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Autore: Clementine84    21/09/2021    0 recensioni
Due amiche e una crociera nel Mediterraneo con una band famosa. Una delle due, fan fedele sin dagli inizi, si fa accompagnare dall’altra, che non ha mai capito cosa ci trovino tutte nel biondino del gruppo, considerato un rubacuori in grado di far cadere qualunque donna ai suoi piedi. Un incontro casuale basterà a lui per decidere che vale la pena farglielo scoprire, costi quel che costi.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nick Carter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4 – Story of My Life

 

This is the story of my life
And I write it everyday
I know, it isn't black and white
And it's anything but grey
I know, you know I'm not alright
But I’ll be okay 'cause anything can
Everything can happen

That's the story of my life

(Story of My Life – Bon Jovi)


 

Entrai nella saletta a noi riservata per la colazione, agguantai un croissant e una tazza di caffè, che mi affrettai a bere, in modo da poter essere pronto per la giornata il prima possibile. Stranamente, ero libero fino a sera. La nave aveva attraccato al porto di Livorno, per permettere agli ospiti di scendere e visitare Pisa o Firenze, e non erano previsti eventi per quella giornata, nulla che richiedesse la mia presenza a bordo. Avevo quindi deciso di sbarcare anch’io. La sera prima, dopo aver salutato Alice, avevo fatto chiamare Jen, chiedendole di organizzarmi una macchina che venisse a prendermi per portarmi a Firenze. Ovviamente, non avevo intenzione di andarci da solo. Lo scopo finale della mia gita, era passare del tempo con Alice, senza fan che ci disturbassero per chiedere foto e autografi e senza orecchie e occhi indiscreti, pronti a captare ogni sussurro e ogni gesto, per ricamarci su chissà quali storie. Avevo bisogno di stare con lei in tranquillità, da persona normale, per quanto fosse possibile. Sapevo che non avrei potuto fare a meno di portarmi dietro Mike, Kevin non mi avrebbe mai permesso di scendere dalla nave senza sicurezza, era molto scrupoloso su quell’aspetto. Ma conoscevo Mike da sempre, ormai eravamo amici, e sapevo che era in grado di essere molto discreto, se glielo avessi chiesto. L’unica incognita era se lei avrebbe voluto accompagnarmi, ma contavo sull’effetto sorpresa. Appena finita la colazione, sarei andato a prenderla alla sua cabina, di cui mi ero fatto trovare il numero da Jen. Posai la tazza vuota sul tavolo, davanti a me, mi alzai e mi diressi verso l’uscita, fischiettando. Prima di oltrepassare la soglia, fui intercettato da Kevin, che entrava nella sala insieme a Brian e sua moglie. Leighanne mi salutò, con un sorriso, per poi dirigersi verso il buffet. Kevin, invece, mi rivolse uno sguardo incuriosito, alzò un sopracciglio e chiese “Dove stai andando?”

A Firenze” risposi, sbrigativo.

Scusa?” fece lui, confuso.

Vado a Firenze, Kev. Sei sordo?” dissi, iniziando a perdere la pazienza.

No. Incredulo” commentò, lapidario.

Perché?” domandai, offeso.

Devo ricordarti che stiamo lavorando e non sei in vacanza?” mi rimproverò.

Sbuffai. “Non ho niente programmato per oggi” mi giustificai.

Lo so. Ma potresti restare qui e fare un po’ il carino con le fan, ti pare? Mezza nave è qui per te” mi fece notare, serio.

Ti prego, fammi andare” lo supplicai. “Ti prometto che sarò di ritorno in perfetto orario”.

Cos’è all’improvviso tutta questa smania di visitare Firenze? Da quando sei diventato intellettuale?” mi canzonò, con un sorriso beffardo.

Da mai” si intromise Brian, lanciandomi un’occhiata divertita. “Il suo interesse per Firenze ha lunghi capelli castani, occhioni marroni da cerbiatta e risponde al nome di Alice”.

Ah. Ora si spiega tutto” sentenziò Kevin, ridacchiando.

Voglio passare la giornata con lei, d’accordo?” confessai. “È un reato?”

No, certo che no. Però…” iniziò Kevin.

Lascialo andare Kev” lo interruppe Brian. “Lascia che si diverta”.

Kevin sospirò, rassegnato. “Okay. Ma ti voglio qui puntuale, non più tardi delle 6:30”.

Promesso” dissi, scappando via, prima che potesse cambiare idea.

Rimasti soli, Kevin guardò Brian e gli chiese “Come mai questa intercessione? Era un po’ che non prendevi le parti del tuo amichetto in maniera così esplicita”.

Era un po’ che non lo vedevo così” ribatté il cugino.

Così come?”

Felice. Oserei dire innamorato, anche se mi rendo conto che è prematuro” ripose Brian.

Addirittura?”

Da quando ha rotto con Lauren, si era come spento. Te ne sarai accorto anche tu”.

Kevin annuì, tornando serio. Tutti si erano accorti di quanto la fine della storia con Lauren fosse stata un brutto colpo per Nick. A differenza delle relazioni precedenti, tutte nate sotto una cattiva stella, per svariati motivi, quella con Lauren era stata una storia seria e tutti credevano che Nick avesse finalmente trovato la persona giusta con cui sistemarsi. Ma poi qualcosa era andato storto e, senza stare a giudicare di chi fosse la colpa, il piccolo del gruppo si era ritrovato di nuovo solo, con il cuore spezzato e un senso di colpa che lo opprimeva, impedendogli di cicatrizzare le ferite. Brian, però, aveva ragione. Da un paio di giorni, sembrava più sereno e rilassato, e non faticava più così tanto a mantenersi sorridente davanti a fan e telecamere. Qualsiasi cosa fosse successa, era sicuramente positiva.

Hai notato com’era euforico alla festa, ieri sera? Sembrava tornato il Nick di vent’anni fa” gli fece notare il cugino, sempre attento a tutto ciò che riguardava Nick, che aveva preso sotto la sua ala fin dagli inizi del gruppo.

Ma leggermente più gestibile, spero, dato che non ha più 15 anni” scherzò Kevin, cercando di alleggerire la conversazione.

Brian rise. “Sì, decisamente più gestibile” convenne.

Credi che questa storia abbia un futuro? Non ce lo ritroveremo con il cuore spezzato tra due giorni?” gli domandò Kevin, preoccupato per l’amico.

Brian alzò le spalle. “Non posso promettertelo, ma lui sembra veramente preso e lei non mi pare una che vuole divertirsi con lui e basta. Voglio dire, non è nemmeno una grande fan e, soprattutto, sembra l’unica su questa nave a non perdere la ragione quando lui le rivolge la parola. Di scuro non sta con lui perché si chiama Nick Carter e fa parte dei Backstreet Boys”.

Ma potrebbe essere interessata ai suoi soldi” osservò Kevin.

Vero” concordò Brian. “Ma, come mi hai appena fatto notare, Nick non ha più 15 anni e dovrebbe essere in grado di giudicare da solo”.

Kevin si lasciò sfuggire un sospiro preoccupato, come sempre, quando si trattava di Nick. Non avrà più avuto 15 anni, ma era sempre un campione a cacciarsi nei guai. “Lo spero. Tu, comunque, tienilo d’occhio” pregò il cugino.

Brian annuì. “Come al solito, Kev. Sono più di vent’anni che lo tengo d’occhio”.

 

Jessica stava riguardando le foto che aveva fatto la sera precedente, quando sentì bussare alla porta. Pensando che potessero essere le nuove amiche che avevano conosciuto sulla nave, che venivano a chiamarle per la colazione, abbandonò distrattamente il cellulare sul letto e andò ad aprire. Quando si trovò davanti il viso sorridente di colui che aveva popolato i suoi sogni da ragazzina, per poco non svenne.

“Ciao. Alice è qui?” domandò il ragazzo.

Jessica si limitò ad annuire, incapace di parlare.

“Me la chiami, per favore?” la pregò lui, gentile.

Lei annuì di nuovo e, senza togliergli gli occhi di dosso, quasi avesse paura di vederlo scomparire all’improvviso, urlò “Aliiiii! Ti vogliono”.

Immediatamente, da dietro la porta del bagno, le arrivò la risposta dell’amica “Un attimo”.

Nick sentì e sorrise. Jessica continuò a fissarlo, senza sapere cos’altro fare. La situazione si stava facendo imbarazzante, Jessica se ne rendeva conto, ma aveva la salivazione azzerata e la sua lingua e il suo cervello non sembravano collegati tra loro. Un conto era avvicinarlo in una sala piena di gente per chiedergli una foto, un’altra cosa era trovarselo sulla porta della cabina che chiedeva della sua amica, come se fosse un qualunque ragazzo passato a prenderla per un appuntamento. Anche Nick sembrava iniziare a stufarsi di quell’atmosfera tesa perché, per togliersi dall’imbarazzo, le chiese “Tu devi essere la sua amica, vero? Quella che ha accompagnato”.

