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Autore: Nana_13    22/09/2021    0 recensioni
- Terzo capitolo della saga Bloody Castle -
Dopo aver assistito impotenti allo scambio di Cedric e Claire, i nostri protagonisti si ritrovano a dover fare i conti con un epilogo inaspettato.
Ciò che avevano cercato a tutti i costi di evitare si è verificato e ora perdonare sembra impossibile, ogni tentativo di confronto inutile. Ma il tempo per le riflessioni è limitato. Un nuovo viaggio li attende e il suo esito è più incerto che mai. Pronti a scoprire a quale destino andranno incontro?
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 16

 

Buon Natale


Non appena furono al sicuro dietro la parete che isolava il laboratorio dal resto della grotta, Margaret iniziò frenetica a radunare tutto ciò che riteneva avrebbe potuto tornare utile a Rachel, infilandolo in fretta e furia dentro una sacca di stoffa. “Svelta, prendi quelle radici sul tavolo, laggiù!” la sollecitò, continuando a correre a destra e a manca.

Nonostante il panico, lei cercava di starle dietro come poteva.

“Come diamine hanno fatto a trovarci?” chiese Cedric, spaventato quanto gli altri. 

La domanda però si perse nell’aria, anche perché nessuno conosceva la risposta. Al momento la necessità impellente era andarsene da quel posto il più rapidamente possibile. Il punto da chiarire era il come. Da lì non c’erano altre uscite, a parte quella da dove erano appena venuti, e sicuramente dall’altra parte del muro avrebbero trovato i vampiri ad aspettarli. Non avevano vie di fuga, erano in trappola.

Afferrato il grimorio, Margaret lo mise nelle mani di Rachel insieme alla borsa stracolma di roba. “In queste pagine c’è tutto ciò che ti serve. Portalo sempre con te, non perderlo mai. È fondamentale.” si raccomandò.

“Aspetta, che vuol dire?” Lei la fissò spaesata. “Perché lo dai a me? Tu verrai con noi, puoi tenerlo tu…”

La donna scosse la testa, prima di prenderle il viso tra le mani affinché la guardasse dritto negli occhi. “Ascoltami. Qualunque cosa accada, non dimenticare mai ciò che ti ho insegnato. Credere in se stessi è la prima regola…”

Rachel però non riusciva a capire il perché le stesse dicendo quelle cose, nonostante un brutto presentimento iniziasse a farsi strada dentro di lei. Presentimento che si acuì quando Margaret si scostò, prendendo posto al centro della stanza. 

“No! Non puoi farlo, ti ucciderà!” protestò Ayris, afferrando al volo le sue intenzioni.

Lo sguardo di Rachel scattò verso la sua maestra. “Che significa? Cosa vuoi fare?” 

“Aprirò un portale nella parete.” spiegò sbrigativa. 

Ayris allora la tirò per un braccio, decisa a fermarla. “Non te lo permetterò!” 

“È l’unico modo per andarvene da qui!” replicò Margaret, liberandosi dalla sua presa con uno strattone; poi chiuse gli occhi e tese le braccia in avanti. “Spero solo mi sia rimasta abbastanza energia.” Dopo un profondo respiro, prese a mormorare parole indistinte, finché,  trascorso qualche attimo in cui non accadde nulla, al centro della parete non iniziò a intravedersi un puntino luminoso. Pian piano si allargò sempre di più, trasformandosi in una voragine vorticante e un vento impetuoso investì i presenti, che cercarono di ripararsi come potevano. Soltanto Margaret rimase dov’era, immobile, i lunghi capelli castani che svolazzavano intorno al suo viso. 

Alla fine riaprì gli occhi e ammirò la sua opera, prima di venire colta da un mancamento e accasciarsi a terra.

Ayris si precipitò subito accanto a lei, seguita a ruota da Rachel.

“Che cos’hai?” chiese allarmata.

“Fate presto, non riuscirò a tenerlo aperto ancora per molto…” mormorò Margaret in un fil di voce. 

Rachel, però, non voleva saperne di lasciarla e disperata tentò di spingerla a reagire. “Forza, alzati! Devi venire con noi, non puoi restare qui…”

“No, il mio tempo è finito. Rachel, devi sbrigarti…”

Lei continuava a scuotere la testa, rifiutandosi di accettarlo. Come avrebbe fatto senza i suoi consigli e la sua esperienza? Non aveva la minima speranza di cavarsela da sola. “Non posso, non sono in grado…”

Margaret le rivolse un flebile sorriso d’incoraggiamento. “Certo che puoi. Puoi e devi farlo. Segui l’istinto e fidati del tuo potere, vedrai che andrà tutto bene.” Una lacrima furtiva le scese lungo la guancia mentre lo diceva. “Mi dispiace… Vorrei che avessimo avuto più tempo…”

Furono le ultime parole che le sentì pronunciare, mentre vedeva le forze abbandonarla pian piano, tanto da non riuscire più neppure a mantenere la finta parete che li separava dai loro inseguitori, che di punto in bianco sparì.

“Ray, dobbiamo andare! Vieni!” la incitò la voce di Mark alle sue spalle e, quando la afferrò per un braccio nel tentativo di trascinarla via, oppose resistenza. Pianse disperata, stringendo il grimorio al petto, ma alla fine non poté fare altro che cedere…

 

Il portale si richiuse una manciata di secondi dopo averli risputati in una radura coperta di neve e circondata da abeti. 

Rachel si ritrovò a terra carponi, il corpo scosso da forti tremiti. Sconvolta, non riusciva a trovare nemmeno la volontà di alzarsi in piedi. Davanti agli occhi aveva ancora l’immagine di Margaret che si accasciava al suolo, ormai prosciugata di tutte le energie.

-Devi credere in te stessa. È la prima regola…

Ma come avrebbe potuto ora che l’unica persona in grado di aiutarla l’aveva abbandonata? Margaret era stata per lei quanto di più simile alla madre che non aveva mai avuto. L’aveva seguita, incoraggiata, messa in croce a volte, ma solo grazie alla sua guida era riuscita a superare i propri limiti mentali, crescendo più in quelle poche settimane che in diciotto anni di vita. Si era sentita considerata, protetta. Ora, invece, era di nuovo sola e con una responsabilità enorme sulle spalle. Quella consapevolezza le riempì di nuovo gli occhi di lacrime, che scesero a rigarle il volto intirizzito.

A differenza sua, gli altri avevano già reagito al cambiamento e cercavano di orientarsi.

“Ovviamente è inutile chiedere dove siamo finiti.” commentò Cedric, guardandosi intorno spaesato mentre si teneva il braccio dolorante.

