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Autore: Fanny Jumping Sparrow    22/09/2021    2 recensioni
Il malvagio ed affascinante Capitan Vegeta ha un cuore nero come gli abissi, è vittima di una maledizione e con la sua nave Bloody Wench semina morte e terrore per i sette mari; la bella e intrepida Bulma Brief è una coraggiosa avventuriera con l'umore mutevole come la marea che nasconde un singolare segreto. Entrambi attraversano gli oceani alla caccia dello stesso tesoro: le magiche sfere del Drago. Il giovane tenente di vascello Son Goku, fresco di accademia ed amico d'infanzia della ragazza, riceve l'incarico di catturare i due fuorilegge, che nel frattempo hanno stretto una difficile alleanza, e consegnarli al capestro...
Personale rivisitazione in chiave piratesca del celebre anime su suggerimento della navigata axa 22 (alla quale questa storia è dedicata;) e della mia contorta immaginazione. Possibili numerose citazioni e riferimenti ad opere letterarie e cinematografiche esterne. Gli aggiornamenti saranno dettati dalle capricciose onde dell'ispirazione. BUONA LETTURA! Se osate...
Quella tonalità era insolita, appariscente, innaturale. Non umana.
Contenne uno spasmo di eccitazione. “Troppa grazia”, obiettò pessimisticamente.
Aveva dato la caccia ad un colore simile innumerevoli notti, sondando bramoso il blu profondo.
Troppo facile, troppo assurdo che l’avesse proprio lei.

*CAPITOLI FINALI IN LAVORAZIONE*
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Freezer, Goku, Vegeta | Coppie: 18/Crilin, Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Salve gente!
Pur se col consueto ritardo, sono riuscita infine a concludere un altro capitolo di questa luuuunga storia, che si sta oramai accingendo alle battute finali.
Tra impegni di studio, contrattempi personali e caldo asfissiante, purtroppo non sono stata capace di aggiornare prima di oggi ^^"

Come potrete constatare a fine lettura, si tratta di un capitolo di transizione che funge da tassello per ciò che accadrà nei prossimi (che spero di non tardare troppo a scrivere).
Non vi tedio oltre, ma approfitto per ringraziare di cuore tutti coloro che si sono aggiunti inserendo questa mia modesta ff tra le seguite/preferite/ricordate e chiunque spenda parte del suo tempo a leggerla, con l'auspicio che riesca ad intrattenervi per qualche minuto.

Commenti, critiche, osservazioni sono sempre graditi :)

Al prossimo approdo!)

XXXVI – (DIS)AGREEMENTS


- Che guaio! Che disastro! Che catastrofe! Sono rovinato!
L’estroso sovrano era caduto in uno stato catatonico e continuava a piangersi addosso, contemplando vacuo e afflitto l’irreparabile scempio prodotto da quel putiferio di spari, esplosioni e tumulti che avevano investito e distrutto la sua piccola reggia.
I suoi più fedeli servitori accompagnavano il suo inconsolabile vagabondare tra rottami, cocci e schegge, tentando pazientemente di mitigare le sue paturnie con manierate parole di conforto. Ma Pilaf, disdegnato dalla loro ipocrita compassione, li scacciò da sé come fossero insetti fastidiosi: - Anni e anni di faticose ruberie gettati alle ortiche! – gracchiò in un urlo lamentoso, picchiando i pugni contro il pavimento su cui si era lasciato cadere, del tutto identico ad un bambino capriccioso cui avessero inflitto una punizione incomprensibile.
La sua guardia del corpo Mai si schiarì nervosamente la gola mentre il cagnolino Shu gli diede un buffetto con la testa. Con quella sua incauta esternazione aveva catalizzato su di sé l’attenzione delle guardie al suo servizio e di alcuni soldati della Marina dei Sette Regni, che erano provvidenzialmente intervenuti a dar loro sostegno contro l’imprevista, devastante incursione di quella masnada di furfanti.