Jessica annuì e riuscì a farfugliare “Ci-ci siamo incontrati ieri sera”.

“Mi ricordo” ribatté lui, con un sorriso. “Marilyn vero?”

La ragazza annuì di nuovo.

“Come ti chiami?” le chiese Nick.

“Je-Jessica” balbettò.

Lui le tese la mano e lei gliela strinse, incredula.

“Piacere” le disse. “Immagino non serva che mi presenti”.

Sentendo un po’ della tensione abbandonarla, Jessica ridacchiò e riuscì a rispondergli “No, credo di no”.

In quel momento, la porta del bagno si aprì e Alice fece irruzione in camera, fortunatamente vestita.

“Chi è che mi vuole?” chiesi, voltandomi verso la porta.

Vedendo Nick, mi bloccai. “Oh. Ciao” dissi, sorpresa.

La mia parte razionale mi diceva che non poteva essere vero, non poteva essere lì. Già la sera precedente mi era sembrata surreale e non riuscivo a spiegarmela, ma avevo voluto convincermi che desiderasse passare del tempo con me per un capriccio. Per non so bene quale motivo, sembrava essersi intestardito con me, forse perché gli avevo detto che non mi piaceva e, abituato com’era a veder cadere tutte le ragazze ai suoi piedi, ne faceva una specie di questione personale. Non lo sapevo e nemmeno mi interessava. La sera precedente mi ero divertita. Anche se mi costava ammetterlo, perché l’avevo sempre considerato solo un ragazzino famoso e viziato, abituato a ottenere tutto quello che voleva, dovevo confessare che, invece, si era rivelato simpatico. Sebbene, nel corso della serata, man mano che la conversazione diventava più personale, mi fossi convinta delle sue buone intenzioni, non mi vergognavo ad ammettere che, all’inizio, avevo pensato che avesse messo gli occhi su di me come preda per la serata e il suo unico scopo, per quanto inconcepibile, fosse portarmi a letto. Non riuscivo a capire perché avesse scelto proprio me, che non ero certo bellissima e nemmeno cercavo di mettermi in mostra, quando aveva a disposizione un’intera nave piena di donne più che disposte a passare la notte con lui, ma era l’unica spiegazione che il mio cervello scombussolato era riuscito a trovare per giustificare le sue attenzioni. Malauguratamente per lui, però, aveva fatto male i suoi calcoli. Non solo non ero il tipo di persona che si concedeva una scappatella ogni tanto, ma, anche se avessi deciso di fare un’eccezione e concedermi un po’ do divertimento durante quella breve vacanza, non avrei sicuramente scelto lui. Non potevo dire che fosse brutto, questo no. Sarebbe stato mentire. Ma non lo trovavo nemmeno così attraente da buttare al vento tutti i miei principi e gettarmi tra le sue braccia, solo perché era ricco, famoso e si dimostrava interessato a me. Quindi, quando l’avevo salutato all’ascensore, al termine della serata, con un semplice bacio sulla guancia – che lui mi aveva dato – e un grazie per il divertimento, mandando in fumo qualsiasi fantasia si potesse essere fatto, avevo ignorato il suo “Ci vediamo domani”, considerandolo solo una frase di circostanza, e avevo archiviato quella serata come un avvenimento bizzarro, ma piacevole, che avrei raccontato alle amiche una volta tornata a casa. Ne avevo parlato con Jessica, che smaniava di sapere cos’era successo, e che mi aveva dato della cretina per non essermi intrufolata in camera sua. Ma la mia amica mi conosceva abbastanza bene da sapere che non l’avrei mai fatto. Non ero mai stata il tipo da una botta e via, per andare a letto con qualcuno dovevo essere coinvolta emotivamente, non bastava l’attrazione fisica. Che, per quanto alla mia amica potesse sembrare impossibile, in questo caso nemmeno c’era. Ai miei occhi, Nick Carter non era il dio greco che vedevano tutte le altre e non lo era mai stato, nemmeno da ragazzina in preda agli ormoni. Mentre le mie amiche, Jessica compresa, morivano dietro ai video in cui lui faceva quelle mossette sexy, tutte un alternarsi di fianchi e bacino, io ero persa in contemplazione della voce angelica di Brian. Ero sempre stata una ragazzina strana. E, adesso, per quanto fosse decisamente migliorato, rispetto al ragazzetto allampanato con i capelli a scodella degli esordi, io vedevo solo un ragazzo belloccio ma alquanto ordinario, se si escludevano gli occhi azzurri e i capelli biondi, che di sicuro spiccavano. Se dovevo essere onesta, la cosa che più mi piaceva di lui, esteticamente parlando, era il sorriso. Ma non quello malizioso e provocante, appositamente studiato per le telecamere, bensì la risata spontanea che gli scappava quando trovava qualcosa veramente divertente. Era capitato un paio di volte, durante la sera precedente, ed erano state le uniche in cui l’avevo trovato veramente attraente e avevo compreso cosa potesse trovarci Jessica di così affascinante. In ogni caso, non era abbastanza da farmi perdere la testa per lui e avevo freddato la mia amica con un “Adesso basta. Dormi, che domani altrimenti somiglierai a uno zombie e, anche se ti si avvicinasse, scapperebbe terrorizzato”, considerando chiuso il discorso.

Di certo non mi aspettavo di trovarlo alla porta della nostra cabina, la mattina successiva.

“Ciao” ricambiò lui, sorridendo.

Mi sentii un groppo in gola quando mi accorsi che il sorriso che mi aveva rivolto non era quello di circostanza, che gli avevo visto fare alle ragazze che incontrava sulla nave, ma sembrava sincero.

“Co-cosa ci fai qui?” farfugliai, cercando di riprendermi dallo shock.

“Ti porto a fare un giro” annunciò, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

“Dove?” domandai, incuriosita.

“A Firenze. Siamo appena attraccati a Livorno”.

“Io...veramente non contavo di scendere” spiegai, imbarazzata.

“Perché?” mi chiese, stupito.

“Beh, ho già visto Firenze parecchie volte e…”

“Beh, io no” mi interruppe, prendendomi in contropiede. “Mi accompagni?”

“Certo che ti accompagna” si intromise Jessica. “Tempo di cambiarsi ed è subito da te”.

Mentre io mi voltavo a guardare la mia amica, sorpresa dall’intraprendenza con cui aveva preso in mano la situazione, Nick disse “Okay. Ti aspetto alla mia cabina, allora. Dico a Mike di farti passare”.

Non appena il mio cervello registrò quell’informazione, mi accorsi che qualcosa non quadrava. Fortunatamente, riuscii a capire cosa prima che lui si allontanasse e lo richiamai. “Ehm, Nick?”

“Sì?” fece lui, con una mano appoggiata allo stipite della porta.

“Non so dov’è la tua cabina” confessai, con un mezzo sorriso.

Lui si mise a ridere e, per l’ennesima volta, pensai che fosse proprio carino, quando rideva. “Davvero? Devi essere l’unica in tutta la nave” ironizzò.

Mi strinsi nelle spalle, senza nulla da dire in mia discolpa.

Lui scosse la testa e mi informò “Ponte 10, numero 145”.

 

Un quarto d’ora dopo, percorrevo il corridoio del ponte 10, su cui si affacciavano le suite in cui alloggiavano i ragazzi. Ero stata bloccata almeno tre volte da personale della sicurezza, prima di arrivare lì. Mi avevano chiesto chi fossi e dove stessi andando e, una volta detto il mio nome e che Nick mi stava aspettando, mi avevano lasciata passare. Speravo che Nick gli avesse fatto un identikit abbastanza preciso, per spiegargli a chi dovessero concedere l’accesso, altrimenti il loro sistema di sicurezza faceva acqua da tutte le parti. Mi stavo guardando in giro, controllando i numeri sulle porte, quando quella a cui stavo passando davanti si aprì e mi trovai improvvisamente di fronte A.J..

“Ehi, ciao” mi salutò, vagamente sorpreso di vedermi.

“Ciao” risposi, sperando non si fosse accorto del passo indietro che avevo fatto dallo spavento di essermelo trovato davanti di colpo.

“Cerchi Nick?” mi chiese, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Annuii, pregando con tutta me stessa che non fraintendesse la situazione.

Mi indicò con la mano un punto imprecisato davanti a me e disse “Due porte più avanti”.

“Grazie” farfugliai e poi, sentendomi in dovere di spiegare, aggiunsi “Mi ha chiesto di accompagnarlo a Firenze”.

A.J. sorrise. “Divertitevi!” mi augurò, facendomi l’occhiolino. Poi proseguì per la sua strada, diretto chissà dove, ma non credevo molto lontano, dato che era in ciabatte.

Scossi la testa e avanzai nella direzione che mi aveva indicato, cercando di convincermi che era perfettamente normale incontrare un cantante famoso che usciva dalla sua stanza, la mattina, e scambiarci due chiacchiere, come se niente fosse.