“A giudicare dal paesaggio e dal clima non molto lontano.” osservò Dean in risposta.

Un profondo senso di sconforto aveva invaso Juliet fin dal primo istante in cui aveva toccato terra. Era successo esattamente ciò che aveva temuto di più. Da un momento all’altro erano di nuovo chissà dove, privi di riferimenti e di tutta la loro roba, rimasta nel cottage di Margaret. D’istinto le venne subito da piangere e non fece nulla per trattenersi. Poi sollevò lo sguardo sull’amica e si rese conto che la sua sofferenza doveva essere nulla in confronto a quello che stava passando lei. 

“Com’è potuto succedere?” chiese Mark avvilito. “Insomma, come ci hanno trovato? Cedric non aveva neanche più quel tatuaggio addosso…”

Dean scosse la testa, confuso quanto loro. “Non lo so.” Fu l’unica risposta che riuscì a dare. Gli venivano in mente un paio di ipotesi, ma erano tutte talmente inverosimili che lui per primo non riusciva a prendere in considerazione. L’unica certezza era che, quando aveva alzato la testa, Mary e Byron erano lì, insieme. Non era mai accaduto da che ne avesse memoria. Se li avessero catturati sarebbe stata la fine, perciò non si era posto tante domande. Una volta aperto il portale, assicuratosi che la mano di Juliet fosse ben stretta nella sua, si era praticamente tuffato con lei, lasciandosi il pericolo alle spalle. Ripensandoci adesso, forse si era comportato un po’ da egoista, ma lì per lì l’istinto di sopravvivenza aveva prevalso.

“Ne sei proprio sicuro?” fece allora Mark, prendendolo alla sprovvista. “Non è che magari c’entra il fatto che sei andato in città quella mattina? Potrebbero averti visto.”

“Giusta osservazione.” concordò Cedric, lanciandogli subito un’occhiata piena di sospetto.

Dean, però, li fermò prima che potessero continuare. “È alquanto improbabile.” replicò secco. 

“Ma non impossibile. Magari si trovavano già lì e gli è bastato seguirti fino alla scogliera. Poi non hanno visto niente per via dell’incantesimo protettivo e si sono accorti di noi solo giorni dopo.” ricostruì Mark, che dall’insistenza sembrava intenzionato ad accusare Dean a tutti i costi. “Non dirmi che non ci hai pensato.”

“Certo che ci ho pensato, ma posso assicurarti che non è così. Sapevo di correre dei rischi, quindi sono stato attento molto più del necessario. Non c’era una sola persona sospetta e, fidati, se ci fosse stata me ne sarei accorto.” 

“Ciò non toglie che avresti potuto evitare.” ribatté Mark imperterrito. “Te l’avevo detto che non era una buona idea, ma tu niente. Devi sempre fare di testa tua.”

Era la prima volta in assoluto che lo vedeva comportarsi in quel modo e Juliet ne rimase colpita. Perché era tanto convinto che la colpa fosse sua? La cosa la infastidiva parecchio, soprattutto sapendo che l’unica ragione per cui aveva rischiato così tanto era stato per lei, per comprarle quel regalo. Il primo impulso fu quello di intervenire per difenderlo, ma non ce ne fu bisogno perché Dean, altrettanto risentito, provvide da sé.

“Te lo ripeto, non ho ragione di credere che mi abbiano seguito.” ribadì deciso, pur mantenendo il suo solito contegno. “Piuttosto, parliamo di quello che hai fatto tu. Se non avessi assillato Rachel con le tue manie da fidanzato iperprotettivo, non sarebbe mai esplosa e la barriera che impediva di vedere la casa sarebbe rimasta in piedi. Quindi forse dovresti riflettere prima di lanciare accuse senza fondamento.” 

“Proprio tu parli? Voglio vedere cosa avresti fatto al mio posto!” gli fece eco Mark, visibilmente offeso. 

A quel punto, Juliet non riuscì più a tacere. “Basta, fatela finita! Non è questo l’importante adesso! Siamo nel bel mezzo del nulla e voi pensate solo a darvi la colpa a vicenda? Ma che vi dice la testa?” strillò, quasi sull’orlo di una crisi isterica. Se avesse assistito a un altro minuto di quell’assurda discussione, era certa che li avrebbe picchiati uno per uno. 

Il suo intervento ebbe l’effetto di scuotere Rachel, che fino a quel momento era rimasta immobile nello stesso punto in cui si era ritrovata dopo aver attraversato il portale, troppo sconvolta per badare ai loro litigi. Solo allora realizzò che non ne poteva più, che doveva andarsene. Neanche lei sapeva dove, l’importante era allontanarsi da quel posto e da loro. Così si alzò in piedi, senza smettere di stringere il grimorio come se ne andasse della sua vita, e si incamminò verso ignota destinazione.

Naturalmente Mark fu il primo ad accorgersene. “Ray.” la chiamò, non ottenendo però alcuna risposta. Allora si decise a seguirla, imitato dagli altri. “Dove stai andando?” 

Niente. Rachel lo ignorò, continuando per la sua strada. Per qualche strano motivo era convinta che prima o poi l’avrebbero lasciata in pace, che avrebbero smesso di starle attaccati come calamite. Invece no, si ostinavano a seguirla, come se avesse bisogno della balia. 

Quando alla fine sentì la mano di Mark sfiorarle la spalla, non riuscì più a trattenere la rabbia e si voltò fulminea verso di loro. “Statemi lontano! Non voglio che succeda di nuovo!” gridò furiosa, la voce rotta da singhiozzi incontrollabili. La realtà era che aveva il terrore di far loro del male, di fare del male a Mark. Sulla spiaggia il suo potere era fuoriuscito da lei in maniera del tutto irrazionale, stavolta provocando un disastro. Era colpa sua se Cedric si era fatto male, colpa sua se avevano dovuto lasciare Margaret, se era stata costretta a sacrificarsi. D’improvviso il peso del rimorso la aggredì, schiacciandola come un macigno, e cadde in ginocchio nella neve, interrompendo quel suo folle vagare.

Senza tenere conto della sua richiesta, Mark le fu subito accanto e la abbracciò, sostenendola mentre scoppiava in un pianto disperato. “Tesoro mio…” Prese a sussurrarle parole di conforto, cercando allo stesso tempo di calmare i tremori che l’avevano assalita. 

