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Autore: sallythecountess    22/09/2021    1 recensioni
Continuano le avventure dello stralunato Ian e della sua folle V. Riusciranno questa volta ad affrontare la vita matrimoniale e la prole?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo: una speranza.
Fu stranissimo svegliarsi ancora al pronto soccorso, una specie di dejà vu. Lei, però, questa volta non c’era, e fu molto triste realizzare che mancava. Il medico presente decise di farmi una paternale che avrei difficilmente dimenticato. Onestamente la ricordo ancora, e più di una volta mi sono chiesto se fosse legale dire certe cose ai pazienti.
  Mi spiegò rigidissimo che l’alcol mi stava creando dei danni al fegato, che per pochissimo non avevo avuto danni permanenti al cervello e parlò di mille altri organi lesionati dal mio alcolismo. Aggiunse con molto astio, o almeno così mi parve, che era un modo molto stupido di morire e farsi del male, e io volevo soltanto prenderlo a calci, ma mi trattenni. E poi, ragazzi, vinsi il jackpot del senso di colpa quando concluse con “…non ha nessuno al mondo? Perché si uccide in quel modo?”
Eh…io avevo qualcuno. Due figlie e una moglie. O forse meglio dire due figlie e un’amica. Non lo dissi, lo pensai soltanto, ma il dottore continuò a incalzarmi, con modi via via meno professionali e io esplosi. Gli dissi che volevo salvarmi, ma che non avevo idea di dove iniziare. Che ero perso, sconvolto, spaventato e stordito e lui annuì soltanto.
“Proviamo queste per l’ansia. E queste per l’umore. Sono rimedi temporanei, dovrà assolutamente iniziare una terapia con uno psicologo, ma per qualche giorno basteranno le pillole che le ho prescritto. E per l’alcolismo possiamo provare una cosa abbastanza comune: la invito ad andare alle riunioni di questo gruppo di supporto. Vedrà che questa sensazione di impotenza è molto comune. Sono certo che riuscirà a trovare qualcuno che riuscirà a trovare la forza per uscire da questa situazione.”
Non ci credevo, non pensavo fosse possibile, ma poi il dottore spiegò che ero ancora all’inizio del problema, che il mio corpo avrebbe potuto rimettersi totalmente se soltanto gli avessi dato una tregua dall’alcol e così provai.
Non avevo assolutamente nessuna aspettativa, ero mostruosamente triste e mi sentivo moderatamente in colpa per il disastro della mia famiglia, e poi alle nove andai a quella riunione. Sentii altri parlare, e le loro storie erano stranamente simili alla mia, ma molto più complesse perché i loro problemi con l’alcol erano di vecchia data. Molti avevano perso tutto, il lavoro, la famiglia, non parlavano più con le mogli e con i figli, e sentii uno stranissimo brivido. Io, almeno, avevo ancora la possibilità di parlare con le bambine e se lo avessi voluto, anche con Ariel che era tutti i giorni a casa mia e mi scriveva sempre. Facevo lo stronzo con lei in quel periodo, non le rispondevo ai messaggi ed ero scontroso quando la trovavo a casa, ma se per qualche motivo evitava l’una o l’altra cosa, mi sentivo uno schifo. Potevo recuperare tutta quella situazione incasinata? Beh se mi fossi impegnato probabilmente sì. A differenza di Roy che stava raccontando la storia più triste che avessi mai sentito, mia moglie e le mie figlie non mi detestavano ancora, ed erano tutte in vita. Bel punto di partenza, no? Forse potevo provare a fare qualcosa, ascoltando loro sembrava fosse possibile.
“…e tu? Con chi è che non puoi più parlare?”
 Mi disse una voce di donna roca, e mi girai curioso a fissarla. Non era giovane, sarà stata sulla cinquantina, truccata e preparata come il personaggio di una sitcom anni ottanta, ma stranamente simpatica. Mi sorrideva gentilmente e io stringendomi nelle spalle le dissi solo che parlare non era il problema principale.
