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Autore: FrancescaPenna    21/09/2021    0 recensioni
Possono cinque ragazzi non ordinari sperare di trovare il loro posto in una società dove l'essenza viene spesso sottomessa all'apparenza, dove le persone rincorrono una perfezione che non esiste per sottrarsi ai pregiudizi?
Casey e Satèle Johns sono due gemelli albini.
Markus Lancaster ama la lettura e odia le persone.
Johnnie Bailey è silenzioso.
Angel Hassler è un maschiaccio.
Cinque ragazzini diversi con cinque vissuti diversi, che si affacciano al contesto delle scuole medie diventando i protagonisti del primo atto di una storia che parla di diversità, accettazione, amicizie e primi amori, ma anche di bullismo, famiglie disfunzionali, autolesionismo e disturbi mentali.
Una storia in cui impareranno a conoscersi per come appaiono agli occhi di tutti, ma anche e soprattutto per come loro stessi si sentono dentro: strani.
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: De-Aging, Kidfic | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 5 – Bulli, vittime e aiutanti

 

Finalmente un po' di libertà, pensò Casey. Era felice, anzi al settimo cielo: era sabato e stava aspettando i suoi genitori all’uscita posteriore, quella che affacciava sul parcheggio, pronto per tornare a casa.

In molti godevano di quella specie di privilegio. Questi attiravano l’invidia e il disprezzo di molti ragazzi che non avevano alcun permesso di uscire dal collegio, i quali puntualmente si affacciavano dalle finestre delle aule per tirare pallottole di carta, penne, matite e talvolta l’intero astuccio addosso ai Privilegiati, ai Settimana Corta come solevano definirli.

Casey aveva fatto appena in tempo a scansarsi prima che gli cadesse un compasso sulla testa.

Tutti sembravano avere qualcuno con cui chiacchierare, gli unici a essere rimasti soli erano lui e il ragazzino dai capelli corvini, che a quel punto dovevano essere naturali visto che non gli erano stati ancora rasati a zero. I riflessi blu zaffiro risaltavano ancora di più alla luce del sole e Casey li trovava bellissimi, magari li avesse avuti lui!

Anche il colore degli occhi di quel ragazzo era particolare: verde intorno alle pupille e azzurro ai bordi dell’iride. Aveva il viso dolce, quasi androgino, con le labbra carnose e il naso sottile, e il corpo minuto.

Casey pensò che gli si fosse ripresentata l’occasione perfetta per andare a parlargli ed ecco che insorse un nuovo impedimento: il clacson dell’auto dei suoi che aveva appena accostato per farlo salire.

Quando chiuse la portiera, Hannah e Brad ripartirono senza degnarlo di uno sguardo o di un saluto e Casey ritenne che i suoi fossero gli unici genitori a non strapazzare di baci e coccole un figlio che non avevano visto né sentito per una settimana.

Per fortuna sapeva di poter contare sulle attenzioni di Satèle, infatti non appena la porta d’ingresso si aprì la ragazza ebbe un tuffo al cuore e corse subito ad abbracciare suo fratello, che aveva l’aria stanca e un po' spaesata.

I suoi dovevano aver cambiato la disposizione dei mobili in salotto durante la sua assenza, il divano – che prima era attaccato alla parete – era stato spostato al centro della stanza, mentre il tavolo occupava il posto del pianoforte vecchio e sgangherato di Satèle, che invece era stato messo in un angolo.

“Patetici!”, commentò Coco. “Andatevene da un’altra parte, voi e le vostre smancerie!”

“Chiudi il becco”, la ammutì Satèle, che nonostante ciò accolse il suo (sgarbato) suggerimento e portò Casey nella loro cameretta.

Quella, invece, non era cambiata affatto. La prima cosa che Casey fece fu fiondarsi sul letto, riabbracciare la sua chitarra e aspettare che Akuma andasse a raggomitolarsi sul suo grembo per fargli le fusa.

“Le hai fatto la toeletta?”, chiese a sua sorella dopo aver notato quanto morbido e lucente fosse il pelo della gattina.