“Non succederà, Ray. Non ci farai del male.” Nonostante anche lei fosse preda della tristezza, Juliet tentò di rassicurarla come meglio poteva, accarezzandole la spalla per infonderle calore. Vederla in quello stato la straziava e si sentì una stupida per non aver dato priorità a lei, invece di assecondare gli inutili battibecchi dei ragazzi. A giudicare dalle espressioni che vide dipinte sui loro volti, probabilmente al momento quello era il pensiero comune.

Rachel tuffò il viso contro il petto di Mark, trovandovi rifugio. “Doveva restare con me… L’aveva promesso…” continuava a ripetere tra le lacrime, finché pian piano i singhiozzi si fecero meno frequenti e anche i tremori cessarono. 

Quando ebbe la certezza che si fosse calmata, Dean pensò che fosse il caso di prendere in mano la situazione. “Mi dispiace. Non voglio essere inopportuno, ma non possiamo fermarci. Non so se Byron sia in grado di riaprire il portale, ma se dovesse riuscirci sarà meglio non farsi trovare qui.” disse nel tono meno invasivo possibile.

Era la verità e, per quanto scomoda fosse, dovettero accettarla. Così, dopo aver aiutato Rachel a rialzarsi, Mark gli rivolse uno sguardo di scuse, che Dean ricambiò senza fiatare. Non c’era bisogno di aggiungere altro e, una volta chiariti, si strinsero nei cappotti, avviandosi lungo il sentiero tra gli abeti.

“Sapete una cosa? Io comincio a odiarli questi dannati portali.” esordì Cedric seccato dopo diversi minuti di cammino. “Mai una volta che finiamo, che so, in una località turistica per ricconi con alberghi extralusso e locali notturni. No, noi finiamo nei boschi, sempre…”

“Okay, Ced. Niente più campeggio per te.” tagliò corto Mark, al momento poco incline all’ironia.

Lui annuì convinto, stringendo i denti per il freddo. “Ci puoi scommettere.” 

Per loro fortuna non passò molto tempo prima che si iniziasse a intravedere, in lontananza, una distesa di tetti con i comignoli che buttavano fumo, segno che fossero vicini a un villaggio. 

“Potremmo provare a chiedere ospitalità in un pub o in una locanda.” propose Mark, stringendo di più Rachel a sé per scaldarla. 

“Pur volendo, non abbiamo soldi.” fece notare Juliet amareggiata, sebbene non bramasse altro che una tazza di tè fumante e un caminetto acceso.

“Faremo leva sulla loro pietà.” replicò Dean in tono secco, muovendosi per primo in direzione delle case. A giudicare dal colore del cielo, presto avrebbe ripreso a nevicare ed era meglio sbrigarsi a trovare riparo.

In giro non c’era molta gente, ma dal contesto generale e dopo aver visto la vetrina di un negozio che vendeva kilt, realizzarono con un certo sollievo di trovarsi ancora in Scozia, pur non sapendo con esattezza dove. -Rosehall Inn- lessero subito dopo sulla facciata di un piccolo albergo. Doveva trattarsi del nome del villaggio. 

Al primo locale disponibile non si fecero troppi problemi ed entrarono, venendo subito accolti dal calore e l’allegria del tipico pub scozzese, con il bancone in legno e gli sgabelli foderati in pelle. Le pareti erano piene zeppe di oggetti di varia natura, messi sugli scaffali senza seguire un ordine preciso, e dietro al bancone una lunga fila di bottiglie contenenti vari liquori. Il tutto aveva un’aria invitante e accogliente, una mano santa per i loro corpi infreddoliti.

Non era particolarmente pieno, così si sedettero al tavolo più vicino possibile al fuoco. Poco dopo, un omone barbuto con due grandi baffi si avvicinò per salutarli e prendere le ordinazioni. “Salve ragazzi, cosa vi servo?” domandò gioviale. 

Cedric gli rispose accennando un sorriso. “Qualunque cosa, basta che sia caldo.” 

L’omone allora ridacchiò, scrivendo rapido sul taccuino. “Okay, ci penso io.” Poi fece per andarsene, ma Juliet lo fermò.

“Aspetti. Penso sia meglio dirglielo subito, non abbiamo soldi con noi.” lo informò, non senza provare una punta di vergogna. 

Alla sua espressione perplessa, cercò di arrangiare una spiegazione inventandosi di essere turisti americani in vacanza nei dintorni e di essere stati derubati. “Guardi cosa hanno fatto al mio amico.” aggiunse, approfittando dello stato di Cedric per rendere il tutto più credibile. 

“Oh, mi dispiace.” disse il barista, aggrottando la fronte. “Di solito qui è sempre tranquillo, siete stati sfortunati. Comunque, a pochi metri c’è il commissariato. Se volete…” 

“Molte grazie, domani andremo senz’altro.” lo interruppe Dean. “Intanto però ci chiedevamo se sarebbe così gentile da indicarci un posto dove passare la notte.”

“Potete restare da me. Ho un paio di stanze libere di sopra.”

“Davvero?” Juliet non riusciva a crederci. “E ci ospiterebbe gratis?”

Nel vedere le loro facce speranzose con gli occhi che brillavano, l’omone proruppe in una grassa risata, per poi cingerle le spalle con uno dei suoi braccioni possenti. “Certo, ci mancherebbe! È la vigilia di Natale per la miseria, potrei mai dirvi di no?” 

Solo allora si accorsero che, in effetti, il locale era addobbato con ghirlande e altre decorazioni natalizie che prima non avevano notato per la fretta di trovare ristoro accanto al caminetto. Venirlo a sapere così li colse tutti un po’ di sorpresa. Ormai vagavano in giro per il mondo da talmente tanto che avevano perso la cognizione del tempo e i giorni sembravano tutti uguali. L’arrivo del Natale significava che erano trascorsi ben sei mesi da quando avevano lasciato Greenwood. 

-Già sei mesi- D’istinto Juliet alzò lo sguardo, incontrando quello di Rachel e dei ragazzi e scoprendoli altrettanto malinconici. Probabilmente anche loro avevano subito associato al Natale il ricordo delle cene in famiglia, dell’atmosfera calda e rassicurante di una casa. Tutte cose di cui sentiva la mancanza ogni giorno di più.

La voce tonante del padrone della locanda la distolse da quei pensieri infelici. Raccomandò loro di riscaldarsi davanti al fuoco mentre aspettavano che tornasse con le ordinazioni, dopodiché si allontanò verso il bancone.

“Dopo questa ho decisamente ritrovato fiducia nell’umanità.” li informò Cedric, una volta soli.

Accanto a lui Mark piegò appena le labbra in un sorriso mesto. “Fossero tutti così.” commentò, prima di tornare alle questioni importanti. “Okay, per stanotte siamo apposto. Poi che si fa?”