“Oh hai voglia di fare il prezioso, capisco. Però non sembri messo così male, no?” aggiunse seria e io scossi soltanto la testa, ma decisi che se volevo davvero provare a cambiare le cose dovevo impegnarmi, così le raccontai tutto da principio. Parlai di  mia madre e Josh, della mia vita senza un minimo di scopo, e delle donne che avevo a casa, dalle quali dovevo stare lontano per non rovinare loro la vita. Tutto questo in una strabiliante sintesi di circa cinquanta parole, che la lasciò molto impressionata.
“Beh sei qui Ian. Questo è un inizio. Diciamo che non sei alla base del sentiero, ma neanche a metà. Sei a un passo dalla base, e ora come ora è più semplice tornare sui propri passi che vedere il risultato, lo so. Il punto è che se farai quel passo, Ian, perderai per sempre quello che adesso si è solo allontanato”
 Fu strano quel discorso, ma lei sembrava davvero sapere quello che stava dicendo, e così l’ascoltai. Mi chiese se volessi mangiare qualcosa  con lei finita la seduta ed io pensai che fosse strano, ma decisi di assecondarla, tanto non avevo nulla da perdere. Lei mi sorrise con lo sguardo di una che la sa lunga, e disse ridacchiando “devi stare con qualcuno, perché ovunque tu vada stasera ci sarà alcol, quindi meglio che tu stia a casa con me e Big Joe…”
Big Joe era l’uomo che aveva diretto l’incontro, e mi stupì sapere che stavano insieme, ma lui fu gentile e amichevole, così decisi di andare a cena a casa loro. Era un posto assurdo, davvero, ma non c’era alcol e il cibo era fantastico. Scoprii che Loraine e Big Joe si erano conosciuti nel peggior momento della loro vita, proprio nel gruppo di supporto. Joe, un omone di colore, era ad un passo dalla galera. Viveva di espedienti e lavoretti, bevendo per dimenticare i fallimenti della sua vita. Loraine, invece, aveva appena lasciato il marito, che riempiendola di botte le aveva provocato un aborto. Mi vennero i brividi per quella storia, ma quando mi dissero che erano entrambi sobri da nove anni, pensai soltanto che fosse assurdo. Ero contento per loro, chiariamo, ma in quel periodo davvero dubitavo che si potesse resistere così tanto all’alcol.
Joe non voleva essere indiscreto, e apprezzai infinitamente il suo modo di parlarmi gentile, come a un amico che conosce tutta la sua vita. Fu Loraine a raccontargli la mia storia, o almeno quel poco che le avevo detto, e lui mi fissò costernato. Pensai che fosse perché sapeva cosa si prova a mettersi così in imbarazzo, ma in realtà mi mise una mano sulla spalla e disse solo “immagino sia davvero dura avere due lutti a così breve distanza. La mamma poi…deve fare male da morire, mi dispiace”.
Non so cosa successe in quel momento. Non era la prima persona a dirmi quella frase, e generalmente rispondevo soltanto cose per tagliare corto, come “già” o anche “succede a tutti” ma qualcosa quella sera cambiò. Non so da cosa dipendesse onestamente, magari mi ero sentito a mio agio all’idea di mostrare il mio vero dolore a una persona che non sapeva nulla di me, o forse erano stati i suoi modi e lo sguardo pieno di empatia. Non so, ma a Big Joe aprii il mio cuore. Gli spiegai del mio rapporto con mio padre, di quanto la mia mamma avesse rappresentato per me e lui e Loraine ascoltarono con molta attenzione. Non mi diedero consigli, non provarono a salvarmi, e quello mi aiutò. Gli dissi di tutto quello che era successo, e finii parlando anche di lei.
“Oh se ti ama questa donna…” mi disse Loraine, dopo aver sentito tutto, con enormi occhi luccicanti da bambina, ma io stringendomi nelle spalle le dissi solo che non sapevo se fosse amore restare con qualcuno solo perché temi che si suicidi altrimenti. “Più che amore, sembra molto di più una storiella tossica tra due adolescenti senza un futuro”.