“Sì, e le ho anche tagliato le unghie. Sta dormendo con me e ieri sera ha avuto la brillante idea di arrampicarsi sulla mia spalla e conficcarmele nel collo. Ci mancava solo che me lo staccasse”, rispose Satèle un po' immusonita.

“Esagerata!”, disse Casey, trattenendosi dal ridere.

A riprova di quanto detto, Satèle passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, scoprendo le due croste di forma circolare che aveva sul collo. “Sembra che mi abbia morso un vampiro!”

A quel punto Casey non poté fare a meno di notare anche i suoi nuovi orecchini. Di primo acchito credette che fosse stata sua zia a portarla dal piercer, invece Satèle gli confessò di esserseli fatta da sola a casa, con l’ago da cucito.

“O facevo così o niente. Secondo mamma e papà non ho neanche il diritto di farmi passare uno sfizio, vogliono che faccia solo quello che dicono loro e come lo dicono loro. A te, invece, come va lì?”

Casey raggirò la domanda destando la preoccupazione della gemella, che conoscendolo meglio di chiunque riuscì a percepire la sua sofferenza.

Andò a sedersi accanto a lui sul letto e iniziò a massaggiargli le spalle aspettando che trovasse il coraggio di parlare. Quando venne il momento, Casey aveva la voce fioca. “Male”, rispose prima che le lacrime bagnassero la spalla di Satèle, sulla quale aveva poggiato la testa.

“Quel posto è un inferno, non si fa altro che studiare, la mensa è l’unico posto in cui i ragazzi e le ragazze possono stare insieme e non ci sono bidelli a pulire le aule, spetta a noi farlo anche quando non ce la sentiamo e la mia stanza sembra una stanza d’ospedale. C’è un ragazzo che mi odia e non so perché. Sto lì da pochissimo tempo e già non ce la faccio più!”

Satèle lo abbracciò forte e con una mano gli accarezzò i capelli, invece con l’altra prese un pacchetto di fazzoletti dal comò e gliene passò uno. “Coraggio, asciugati questi lacrimoni”, gli disse dolcemente.

Casey tirò su col naso e prese il fazzoletto. “Grazie, Sat. Scusami per lo sfogo.”

“Non devi, fratellino, per te farei questo e altro, lo sai. Adesso raccontami di questo stronzetto che ti infastidisce.”

Allora Casey le spiegò tutta la situazione che si era creata con Russell, partendo col descriverle le occhiatacce che gli aveva lanciato il primo giorno e finendo con lo scontro al distributore.

“E le suore non hanno fatto niente?” a Satèle sorse spontaneo chiedergli.

“Non erano presenti quando è successo, non si sono accorte di niente.”

“Nessuno più ha assistito alla scena?”

“Poche persone, ma da lontano. Probabilmente non ci hanno nemmeno sentiti.”

“Capisco, Casey, e mi dispiace tanto. Tu cerca di ignorare questo tizio, fai finta di non vederlo anche quando ti passa vicino.”

“Seguirò il consiglio”, concordò il gemello. “Grazie, Sat, non so come farei senza te.”

“Be’, come stai facendo dall’inizio del mese. Comunque sta’ tranquillo, non durerà per sempre.”

Ascoltandola e riflettendo su quanto aveva appena detto, Casey dedusse che sua zia le avesse parlato della sua idea, ossia di tirarlo fuori dal collegio, tuttavia aspettò che fosse Satèle ad aggiungere altro.

“Dimmi una cosa”, continuò, “per caso tu e zia Dia sapete qualcosa che io non so?”

“Più o meno”, disse Casey, “ma non voglio metterti altri pensieri in testa, al momento non c’è nulla di sicuro. Piuttosto parliamo di te, adesso.”

Satèle gli raccontò della scuola, dei professori – accennando anche a quel Miller a cui sembrava star simpatica –, dei compagni in generale e in particolare di Markus e Angel, ma decise di tacergli di Melissa e Kelly e delle loro frecciate.

Lei, a differenza del fratello, non si curava di curava di certe cose. Non erano quelli i suoi problemi prioritari.

Tutto ciò che voleva era semplicemente godersi quella giornata con Casey, e lo fece. Essa volò come è logico che sia quando ci si diverte e fece subito sera.