“Tutta la nostra roba è rimasta da Margaret.” disse Juliet affranta. “I vestiti, le collane delle sorelle Danesti…” –Il mio diario- aggiunse mentalmente. Per fortuna che almeno non si era mai tolta il ciondolo con la stella polare che le aveva regalato Dean. Non avrebbe sopportato di perdere anche quello.

“Siamo ancora in Scozia. Magari potremmo provare a tornare lì.” propose Cedric.

Dean però scosse la testa, mostrando subito il suo dissenso. “No, è escluso. Mary e Byron lo avranno previsto e tornare indietro significherebbe cadere nella loro trappola. Sarebbe un rischio inutile.”

“E allora cosa proponi, sapientone? Non possiamo scroccare vitto e alloggio all’infinito.” gli fece notare Cedric in tono acido.

Assorto nelle sue riflessioni, Dean non lo guardò nemmeno. Un’idea gli ronzava in testa già da un po’, da quando erano sbucati fuori dal portale per l’esattezza, idea che più passava il tempo e più diventava concreta. “Un’alternativa potrebbe essere tornare dagli Jurhaysh.” 

Come prevedibile, la sua uscita provocò la perplessità generale, ma nessuno fece in tempo a replicare perché nello stesso momento arrivò di nuovo l’oste con un vassoio carico di tazze di tè fumante, tramezzini e altre sfiziosità per ristorarli. “Ecco qua.” Appoggiò il vassoio sul tavolo, lasciando che si servissero.

“Grazie mille, signore.” gli disse Cedric, attaccando subito con un tramezzino.

“Figuratevi.” ricambiò lui, mentre si strofinava le mani sul grembiule che portava legato attorno alla vita; poi la sua attenzione si concentrò meglio sul brutto taglio sulla sua fronte. “Quello è meglio se lo disinfetti. Matilda!” tuonò subito dopo e il viso di una ragazza sbucò da dentro la cucina. “Porta del disinfettante e qualche cerotto!”

Quando di lì a poco lei arrivò al tavolo con quanto richiesto, Juliet la ringraziò, dicendo che ci avrebbe pensato lei.

“Fate con comodo. Quando avete finito, venite da me per le chiavi delle stanze.” disse l’omone, prima di congedarsi. 

Dopo averlo ringraziato ancora per la sua generosità, poterono tornare sull’argomento lasciato in sospeso. 

“Ci hai pensato bene? Ho seri dubbi che ci riaccoglieranno a braccia aperte dopo quello che è successo.” obiettò Mark, mantenendo la voce bassa per non attirare attenzioni indiscrete. “Ci credono responsabili della morte di Jamaal e inoltre ti ricordo che sospettano di te. Non eri tu quello che voleva andarsene prima possibile per evitare il linciaggio?”

Dean annuì. “Vero, ma al momento non vedo altre soluzioni. Ci serve un posto tranquillo e familiare dove Rachel possa lavorare alla pozione, e il villaggio degli Jurhaysh è l’unico che risponde a tali requisiti. Se poi tu hai un’idea migliore…” ribatté, restando in attesa. 

Mark però non ne aveva, così come tutti gli altri, quindi si limitò al silenzio, anche se gli si leggeva in faccia che non fosse per niente convinto. 

Dal canto suo, invece, Rachel si scoprì d’accordo con la proposta di Dean. “Non c’è altro da fare. Dobbiamo tornare da loro.” esordì, aprendo bocca per la prima volta dalla crisi di pianto che l’aveva travolta nel bosco. Dentro si sentiva ancora a pezzi e le sarebbe servito del tempo per superare il dolore di quei momenti, ma ora doveva reagire. Margaret le aveva affidato un compito e lei intendeva portarlo a termine. Doveva farlo per la sua maestra, affinché il suo sacrificio non fosse stato vano.

“Ray, non credo sia il caso…” fece per replicare Mark.

“Lo è eccome, invece.” lo interruppe. “Margaret non c’è più e l’unica persona in grado di aiutarmi con la pozione è in quel villaggio, perciò io dico di rischiare.” sentenziò risoluta. Quel poco che Margaret era riuscita a insegnarle sulle pozioni non era certo sufficiente a fare di lei un’esperta, quindi Laurenne era la sua sola speranza.  

“Sì, ma come facciamo a spostarci? Non abbiamo un soldo e direi che andare a piedi è fuori discussione.” osservò giustamente Cedric, sussultando per il dolore quando il tampone imbevuto di disinfettante toccò la ferita.

Juliet trasalì insieme a lui. “Scusa.” 

“Ci vorrebbe la mappa dei portali, se non fosse che è rimasta al cottage insieme a tutto il resto.” rifletté Dean. 

A quel punto, allora, Mark si mise una mano in tasca, traendone subito fuori la vecchia pergamena sgualcita che Najat aveva consegnato loro prima della partenza e appoggiandola sul tavolo sotto i loro sguardi sbalorditi. “Visto che ultimamente non si sa mai cosa può succedere, ho pensato di tenerla sempre con me. Per ogni evenienza.” 

“Tu sei un genio. Te l’ho mai detto?” fece Cedric, strabuzzando gli occhi.

L’amico accennò un leggero sorriso consapevole, prima di rimettersela in tasca.

Dean annuì soddisfatto. “Bene, è già un passo avanti. Appena avete finito, direi di iniziare subito a studiare una strategia.” propose. 

Tutti annuirono con aria rassegnata; poi, una volta che Juliet ebbe finito di rattopparlo, Cedric sollevò la sua tazza di tè a mo’ di brindisi. “Beh, buon Natale ragazzi.” augurò, mandando giù un sorso subito dopo.

“Già…” gli fece eco Juliet, abbassando lo sguardo malinconica. “Proprio un gran bel Natale.”

Di comune accordo decisero che sarebbe stato più prudente consultare la mappa al chiuso e alla larga da eventuali orecchie indiscrete. Arrivati a quel punto, non potevano fidarsi di nessuno. Così, saliti in camera Mark stese di nuovo la cartina sul tavolino sotto la finestra, accendendo la luce della vecchia lampada dalla vernice scrostata per vederci meglio.

“Io continuo a pensare che non sia una buona idea tornare laggiù.” commentò, prima di lasciare spazio a Dean. 

Rachel non poté esimersi dall’alzare gli occhi al cielo. “È l’unica che abbiamo. Fattene una ragione.” lo liquidò, inacidita dal nervosismo ma anche dalla stanchezza. Dopo essersi seduta con malagrazia sul primo letto a castello dei due disponibili, afferrò il cuscino e gli diede una sprimacciata, per poi sdraiarsi a faccia in su. Non aveva nemmeno voglia di partecipare. Che trovassero loro il modo di arrivarci, per lei era indifferente.