‘Normale un corno’ mi dissi. Ultimamente, la mia vita era diventata così...odiavo ripetermi, ma l’unico aggettivo che mi veniva in mente era surreale. Da quando avevo deciso di uscire a fumare una sigaretta e avevo incontrato Nick, due sere prima, tutto era diventato talmente surreale che avevo quasi smesso di farci caso. Anche in quel momento, mentre mi fermavo davanti alla porta della cabina numero 145 e bussavo, evitai di chiedermi come diavolo mi fossi cacciata in quella situazione...surreale. Era inutile farmi domande. Non ne avevo idea e, probabilmente, non l’avrei mai capito. Tanto valeva smettere di chiedermelo e lasciarmi trasportare dagli eventi.

Un istante dopo, la porta si aprì e mi trovai davanti Nick.

“Sei arrivata” disse, sorridente.

Io annuii. “Pronta per la gita”.

Lui prese un cappellino da baseball, che aveva abbandonato sul letto, e uscì, richiudendosi la porta della cabina alle spalle.

“Vieni” mi disse, prendendomi per mano. “Mike ci aspetta all’ascensore”.

Mi lasciai guidare lungo il corridoio, verso l’atrio in cui si trovava l’ascensore, cercando di non pensare all’assurdità della situazione e concentrandomi sulla piacevole sensazione che, di nuovo, provavo nel sentire la mia mano stretta in quella di Nick. A cose normali, mi sarei domandata perché quel semplice gesto mi facesse sentire così bene, ma quella situazione era tutt’altro che normale e avevo deciso di non farmi domande, quindi mi limitai a godermi il momento, senza paranoie, fantasticando su cos’altro mi avrebbe riservato quella giornata.

 

Sbarcati dalla nave, trovammo un’auto ad attenderci. Salimmo, Mike sul sedile anteriore e io e Nick dietro, e partimmo alla volta di Firenze. Il viaggio durò un’ora o poco più, che impiegammo chiacchierando e, soprattutto, stilando un programma di cose da fare. Nick chiese a me quali erano le cose imperdibili da vedere e io gli consigliai gli Uffizi e Piazza Duomo, con eventuale salita al campanile di Giotto. Lui accettò le mie proposte, aggiungendo un pranzo in qualche posto carino, e io concordai. Chiese a Mike di chiamare la galleria per prenotarci un biglietto salta coda e mi domandò se volevo fare una visita guidata. Scossi la testa, preferendo starmene tranquilla con lui. Era già abbastanza imbarazzante girare con una celebrità, volevo evitare gli sguardi curiosi di una guida personale. Farfugliai qualcosa riguardo al fatto che avrei tentato di spiegargli qualcosa io, richiamando alla mente i ricordi di quanto studiato alle superiori, e lui rise, dichiarando che non gli importava nulla dei quadri, voleva solo scendere dalla nave e stare un po’ con me senza avere fan attorno. Distolsi lo sguardo e mi concentrai sul paesaggio che scorreva fuori dal finestrino, per non fargli vedere che ero arrossita ma, in realtà, quel commento mi aveva fatto piacere e stavo sorridendo. Arrivati a Firenze, Nick scese dall’auto con cappellino e occhiali scuri. Mi prese di nuovo per mano – ormai mi stavo abituando e non mi domandai nemmeno più perché lo facesse – e ci dirigemmo agli Uffizi, dove avevamo la visita prenotata. Poco prima di raggiungere la galleria, Nick si voltò a guardare Mike, abbassando leggermente gli occhiali da sole.

“Ehi, Mike” gli disse, scherzando. “Puoi evitare di starmi proprio col fiato sul collo? Ti assicuro che nessuno vuole uccidermi e, se mi cammini a qualche metro di distanza, forse c’è la possibilità che mi scambino per un normale turista e non mi riconoscano”.

L’uomo si mise a ridere e lo accontentò, senza però smettere di tenerlo d’occhio. Pur divertita da quel buffo scambio di battute, pensai che non doveva essere facile essere sempre scortato dappertutto. Decisi di chiedere a Nick come lo faceva sentire e lui alzò le spalle, dicendo semplicemente che ci era abituato.

“È così da quando ho 15 anni. Ci ho fatto il callo”.

Entrammo al museo e iniziammo a passeggiare, fermandoci a guardare i quadri esposti. Di tanto in tanto, buttavo lì qualche commento, quando riuscivo a riesumare dalla memoria qualcuna delle informazioni che avevo appreso durante le lezioni di Storia dell’Arte al liceo. Quando, finalmente, arrivammo davanti al mio dipinto preferito, La Primavera di Botticelli, mi fermai a contemplarlo, estasiata. Ero talmente presa che nemmeno mi accorsi che Nick mi stava osservando, con un’espressione indecifrabile sul viso. Dopo un po’, mi voltai verso di lui e lo trovai a fissarmi.

“Scusami” dissi, distogliendo lo sguardo. “Mi sono incantata. Mi succede sempre, davanti a questo quadro. Lo sapevi che ci sono più di 130 piante diverse dipinte?”

“Interessante” commentò, distratto.

“Sì. Lo trovo bellissimo” osservai, tornando a guardare il quadro, con aria sognante.

“Concordo. Bellissima” convenne lui ma, girandomi a guardarlo, mi resi contro che non stava osservando il quadro e, quindi, non si riferiva a quello, bensì a me.

“Nick…” sussurrai, abbassando la testa, imbarazzatissima.

“Scusa. Mi ero incantato anch’io” sentenziò, con un sorrisino.

Mi venne da ridere e gli fui grata per quel commento sciocco, che aveva alleggerito un po’ l’atmosfera.

“Ti prego, non uscirtene con qualche frase ad effetto” lo pregai.

“Tipo?” domandò, curioso.

“Quelle cose da film o, nel tuo caso, da canzone d’amore, tipo il quadro più bello sei tu. Roba così” spiegai.

“Non funzionerebbe?” mi chiese, incerto.

Scossi la testa. “No” gli assicurai, decisa. “Ti scoppierei a ridere in faccia”.

Lui alzò le spalle. “Okay, niente allora”.

Spalancai gli occhi. “Volevi farlo veramente?”

“Ammetto di averci pensato” confessò, ridacchiando.

“Ti prego!” esclamai, soffocando una risata.

“Cosa? Di solito funziona” obiettò.

“Sul serio?”

“Beh, nella maggior parte dei casi, non mi serve nemmeno corteggiarle. Mi bastano un paio di occhiate ammiccanti. Ma con te non funziona” si lamentò.

Restai un istante in silenzio, riflettendo sulle sue parole, poi mi decisi a chiedere “Quindi è questo che stai facendo? Mi stai corteggiando?”

“Non era chiaro?” replicò, sorpreso.

“Speravo di sbagliarmi” ammisi.

“Perché? Non ti fa piacere?”

“Non è questo. A tutte le donne piace essere corteggiate” gli concessi.

“E allora?”

Decisi di dare voce al dubbio che mi solleticava la gola, premendo per uscire. “Non dovresti conoscermi, prima di corteggiarmi?”

“Forse sì” concordò. “Ma ho poco tempo e ho pensato di farti capire subito che mi piaci”.

“Come faccio a piacerti se non sai nulla di me?” gli chiesi, perplessa.

“Hai ragione. Ma so come mi sento io quando sono con te e mi basta” sentenziò.

Restai spiazzata dalla semplice sincerità della sua osservazione e non trovai nulla di intelligente da ribattere. Lui mi fissò per un attimo, poi mi prese la mano e mi sorrise.

“Ma capisco il tuo punto di vista e ti faccio una proposta” disse, a voce bassa.

“Quale?” domandai, mentre la solita piacevole sensazione che provavo quando mi prendeva la mano si impossessava di me, impedendomi di ragionare in maniera lucida.

“Usciamo di qui, troviamo un ristorantino carino, e, mentre mangiamo un piatto di...qualsiasi sia la specialità di questo posto, proviamo a conoscerci meglio. Cosa ne dici?”

Annuii. “Accetto. Ma a una condizione”.

“Spara” mi spronò.

Lo guardai negli occhi, decisa a sostenere il suo sguardo e, per la prima volta, capii cosa intendeva Jessica quando diceva che si perdeva nei suoi occhi azzurri. Ma non era il momento di comportarmi da ragazzina delle medie, dovevo restare lucida. “Voglio conoscere il vero Nick, non quello delle interviste alla TV. Credi sia possibile?” gli domandai.

Nick sorrise e, con una punta di soddisfazione, rispose “Assolutamente sì”.