A cena, Hannah e Brad perseverarono col ribadire che iscrivere Casey all’Hamilton fosse stata un’ottima scelta, perché solo ricevendo un’istruzione di primo livello il ragazzo avrebbe realizzato il sogno di una vita.

Il loro sogno di una vita, però.

Hannah e Brad immaginavano per lui un futuro da avvocato, ma Casey non ci teneva proprio a essere sommerso di scartoffie, perciò quando loro gli dicevano frasi come “Lo facciamo per il tuo bene”, “Un giorno ci ringrazierai”, “Sarà merito nostro se diventerai qualcuno”, lui non li contraddiceva, ma si limitava a seguire uno dei consigli di sua zia: “A chi è troppo ottuso per ammettere un’opinione diversa dalla propria, tu dici sempre di sì e non fai peccato.”

Quando tutti ebbero finito di mangiare, Satèle sparecchiò la tavola e si accinse a lavare i piatti.

“Tu aspettami in camera, ti raggiungo appena finisco”, disse a Casey, ma lui prese un’altra spugna e rispose che non se ne sarebbe andato senza prima averla aiutata.

Poi venne il momento di andare a dormire e la prima cosa che Satèle fece non appena provò a scivolare sotto le lenzuola fu lamentarsi di quanto fosse freddo il proprio letto, che dei due era quello più vicino alla finestra e quindi più esposto al vento.

“Vieni nel mio, dormiamo insieme”, propose Casey, sapendo che l’avrebbe resa molto contenta. Quando erano più piccoli lo facevano spesso, soprattutto in inverno.

Il corpo di Casey emanava calore, a Satèle mancavano i suoi abbracci e lui la strinse forte prima che Akuma andasse a posarglisi su un fianco.

Il ragazzino pensò che sarebbe stato sicuramente più comodo senza un gatto addosso, ma poco gl’importava: adesso era vicino a sua sorella, la persona che amava più di ogni altra al mondo, e questo bastava a renderlo felice. Insieme erano come due immagini speculari che si completavano a vicenda.

Quella notte Casey e Satèle dormirono abbracciati, con i cuori che battevano all’unisono, i fiati che si combinavano.

Erano quelli i momenti in cui nessuno sarebbe mai riuscito a separarli.

 

A quel sabato seguì una domenica pressoché identica, alla quale seguì un odioso lunedì.

Casey era tornato in collegio, Satèle a scuola.

Prima di raggiungere gli amici, la ragazza voleva andare in bagno perché come al solito Coco le aveva lasciato pochissimo tempo per prepararsi.

Mentre percorreva il corridoio s’imbatté in un gruppetto di ragazzi più grandi, probabilmente di terza, che la fecero avvicinare con la scusa di volerle chiedere delle informazioni quando, in realtà, volevano solamente palparle il sedere.

Quando Satèle si accorse delle mani di uno di loro troppo vicine alle tasche posteriori dei propri jeans si divincolò e gli tirò un calcio negli stinchi, poi tirò dritta verso il corridoio che conduceva ai bagni e il ragazzo, rimasto con un pugno di mosche, fece altrettanto.               Melissa, che aveva seguito tutta la scena da lontano insieme alla sua amica-assistente Kelly e altre due ragazze, era consapevole che Satèle e quel tizio fossero entrati in due bagni diversi, lei in quello delle femmine e lui in quello dei maschi, tuttavia aguzzò l’ingegno e decise di apportare alcune modifiche alla vera versione dei fatti per compromettere la reputazione di quella che considerava la sua potenziale rivale.

“Fa sempre questo”, disse rivolta alle due ragazze.

“Chi, Satèle?”, chiesero entrambe.

“Eh già”, rispose Melissa. “Ogni giorno si fa toccare da un ragazzo diverso e poi si chiude in bagno con lui.”

“Davvero?”, strabuzzarono gli occhi le ragazze.

“Certo. Dico bene?” Melissa diede una spallata all’amica per ottenere il suo appoggio.

“Assolutamente!”, si affrettò ad assecondarla Kelly.

A quel punto le due ragazze si guardarono in faccia, entrambe sconvolte, dando a Melissa la conferma di aver abboccato alle sue parole.