Quella sera, però, come da diverso tempo del resto, Mark sembrava in vena di discussioni. “No, invece.” insistette. “Ci sono troppe variabili da considerare.”

“Per esempio?” fece Cedric perplesso.

“La prima è che non sappiamo come raggiungere il villaggio. Potrebbero volerci settimane, con il rischio di ritrovarci a vagare nel deserto senza cibo né acqua. Secondo, c’è sempre la possibilità che gli Jurhaysh si rifiutino di accoglierci di nuovo. Che faremmo in quel caso?”

Pur non conoscendo la risposta, Rachel era abbastanza sicura che non gliene importasse nulla al momento. Era stufa di pensare sempre a come risolvere problemi prima ancora che si presentassero. Ora la priorità era arrivare al villaggio, agli sviluppi avrebbero pensato in seguito. “Senti.” disse, guardandolo dal letto. “Te l’ho già detto, io devo finire quello che ho iniziato con Margaret e dato che lei è morta…”

“Come fai a dirlo?” la interruppe Mark inaspettatamente. “Come fai a essere sicura che sia davvero morta? Nessuno di noi l’ha vista. Potrebbe essere fuggita come ha già fatto in passato.” obiettò.

A quella domanda stavolta Rachel sapeva come rispondere. Con un sospiro spazientito si rimise a sedere, al contempo sfilandosi dal collo la catena a cui era appeso il ciondolo col rubino e mostrandola ai presenti. Diversamente dal solito, la pietra appariva più scura, come spenta. “È così da quando abbiamo attraversato il portale.” spiegò asciutta. “Prima che le riunissimo, anche le altre due collane avevano questo aspetto. Significa che Margaret è morta e con lei la sua magia.” 

Di fronte all’evidenza, nella stanza calò il silenzio. Juliet percepì la tristezza nello sguardo dell’amica e avrebbe voluto poterla confortare in qualche modo, ma lei non gliene diede il tempo. Rimesso il ciondolo al suo posto, infatti, tornò a guardare Mark con aria determinata. “Così come ci hanno trovato la volta scorsa, dobbiamo sperare che i guerrieri ci trovino ancora. Probabilmente staranno controllando i portali nel loro territorio, perciò incrociamo le dita e speriamo per il meglio.” sentenziò definitiva, ponendo fine alla discussione.

Di lì a poco Dean, che nel frattempo non aveva staccato gli occhi dalla cartina nemmeno per un secondo, li informò di aver individuato un portale non troppo distante da Rosehall, ridente località nelle Highlands scozzesi dove si trovavano, anche se non era sicuro al cento per cento che conducesse proprio nel deserto. “Le lettere sono sbiadite, ma è quello che sembra avvicinarsi di più a una sua corrispondenza in Arabia Saudita.” illustrò, indicando il punto sulla mappa a Mark e Juliet, che intanto si erano avvicinati per guardare. “Con un po’ di fortuna, circa a quest’ora domani dovremmo essere al villaggio. Altrimenti…”

“Fortuna.” ripeté Cedric, sfoderando un ghigno amaro. “Sarebbe bello anche solo ricordare che significa.” 

“Altrimenti dovremmo continuare a cercare il portale giusto, finché non arriviamo a destinazione.” completò Dean, ignorandolo. 

Juliet arricciò le labbra, per nulla attratta dall’idea. “E vagare ancora in lungo e in largo con in vampiri alle costole? Non è una bella prospettiva.” 

“Non c’è scelta. È un azzardo, ma non possiamo fare diversamente.” 

Quando Dean fece scivolare la mano verso la sua, intrecciando le loro dita in segno di solidale vicinanza, Juliet si sentì subito più confortata. Era un gesto semplice, che però le infuse calore e rassicurazione. 

Ormai non c’era molto altro da aggiungere, così decisero di andarsene a letto e recuperare almeno quelle poche ore di sonno che li separavano dalla partenza. Alla fine avevano concordato che dormire tutti nella stessa stanza fosse la cosa migliore, per sicurezza, anche se i letti erano solo quattro. Dean allora disse subito che per lui non era un problema, visto che con ogni probabilità sarebbe rimasto sveglio. 

Mentre si infilava sotto le coperte, Juliet lo guardò sistemarsi sulla sedia, rivolto verso la finestra. “Sei sicuro?” gli chiese, poco convinta della sua scelta. Quindi si scostò leggermente, facendogli intendere che da lei c’era posto. Si sentiva in colpa a dormire in un letto, quando lui era costretto in quella posizione scomoda.

Per tutta risposta, Dean alzò un sopracciglio. “Credevo preferissi dormire con Cedric.” esordì in modo del tutto inaspettato, senza preoccuparsi più di tanto di non farsi sentire.

Dall’alto del letto di sopra, infatti, lui mugugnò qualcosa in protesta, ma stava già per addormentarsi quindi non aggiunse altro. 

L’espressione che Juliet gli rivolse era tutto un programma e, pur avendo colto la sua vena ironica, si finse offesa.

“Stavo scherzando.” precisò Dean, temendo già di aver parlato a sproposito.

Lei lo fissò indispettita ancora per qualche istante; poi le sue labbra si incurvarono in un sorriso e scosse la testa. “Allora che fai, vieni o no?” lo incalzò decisa.

Alla fine Dean cedette, a dire il vero con ben poco sforzo, e si sdraiò accanto a lei, che soddisfatta si accoccolò sul suo petto, trovandovi subito il calore che le mancava. 

“Sei stata davvero scaltra prima.” le sussurrò dopo pochi minuti. “La storia dei turisti derubati. Io non avrei saputo inventare di meglio.” spiegò quando la vide guardarlo interrogativa.

Juliet allora capì e una risatina sommessa le sfuggì in automatico. “Sì beh, ogni tanto capita.” 

“Non dire così. Non sottovalutarti.” 

Quelle poche parole messe in fila riuscirono ad ammutolirla e pensò che Dean avesse ragione, che doveva smetterla di sminuirsi, di pensare di valere meno degli altri. Doveva credere di più in se stessa e si ripromise che da quel momento in poi ci avrebbe provato con maggiore impegno. 