- Ehm, voglio dire, anni e anni di ineguagliabili collezioni andati per sempre in fumo! – si corresse defilandosi con fare pavido e innocente tra i suoi guardaspalle, mostrandosi impegnato a quantificare i danni e a valutare quanta parte del suo patrimonio fosse scampata a quella baraonda.
- Almeno qualcosa del banchetto si è salvato – attestò con levità e apparente noncuranza il tenente Son Goku, adocchiando un vassoio di appetitosi pasticcini alla crema rimasti intonsi su un tavolo risparmiato dalla precipitosa ritirata di tutta quella gente che al riecheggiare del pericolo si era scompostamente riversata fuori, travolgendo tutto e tutti.
Ne arraffò a piene mani, ingozzandosi con gran gusto e poco decoro, quasi a voler esorcizzare lo scoraggiamento provato solo pochi minuti prima, quando aveva creduto di non riuscire a spuntarla contro un avversario che l’aveva messo in serie difficoltà come mai a nessuno era riuscito prima. Il fondoschiena dolorante e il bozzo che stava crescendogli sulla nuca dopo quella rovinosa caduta ne erano la dimostrazione. Aveva sottostimato la sua reale doppiezza e pericolosità, ma la faccenda tra loro non era ancora conclusa.
Riconoscendone l’indomabile criniera spiccare davanti ad una finestra aperta, in una posa rigida e immobile, intento ad ascoltare i timorosi ragguagli dei suoi sottoposti, i tratti spigolosi del viso ancora più tesi, ombrosi e induriti, si domandò quale motivazione lo trattenesse ancora lì, così vicino alla probabilità di essere arrestato.
Ingurgitò una soffice fetta di torta al cioccolato condita da un pizzico di stizza, ritrovandosi a pensare che forse quel farabutto non lo ritenesse capace di poterlo sconfiggere e porre fine alle sue malefatte. Tanto che, pur avendolo battuto, di gran misura e con un tiro mancino, poi si era totalmente disinteressato a lui, trascurando di infliggergli il colpo di grazia. Il suo calo di interesse era avvenuto proprio quando aveva menzionato Bulma e ciò lo indusse a riconsiderare il suo astruso atteggiamento. L’aveva sentito ordinare ai suoi gregari di setacciare ogni stanza del palazzo, mentre lui era rimasto a perquisire invano ogni angolo della sala consultando una strana tavoletta ...
Quei due alla fine erano veramente diventati alleati o c’era qualcosa di più sotto?
Procurandosi un’altra buona scorta di bignè, incuriosito e leggermente turbato, Goku gli si approssimò quatto quatto, così da averlo a portata di orecchio e poter origliare di cosa stessero discutendo lui e i suoi uomini.

- Non abbiamo più niente da fare qui – proruppe proprio in quell’istante Capitan Vegeta, stringendo nel pugno destro un sacchettino di velluto nero – Torniamo alla Bloody Wench. Rastrelleremo tutta l’isola da cima a fondo, quella ladra bugiarda non può essere andata lontano – ordinò stentoreo, distogliendo lo sguardo altero dall’ultimo spicchio di luna calante che rischiarava fiocamente il nitido firmamento.
Un filibustiere tozzo e baffuto con i capelli stopposi si contrappose esitante, richiamandolo in un impacciato balbettio: - Signore …
Gli affilati occhi del saiyan lo incenerirono, presentendo qualcosa di molto spiacevole.
Già dover digerire il fatto che quell’infida sirenetta lo avesse raggirato e derubato, eclissandosi nel nulla senza che né lui né qualcuno dei suoi se ne accorgessero, infrangendo il loro mutuo accordo, era per lui come dover ingoiare qualcosa andato a male. Era stato un imbecille a fidarsi di lei. Ma che potessero esserci anche altre grane non era semplicemente una contingenza che in quel momento sarebbe stato pronto ad affrontare con sufficiente raziocinio.