“Wow, che immaginazione dovresti fare lo scrittore!” commentò l’omone divertito, e io risi e spiegai loro che per molti anni avevo creduto fosse la strada giusta per me, ma non lo era. Mi chiesero che lavoro facessi e lì mi strinsi nelle spalle e provai a spiegare che ero uno sceneggiatore, lasciandoli un po’ perplessi. Loraine mi chiese se fosse tanto diverso dallo scrittore, perché le sembrava la stessa cosa, ma io mi strinsi soltanto nelle spalle ancora una volta, e spiegai che era un lavoro noioso che letteralmente detestavo, perché mi costringeva a ripetere sempre le stesse scene in loop all’infinito, con zero creatività.
“…gli special di Halloween, del Ringraziamento, di Natale e poi la morte di qualche personaggio, la distruzione di qualche coppia. E stop, succede sempre questo ciclicamente…” confessai amareggiato e fu allora che Loraine mi chiese che cosa volessi fare davvero nella vita.
“Lo scrittore, no?” chiese Joe, ma io scossi la testa ancora, e spiegai che anche con quello avevo fallito.
“…non ce la faccio, non sono in grado. L’unica storia che ho mai scritto, l’ho vissuta davvero. Non ho fantasia, non sono in grado di inventare personaggi o altro, perciò come scrittore sono incapace. Diciamo che c’è un elenco abbastanza sostanzioso di cose che non so fare…” conclusi amareggiato.
“Ma se hai pubblicato un libro famoso? Come fai a dire di non saperlo fare? Non buttarti giù!” aggiunse Loraine molto dolce e gentile, ovviamente senza avere la minima idea di che libro avessi scritto in realtà, ma io non ci feci caso.
Vedete, stavo finalmente realizzando una cosa molto difficile, che non avevo mai messo a fuoco, ossia che io senza Ariel ero un uomo noioso. Piatto, assolutamente insignificante. Pensateci: non avevo grosse ambizioni prima di conoscerla, se non portarmi a letto qualche disagiata quanto me, e non ne ho avute molte altre dopo. Volevo stare con lei, avere dei bambini, e avevo fatto tutto. Adesso, a quarant’anni, non avevo più nessuna meta, e questa consapevolezza era di una tristezza disarmante.
Questa cosa mi spaventò a morte, e quando la condivisi con i miei nuovi amici, Loraine fissò confusa Joe e poi mi disse che era esattamente come la storia di una loro amica ex alcolista che dopo il divorzio era crollata, scoprendo di non aver mai avuto altro sogno o desiderio che quella sua famiglia ora in mille pezzi.
Pensai solo “ma che meraviglia…” elettrizzato all’idea di essere paragonato a una cinquantenne con la sindrome del nido vuoto, ma Loraine non capì e stringendomi la mano mi disse “e non si può recuperare questo rapporto con questa donna? Insomma sei certo che non ci siano sentimenti da parte sua?”
Non ne ero certo, non mentirò, ma le dissi soltanto che il punto non era soltanto la mancanza di mia moglie.
“Forse a quarant’anni dovrei cercare qualcosa di diverso, forse dovrei provare a dare un senso alla mia vita, indipendentemente dalla persona che ho o non ho accanto…” dissi, fissando nel vuoto. Erano parole che mi aveva detto lei, neanche troppo tempo prima, e per la prima volta capii: era questo che stava cercando di farmi vedere, ma io ero stato cieco.
“Perché non la ami più Ian?” mi chiese Loraine con enormi occhi nocciola, e io sorrisi soltanto e scuotendo la testa ammisi per la prima volta in quei mesi come stavano le cose.
“Proprio perché la amo, Loraine. Le devo un marito un po’ meno idiota e un po’ più stabile mentalmente, che sia felice di chi è, oltre che di ciò ha con lei…” conclusi sorridendo, e mentre la mia nuova amica, molto felice, diceva qualcosa, mi accorsi che qualcuno mi stava telefonando, perciò mi allontanai per un attimo.  
Rimase molto sorpresa nel sentirmi sobrio, ma io non le raccontai nulla della mia serata con i nuovi amici del gruppo di supporto, e lei non fece domande particolari.
