieri."

Evan rilassa le spalle, tira un plateale sospiro di sollievo e mi sorride nuovamente. "Posso dire comunque che mi dispiace se ti ho fatto stare male?" mi domanda.

Annuisco e prendo posto sul letto accanto a lui. "Lo so che ti dispiace, a me dispiace averti fatto soffrire tanto mio malgrado."

Evan si corica, ora che è più tranquillo il sonno sta finalmente avendo la meglio su di lui. "Quindi che devo fare?" mi domanda con uno sbadiglio.

"Facciamo che te lo dico domani, per il momento andiamo a dormire."


È un nuovo giorno, non sapevo neanche che giorno fosse se devo essere sincero, ma a quanto ho capito è sicuramente un giorno scolastico perché Heidi ha svegliato Evan con un urlo satanico rendendolo cosciente del fatto che era in ritardo. In tempo record Hansen si è preparato mentre io ho trovato un nuovo vantaggio nella mia forma di esistenza.

Poi siamo andati a prendere il pullman, ovviamente quello dell'ora dopo. Hansen ha compilato il modulo per entrare più tardi e poi è arrivato in classe. Siamo praticamente entrati all'intervallo, solo il tempo di posare la cartella sul banco e già eravamo fuori.

"Ciao Evan" hanno detto delle ragazze vedendolo passare per i corridoi. Non le ho mai viste prima e non penso siano amiche di Zoe, ma sono le classiche ragazze che uno come lui neanche lo guarderebbero normalmente.

"Hey Evan!"

"Bella fratello!"

"Ciao Hansen!"

"Evan!"

"Hansen!"

Dove ci giriamo ci giriamo c'è qualcuno che lo saluta, qualcuno che gli fa battere il pugno o il cinque, qualcuno che gli mette un braccio intorno alle spalle. Tutti sembrano voler stare con lui.

"Che sta succedendo?" gli domando.

'Ecco... mentre eri via sono successe un po' di cose...' risponde col pensiero non potendo aprire la bocca mentre più persone gli si avvicinano e lo seguono. Tutto un nuovo significato di followers.

Nonostante sia al centro di un grosso gruppo, posso vederlo farsi sempre più piccolo e desiderare uno spazio più intimo da condividere solo con un'altra persona.

"Evan!" la voce di mia sorella, la sua mano alzata a mezz'aria per fargli cenno di avvicinarsi.

"Z-Zoe!" balbetta Hansen mentre i suoi seguaci si dileguano lentamente.

"Ciao, ti trovo in forma" dice mia sorella con una spiccata nota di ironia arrossendo appena.

"Tu invece sei splendida come sempre" risponde lui.

"Potrei vomitare..." commento io.

Se potesse Hansen mi darebbe una gomitata nello stomaco, ma non può per mia fortuna.

"Questa lusinga significa forse che accetti di uscire con me?" domanda mia sorella. Quelle parole mi colpiscono perché ripeto che non ricordo quanto tempo sono stato via, ma pensavo che a quest'ora Hansen e mi sorella avessero già una relazione.

"Ci ho riflettuto molto e ho deciso di darci questa occasione. Andremo con calma e vedremo istante dopo istante se funziona, penso che è questo che vorrebbe Connor, una volta accettata l'idea di noi due insieme" risponde Hansen.

Zoe sorride, le sue labbra sono leggermente luminose per una punta di gloss. "È carino da parte tua tenere così in conto il pensiero di mio fratello."

"Non hai idea di quanto" commento per conto mio.

Hansen mi rivolge uno sguardo gentile prima di sorridere nuovamente a mia sorella. "A-Avevo pensato che... po-potremmo andare a Ellison Park dopo scuola" dice.

Zoe annuisce, si gratta una guancia leggermente. "Mi porti negli stessi posti in cui portavi mio fratello, Mr. esperto di botanica?" chiede.

"Ti porto in un posto per me speciale, ecco."

Sono piacevolmente colpito dal cambiamento di Evan, dal modo in cui tiene la schiena più dritta, il petto in fuori, l'intonazione della voce, ancora timida, ma decisamente più liscia nel rilascio di fiato.

"Non vedo l'ora" dice Zoe trattenendo a stento l'entusiasmo. "Ci vediamo più tardi, io adesso devo portare questi nella sala delle prove" dice poi mostrando degli spartiti che né io né Evan avevamo notato forse troppo concentrati sul contenuto delle parole di Zoe per notare quello tra le sue mani.

"C-Certo, a dopo."