- Dove si è imboscato quel brutto cane rognoso di Radish? – abbaiò ancora più alterato, pur non essendo del tutto sicuro di voler sapere come mai mancasse all’appello.
A racimolare un briciolo di disinvoltura per rispondergli fu Cabba, uno dei più giovani e obbedienti pirati della ciurma: - Ecco lui … Dopo che abbiamo finito di ripulire la stanza del tesoro, ha preso con sé quattro di noi, e … se n’è andato.
Un fiotto di fiele impastò la lingua di Vegeta: - “Andato”? – ripeté scandendo con ripugnanza quelle nefaste sillabe, gli altri annuirono tremebondi, l’angoscia che gli artigliava il respiro, aspettandosi altre ritorsioni del sanguigno Capitano nei loro riguardi, vedendogli contrarre duramente la mascella e muovere istintivamente le dita verso le fondine a tracolla in cui aveva raccolto svariati pugnali.
Lui non si curò neanche di ascoltare il resto del racconto.
Da un po’ di giorni aveva subodorato che il suo nostromo e il suo quartiermastro stessero tramando qualcosa contro di lui. Si lagnavano più del solito per inezie, si appartavano a parlottare con altri gruppetti ed erano stati negligenti in più occasioni.
Non temere conseguenze era quanto di più sbagliato avessero osato concepire con i loro cervelli bacati. Una volta attuata la sua vendetta su Freezer, avrebbe dato la caccia anche a quei due traditori e a tutti quelli che li avevano appoggiati.
- Quegli sporchi ammutinati bastardi hanno firmato la loro condanna – proferì con flemmatica tracotanza, quasi pregustando già il sapore del loro putrido sangue che senza alcuna pietà avrebbe fatto scorrere profusamente tra le mani, nutrendosi delle loro urla strazianti e disperate. Mancavano poco più di ventiquattro ore alla sua perdita di sembianze umane. Una volta trasformatosi in quella forma bestiale che tanto in passato aveva ripugnato, avrebbe potuto rintracciarli e raggiungerli facilmente anche a nuoto ...
Per il momento tuttavia quell’infausta battuta d’arresto lo costringeva ad accantonare la messa in atto di tali cruenti propositi. Adesso che nelle immediate vicinanze non avvertiva più l’odore mieloso né la presenza molesta di quella donna, doveva architettare una nuova soluzione per salpare da lì e ritrovare tutte le sfere mancanti. Gli erano rimasti soltanto cinque uomini. Invero, non aveva bisogno di nessuno di loro, poteva benissimo requisire una delle imbarcazioni ancorate al porto e governarla anche da solo.
Si voltò stizzito, non dando alcuna importanza ai suoi sottoposti in attesa di ordini, incrociando invece un paio di indiscreti occhi scuri che, nello scontrarsi coi suoi, si spalancarono, colti sul fatto. Appartenevano al tipo impertinente e ostinato che poco prima gli aveva tenuto testa, incastrandolo in quello sfiancante duello, infiammando la sua combattività e facendogli perdere di vista l’obiettivo primario del suo essere lì, nonché quell’inaffidabile complice.
Quell’impiccione lo stava nuovamente intralciando, istigando la sua tentazione di mandarlo all’altro mondo.

- Ah, Goku! Sei qui! Che sollievo!
Un giovane marinaio di ridotta statura grondante ansia e sudore sopraggiunse nella sala del trono, approssimandosi con aria impacciata e agitata, seguito da un secondo individuo dall’aspetto altrettanto mesto e malandato.
- Crilin! Yamcha! – enfatizzò la sorpresa il tenente Son correndo verso di loro, ben felice di poter rimandare il confronto con il livido pirata – Ma che cosa vi è successo?! – esclamò poi preoccupato, accorgendosi degli abiti completamente zuppi del primo e del naso sanguinante e ammaccato del secondo.