È fatta, si disse la ragazza. Ormai bastava semplicemente che quelle due si facessero sfuggire – anche per puro caso – ciò che avevano sentito davanti a qualcuno e la vita scolastica di Satèle Johns sarebbe diventata un vero incubo.

O almeno, così sarebbe stato se Angel non si fosse trovata nei paraggi e avesse origliato tutte quelle calunnie sulla sua amica.

“Smettila!”, ordinò infatti a Melissa. “Satèle non fa nessuna delle cose che dici tu!”

Melissa e Kelly scoppiarono a ridere, sempre facendo quei versi da gallina che lei detestava.

“Veramente?”, la sfidò Melissa. “Perché noi, invece, l’abbiamo vista andare proprio verso i bagni, e possiamo dirti con sicurezza che era in compagnia di un ragazzo. Più grande, per di più.”

“Non significa niente”, ribatté Angel.

“Ah no?”, corrugò la fronte Melissa. “Andiamo, anche tu sai cosa fa la tua amichetta, è inutile che neghi. O forse lo fai solo perché sei gelosa che i maschi preferiscano infilarsi nei bagni con lei piuttosto che con te?” Guardò il cavallo dei pantaloni di Angel e aggiunse: “Non li biasimo, probabilmente ti scambiano per una di loro.”

Melissa e Kelly uscirono di scena sghignazzando come era loro solito fare, invece le due ragazze indugiarono sul da farsi. Potevano scegliere tra due opzioni: camminare in direzione opposta o seguire Melissa e Kelly. E alla fine scelsero Melissa e Kelly.

Angel rimase ferma a guardarle pensando a tante brutte parole che avrebbe voluto dire. Proprio in quel momento le si avvicinò Satèle che era appena uscita dal bagno e aveva visto la finta bionda e la sua assistente andarsene.

“Cosa voleva Melissa da te?”

“Da me niente, sono solo intervenuta perché quella gallina spennacchiata stava dicendo cose brutte su di te.”

“Ovvero?”

“Che ti fai toccare il culo dai maschi e vai in bagno con loro.”

Un brivido freddo percorse la schiena di Satèle, una patina di lacrime le offuscò la vista, voleva piangere. Lei, che due giorni prima aveva detto a suo fratello che bastava semplicemente infischiarsene, in quel momento voleva piangere per lo stesso motivo che causava dispiacere a lui, ma allo stesso tempo non voleva mostrarsi vulnerabile.

“M-ma n-non è vero!” balbettò, la voce smorzata dalle lacrime che non voleva versare.

“Lo so, tranquilla, infatti gliel’ho detto. Non darle retta”, la rincuorò Angel.

“Okay, ma se andasse a dirlo a qualcuno?”

“Solo gli stupidi le crederanno, ma dagli un paio di giorni di tempo e vedrai che avranno pure dimenticato tutto. Dico sul serio, Satèle, lasciale credere ciò che vuole. Tu sai qual è la verità, e la so anch’io.”

“Grazie, Angel”, rispose Satèle, abbracciandola.

“È a questo che servono gli amici”, alzò le spalle la ragazza.

Nel mentre la campanella suonò e i corridoi si svuotarono.

“Meglio andare in classe”, notò Satèle. Prese per mano Angel e iniziarono a dirigersi verso l’aula di storia. Guardò alla propria destra, dove solitamente camminava Markus, ma stavolta lui non c’era.

Chiese sue notizie a Angel, lei disse: “Non so proprio dove sia.”

 

Markus odiava sentirsi in quel modo: fiacco, rimbambito, nervoso. L’ennesimo tentativo di provare a dormire era fallito, quella notte le manette, la stanza buia e le grida erano tornate a fargli compagnia.

A stento riusciva a tenere gli occhi aperti e le gambe avrebbero potuto cedergli da un momento all’altro, doveva assolutamente bere qualcosa per tenersi sveglio o avrebbe rischiato di addormentarsi e poi svegliarsi urlando in classe.

Aveva ancora qualche minuto libero, perciò si diresse in sala professori e, sapendo che a quell’ora non vi avrebbe trovato nessuno, entrò e tracannò uno dopo l’altro e con una voracità tale da farsi lacrimare gli occhi i tre bicchieroni di caffè lasciati incustoditi sul tavolo.