Zoe si allontana lentamente e Hansen assume la faccia da ebete del secolo e sorride così dolcemente che sento i suoi denti caricarsi da qui. "Beh, congratulazioni. Hai un appuntamento con mia sorella" gli dico.

"Ho un appuntamento con tua sorella" ripete Hansen incredulo con un tono sognante.

Riprende a camminare verso... boh, l'infinito e oltre probabilmente. Dove è che stiamo andando? Mentre proseguiamo verso la meta sconosciuta passiamo vicino al mio armadietto e non posso credere ai miei occhi. Lì dove un tempo c'era un'anonima struttura rossa adesso sorge una specie di tempio. Solo la bocchetta per le lettere è rimasta inalterata, ancora vedo i segni dei pugni che le ho dato, per il resto ogni centimetro è ricoperto di foto lettere e adesivi alla mia memoria. C'è un foglio piegato in due parti con una forma di cuore al centro ritagliata. "Il vuoto che hai lasciato in me by M" c'è scritto in basso. Resto fermo, le gambe quasi cedono.

"M-Miguel... lui è stato qui?" gli domando. Evan annuisce. "E non solo lui... sono venute persone da ogni parte del paese solo per lasciarti una dedica... il tutto mentre pensavo che non ti avrei mai più potuto parlare..." risponde guardando il mio armadietto fingendosi impegnato in un atto commemorativo.

"A queste persone non importa essere famose, sono venute solo per poterti ricordare, per potersi esprimere e sentirti vicine a te. Sei diventato un simbolo, un martire, un esempio di cosa sta facendo questo sistema nella società in cui viviamo a quelli che non vogliono adeguarsi a ritmi folli e rapporti vuoti, a quelli che ancora vogliono pensare con la propria testa. Sei diventato un nome per l'importanza di mettere davanti a tutto la propria salute mentale."

Sono senza parole, i miei occhi seguono le lettere e le dediche e le candele profumate, le coccarde da cui partono bouquet di fiori appoggiati ai piedi del mio armadietto.

"Laurentz Spitzigam e Bella Jordan, questo è il nome dei due ragazzi che hanno gli armadietti vicino al tuo. Per loro adesso è un immenso onore stare al tuo fianco. Non c'è giorno in cui non si fermino a ricordarti. Lo stesso preside Howard ha attaccato una tua foto nel suo ufficio, ha detto che non potrebbe dormire sogni sereni senza onorare il tuo ricordo ogni giorno. Si sente in parte responsabile per quello che è successo. Sono venuti nostri compagni di scuola a parlarmi, a chiedermi scusa, per averti trattato come se fossi una specie di criminale, perché non c'è stato giorno in cui non ti hanno inseguito col ricordo di quella stampante, perché non si sono mai fermati a chiedere se ci fosse qualcosa che non andava, perché non lo hanno mai fatto neanche con me. Una enorme presa di coscienza, Connor e questo è merito tuo."

No, Hansen, questo è merito tuo, del tuo senso di giustizia, del tuo desiderio di non lasciarmi svanire. Io ho espresso un concetto, ma tutto questo è opera tua.

"Evan!" una nuova voce interrompe il pensiero che stavo per esprimere.

"Ciao Sam" risponde Hansen, girandomi riconosco perfettamente l'interlocutore.

"Non volevo disturbare te e Connor, ma oggi non ti ho visto a biologia ed ero preoccupato che avessi saltato la scuola."

Evan gli sorride, si allontana leggermente dal mio armadietto. "Se lo avessi fatto ti avrei avvisato."

"Andiamo a prenderci una cosa insieme in caffetteria?"

"Perché no?"

È strano, è tutto così strano. Evan è diventato una specie di celebrità e Alana e Jared sembrano quasi doversi spingere nella folla per rivolgergli la parola.

Non appena rimaniamo un attimo da soli finalmente poco prima che suoni la campanella Evan mi sorride e si permette di raccontare.