 

Uscimmo dalla galleria e ci lasciammo guidare da Mike al ristorante che aveva prenotato, mentre stavamo visitando il museo. Ci fecero sedere e ordinammo due fiorentine con patate al forno e una bottiglia di vino rosso, dopodiché iniziammo a chiacchierare, per mettere in pratica il piano di Nick di conoscerci meglio. Dapprima, partimmo con cose banali, come hobby, preferenze e abitudini. Scoprii che gli piaceva la musica rock e che avevamo parecchi gusti musicali in comune e lui mi prese in giro quando gli confessai di aver avuto una terribile cotta per Kurt Cobain, quando ero alle superiori. Adorava i videogiochi, specialmente quelli anni ‘90, e amava fare colazione con il porridge di avena. Gli confidai che io, invece, ero una schiappa con i videogiochi, ma avevo una passione per i cartoni animati degli anni ‘90 e, non so come, ci ritrovammo a cantare la sigla di Ghostbusters, stupendoci di come entrambi ricordassimo perfettamente le parole, pur senza averla sentita per anni. Poi passammo a raccontarci episodi della nostra infanzia e adolescenza. Gli confessai di non essermi mai perfettamente integrata con i compagni delle medie e superiori e di non avere moltissimi amici, Jessica a parte. Lui, senza nemmeno rendersene conto, si trovò a raccontarmi della sua incasinatissima famiglia, malfunzionale e interessata solo ai suoi soldi, di come si fosse sentito usato e, per questo, avesse troncato i rapporti con tutti, tranne la sorella minore, trasferendosi a Las Vegas, per preservare la sua sanità mentale. Confessò anche che i Bascktreet Boys erano stati la sua salvezza. Se non fosse entrato nel gruppo, fuggendo dalla situazione assurda che viveva a casa, era sicuro che a quest’ora sarebbe stato come minimo in prigione, se non addirittura morto.

“Non volevo allontanarli,” spiegò “mi ha fatto male. Ma ho dovuto farlo, se volevo provare ad avere una vita normale, capisci?”

Annuii e, senza riflettere, posai una mano sulla sua, che teneva abbandonata sopra al tavolo. “Capisco. E ti ammiro” confessai.

“Mi ammiri?” ripeté, stupito.

“Sì”.

“Perché?”

“Non c’entra la fama o il fatto che sei un bravo cantante – sì, lo penso davvero, ma non montarti la testa” dissi, facendolo ridere. “Ti ammiro perché sei forte”.

Si lasciò sfuggire un sospiro. “Non mi sento molto forte, sai?”

“Invece lo sei” replicai, decisa. “Hai avuto oggettivamente un’infanzia di merda, scusa la franchezza, ma ne sei venuto fuori e sei diventato una brava persona”.

“Lo pensi veramente?” domandò, speranzoso e, per la prima volta, mi accorsi di quanto, in realtà, fosse insicuro e desideroso di approvazione, nonostante la maschera di spensierata arroganza che indossava di fronte al mondo.

Sorrisi. “Sì. Onesta, ricordi?” risposi, facendo riferimento alla nostra prima conversazione, sul ponte della nave.

Sorrise anche lui. “Grazie”.

“Grazie a te per aver condiviso con me questa parte così privata della tua vita”.

“Beh, hai detto che volevi conoscere il vero Nick. Io sono questo, non quello che vedi in TV” ammise.

“Sto iniziando a capirlo”.

“E cosa ne pensi?” chiese.

“Che mi piace molto di più questa versione” dissi, sincera.

Nick mi sorrise e, spostando leggermente la mano, in modo da liberare il pollice, iniziò ad accarezzare delicatamente la mia.

“Basta parlare di me adesso. Tocca a te” annunciò, prendendo un sorso di vino.

“Cosa vuoi sapere?” lo spronai.

“Non te l’ho mai chiesto apertamente, ma mi è sembrato di dedurre che non sei fidanzata” azzardò.

Scossi la testa. “No, non lo sono”.

“Non c’è proprio nessuno?”

“Non c’è nessuno” confermai.

“Come mai?” volle sapere.

Alzai le spalle. “Nessuno di mio interesse, suppongo”.

“Ma c’è stato qualcuno, in passato?” si informò.

“Certo, ma non è finita bene” confessai.

Mi guardò, curioso ma restio a chiedere. Io gli sorrisi, colpita dal tatto che stava dimostrando. “Puoi chiedermelo. Non è un segreto di stato”.

“Cos’è successo?”

“Sono stata con un ragazzo per dieci anni. Ci amavamo. Eravamo anche andati a convivere. Volevamo sposarci e volevamo un figlio, anche se non in questo preciso ordine. Poi ho scoperto di non poterne avere e non l’ho presa bene. Lui ha cercato di starmi vicino ma io ero diventata intrattabile e, invece che accettare il suo supporto, l’ho allontanato. A un certo punto non ce l’ha fatta più e mi ha lasciato” raccontai.

“Come? Quando avevi più bisogno di lui?” sbottò, indignato.

“Non è stata colpa sua, ci ha provato” lo giustificai. “Sono io che non gli ho permesso di aiutarmi. Non lo biasimo”.

“E come ne sei uscita?” domandò, sinceramente interessato.

“Terapia. Amici. Viaggi. Non l’ho superata del tutto, ma riesco a conviverci” ammisi.

“Mi dispiace” disse, rivolgendomi un sorriso incerto.

Alzai le spalle, ostentando indifferenza. “Non fa niente. Doveva andare così”.

“Non è vero” obiettò, diventando improvvisamente serio e alzando il tono di voce. “Siamo nel 2016, diamine, ci sarà un modo per…”

“Nick, calmati” dissi, decisa, e lui mi rivolse uno sguardo sorpreso, quasi non si aspettasse tanta fermezza da parte mia. Non sapevo perché, ma era chiaro che si stava arrabbiando e la prima cosa che mi era venuta in mente di fare era stata tranquillizzarlo. “Certo che c’è un modo. Ci sono milioni di modi, ma bisogna essere pronti”.

“Non lo sei?”

“Non lo ero. L’ho vissuta come una sconfitta e mi sono convinta che l’universo ce l’avesse con me” spiegai. “È da egoisti, lo so. Ma almeno conosci anche questo lato di me”.

Mi sentii stringere la mano e mi accorsi che aveva girato la sua, in modo da poter intrecciare le dita con le mie. “Non credo che sia da egoisti. Penso sia una reazione naturale. Per quanto non possa capire fino in fondo”.

Gli sorrisi, riconoscente. “Credo che tu abbia capito più di tante altre persone che mi conoscono da molto più tempo, invece”.

Restammo un attimo in silenzio, come se fossimo esausti e avessimo esaurito le parole. Poi mi riscossi e gli proposi “Ti va se cambiamo discorso? Non voglio rovinarmi la giornata ripensando a quel periodo. Tanto ti ho detto tutto quello che c’era da sapere”.

Lui annuì. “Okay, nessun problema”.

“Parliamo di te, adesso” dissi, cambiando bruscamente discorso. “So che una vera fan lo saprebbe, ma abbiamo appurato che io non lo sono” scherzai. “Quindi, cosa mi dici della vita sentimentale di Nick Carter?”

Iniziò a raccontare. “Te la faccio breve. Dopo una serie di relazioni disastrose, alcune delle quali mi hanno scatenato comportamenti autodistruttivi per cui sono anche finito in riabilitazione per abuso di alcool e medicinali, ho trovato una ragazza che mi faceva stare bene e siamo stati insieme per quattro anni. Credevo fosse quella giusta, volevo chiederle di sposarmi. Poi è rimasta incinta e mi sono reso conto di non essere pronto. Ero letteralmente terrorizzato, ma non in senso positivo. Ho iniziato a mettere tutto in discussione e, quando ha perso il bambino, invece di essere devastato, mi sono sentito sollevato. E, ovviamente, mi sono sentito uno schifo perché mi sentivo sollevato, perché sono quel genere di persona, che rimugina e si colpevolizza fino a uscire di testa. Ad ogni modo, il nostro rapporto si è deteriorato, io cercavo di fingere di essere dispiaciuto ma temo che lei se ne sia accorta e, comunque, non potevo continuare fingere a vita, e alla fine ci siamo lasciati. Fine della storia”.

Rilasciai il fiato che, mi accorsi solo in quel momento, avevo trattenuto per tutta la durata del racconto. “Mi dispiace, Nick”.

“Non so nemmeno perché te l’ho raccontato. Intendo, così nel dettaglio. Non l’ho praticamente mai detto a nessuno, tranne a Brian” confessò.

“Perché?” domandai.

“Perché esco malissimo da questa storia, mi sento un verme per come mi sono comportato e probabilmente tutte le cose belle che pensavi su di me fino a poco fa sono evaporate” sentenziò.

Scossi la testa. “Non è vero”.

“Onesta” mi rammentò, alzando un sopracciglio.

“Onesta. Davvero” gli assicurai. “Forse non hai gestito la cosa nel migliore dei modi e capisco che lei – come si chiama, tra l’altro?”

“Lauren”.

“Lauren. Capisco che Lauren si sia sentita ferita, è naturale. Ma non puoi colpevolizzarti per quello che provi. I sentimenti non si controllano”.

“Ho avuto paura” ammise. “Credevo di non essere in grado”.

“Secondo me lo saresti stato, invece” replicai.