“Sono andata da Jeff due volte stasera, ma tu non c’eri. Ho anche dovuto dare un passaggio a una tizia che aveva raccattato non so dove…una storiaccia!” provò a dire, cercando di sorridere, ma evidentemente molto nervosa, e io sorrisi soltanto e le chiesi di raccontarmela.
“Un’altra volta, magari. Tu sei in giro? Hai bisogno di un passaggio da qualche parte?” ribatté, sempre molto tesa, ma io continuai a non capire e le dissi che ero in macchina.
“…sei con una donna, per caso?” mi chiese, con tono molto allarmato.
“Ma va, figurati…”
Cercavo di minimizzare perchè non avevo voglia di raccontarle tutta la storia e speravo che quella conversazione finisse presto.
“Sei da solo? Vuoi mangiare qualcosa insieme?” aggiunse, con una voce molto dolce e allora fui costretto a spiegarle che ero a casa di amici, facendola sospirare.
“Non hai bevuto, però, mi sembra…” aggiunse seria, e io le dissi che non ne avevo voglia,e potrei giurare di aver sentito al telefono il suono del suo sorriso.
Chiusi la telefonata e spiegai a Loraine e Big Joe quello che mi aveva appena detto, e lei ripetè ancora che mi amava. Parlai tanto con loro, mi raccontarono dei loro figli e nipoti, di altri amici con i miei stessi problemi che avevano incontrato lungo la strada, e io chiesi come mai fossero così accoglienti con me. Lo sapete, sono uno che non coglie sempre le cose.
 Big Joe mi sorrise allora, con tantissima dolcezza e disse piano “non è ovvio?” lasciandomi per un attimo interdetto. Una parte di me pensava che mi avessero portato a casa loro con secondi fini, ma per tutta la serata l’avevo tenuta a bada e in quel momento venne fuori prepotente e mi disse solo “hai visto che avevo ragione?” ma poi Loraine disse piano “…perché siamo stati anche noi come te, troppo deboli per credere da soli in noi stessi e qualcuno lo ha fatto per noi. Nella nostra associazione tutti gli organizzatori sono stati salvati da qualcuno, che gli ha fatto da spalla, da supporto e quasi da famiglia, fino a che non si è rimesso in piedi. E tutti abbiamo giurato di ricambiare il favore, quindi toccherà anche a te, Ian…”
Sorrisi per quel discorso, lo trovai estremamente filantropico e mi fece pensare a lei. Per un attimo mi dissi che se davvero ci fossi riuscito, forse l’avrei resa fiera, ma poi Big Joe aggiunse “Ognuno di noi si impegna a dare la propria spalla a dieci fratelli almeno. Così da aumentare sempre di più il nostro giro, ma anche la famiglia…”
Famiglia era una parola che mi faceva molto male, perché ne avevo avute due, ma ora erano entrambe a pezzi, eppure capii che forse potevo solo io rimettere in piedi almeno la seconda. Per la prima, probabilmente avrei avuto bisogno di una forza e una serenità che non avevo mai avuto.
Insisterono molto affinché dormissi a casa loro, temevano che potessi cadere in tentazione a casa di Jeff, ma poi dopo esserci scambiati i numeri, mi lasciarono tornare a casa. Vagai per ore in giro, in cerca di me stesso e dei miei pensieri, e finii anche fuori casa mia. Non ebbi il coraggio di bussare, però, e rimasi a immaginarmele a letto, a leggere qualche favola o a chiacchierare come loro solito. Quell’immagine mi riempì di calore, e mi strappò anche un sorriso a essere sinceri, ma decisi comunque di lasciarle stare, per ora.
Sarei tornato da Ariel solo dopo aver smesso di bere e scoperto cosa volevo davvero dalla vita, perché glielo dovevo. Mi sentii strano quella notte, con una terribile voglia di bere, ma le parole di Loraine mi tornarono alla mente. Prima di lasciarmi andare, infatti, mi aveva ripetuto del percorso, insistendo affinchè non facessi passi indietro.