"Quando mi sono voltato eri scomparso, non c'eri più a pararmi le spalle, ho avuto un crollo e ho spiegato a Zoe che non potevamo stare insieme almeno finché non avessimo ricevuto la tua benedizione. Ovviamente lei lo ha interpretato come una metafora, io invece mi sentivo divorare dai sensi di colpa nei tuoi confronti. L'indomani a scuola hanno di nuovo ripreso a parlarmi tutti, mi sono trovato travolto e lo so che è perché sono diventato famoso sul web, ma credimi c'è di più, c'è che le persone, le stesse persone che ieri ti ignoravano oggi si rispecchiano in te, oggi hanno capito che ciò che facevano era una risposta ai propri traumi, alla paura di essere visti come diversi e per questo emarginati. Io e te abbiamo le palle di vivere da outsiders in nome della nostra integrità, loro sono stati pronti a farsi a pezzi e creare una nuova personalità pur di essere accettati. Miguel è venuto a richiedermi della lettera, allora gliela ho consegnata creandola così come mi avevi detto di fare e in quel momento semplicemente non mi è sembrato giusto lasciarlo andare. Ho pensato che organizzando un altro evento commemorativo in tuo onore ti avrei ritrovato, ma non sei tornato. Sono stati giorni terribili, ma ho deciso di crederci, ho continuato a organizzare eventi e mi sono messo alla prova pubblicando video sui social per esprimere tutto ciò che sento per te. Mi hai aiutato a superare le mie paure, il mio disturbo più di quanto non abbia mai fatto qualunque forma di terapia. Connor sei un eroe e non lo dico solo io... lo dice l'America, lo dice il mondo."

Tutto questo sembra surreale, il tipo di sogno che fai dopo un'indigestione di fagioli, ma so che sta accadendo veramente.

"Cosa ne pensa tua madre di tutto questo?" gli chiedo.

Il viso di Hansen si incupisce, i suoi pugni si stringono fino a fare sbiancare le nocche. "Mia madre ha fatto le notti in ospedale... non sa ancora niente."

La campanella ci richiama in classe.

Avrei voluto chiedergli molte più cose, ma c'è storia adesso e Mr. Niels ha appena depositato un foglio con su scritto "compito a sorpresa" sul banco di Hansen. Nella classe ovviamente è il delirio, se lo chiedete a me queste cose sono una forma di tortura estrema. Evan già trema, ma ha compagnia.

"È un questionario a risposta multipla sugli ultimi argomenti trattati. Avete un'ora e mezza a partire da... adesso" dice Mr. Niels settando un timer.

Hansen apre timidamente la pagina e guarda come se desiderasse farle sparire le domande impresse dalla stampante. Poco male, è la seconda rivoluzione industriale, un argomento che conosco abbastanza bene.

"È la B" dico.

"Cosa?" domanda Hansen. "La risposta, la prima è B, ne sono sicuro."

Mr. Niels si avvicina a Evan, lo scruta da capo a piedi. "Hansen, stai cercando di copiare con uno smartwatch o qualcosa del genere? Guarda che non ci metto niente a sbatterti in presidenza."

Evan indietreggia, si stringe nelle spalle. Se Mr. Niels lo conoscesse davvero saprebbe che non può permettersi neanche un computer decente, figurarsi uno smartwatch di ultima generazione.

"N-No, non lo farei mai" ribatte Hansen. E credetemi, piuttosto che violare la legge Hansen si farebbe già trovare ammanettato in questura.

"Professore, non c'è bisogno di essere così aggressivo, Evan è uno studente corretto" prende le sue difese Sam.

Mr. Niels sta per ribattere quando Dorothy Parker si alza all'impiedi e dice con un tono sicuro "dovete smetterla di trattarci come se fossimo il resto di nessuno passandoci addosso con la vostra mancanza di morale."

Altri studenti le danno supporto esprimendo la loro. C'è Lucien Battlefield che inizia a leggere una lettera. "Ogni giorno raccolgo pezzi di giovani adolescenti distrutti da miei colleghi insegnanti che dovrebbero fare un altro mestiere."

"Dovete smetterla di farci sentire lettere, io non sono le mie A+" dice un'altra ragazza di cui non ricordo il nome. Un altro ragazzo la supporta. "Siamo stanchi di sentirci dire che non combineremo mai niente nella vita solo perché magari non siamo portati per una materia."

È la rivoluzione.

"Insegnateci a credere in noi stessi, a cercare le nostre strade, a farci rispettare, a esigere rispetto per noi stessi."

È tutta la classe di storia a parlare. "Aiutateci a credere nel futuro, siate le nostre figure di riferimento per il supporto e il conforto di cui abbiamo realmente bisogno."

Sono sconvolto. Mr. Niels non sa più come tenere ferma la classe e urla solo "silenzio" fino a fare arrossare il volto, grida di tacere alle stesse pecore che appena un mese fa avrebbero tremato e abbassato la testa davanti alla prospettiva di una sospensione, ma adesso hanno rimosso la maschera e rivelato la loro natura da lupi. Non c'è più spazio per un pastore.
   
 
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