“Può darsi” concordò, stringendosi nelle spalle. “Ma non so se sarei stato felice. Forse, alla fine, Lauren non era la donna giusta per me e questo brutto episodio è solo servito a farmelo capire”.

“Forse”.

“Grazie, comunque. Mi ha fatto bene parlarne” disse, rivolgendomi un sorriso.

“Figurati. Altro che conoscenza, oggi abbiamo fatto terapia di gruppo” scherzai, tentando di sdrammatizzare.

Lui colse al volo l’occasione e precisò “Più che di gruppo, di coppia, dato che siamo in due”.

“Sì, ma non siamo una coppia” gli feci notare.

“Non ancora” ribatté, con un sorrisino malizioso

“Nick…” lo rimproverai.

“Scusa. Mi parte il corteggiamento in automatico. Forza dell’abitudine” disse, facendomi scoppiare a ridere.

 

Usciti dal ristorante, camminammo fino a Piazza del Duomo. Avevo preso di nuovo la mano di Alice e mi stavo godendo la sensazione di calore emanata dalle nostre dita intrecciate. Era difficile da spiegare, ma sapevo con certezza che qualcosa era cambiato, tra noi, dopo quella chiacchierata a cuore aperto al ristorante. Lei non era più la ragazza misteriosa che sembrava insensibile al mio fascino, ma una persona reale e complessa, con un passato, forse meno ricco di avvenimenti rispetto al mio, ma non per questo meno doloroso. E qualcosa mi diceva che anche io, ai suoi occhi, non ero più il cantante famoso a cui piaceva far innamorare le ragazze per avere conferma del suo fascino, ma un uomo vero, a tutto tondo, con pregi e difetti, luci e ombre. Le avevo mostrato il vero Nick, come mi aveva consigliato Brian e come, d’altra parte, mi aveva espressamente chiesto di fare, ed ero convinto che il mio amico ci avesse visto giusto e fosse stata la mossa vincente per conquistarla. Non aveva detto o fatto nulla per farmi intendere che il nostro rapporto fosse cambiato, ma mi ero accorto che non aveva trovato strano il fatto che la stessi tenendo per mano e, invece di abbassare lo sguardo, imbarazzata, mi aveva guardato negli occhi e aveva riso quando le avevo messo in testa il cappellino che indossavo, per vedere come le stava, e avevo decretato che donava molto più a lei che a me e, pertanto, doveva tenerlo. Era come se avesse deciso di potersi fidare di me e la cosa mi riempiva di gioia.

Arrivammo davanti all’ingresso del campanile di Giotto e Alice insistette per salire, sostenendo che sarebbe servito a smaltire il pranzo. Acconsentii, senza pensarci troppo. A quel punto, ero talmente affascinato che probabilmente l’avrei seguita anche all’inferno. Non ricordavo quando era stata l’ultima volta che mi ero sentito così, forse al primo appuntamento con Lauren, ma non ne ero sicuro. Mi lasciai trascinare su per i gradini, che diventavano sempre più ripidi, mano a mano che ci avvicinavamo alla cima. A metà strada, iniziai a non poterne più e maledissi la mia distrazione quando avevo accettato la proposta, senza preoccuparmi di leggere quanti gradini avrei dovuto salire. Quando ormai credevo che non ce l’avremmo mai fatta, raggiungemmo la cima e ci appoggiammo al parapetto, per goderci la vista sulla città.

È bellissimo” commentò Alice, estasiata. “Valeva la pena fare tutta questa fatica, non credi?”

Si voltò a guardarmi, con le guance arrossate per aver affrontato la salita e i capelli che le svolazzavano intorno al viso, lambiti dal vento, e la trovai improvvisamente bellissima. Non riuscii a resistere, feci un passo verso di lei, le presi il viso tra le mani e incollai le mie labbra alle sue, facendo, finalmente, quello che sognavo di fare dalla sera prima. Avevo agito d’impulso, senza riflettere, e non sapevo esattamente cosa aspettarmi. Avrebbe potuto restare impalata, troppo sconvolta per reagire, oppure addirittura tirarmi uno schiaffo e allontanarsi, disgustata e arrabbiata per quella mossa avventata. Inizialmente, non ci fu nessuna reazione da parte sua e iniziai a temere il peggio. Poi, inaspettatamente, sentii le sue mani posarsi sui miei fianchi e socchiuse leggermente le labbra, in modo da permettere alla mia lingua di incontrare la sua. Quando lo feci, rispose al mio bacio e a me parve di sentire un ronzio nelle orecchie, quasi mi fossero esplosi dei fuochi d’artificio direttamente in testa. Stava andando tutto molto meglio di quanto avessi osato immaginare. Quando ci allontanammo, entrambi senza fiato, le sorrisi e domandai “Cosa ne dici, adesso siamo una coppia?”

Lei rise e rispose “Non lo so. Fammi controllare”. Poi si alzò sulle punte, mi appoggiò le mani sul petto e posò nuovamente le labbra sulle mie, baciandomi per la seconda volta.

 

Dopo la visita al campanile, tornammo all’auto perché era giunta l’ora di tornare alla nave. Nick non smise mai di stringermi la mano e ci baciammo numerose altre volte, incuranti della presenza dell’autista e di Mike che, d’altro canto, doveva essere abituato ad assistere alla vita sentimentale di Nick e non sembrava farci particolarmente caso. Io mi sentivo inspiegabilmente tranquilla, considerata la situazione. Da quando ci eravamo confidati l’un l’altro, al ristorante, avevo smesso di vederlo come un cantante famoso e avevo preso in considerazione, forse per la prima volta, la possibilità che fosse sinceramente interessato a me. Ancora non riuscivo a spiegarmene il motivo ma, in fondo, non era importante. Stavo bene, in sua compagnia, mi faceva sentire bene. E non c’era motivo di rinunciare a quella sensazione solo perché non capivo cosa ci vedesse in me uno come lui. Per la prima volta nella mia vita, avevo deciso di spegnere il cervello e affidarmi all’istinto, per quello non mi ero ritratta, quando mi aveva baciato ma, al contrario, avevo risposto con entusiasmo. Era vero, avevo sempre detto che Nick Carter non era il mio tipo, ma questo prima di conoscerlo, quando era solo un viso sorridente che ammiccava dallo schermo della televisione. Adesso, dopo averlo conosciuto meglio, non era Nick Carter dei Backstreet Boys o, meglio, non era solo quello, ma era soprattutto Nick, ragazzino della Florida che aveva trovato una famiglia amorevole in quegli altri quattro ragazzi che cantavano con lui e che l’avevano cresciuto come se fosse stato il loro fratellino minore. Era il ragazzo che faceva finta di essere offeso se gli dicevo che era molto più affascinante vestito da mummia, come nel video di Everybody, quello che mi raccontava, con un misto di affetto e orgoglio, di come Brian gli avesse insegnato a suonare la chitarra, cosa che aveva sempre voluto imparare a fare, ma era convinto di non essere in grado. E, soprattutto, era Nick, colui che mi aveva ascoltato raccontare la parte più dolorosa della mia vita, seguendo il discorso con sguardo sinceramente dispiaciuto e commentando con poche parole, ma giuste, esattamente quelle che avevo bisogno di sentire, pur senza saperlo. E, quel Nick, mi piaceva. Così come mi piaceva il suo viso, illuminato da un sorriso radioso, mentre raggiungevamo il ponte della nave, tenendoci ancora per mano.

Arrivati al mio piano, uscii dall’ascensore e Nick mi seguì.

“Ciao” mi salutò, avvicinando il viso al mio per baciarmi.

Gli posai una mano sul petto e lo bloccai. Lui mi rivolse uno sguardo stupito, poi mi vide guardarmi intorno e capì. Non sembrava esserci nessuno in giro, ma era comunque troppo rischioso farsi cogliere in atteggiamenti affettuosi in mezzo al corridoio della nave, dove avrebbe potuto passare chiunque e vederci.

“Ci vediamo dopo al concerto” mi sussurrò, sfiorandomi il viso con un dito.

Gli sorrisi. “Io ti vedrò di sicuro, ma dubito che tu mi vedrai” ironizzai.

“Non importa, saprò che ci sei. Mi basta. E canterò una canzone per te” annunciò.

“E come faccio a sapere qual’è?” domandai, confusa.

“Scommetto che lo indovini appena la sentirai” rispose, toccandomi la punta del naso.

Poi entrò nuovamente nell’ascensore, sparendo dalla mia vista.

Con un sospiro, mi avviai lungo il corridoio, diretta alla mia cabina. Aprii la porta con la chiave magnetica e trovai Jessica in accappatoio, che si asciugava i capelli. Quando entrai, mi sorrise, poi qualcosa attirò la sua attenzione e mi chiese “Quello è il cappellino di Nick, per caso?”