- Lascia perdere! – sviò Crilin, abbassando le pupille, ancora ansante per la scarpinata che lo aveva riportato fin lassù – Diciassette e Diciotto erano qui! Hanno rubato quella sfera!
- E hanno rapito Bulma – aggiunse in un sospiro scorato Yamcha, affranto e contrariato per non essere riuscito a salvarla.
Goku sciolse il suo insolito mutismo, appurando con semplicità: - Ecco dov’era finita – attirandosi un’occhiata di traverso da parte di Capitan Vegeta, il quale intanto da quel dialogo intese che doveva essere proprio l’imprudente ragazzo dall’espressione mite e dai capelli scarmigliati quello tra loro al comando.
- Ho provato a fermarli, ma non ci sono riuscito – insistette a discolparsi Crilin, “Di nuovo”, considerò sfiduciato, sentendosi profondamente colpevole per quell’ennesimo insuccesso.
Yamcha gli fece eco: - Già! Ci ho provato anch’io, ma quella Diciotto è davvero un bell’osso duro! – affermò con un sorrisetto amaro, che divenne una smorfia incredula e stralunata quando, a pochi passi da loro, riconobbe il Capitano della Bloody Wench fissarli mutamente e avversamente. - Hey ma quello è … - tartagliò scombussolato, indietreggiando come un gambero.
- È proprio lui? – indagò ugualmente sbalordito Crilin, che lo conosceva soltanto tramite i manifesti in cui lo aveva visto ritratto, nei quali si prometteva una lauta ricompensa per la sua cattura. La sua taglia era leggendaria, nessuno era mai stato capace di catturarlo.
Il diretto interessato restituì loro un fulminante sguardo di sbieco.
Al che anche Goku si volse nella sua direzione e, spostandosi in un balzo accanto a lui, in quattro e quattr'otto lo ammanettò a sé: - Ah, sì. Ho arrestato Capitan Vegeta! – rispose loro con assurda naturalezza.
Insultato da quel gesto scorretto, il filibustiere spezzò immediatamente le risibili catene di quelle manette: - Pezzo d’imbecille! Cosa accidenti pensavi di fare! – contestò inferocito, estraendo le sciabole e avventandoglisi contro. Una decina di soldati armati di baionette immantinente lo accerchiarono, accorrendo a difendere il loro più alto in grado. Ma l’inarrestabile fervore del pirata non si lasciò minare da quello svantaggioso frangente.
Drizzando le braccia all’indietro, infilzò per primi i due aggressori che aveva alle spalle, poi ruotò su se stesso liberandosi con un paio di sciabolate secche ed efferate di altri due che tentarono di assalirlo da destra e da sinistra, quindi continuò a brandire le lame ad un ritmo vertiginoso, duellando con due o tre avversari in contemporanea, colpendoli a suon di fendenti, spallate, pugni, calci e stoccate, senza che questi potessero opporre efficace resistenza, riuscendo nel giro di pochi secondi a ridurre quegli uomini ben addestrati nell’impotenza di rialzarsi o reagire.
Fu talmente veloce che gli altri tre marinai non trovarono uno spiraglio per intervenire, rimanendo a bocca aperta per lo sbalordimento.
Senza neppure un accenno di fiatone, il pirata dai profondi e ruggenti occhi neri tornò a rivolgersi loro con accento ingiurioso: - Allora, citrullo, ci vorresti riprovare?
- A dire il vero pensavo che avresti potuto imbarcarti con noi … - asserì per tutta risposta il tenente Son, lasciando tutti quanti spiazzati per quella che parve loro un’idea aberrante.
- Goku?! – strepitò Crilin, sprovvisto di frasi di senso compiuto per esprimere appieno la sua scettica disapprovazione per quella sortita.