Nei minuti successivi restarono in silenzio, la mente di Juliet che vagava tra i brutti ricordi dei momenti appena vissuti, cercando invano di scacciarli almeno il tempo sufficiente per prendere sonno. Difficilmente avrebbe mai dimenticato lo sguardo assassino impresso sul volto di Mary, poco prima che lei e Dean entrassero nel portale. “Pensi che Ayris sia riuscita a scappare?” domandò quasi d’istinto, vergognandosi subito dopo di essersi preoccupata per lei solo ora. In fondo, in quelle settimane trascorse insieme aveva imparato a conoscerla e ad apprezzarla nonostante la freddezza con cui li aveva sempre trattati, arrivando perfino ad affezionarcisi. Le si stringeva il cuore all’idea che potessero averle fatto del male. 

Dall’iniziale mutismo di Dean intuì che stesse cercando il modo giusto per dirle ciò che già temeva, ma che aveva paura di sentire. 

“Lo spero davvero. ” rispose infine, piuttosto rabbuiato. “In caso contrario, dubito che Mary e Byron ci siano andati tanto leggeri con lei.”

Juliet si diede dell’ingenua per aver pensato che si fosse salvata e non ci volle molto prima che lacrime silenziose le solcassero le guance. Cercò di nascondersi, ma Dean se ne accorse comunque e lentamente prese ad accarezzarle i capelli nell’intento di tranquillizzarla. “So che non è facile, ma dovresti provare a dormire un po’. Domani ci aspetta una lunga giornata.” sussurrò, per poi sfiorarle la tempia con le labbra. 

Rassicurata dalla sua presenza, Juliet si asciugò le lacrime e annuì. Provò a chiudere gli occhi, ma ancora una volta Dean aveva ragione, non fu per niente facile spegnere il cervello e cedere al sonno.

Le facce alquanto disorientate che sia lei che gli altri esibirono il mattino seguente furono la dimostrazione che nessuno di loro avesse dormito granché quella notte.

Non avendo soldi, quando fu il momento di lasciare la locanda Mark insistette per lasciare al loro ospite il suo orologio d’oro, per ripagare in qualche modo la sua ospitalità. All’inizio l’oste si mostrò titubante, dicendogli di non preoccuparsi, che l’aveva fatto volentieri, ma dopo varie insistenze alla fine cedette. L’orologio però valeva troppo, così si offrì anche di preparare loro qualche provvista per il viaggio. 

“Era destino che dovessi darlo via.” commentò Mark, leggendo tra le righe dell’espressione poco convinta di Dean. Il suo tono sconsolato bastava a far intendere che non ne fosse proprio entusiasta. “Ah, a proposito. Non una parola con Ray…”

“Tranquillo, sarò una tomba.” lo rassicurò, afferrando al volo prima che finisse di parlare.

“Che detto da un vampiro…” 

Dopo averlo squadrato dall’alto in basso, Dean scoppiò a ridere, per poi prendere dal bancone la sua parte di provviste e precederlo fuori dalla locanda. 

-o-

 

Il viaggio di ritorno durò tutta la notte e il mattino seguente, così che arrivarono a Bran già nel primo pomeriggio. Per entrare in Romania avevano usato un portale poco distante dalla città, ma comunque fuori dai confini e avevano dovuto percorrere l’ultimo tratto a piedi.

Quando Mary scorse il pinnacolo della torre nord stagliarsi al di sopra del profilo degli alberi, l’ansia le schizzò alle stelle. Fino a quel momento era riuscita a contenerla solo perché il castello era ancora lontano, invece ora sentiva tutta la pressione di ciò che stavano per affrontare. E parlava al plurale, visto che per una volta Byron era coinvolto nel suo stesso destino. Dire che il pensiero la rincuorasse era un po’ troppo, ma almeno non la faceva sentire sola mentre andava al patibolo.

Lungo l’intero tragitto il suo compagno di sventura non aveva aperto bocca. L’espressione tesa, quasi granitica, di chi cerca con tutte le sue forze di mantenere la razionalità nonostante sia ben consapevole di ciò che lo aspetta. 

Per l’ennesima volta ripensò a quanto accaduto in seguito alla fuga degli umani e alla morte della Danesti…

 

In piedi sopra il corpo dell’ormai defunta cugina, Byron imprecò furente, ignorando il cadavere della ragazza dai capelli rossi, appena spirata per mano di Isaac e Benedict. Aveva il viso martoriato dai lividi e dai tagli inferti dai pugnali che avevano usato per indurla a parlare. Piantata al centro del petto la lama con cui le avevano dato il colpo di grazia. Una scena poco piacevole a vedersi, ma che ormai a Mary non faceva alcun effetto.

A colpirla fu molto di più la reazione di Byron, che in tutti gli anni in cui lo conosceva non aveva mai visto perdere il controllo. “Potresti degnarti di darmi delle spiegazioni? Quando ti ha detto che quella ragazzina è imparentata con i Danesti sei impallidito.” lo incalzò, per una volta senza la minima intenzione provocatoria. Si sentiva davvero confusa e voleva vederci chiaro. 

Lui però non rispose subito, immerso com’era nelle sue mille riflessioni. Sembrava perso, come se stesse cercando di riordinare e dare un senso alla miriade di pensieri nella sua testa come fossero pezzi di un puzzle. “Questo cambia tutto…” mormorò infine, più rivolto a se stesso che a lei.

Mary iniziava davvero a spazientirsi. “Che significa? Di cosa stai parlando?”

Invece di spiegarsi, Byron liquidò i due vampiri dicendo loro di andare a farsi un giro e che tra poco li avrebbero raggiunti fuori dalla grotta. Una volta soli, si sedette su una sporgenza rocciosa, abbandonandosi definitivamente a un sospiro di sconforto. “Era tutto sbagliato. Fin dall’inizio…” 

“Insomma, ti decidi a farmi capire qualcosa?” insistette, sempre più esasperata dai suoi bisbigli indecifrabili. “Cos’è questa storia della maledizione?” Non avevano fatto in tempo a interrogare la donna perché era morta pochi istanti dopo la chiusura del portale, ma con i giusti metodi la sua giovane amichetta si era rivelata parecchio loquace e alla fine aveva parlato di una certa maledizione che incombeva su Nickolaij, di cui lei non aveva mai saputo nulla. Dal poco che era riuscita a captare, Margaret Danesti ne era la responsabile. 

Byron tentennò, dapprima senza guardarla. L’idea di renderla partecipe di quello che era evidentemente un segreto tra lui e Nickolaij non sembrava allettarlo; poi si arrese all’inevitabile. “D’accordo, tanto vale che lo sappiate. Secoli fa, prima di inscenare la propria morte, la mia dolce cugina ha maledetto la lama di un pugnale che ha poi consegnato alla sorella Elizabeth. Ella lo usò contro sua Signoria, provocando… come dire… un notevole cambiamento nel suo corpo.”