Mi portai una mano alla testa, accorgendomi di avere ancora addosso il berretto che Nick mi aveva messo mentre andavamo al campanile. Dopo, ero stata impegnata in altre questioni e me ne ero completamente dimenticata. Annuii e me lo tolsi, osservando lo stemma dei Buccaneers, la squadra di football per cui Nick tifava, con un sorrisino ebete, e ripensando alla giornata appena trascorsa.

Ovviamente, Jessica non si lasciò sfuggire la mia espressione trasognata e mi domandò “E quel sorrisino cosa significa? Che il biondino ha fatto colpo anche su di te, finalmente?”

Risi e alzai gli occhi al cielo. “Forse” ammisi.

La mia amica sollevò le braccia verso il soffitto ed esclamò “Grazie al cielo. Allora sei normale anche tu. Stavo iniziando a preoccuparmi”.

 

Non appena intercettai i ragazzi, prima del concerto, dissi loro che avevo bisogno di parlargli. Si riunirono tutti intorno a me, curiosi di sentire cosa volessi dirgli. Sapevo che non potevano essere preoccupati, bastava guardarmi in faccia per capire che non ero mai stato così felice.

Ehi, ragazzi. È possibile aggiungere una canzone alla setlist?” domandai, quando ebbi ottenuto la loro attenzione.

Quale?” si informò A.J.

Perché?” chiese Howie, contemporaneamente.

Climbing the Walls” risposi a A.J.. Poi aggiunsi, per spiegare a Howie “Ho promesso ad Alice che avrei cantato una canzone per lei e quella è la sua preferita”.

A.J. mi diede una pacca sulla spalla e sorrise. “Per me okay”.

Anche per me” concordò Howie. “Però dobbiamo dirlo ai musicisti. Se vuoi ci penso io” si offrì.

Grazie” sussurrai, riconoscente.

No”. Una sola sillaba, secca e decisa. Ci voltammo tutti verso Kevin, che aveva parlato.

Perché?” chiesi, stupito dalla sua reazione.

Dai, Kev...lasciagli fare il romantico” lo pregò A.J..

No” ripeté lui, serio. “La canta quasi tutta Brian ed è troppo faticoso per lui”.

Mi voltai a guardare il mio amico, che aveva seguito tutta la discussione in silenzio. “Oh. Non ci avevo pensato” ammisi.

È questo il problema, Nick. Tu non pensi” mi rimproverò Kevin.

Iniziai ad irritarmi. Come si permetteva di parlarmi con quel tono saccente? E implicando che non mi importasse della salute di Brian, oltretutto. Stavo per ribattere qualcosa di non troppo carino, quando fui preceduto proprio da Brian, che intervenne per la prima volta nel discorso. “Non c’è problema, Kev. Posso farlo”.

No, Bri. Non è necessario. Scusa” mi affrettai a replicare.

Lui si voltò a guardarmi e mi sorrise. “Sì, invece. Finalmente ti rivedo felice e, se è merito di questa ragazza, voglio aiutarti a conquistarla, Frack”.

Rispondendo a un impulso, lo abbracciai, sussurrandogli “Grazie”.

 

Io e Jessica ci eravamo godute il concerto dalla nostra postazione defilata ma da cui, comunque, si riusciva a vedere piuttosto bene. Avevamo riso alle battute che avevano fatto e cantato a squarciagola tutte le canzoni proposte. Sulle ultime note di Everybody, la setlist risultava conclusa ma, curiosamente, i ragazzi non salutarono il pubblico, come avrebbero dovuto. Brian avanzò sul palco e annunciò che avrebbero fatto una canzone fuori scaletta, dietro esplicita richiesta di Nick. Lui non poteva vedermi, ma io potevo vedere benissimo lui e notai che aveva un sorrisino soddisfatto. Non avevo nemmeno fatto in tempo a chiedermi cosa stesse succedendo che le prime note di Climbing the Walls riempirono l’auditorium, accompagnate da un boato di apprezzamento da parte delle fan. Il mio cuore mancò un battito e mi portai una mano alla bocca.

“Cosa c’è?” mi chiese Jessica, a cui non era sfuggito il mio gesto.

“La sta cantando per me” farfugliai, senza distogliere gli occhi dal palco, come ipnotizzata dalle voci dei cinque ragazzi che si armonizzavano alla perfezione.

La verità era che il mio cervello non stava connettendo come avrebbe dovuto. Sentivo la canzone, ma nella mia testa continuavano a risuonare le parole che Nick aveva pronunciato quando ci eravamo salutati davanti all’ascensore.

Canterò una canzone per te.

E come faccio a sapere qual’è?

Scommetto che lo indovini appena la sentirai.

Era quella. Doveva essere quella. Sapeva che era la mia preferita. Non poteva trattarsi di una coincidenza.

“Scusa?” fece la mia amica, confusa.

“Mi ha detto che avrebbe cantato una canzone per me e che avrei capito quale non appena l’avessi sentita. È questa. È la mia preferita. E lui lo sa” spiegai.

Non ricevetti risposta. Jessica si limitò a fissarmi, con un’espressione imperscrutabile sul volto. Il che era strano, soprattutto per una persona come lei, che aveva un’opinione su tutto e, di solito, ci teneva a farla sapere al mondo.

“Ti prego, di’ qualcosa” la spronai, preoccupata.

“Non so cosa dire” confessò. “Davvero”.

“Fai un commento qualsiasi. È già abbastanza strano così, senza che tu peggiori la situazione fissandomi come se fossi un’aliena” mi lamentai.

Lei fece un mezzo sorriso. “Se dico quello che penso ti arrabbi”.

“Giuro che non mi arrabbio. Non so nemmeno io quello che penso, in questo momento” ammisi.

“Io non lo so cosa sia successo esattamente o cosa vi siate detti, ma, se volesse solo portarti a letto, non si darebbe tutta questa pena. Voglio dire, ha messo di mezzo tutto il gruppo, musicisti compresi, per fare una sorpresa a te. È tipo la cosa più carina che avrebbe potuto fare. E onestamente non capisco come tu possa restare indifferente”.

“Il problema è che non sono per niente indifferente” balbettai, mentre, con gli occhi lucidi, osservavo i ragazzi lasciare il palco.

“Non vedo dove sia il problema. Sei umana. Hai dei sentimenti. Siete entrambi liberi e avete scoperto che vi piacete” osservò, alzando le spalle.

“Non posso innamorarmi di Nick Carter, Je” sbottai, tornando in me.

“Non puoi scegliere di chi innamorarti, invece” insistette lei.

“Ma non ho più 15 anni. Dovrei far prevalere la parte razionale” ribattei.

“E lo stai facendo. Quando io dicevo di essere innamorata di lui, a 15 anni, non lo conoscevo. Era solo un bel viso che mi sorrideva da un poster e una voce su un CD che mi faceva tremare le gambe. Per te è diverso. È reale. Gli hai parlato. Hai passato la giornata con lui. E ti ha appena dedicato la tua canzone preferita. Non importa se è famoso, fregatene. È uno che ti sta dimostrando che ci tiene a te. Io non me lo lascerei scappare” sentenziò.

“È complicato” mormorai.

“Non ho mai detto che non lo sia. Ma non è impossibile. Dagli una chance” mi pregò.

Le rivolsi un sorrisino divertito e, per alleggerire la tensione, commentai “Se fossi una psicologa, ti direi che stai proiettando i tuoi desideri da quindicenne su di me”.

Jessica scoppiò a ridere. “Può darsi” ammise. “Ma, molto più banalmente, ti confesso che ho sempre sognato un’amica che vive in una villa con piscina a Las Vegas”.

“Stai correndo decisamente un po’ troppo” la rimproverai, alzando un sopracciglio. “E, comunque, non so se vive in una villa con piscina”.

La mia amica alzò le spalle. “Dettagli” minimizzò. Poi, trascinandomi verso l’uscita del teatro, annunciò “Adesso basta rimuginare sui problemi e le complicazioni, però. Andiamo in cabina e ci facciamo belle per la Casino Royale Night. E tu mi perdonerai se farò commenti poco politically correct sul tuo ragazzo, se si presenta vestito da James Bond”.

Mi misi a ridere ed evitai di precisare che Nick non era il mio ragazzo. Non sarebbe servito a niente, Jessica ci vedeva già felicemente sposati. Decisi che, però, in fondo aveva in parte ragione. Nick non mi era più indifferente. Anzi, a essere onesta, mi piaceva. E, soprattutto, mi piaceva il modo in cui mi faceva sentire. Non ero mai stata così bene con un ragazzo, dopo Luca. Certo, il fatto che fosse Nick Carter dei Backstreet Boys complicava notevolmente le cose, ma non me lo ero andata a cercare. Come mi aveva fatto notare Jessica, non potevo scegliere di chi innamorarmi. Succedeva e basta. E, contro ogni previsione e del tutto inaspettatamente, a me stava succedendo con Nick. Non potevo farci niente e non sarebbe servito a niente combatterlo. Dovevo accettarlo e cercare di gestire la cosa nel miglior modo possibile per entrambi. Peccato che, al momento, non avessi assolutamente idea di quale fosse questo modo.