All’improvviso udì dei passi, allora se la svignò e filò dritto in classe, dove trovò Angel e Satèle. Alla sua candida amica brillarono gli occhi non appena lo vide.

Durante la lezione, Markus non riuscì a stare fermo sulla sedia. Tamburellava continuamente le dita sul banco, dondolava le gambe, volgeva lo sguardo ovunque e mai dritto davanti a sé. Aveva assunto troppa caffeina.

“Tutto okay?”, gli domandò Satèle, che standogli seduta accanto fu la prima ad accorgersi degli effetti collaterali. “Ti vedo agitato stamattina.”

“È una lunga storia”, tagliò corto Markus, pensando che se gliel’avesse raccontata avrebbe corso un rischio gravissimo: perderla.

 

“Quanto è carino, vorrei tanto andare da lui e dirgli che mi piace!”, confidò Sarah Green alla sua amica Karen Armstrong mentre raggiungevano lo spogliatoio.

Russell sapeva perfettamente a chi si stessero riferendo, tuttavia Jack decise di ribadirglielo.

“Stanno parlando di Casey.”

“Sciocche! Sbavano dietro a quel coso quando io sono molto meglio!” replicò infastidito l’altro. “Devo assolutamente farmi notare.”

“Hai un piano?”, chiese curioso Jack.

“Certo. Devo semplicemente… eliminare la concorrenza!”. Lo sguardo bieco di Russell e il suo sorriso sornione portarono Jack a chiedergli: “Come?”

“Ora abbiamo educazione fisica e dobbiamo andare in cortile, lì ti farò vedere come”, rispose Russell. “Per il momento va’ a posarmi i libri, su!”, ordinò poi al suo servo-più-che-amico, schioccando le dita dopo avergli passato una grossa pila di materiale didattico.

 

Casey si era messo in disparte con la schiena appoggiata alle mura esterne dell’edificio, una tettoia gli proteggeva la testa dai raggi solari ai quali non poteva esporsi senza rischiare di ustionarsi.

Essendo a conoscenza della sua situazione, l’insegnante lo aveva esonerato dalle attività all’aperto, tuttavia ci teneva a farlo rimanere nei paraggi.

Così, mentre i suoi compagni giocavano una partita di pallavolo, lui iniziò a immaginare quanto sarebbe stata diversa la sua vita se fosse nato con i capelli neri, castani, biondi o addirittura rossi come gran parte degli irlandesi.

Ma se avesse avuto i capelli rossi – pensò anche – avrebbe rispecchiato lo stereotipo dell’irlandese medio con i capelli rossi, gli occhi verdi e il viso ricoperti di efelidi, e lui detestava gli stereotipi perché privavano le persone della facoltà di scegliere in completa autonomia.

Iniziò a considerare l’idea di trascrivere quella riflessione sul proprio diario, una volta salito su in camera, ma ecco che all’improvviso si trovò vincolato da Russell e il suo amico Jack Duncan, che gli si erano avvicinati con scaltrezza approfittando del fatto che l’insegnante gli avesse dato il cambio con altri due giocatori e che gli stavano attualmente coprendo la visuale.

“Ma guarda chi si vede: Casey Johns, il rubacuori del collegio!”, lo stuzzicò Russell, ponendo l’accento sulla parola “rubacuori” e sogghignando subito dopo.

“Che vuoi?”, lo incalzò Casey, le braccia conserte.

“Oh-oh, siamo nervosetti stamattina.” Russell gli pizzicò una guancia, modulando una voce quasi bambinesca.

Casey allontanò la sua mano colpendola con un leggero schiaffo. “Lasciami in pace, idiota!”

“Ehi, Testa Bianca, come ti permetti di chiamare così il mio amico?”, gli si scagliò contro Jack, tirandogli i capelli.

Casey contrasse il viso in una smorfia di dolore e Russell lo sollevò per il mento, tranquillizzando il suo scagnozzo dicendogli: “Adesso questo stronzetto me la pagherà!”