“Hai iniziato da poco Ian, potresti uscirne in fretta, ma devi sempre tenere a mente che tra il tuo desiderio di rendere le tue figlie orgogliose, e l’ubriacone che non si alza dal divano, c’è una sola cosa: la tua testa” e così provai a fidarmi della mia testa.
Capitolo: nuovi inizi
Fu molto difficile il secondo giorno. Il terzo tremendo, il quarto straziante, il quinto un incubo e il sesto un inferno. Ma poi giunse il settimo giorno, che odiai con tutte le mie forze, ma che mi aveva portato la consapevolezza che avevo fatto un passo avanti nel cammino verso l’Ian che desideravo, quello che avrebbe rimesso insieme i pezzi della sua famiglia.
 Avevo provato un sacco di cose in quei sette giorni, ma per ora continuavo a non avere idea di cosa fare nella vita. Avevo provato a scrivere, ma con risultati penosi. Mi ero iscritto a dei corsi di fotografia online, ma la verità era che non mi interessava fotografare qualcosa che non fossero le mie donne. Avevo vagliato altre ipotesi, dal calcio fino all’uncinetto, ma sembrava che proprio nulla fosse in grado di riaccendere la fiamma della mia anima, e così ero tornato ai libri, che da sempre erano il mio porto sicuro.
Dopo sette giorni, orgoglioso di non aver bevuto, e sereno dell’appoggio di Loraine e Big Joe, che erano diventati ufficialmente i miei sponsor del gruppo, feci un enorme passo che mi privò del sonno per giorni: tornai a casa dalle mie figlie che mi erano mancate da impazzire.
 Non fu un’improvvisata, ovviamente, avevo chiesto il permesso ad Ariel e lei aveva risposto solo “non siamo arrivati a quel punto. Direi che non serve che io ti autorizzi a vederle, vieni quando vuoi” con uno strano tono molto triste. Così mi vestii bene, mi rasai accuratamente e sistemai i miei capelli rossicci, ormai un po’ troppo lunghi, e bussai alla porta con il cuore in gola, come a un appuntamento. Mi aprì Luz, che mi stava aspettando, e loro mi saltarono addosso felici, urlandomi soltanto “sei guarito!”. Fu molto doloroso, lo ammetto, e annegai nei sensi di colpa, ma poi capii: loro non erano arrabbiate con me, non avevo ancora distrutto totalmente la loro vita, e probabilmente ero in tempo per recuperare. Me ne andai prima del ritorno di Ariel, e fu molto difficile salutarle, ma promisi loro che sarei passato il giorno dopo e dopo qualche capriccio si convinsero.
Dovevo andare al club, raccontare a tutti della mia prima settimana e di come avevo fatto pace con le mie figlie, ma Ariel mi scrisse solo “non potevi restare a cena?” e capii che c’era rimasta male. Avrebbe adorato Loraine e Big Joe, sostenuto con tutte le sue forze quella mia scelta e probabilmente avrebbe fatto volontariato con loro, ma io non ero pronto a parlargliene.
Sì, avevo ottenuto un successo, ero sobrio da una settimana, e mi sentivo meglio, ma non ero fuori pericolo. Per tutto il tempo prima di raggiungere le mie figlie, infatti, l’angoscia e il senso di colpa erano tornati e avrei dato ogni cosa per un drink. Ero agli inizi, potevo farcela, ma non dovevo affrettare le cose, così decisi di non dirle nulla. Non volevo illuderla, darle speranze e poi farla stare ancora peggio, così mi inventai una scusa per quella serata, e lei mi fece mille domande, ma poi disse solo “…come vuoi…” e non ci scrivemmo più.
Mi beccai una lavata di capo terribile da Loraine, che non voleva che spezzassi il cuore di Ariel, ma io le spiegai che stavo solo proteggendo tutti, e Big Joe approvò la mia decisione. Mi ero dato una scadenza: se fossi riuscito ad arrivare a trenta giorni sobrio, forse, avrei potuto parlarne con lei, ma non ne ero certo.