 

Dopo il concerto, tornammo alle nostre cabine per prepararci per la serata. Fortunatamente, non erano previsti travestimenti particolari, per quella sera, dovevamo semplicemente metterci in tiro per somigliare a James Bond. Solitamente non amavo mettermi in ghingheri, preferivo di gran lunga jeans e maglietta a camicia e giacca, ma decisi di fare del mio meglio, sperando di potermela svignare presto, rintracciare Alice e passare del tempo con lei. Non avevo avuto modo di vederla, dopo il concerto, e morivo dalla voglia di sapere se le era piaciuta la sorpresa. Era assurdo come, da quando l’avevo conosciuta, ogni mia azione sembrasse ruotare attorno a lei, senza che potessi evitarlo. ‘Ti stai innamorando, Nick’ mi dissi. Il che, per quanto improbabile e inaspettato, era anche l’unica spiegazione possibile al mio comportamento degli ultimi giorni. La giornata trascorsa a Firenze con lei era stata fantastica e avrei tanto voluto essere un ragazzo normale, per non dover lavorare e starmene rinchiuso in cabina a coccolarla, in quel momento. Scossi la testa. Se non fossi stato quello che ero, probabilmente non ci saremmo mai conosciuti. ‘Ma le saresti piaciuto lo stesso’ disse una vocina, dentro di me. E aveva ragione. Se c’era una cosa di cui ero certo era proprio che ad Alice piaceva Nick Carter, non Nick dei Backstreet Boys, ed era esattamente ciò che la rendeva così speciale. Mi era successo, a volte, di uscire con una ragazza che non aveva idea di chi fossi. All’inizio, era elettrizzante. Mi sentivo libero di essere me stesso, senza maschere. Poi, però, inevitabilmente lo veniva a sapere e subentrava la curiosità, spesso morbosa e non sempre disinteressata, verso il mio lavoro e la fama. Con lei era diverso. Sapeva chi ero, non c’era nulla da spiegare. Ma non le interessava. Essere nei Backstreet Boys mi aveva permesso di conoscerla ma, per il resto, non semplificava le cose, semmai le complicava.

Mi guardai allo specchio e sistemai il colletto della camicia bianca. Niente male. Controllai l’orologio e sospirai. Sarebbe stata una lunga nottata. Speravo soltanto che potesse essere piacevole quanto lo era stata la giornata.

 

La Casino Royale Night era quasi terminata e non ero riuscita ad avvicinare Nick. I nostri sguardi si erano incrociati un paio di volte e lui aveva tentato di venire verso di me, ma era sempre stato intercettato da fan che volevano una foto, un abbraccio o parlare con lui. Avevo finto che non mi importasse ma, in realtà, ci ero rimasta male. Dopo gli avvenimenti della giornata, non avevamo più avuto modo di parlare e sapevo che c’erano delle cose da dire. Prima su tutte, volevo ringraziarlo per la canzone. Sentivo di doverlo fare. Non avevo voluto darlo troppo a vedere, specialmente con Jessica, ma la verità era che il suo gesto mi aveva colpita. Nessuno aveva mai fatto una cosa così carina per me. E, sì, sapevo che era un cantante e, quindi, trasformare i sentimenti in musica era il suo mestiere, ma questo non rendeva la cosa meno carina.

Jessica stava cercando di convincermi a spostarci al piano superiore, dove c’era un sorta di club. Non ero dell’umore giusto e, a dirla tutta, i club non erano il mio genere, ma mi dispiaceva dirle di no, specialmente perché sapevo di averla un po’ trascurata, durante quella crociera, e mi sentivo in colpa. Di nuovo il mio fidato senso di colpa. Quando glielo avevo detto, lei erta scoppiata a ridere, commentando che ero del tutto giustificata, dato quanto era figo il mio ragazzo in completo elegante, e che lei avrebbe fatto lo stesso, senza nemmeno sentirsi in colpa, poi aveva aggiunto “Mi piacerebbe che venissi con me al club per divertirti, non per farmi un favore”.

“Sai che io e te abbiamo un concetto un pelo diverso di divertimento,” le feci notare “comunque potremmo anche andare a dare un’occhiata”.

“Se state parlando di andare al club, ti conviene farlo” disse una voce alle mie spalle, in inglese.

Mi voltai di scatto, spaventata, e mi trovai davanti Brian che, vedendo la mia faccia, scoppiò a ridere di gusto.

“Mi hai fatto prendere un colpo” gli dissi, tenendomi una mano sul cuore.

“Scusa, non volevo” si giustificò lui, posandomi una mano sulla spalla. “Se mi muori di spavento, poi Nick chi lo sente?”

Mi lasciai sfuggire una risatina e tentai di concentrarmi su quello che mi stava dicendo, senza far caso alle fan intorno a noi che ci stavano guardando. Brian si accorse che la situazione mi stava imbarazzando, si avvicinò al mio orecchio e mi bisbigliò “Vieni su al club. Ci saremo anche noi. Vedremo di fare in modo che Nick si sganci presto, così potete parlare”.

Spalancai gli occhi e mi chiesi cosa sapesse Brian di quello che era successo tra me e Nick. Lui parve leggermi nel pensiero perché mi sorrise e disse “Non so nulla, ma non ha mai pubblicamente dedicato una canzone a nessuna, prima, quindi suppongo che le cose, tra voi, stiano progredendo”.

Restai senza parole. Sia perché non credevo che Brian fosse dotato di tanta sensibilità e perché l’affetto che evidentemente nutriva per Nick mi commuoveva, ma soprattutto per la scoperta di essere stata la prima persona a cui Nick aveva dedicato una canzone.

‘Vorrei essere anche l’ultima’ pensai, per poi scacciare immediatamente quell’idea, come se fosse una fantasticheria adolescenziale.

Mi riscossi, ricambiai il sorriso di Brian e gli assicurai “Grazie. Ci sarò”.

Lui mi sfiorò il braccio con una mano, in una sorta di affettuosa carezza che trovai molto tenera, poi si allontanò, strizzandomi l’occhio.

Jessica, che durante la conversazione si era tenuta a sufficiente distanza da non risultare indiscreta ma, allo stesso tempo, era dotata di un udito sufficientemente fino da averne colto gli aspetti salienti, mi si avvicinò e chiese “Immagino che tu abbia deciso di andare al club, vero?”

Mi lasciai sfuggire una risata. “Come sei perspicace!” commentai, facendo ridere anche lei.

 

Alzai la testa dopo l’ennesimo abbraccio a una fan e sorrisi a un’altra ragazza che mi aveva appena fatto un complimento. Dopo la serata Casino Royale, ci eravamo spostati al club. Non ne avevo voglia, ma ero stato assente tutto il giorno e sapevo di dover fare del mio meglio per far vedere a Kevin che meritavo la fiducia che mi aveva accordato. Era assurdo come, pur essendo ormai un uomo adulto, sentissi ancora la necessità dell’approvazione di quella figura che, a tutti gli effetti, mi aveva fatto da padre, esattamente come quando avevo 13 anni. Sentii una mano che mi si posava sulla spalla e, voltandomi, mi trovai Brian accanto.

Ehi, Romeo” mi apostrofò. “Guarda che se non presti qualche attenzione alla tua bella finisce che si offende”.

Gli rivolsi uno sguardo perplesso. “Scusa?”

Lui mi fece un cenno con la testa, indicando un punto imprecisato verso il bancone. Guardai nella direzione che mi stava indicando e notai Alice, che beveva un cocktail, seduta accanto alla sua amica bionda. Indossava una gonna lunga di tulle nero, con dei piccoli pois a rilievo, e un top di raso dorato, con spalline sottili. Ai piedi, aveva dei sandali dello stesso colore, con il tacco alto ma piuttosto largo. Alle orecchie si intravedevano degli orecchini con una pietra ovale nera e mi sembrava avesse un anello coordinato, mentre al polso destro luccicava un bracciale rigido dorato. Registrati tutti questi particolari, mi stupii di quanto fosse diversa da com’ero abituato a vederla di solito ma, allo stesso tempo, assolutamente in linea con la sua personalità. Per quanto elegante e, in un certo senso, sofisticato, quell’outfit era anche spontaneo e anticonvenzionale e la rappresentava totalmente.

Devo ammettere che stasera è proprio carina” commentò Brian, con un sorrisino.

Annuii, sorridendo a mia volta, perso in contemplazione.

Conti di andare a parlarci o hai intenzione di restare lì a fissarla per tutta la sera con gli occhi a cuore, come un idiota?” mi canzonò.

Scoppiai a ridere. “Non vedo l’ora di andare da lei,” confessai “ma a Kev lo dici tu?”

Brian annuì. “Kev lo sa già. Gliel’ho detto io”.

Strabuzzai gli occhi, incredulo. Brian mi sorrise. “Vai! Cosa aspetti?” mi spronò.