Casey fece oscillare gli occhi – l’unica parte del corpo che poteva muovere, visto che quei due l’avevano bloccato – in ogni direzione possibile, sperando nell’aiuto dell’insegnante, ma Suor Agatha era troppo concentrata sul sudoku per prestare attenzione a un proprio alunno.

Infine il ragazzo abbassò lo sguardo sulla mano di Russell e vide che indossava – sebbene fosse proibito dal regolamento – un costosissimo orologio da polso, che gli venne sottratto poco dopo da qualcuno.

Russell mollò la presa su Casey e l’albino ruotò la testa verso sinistra, dove Bailey, il ragazzo dai capelli corvini, se ne stava con un braccio sollevato e il cinturino dell’orologio stretto fra pollice e indice.

“Ehi, tu, ridammelo subito!”, gli ordinò Russell. Si protese verso di lui per riprendere l’oggetto, ma prima che potesse riuscirci il corvino lo buttò a terra e lo calpestò ripetutamente, riducendolo in pezzi.

“L’hai rotto!”, gridò Russell, con un tono di voce che rasentava la disperazione.

Il corvino gli rivolse un sorrisetto vendicativo e Casey coprì la bocca con le mani per reprimere una risata.

Russell se ne accorse e serrò i pugni, minacciando di spaccare la faccia a Casey prima di tentare di colpirlo, ma il corvino gli si parò davanti facendogli da scudo.

“Bastardi!”, tuonò Russell prima di andarsene insieme a Jack.

Poi Suor Agatha si decise a utilizzare il fischietto e Bailey corse a dare il cambio a un compagno.

Casey provò a fermarlo, gli gridò di aspettare perché desiderava come minimo ringraziarlo e chiedergli finalmente come si chiamasse, ma fu troppo tardi.

Iniziò a chiedersi se fosse stata solo una banale coincidenza che quel ragazzino si fosse trovato lì o se fosse accorso volontariamente in suo aiuto.

O forse – altra ipotesi che Casey ritenne plausibile – quello era stato un modo per dimostrargli complicità, forse la rottura dell’orologio di Russell sarebbe stata una tappa fondamentale per l’inizio di un’eventuale amicizia.

Casey promise a se stesso che non avrebbe mai perso di vista quel ragazzo, esattamente come Suor Elizabeth non perdeva mai di vista un potenziale addetto alle pulizie.

 

Avendolo visto senza far niente in cortile, Suor Elizabeth aveva mandato Casey a pulire le aule e lui aveva da poco finito di lavare tutti i pavimenti del primo piano. Si trovava in bagno e non vedeva l’ora di togliersi i guanti che odoravano di detersivo. C’erano anche alcuni suoi compagni di classe che parlavano tra loro e tutto proseguiva tranquillo fino al momento in cui non arrivò Russell con Jack e Jimmy al suo seguito. Punto il dito contro Casey e disse: “Ecco qui il nostro Cenerentolo!”

I primi a ridere furono i suoi tirapiedi, poi si aggiunsero tutti gli altri.

“Non temere, adesso verrà la fata madrina che trasformerà la tua uniforme in un abito da sera e te in un bel ragazzo!”, lo canzonò Jack.

“Già”, gli fece eco Jimmy, “e chiedile anche di colorarti i capelli, così non li avrai più bianchi!”

Altre risate, sempre più rumorose, sempre più cattive.

Un ragazzo di nome Robert si avvicinò a Casey per dargli una pacca su una spalla e aggiunse: “Ha ragione. Copriteli, non ti si può guardare.”

Tutta la combriccola uscì dal bagno con lo sguardo fiero e divertito, pensando al povero Cenerentolo e dando il cinque a Russell per aver coniato quel soprannome.

A Casey venne voglia di piangere, non riusciva a spiegarsi come mai tutti sembrassero avercela con lui.

Era troppo stanco per difendersi, troppo stanco per reagire. Desiderava solo che qualcuno gli dicesse che quella non era la vita vera, ma soltanto un incubo da cui si sarebbe risvegliato un giorno.

Mentre le sue lacrime si mescolavano all’acqua che scorreva dal rubinetto, Casey chiuse gli occhi e affondò i denti nel labbro inferiore, negandosi i singulti e pregando che sua zia lo liberasse al più presto.

   
 
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