 Passai ogni giorno con le mie bambine, e ogni sera a casa di Loraine e Big Joe. Mi appassionai un sacco alla loro strana love story, e loro si appassionarono alla mia. Loraine impazzì quando le regalai una copia di Miss V, e iniziò subito a leggerlo, aggiornandomi periodicamente sulle parti che le piacevano di più e su quelle in cui ero un perfetto imbecille e qualche volta mi ero anche beccato un sonoro ceffone. So che avete avuto anche voi la tentazione di farlo leggendo Miss V.  
Big Joe non era tipo da letteratura, era uno chef in un locale di pollo fritto, ma gli piaceva sentire la storia mia e di Ariel, quindi chiacchierava con noi volentieri. Peccato che dopo mi venisse sempre molta voglia di sentire mia moglie, e quindi facevo il pari e dispari con il mio cuore per scriverle. Lei mi rispondeva sempre, e cercava anche di non sembrare troppo ferita, ma era risentita e non potevo darle torto. Avevo davvero fatto lo stronzo, e continuavo a scriverle messaggi abbastanza innocui, perché temevo di finire in un discorso troppo intimo e volevo evitare.
Le parole che aveva detto su di me erano ancora impresse a fuoco nel mio cuore, ma onestamente iniziavo a credere che non fosse vero che mi voleva a casa solo per la mia incolumità. Vedete, dopo la terza notte da sobrio, senza sapere come mi ero alzato alle nove e avevo deciso di sistemare un attimo casa di Jeff, perché sembrava ci fosse passato un tifone. Mentre ripulivo la cucina, però, non mi accorsi che qualcuno mi fissava molto incuriosita. Mi spaventai trovandomela davanti, ma finalmente non mi guardò con occhi spaventati e tristi, e per me fu un successo. Mi disse che mi aveva portato un caffè e le solite medicine, e io mi offrii di dividere con lei il caffè, ma rifiutai le medicine, spiegandole che poteva anche prenderle lei per quel giorno, facendola sorridere. Parlammo per qualche minuto, del più e del meno, e poi lei scappò a lavoro, e io la salutai con affetto e uno stupido bacio sulla fronte.
 Nei giorni successivi ci eravamo incrociati qualche altra volta, perché lei era passata a riportarmi il bucato o del cibo ed eravamo stati gentili, ma nient’altro. Aveva riso di me quando l’avevo supplicata di non portarmi più dolci e biscotti, perché stavo cercando di stare a dieta e avevo intenzione di riprendere la palestra. Vedete, ero sempre stato un salutista, ci tenevo molto a non mettere su peso, ma dal mio trasferimento in California avevo totalmente smesso l’attività fisica e con l’alcol e tutto il resto ero molto ingrassato. Lei, però, mi ripetè che stavo molto bene, e appoggiò anche la mano sul mio petto con fare affascinante, ma vedendo la mia determinazione, amaramente concluse che forse c’era qualcuno che mi voleva più magro e aveva fatto per andarsene, ma io avevo risposto solo “sì, io. Ho bisogno di riprendere il controllo del mio corpo e da qualche parte devo pur cominciare. Anche se mi mancherà la tua torta al cioccolato…” e lei aveva sorriso prima di uscire.
Trascorsero quindici giorni, e insieme a una moneta colorata fatta a mano da Loraine per festeggiare il mio primo traguardo, mi beccai anche una visita medica. Il dottore del pronto soccorso voleva controllare il fegato che era risultato ingrossato al primo controllo, e io mi presentai lì abbastanza spaventato, ma qualcosa cambiò per sempre. Ero in sala d’attesa, e me la stavo letteralmente facendo addosso. Adesso che stavo costruendo qualcosa, che stavo rimettendo in piedi il povero Ian, avevo il terrore che mi dicessero che gli sbagli fatti avevano causato danni irreparabili e che fosse troppo tardi. Lo so, è patetico, ma è così. E mentre cercavo di distrarmi, inviando strani video a Nigel e rispondendo ai messaggi di supporto dei miei due nuovi amici-sponsor, qualcuno attirò la mia attenzione. Era un ragazzino, di quindici anni circa, con il viso smunto e giallognolo e un cappello di lana. Fissava il cellulare con un sorriso inequivocabile, così gli dissi solo “…state insieme da molto?” e lui, con il solito sarcasmo degli adolescenti rispose che non erano affari miei.