Gli diedi una pacca sulla spalla e scavalcai il cordone che limitava la zona VIP, dov’eravamo noi, da quella aperta a tutti, affrettandomi per arrivare al bancone prima di essere intercettato da qualche fan.

Le arrivai alle spalle e lei non se ne accorse, a causa della musica alta e del brusio del locale. In compenso, la sua amica mi notò subito, ma io mi misi un dito davanti alle labbra, pregandola di fare finta di niente. Lei capì subito, mi strizzò impercettibilmente l’occhio e continuò a chiacchierare, come se niente fosse. Avrei voluto cingerle la vita e baciarle il collo, ma non potevo farlo. Sapevo di avere addosso gli occhi di almeno metà delle persone presenti e il mio gesto sarebbe stato non solo notato ma, probabilmente, anche filmato, quindi preferii optare per qualcosa di più innocente e le coprii gli occhi con le mani. Immediatamente, lei posò le sue mani sulle mie, cercando di capire di chi si trattasse usando il tatto. Lasciai che facesse scorrere il palmi delle sue mani sul dorso delle mie, cercando di ignorare, per quanto possibile, le scariche elettriche che mi percorrevano la schiena a quel contatto. Dopo aver raccolto dati sufficienti, disse, semplicemente “Nick”.

Sorrisi e le scoprii gli occhi, facendo un passo, per arrivarle accanto. “Come hai fatto a indovinare?” chiesi.

Lei alzò le spalle. “Ho riconosciuto le tue mani”.

Cos’hanno di speciale che le rende riconoscibili?” mi informai, curioso.

Nulla,” confessò “ma mi piacciono”. Poi distolse lo sguardo, imbarazzata per quell’ammissione.

Dovetti fare appello a tutta la mia forza di volontà per non prenderla tra le braccia e baciarla, ma ero consapevole che non avrei resistito a lungo.

In quel momento, Jessica si intromise nel discorso, commentando “Siete così dolci da essere quasi disgustosi” scherzò. “Mi levo di torno e vi lascio amoreggiare in pace”.

Alice rise e anch’io mi lasciai scappare una risatina, però mi affrettai a ribattere “Tranquilla, non ce n’è bisogno. Ci dileguiamo noi”. Presi la mano di Alice, la feci scendere dallo sgabello e la trascinai verso la zona VIP, da cui ero venuto, alla ricerca di Mike. Mentre ci allontanavamo, la sua mano stretta nella mia e centinaia di occhi che seguivano ogni nostro movimento, notai che lei si era voltata a salutare l’amica, la quale le aveva fatto l’occhiolino. Quella ragazza mi piaceva, dovevo ricordarmi di ringraziarla, prima o poi.

Dove stiamo andando?” mi chiese, avvicinando il viso al mio orecchio.

Voglio un posto tranquillo dove poterti finalmente baciare in pace” risposi.

Tipo?”

Scossi la testa. “Non lo so” ammisi. “Sto cercando di pensare, ma non mi viene in mente nulla. A parte la mia cabina”.

Le rivolsi uno sguardo preoccupato. Dio solo sapeva quanto avrei voluto portarla nella mia cabina e chiudermi il mondo alle spalle, ma non volevo spaventarla e, soprattutto, non volevo che fraintendesse le mie intenzioni. Non stavo architettando di portarmela a letto. Non che non mi sarebbe piaciuto, anzi, ma non era la mia priorità. A differenza di tutte le altre volte, in cui non mi era mai importato un granché di cosa pensasse la fortunata di turno, ci tenevo che Alice mantenesse un’alta opinione di me e non volevo rischiare di rovinare tutto per aver affrettato i tempi. Potevo aspettare. Volevo solo stare con lei, da solo, senza sentirmi un riflettore puntato addosso.

Okay” sussurrò, prima di distogliere lo sguardo, imbarazzata.

Spalancai gli occhi, stupito. “Davvero?” domandai.

Lei annuì. “Almeno non ci disturberà nessuno. Qui mi sento osservata”.

Le strinsi più forte la mano e sorrisi. Non vedevo l’ora di poterla toccare, sfiorarle il viso, sentire di nuovo il sapore delle sue labbra.

Andiamo, allora” dissi.

Intercettato Mike, gli chiesi di accompagnarci alla mia cabina e lui eseguì immediatamente, scortandoci fuori dal club, fino all’ascensore. Non smisi mai di stringere la mano di Alice, nemmeno quando alcune ragazze mi fermarono per fare due chiacchiere. Scambiai due parole, cercando di essere gentile, poi mi affrettai a raggiungere l’ascensore. Arrivati al piano, uscimmo e Mike ci accompagnò fino alla porta della mia cabina.

Se hai bisogno, chiama” mi disse.

Io annuii. “Grazie”.

Lui fece un sorriso ad Alice e si dileguò.

Aprii la porta con la chiave magnetica che tenevo in tasca, la feci entrare e me la richiusi alle spalle.

Finalmente” mi lasciai sfuggire, non appena fummo soli.

Alice si voltò a guardarmi e sorrise. “Sì, finalmente”.

Feci un passo verso di lei. “Lo sai che sei particolarmente carina, stasera?” le dissi, ricambiando il sorriso.

Anche tu non sei niente male” confessò. “Mi piaci vestito elegante”.

Beh, grazie” risposi, onorato del complimento.

Lei mi osservò con attenzione, piegando leggermente la testa di lato, poi chiese “Com’è che gli altri avevano il papillon e tu no?”

Perché mi sarei sentito un pinguino” osservai.

Non è vero,” replicò “A.J. non sembrava un pinguino”. Poi, dopo averci riflettuto un istante, aggiunse “Forse Brian e Kevin un pochino sì, ma credo avesse più a che fare con la giacca bianca che con il papillon”.

Non riuscii a resistere e scoppiai a ridere e lei mi fece compagnia. Quando esaurimmo l’ilarità, mi avvicinai e le misi le mani sulla vita.

Ehi” sussurrai, guardandola negli occhi.

Ehi” fece lei, senza staccare gli occhi dai miei.

Mi abbassai leggermente, fino a posare la mia fronte contro la sua, e lei chiuse gli occhi. Staccai le mani dalla sua vita, per prenderle il viso e, finalmente, fare ciò che sognavo di fare da tutta la sera. Non appena le nostre labbra si incontrarono, mi sembrò di essere tornato a casa. Il momento non poteva essere più perfetto, ero esattamente dove avrei voluto essere, in pace con l’universo. Senza nemmeno rendermi conto di quello che stavo facendo, le feci scivolare le mani lungo il collo, affondandole nei suoi capelli, mentre approfondivo il bacio. Preso dalla passione, mi allontanai dalle labbra, scendendo lungo la mascella e trovandomi a baciarle il collo. Lei chiuse gli occhi, buttò indietro la testa e mi passò le mani tra i capelli. Stavo già spostandomi verso la spalla, quando realizzai cosa stava succedendo e mi bloccai di colpo. Stavo giocando col fuoco e sapevo che, se non mi fossi fermato in quel momento, non sarei stato più in grado di farlo. Alice aprì gli occhi e mi rivolse uno sguardo sorpreso, come se non capisse perché all’improvviso avessi smesso di fare quello che stavo facendo.

Sei sicura?” le chiesi, sfiorandole il viso con la punta di un dito. “Non voglio farti fare qualcosa che non ti senti”.

Lei sorrise. “Se non fossi stata sicura, non avrei oltrepassato quella porta” disse.

Le presi una mano e, posando l’altra sulla parte bassa della sua schiena, le feci fare un passo indietro, fino ad aiutarla a distendersi sul letto. Poi mi tolsi la giacca e, con qualche difficoltà, le sfilai i sandali, facendola sorridere. Quando mi sdraiai sopra di lei, ricominciando a baciarla, e sentii le sue mani che mi si posavano sul petto, iniziando ad armeggiare con i bottoni della camicia, chiusi gli occhi e mi lasciai sfuggire un sospiro. Non vedevo l’ora di poter esplorare ogni centimetro della sua pelle per sentirmi il più possibile vicino a lei e, considerato come le sue mani si erano infilate sotto alla mia camicia, cominciando ad accarezzarmi la schiena, doveva essere lo stesso per lei.

 

I've been thinking
Maybe you can
Help me write the story of my life
Hey what do you say?

(Story of My Life – Bon Jovi)
 

Ecco finalmente arrivato il momento in cui qualcosa si muove per i nostri due protagonisti. Alice ha modo di conoscere il vero Nick e scopre che, se Nick dei Backstreet Boys non è il suo tipo, forse NIck Carter potrebbe esserlo. C'è parecchio fluff in questo lungo capitolo ed è giusto che sia così. Ahimè - e ahiloro soprattutto - non sarà tutto rose e fiori. Soprattutto perché non si può restare in crociera per sempre... 
Spero sempre di leggere qualche commento da parte delle due sparute anime che stanno seguendo la storia. Mi farebbe piacere fare la vostra conoscenza, davvero. Resto in attesa di un miracolo...

  
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