“Ossia?” gli chiese, ansiosa di conoscere i dettagli. Quella era l’occasione che aspettava per dare un senso a tutto ciò che aveva letto nei libri.

Lui esitò ancora, visibilmente incerto se proseguire. 

Mary allora capì al volo e sospirò frustrata. “Avanti, siamo entrambi sulla stessa barca nel caso non te ne fossi accorto. E poi mi sono documentata sulle Danesti, so che Elizabeth era identica al nuovo giocattolo di Nickolaij ed è per questo che ne è così ossessionato. Ora mi serve di sapere il resto. In cosa consiste la maledizione, tanto per cominciare.”

Quando finalmente Byron si decise a spiegarglielo, le sembrò quasi di stare sognando, che quelle parole non gli stessero davvero uscendo di bocca, ma fosse soltanto frutto della sua immaginazione. Nickolaij non beveva sangue umano per nutrirsi da almeno cinquecento anni, non gli faceva nessun effetto. Avrebbe potuto ingerirne interi barili senza che questo gli provocasse alcun beneficio. 

“Per tutto questo tempo sono riuscito a contenere i danni grazie a un infuso di mia invenzione che sostituisce in parte le sue qualità nutritive, ma la mancanza di sangue ha comunque provocato un generale indebolimento del fisico di sua Signoria. Per non parlare dell’umore…” 

Per un momento Mary pensò addirittura di doversi sedere, ma poi si fece forza per non apparire debole. Dentro però infuriava il disorientamento più totale. La persona che era stata per lei un punto fermo, la cui potenza e determinazione l’avevano guidata e ispirata per tutti gli anni della sua vita alla Congrega, era imprigionata da secoli in una condizione infamante per qualunque vampiro. 

“Sua grazia è forte e finora ha dimostrato una capacità di adattamento notevole. Ciò non toglie che il suo stato di salute mi preoccupa.” confessò Byron. “Negli ultimi anni gli effetti della carenza di sangue si stanno facendo sentire ogni giorno di più e deve bere quantità sempre maggiori di infuso. Per questo avevamo bisogno della ragazza. Ero convinto che il suo legame con Elizabeth fosse la chiave di tutto, ma scoprire la verità su Margaret ha cambiato completamente le carte in tavola.”

Lo sguardo angosciato di Mary saettò verso di lui. “Che vuoi dire?”

Lui abbassò gli occhi sul pavimento, sembrava come vergognarsi. “Ho dato per scontate troppe cose nell’arco di questi secoli. Sapevo che solo Margaret aveva il potere di maledire il pugnale, eppure ho sempre creduto che occorresse il sangue di sua sorella per spezzare la maledizione. Tutti i miei studi conducevano in questa direzione e invece…”

“E invece cosa?” fece Mary, sempre più allarmata. “Nickolaij rischia di morire, te ne rendi conto? Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo…”

“Adesso calmati! L’isteria non ci porterà da nessuna parte!” tuonò Byron, lasciandola ammutolita. Era la prima volta in assoluto che alzava la voce con lei e soprattutto che si concedeva il permesso di darle del tu. Quindi si ricompose, tornando ad assumere il suo solito contegno. “Innanzitutto torniamo a Bran. Ci siamo trattenuti anche troppo.” sentenziò a quel punto, alzandosi in piedi.

Mary lo fissò basita. Tutto avrebbe pensato di sentirgli dire tranne quella frase. 

“È l’unica scelta possibile.” disse allora, leggendole sul viso ciò che non aveva espresso a parole. “Torniamo al castello e affrontiamo le conseguenze del nostro fallimento. Darci alla macchia sarebbe inutile e stupido. Lui ci troverebbe comunque.” concluse, padrone di sé in modo quasi inquietante.

“Moriremo, lo sai.”

Byron ci pensò su un istante. “Forse no. Abbiamo ancora una carta da giocare.”

 

Da quando erano partiti, Mary non aveva fatto altro che pensare a quella frase e tuttora continuava a chiedersi come intendesse uscire da una situazione che sembrava disperata. Dubitava fortemente che Nickolaij li avrebbe risparmiati e più si avvicinava il momento di entrare nel castello più il dubbio si trasformava in certezza.

Giunti all’ingresso, gli uomini di guardia chinarono il capo, ossequiosi come d’abitudine, ma in quel momento Mary aveva ben altro per la testa e sentì a malapena Byron ordinare a uno dei due di precederli per annunciare il loro arrivo. Poi fianco a fianco superarono il cortile interno, ritrovandosi poco dopo nel grande atrio di ingresso, dove non attesero molto prima di veder scendere Dustin dalle scale. 

“Milady.” la accolse, chinando il capo con rispetto. “Lord Byron.” 

“Abbiamo urgenza di conferire con sua Signoria.” tagliò corto lui, arrivando subito al sodo. 

Dall’espressione che fece, Dustin sembrava aspettarselo. Infatti annuì brevemente. “Vi accompagno.”

In nessun altro caso Mary era stata meno entusiasta di trovarsi di fronte alla porta dello studio di Nickolaij e, quando il segretario si apprestò a bussare, l’impulso di fermarlo fu quasi irrefrenabile. Glielo impedì soltanto la voce di Byron, che in poco più che un sussurro le disse: “Resta in disparte e lascia parlare me, intesi? In teoria, tu non dovresti sapere nulla.”

Tesa come un fuso, lei annuì appena, ma abbastanza decisa. Del resto, non era tanto masochista da far capire a Nickolaij che conosceva il suo più oscuro segreto.

“Avanti.” 

Quel timbro grave e inconfondibile la fece trasalire e fu allora che seppe di non potersi più tirare indietro. Lasciò che Byron la precedesse, per poi mettere piede anche lei nella stanza. Quando poi sentì Dustin uscire, richiudendo la porta alle loro spalle, non poté fare a meno di pensare che quelli avrebbero potuto essere gli ultimi minuti della sua vita.

Entrambi non persero tempo e si prostrarono riverenti ancor prima che Nickolaij alzasse gli occhi dalle lettere che stava scrivendo. 

“Ben trovati.” Il tono con cui li accolse era distaccato e non lasciava trapelare alcuna sorpresa nel rivederli. “Dunque, quali novità avete portato? I prigionieri sono già nelle segrete, immagino.”

Peccando forse di ingenuità, Mary non si aspettava di arrivare al punto così presto e d’istinto guardò Byron con la coda dell’occhio, trovandolo rispetto a lei inspiegabilmente calmo. Che fosse tutta apparenza?