“Oh…è brutta la friendzone. Mi è capitato, e l’unico consiglio che posso darti è di lasciarla immediatamente in pace e cercarne un’altra…” risposi, cercando di fare il simpatico, ma non gli piacqui. Severissimo mi rispose “al massimo un altro…” ma con l’espressione di chi è convinto di averti messo al tuo posto. Io, invece, come sapete,omofobo non sono mai stato, così gli raccontai dei baci che avevo avuto al primo pride, e poi svelai alcune perle di saggezza che mi aveva confessato Mark il miglior amico di V sui rapporti tra uomini, e il ragazzino sembrò perplesso, ma poi cedette e mi disse “…è che non posso perdere tempo, rischio di essere in fase terminale. Ma…se lui non mi ama, morirò con il cuore spezzato, ed è terribile…”
Quella frase per me fu una doccia gelata. Ok, potevo fare quello esperto di sentimenti, anche se non lo ero. Potevo sembrare esperto di relazioni omosessuali, perché avevo molti amici ma quello che stava affrontando quel ragazzino non lo avevo mai provato. Ci volle molto, moltissimo, coraggio per trovare qualcosa da dire, ma poi mi schiarii la voce e dissi solo “beh come prima cosa, se la rischi vuol dire che non sei ancora terminale. Anche io guidando ubriaco rischiavo costantemente di finire contro un albero, ma non è successo, quindi non è detto che succeda anche a te…”
Stranamente non se la prese per questa mia enorme cazzata. Io mi sarei preso a calci. Lui mi sorrise soltanto, e io continuai, chiedendogli i dettagli di questa storia, che poi era un classico cliché adolescenziale: amici, migliori amici, attrazione, bacio e poi stop. Le vacanze avevano bloccato tutto.
“Sì, ma lui è uscito con qualcuno durante le vacanze? Perché questo fa la differenza!”
Spiegai, dall’alto del mio inesistente pulpito, e lui mi fece leggere tutti i messaggi di questo ragazzo, che onestamente mi parve innamorato da morire. Così, dato che ormai non mi facevo gli affari miei, lo convinsi a scrivere quelle due parole, che andavano dette di persona, ma data la situazione “cancro” si potevano anticipare via telefono. Per tre interminabili minuti quel ragazzino sconosciuto mi tenne la mano talmente forte da farmi male. E per tre interminabili minuti mi dissi che forse avevo rovinato la vita di un ragazzino malato terminale e non me lo sarei mai perdonato. Ma poi arrivò la risposta, e quelle due parole lo resero talmente felice da dimenticare che stava aspettando di scoprire se fosse in fase terminale o meno. E resero anche me immensamente felice.
 Gli cedetti il mio turno dal dottore, perché mi sembrava che avesse cose più importante delle mie da discutere, e quando uscì, ancora più raggiante di prima, mi disse solo “nessun albero, per ora. Pare che la cura abbia funzionato. Cerchiamo di restare in strada almeno per un mese, però…” mi disse, riprendendo la mia stupida metafora, ma io non lo capii subito.
Entrai dal dottore un po’ agitato, e le notizie che mi diede furono positive, perché non avevo danni permanenti, così ne uscii di ottimo umore, ma in sala d’aspetto ritrovai il ragazzino, questa volta con un’amica. Mi disse solo “Becky è disperata, le serve consiglio” ed io sorrisi e ascoltai la sua situazione, per poi darle un consiglio. Quei due matti mi scaldarono un sacco il cuore, e così tornai a casa con una strana decisione che mi balenava nella mente.

Nota:
Ciao a tutti! Allora che ne pensate di questa strana svolta di Ian? Siete contenti che sia tornato a casa? Fatemi sapere, vi aspetto.
   
 
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