“Mio Signore…” iniziò, ma venne subito interrotto.

“Se siete qui, confido che la missione da me affidatavi si sia risolta in un successo.” Nickolaij appoggiò i gomiti sulla scrivania, puntando su di loro il suo sguardo magnetico. 

Byron annuì, sebbene non ci fosse niente di vero in quell’affermazione. “In effetti, abbiamo diverse novità.” rispose.

Seguì un istante di silenzio, in cui Nickolaij studiò il suo volto per cogliervi, Mary ne era certa, ogni minima sfumatura di disagio. “Prosegui.” lo invitò infine, rilassandosi contro lo schienale della sedia.

“Dopo aver seguito Dean e gli altri per diversi giorni, abbiamo scoperto che si nascondevano nelle Highlands scozzesi.” spiegò Byron pacato. “Naturalmente mi sono chiesto il perché avessero scelto proprio la Scozia, ma una volta giunti lì ne ho compreso il motivo.” 

Dopo quell’insolita premessa fece una pausa e Nickolaij rimase in attesa. La sua espressione era distesa, ma allo stesso tempo concentrata. 

“Mio Signore, devo avvertirvi che purtroppo ciò che ho da dire non vi farà piacere.” si premunì, evitando comunque di apparire spaventato; poi smise di tergiversare e passò al sodo. “Mia cugina Margaret si nascondeva laggiù, in un cottage protetto da un potente incantesimo di dissolvimento.” rivelò tutto d’un fiato.

Mary trattenne il respiro, aspettandosi una qualche reazione da parte di Nickolaij, che invece si limitò a fissarlo senza proferire parola. Forse stava cercando di elaborare quanto appena sentito. “Margaret Danesti è morta più di cinquecento anni fa…” mormorò, anche se dal tono sembrò affermarlo più per convincimento personale che per reale sicurezza.

“È quello che volle farci credere mettendo in scena il suo suicidio. Finse soltanto di morire in quell’incendio, ma in realtà fuggì…”

“Hai detto si nascondeva…” rifletté Nickolaij, parlandogli sopra.

Mary intuì nel giro di un istante dove volesse andare a parare e in quel momento avrebbe solo voluto scappare da quella stanza. 

“Lei è morta. Questa volta veramente.” confermò Byron, abbassando lo sguardo. “Ha usato le sue ultime energie per aprire un portale che consentisse la fuga del traditore e dei suoi amici.”

A quel punto, Mary vide Nickolaij aggrottare la fronte. “In parole povere, stai dicendo che ve li siete lasciati scappare di nuovo.” dedusse, prima di avere una reazione totalmente imprevedibile. Si mise a ridere. Sembrava quasi se lo aspettasse e la cosa lo divertiva addirittura, ma chissà perché era abbastanza sicura che gioirne sarebbe stato un errore madornale. 

Anche Byron pareva dello stesso avviso. “Margaret aveva una sorta di assistente, anche lei della nostra specie. Dopo averla interrogata, sono giunto alla conclusione che i miei calcoli erano inesatti. Finora tutte le mie ricerche hanno sempre confermato che la soluzione fosse lady Elizabeth, invece dai recenti sviluppi ho compreso di aver commesso alcuni errori di valutaz…”

Le parole, però, gli morirono in gola quando, in uno scatto fulmineo, Nickolaij si alzò in piedi, sporgendosi oltre la scrivania e afferrandolo per il bavero della camicia. La vena sulla sua tempia prese a pulsare minacciosamente e la mascella si contrasse. “Ascoltami bene. Sono secoli che assecondo tutte le tue scempiaggini. Mi avevi assicurato di sapere cosa stavi facendo e adesso, dopo tutto questo tempo, hai il coraggio di venirmi a raccontare che ti sei sbagliato?” sibilò tra i denti, sotto lo sguardo impietrito di Mary. 

“Mio Signore, lasciate che vi spieghi…” 

“Naturalmente.” disse Nickolaij, senza mollare la presa. Anzi, strinse di più, attirandolo verso di sé. “Ritengo che tu non sia così pazzo da tornare qui senza sapere già come uscirne, dunque ti concedo trenta secondi e ti consiglio di sfruttarli bene. Dopodiché non posso assicurare che risponderò delle mie azioni.” minacciò, fuori di sé.

Annaspando per via della stretta, Byron si affrettò ad approfittare del poco tempo di cui disponeva. “Margaret ha un erede!” esclamò diretto. “Una delle ragazze umane! L’ho vista andare via con il suo grimorio tra le mani e la sua tirapiedi l’ha confermato. Il suo sangue è la soluzione! Vi scongiuro di credermi, mio Signore…”

Nonostante le sue parole non riuscirono nell’intento di convincerlo a lasciarlo, Nickolaij allentò la presa, dandogli modo almeno di riprendere fiato. “E allora che diavolo ci fate qui? Perché non li avete inseguiti?”

“Margaret deve aver rimosso il vegvisir con cui avevo marchiato il ragazzo e non ho più potuto seguire i loro spostamenti. Non sappiamo dove sono andati. La donna che viveva con lei non è stata in grado di dircelo e non era in mio potere riaprire quel portale, ma ho già in mente un modo per scoprirlo. Vi imploro soltanto di darmi un’altra possibilità.”

Attenta a non fare mosse false, Mary studiò lo sguardo di Nickolaij, tentando di captarne le intenzioni. Non osava muovere un muscolo né emettere un fiato, per paura che potesse intuire che lei sapeva. 

Alla fine di qualche interminabile istante di riflessione, le dita strette attorno al bavero di Byron si distesero e lui fu di nuovo libero.

Lentamente Nickolaij tornò a sedersi, prendendosi ancora un po’ di tempo. Quando infine sollevò di nuovo lo sguardo su di loro, ogni minima traccia di umanità era scomparsa. Il suo volto era imperturbabile. “Trovali.” ordinò, con un tono che non lasciava spazio a dubbi su quale sarebbe stata la sua sorte se avesse fallito ancora. 

Tutto riverente, Byron indietreggiò a capo chino verso la porta e Mary fece per imitarlo, prima di vederlo bloccarsi. 

“Ah, quasi dimenticavo.” disse in tono malfermo, frugandosi in una delle tasche del cappotto e tirandone fuori la collana con lo zaffiro che Nickolaij li aveva incaricati di recuperare. “Questa appartiene a voi.” Con cautela la poggiò davanti a lui sulla scrivania, poi dopo un ultimo breve inchino girò i tacchi e sia lui che Mary lasciarono lo studio. 

 
   
 
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