- Amico, sei fuori di melone?! – contestò con vigore Yamcha – Quello lì ci accoppa tutti! – insistette timoroso, rifuggendo quel suo sguardare torvo e avverso che lo metteva invariabilmente in soggezione.
Sul volto di Vegeta si formò un ghigno malevolo e compiaciuto, puntandogli la sciabola alla gola: - Il babbeo ha ragione, ti conviene darmi un buon incentivo se non vuoi che vi squarti tutti quanti, qui e ora – li minacciò a muso duro, uno sfolgorio di pura malevolenza tra i canini appuntiti e ringhianti, quasi li volesse davvero sbranare.
Son Goku, però, non smarrì la calma né la sicurezza, adducendo le sue ragioni con incrollabile determinazione: - Noi, a differenza tua, disponiamo ancora di una gran bella nave – asserì senza animosità, ma facendogli intendere che sapeva come gran parte del suo equipaggio avesse cospirato contro di lui, lasciandolo a terra.
Un convulso sbocco di rabbia sfigurò i lineamenti aspri del Capitano spodestato, tradendo la verità di quell’affermazione, di cui gli altri erano invece all’oscuro.
- Abbiamo un nemico comune. Uno forte e in gamba come te potrà farci molto comodo contro Freezer e i suoi scagnozzi – Goku continuò imperterrito a esporre la sua tesi, incurante degli sguardi allibiti dei suoi compagni, incapaci di opporsi alla sua logica, tanto ingenua quanto schiacciante.
- Impiccati! Per chi mi hai preso? Io non mi faccio comandare da nessuno! – lo attaccò senza mezze misure Vegeta, interdetto e al culmine dell’irritazione nel sentirsi addirittura adulare da quello che teoricamente avrebbe dovuto essere un suo avversario.
Il suo interlocutore pareva sordo, e insistette ad esternare serafico la sua impudente opinione: - E poi, secondo me, ci tieni anche tu al bene di Bulma ...
Il pirata gli riservò un’occhiataccia pregna di sdegno e rancore: - Tsk, me ne infischio di quella stupida puttana – sussurrò greve, voltandogli la schiena e intimando ai suoi di sgomberare il campo.
Sebbene indispettito da quel suo fare respingente e offensivo, Goku non si perse d’animo. Era testardo quanto lui e aveva una missione da compiere, perciò provò a tirar fuori un ultimo asso dalla manica per reclamare il suo interesse: - Tu hai due sfere. Io invece possiedo questa bussola speciale – svelò a bella posta, estraendo e mostrandogli il magico oggetto cedutogli da Re Kaio.
Vegeta lo scrutò con la coda dell’occhio, restio e cogitabondo. Il lucente gingillo che quel ragazzotto gli stava sbandierando sotto il naso con tanto ardire somigliava straordinariamente al localizzatore delle sfere del Drago inventato e costruito da quella Bulma Brief. Eppure emanava un’aura diversa, un potere, quasi come fosse viva.
- Come l’hai avuta? – domandò d’istinto, tornando indietro per poterla osservare più da vicino. Proprio in quell’istante accadde qualcosa che non si aspettava e che lo fece inconsapevolmente trasalire: quel prisma sprigionò un fascio di luce verde, che si allargò fino a prendere la configurazione di un’enorme, intangibile mappa fluttuante nell’etere, estendendosi nello spazio tra lui e il baldo marinaio che la teneva tra le mani. Non gli occorse molto per identificare, tra linee curve che segnavano i contorni delle varie terre emerse, sette ben distinti puntini arancioni, e capire che doveva trattarsi proprio della bussola originaria, quella custodita dal mitico Dio del Mare del Nord. Come avesse fatto quello strampalato marinaretto ad entrarne in possesso era un vero enigma.
- Quindi, sei dei nostri? – lo richiamò dai suoi dubitanti pensieri il giovane ufficiale, richiudendo il cofanetto e ponendo fine a quella fantastica proiezione, un sorriso soddisfatto a illuminargli le iridi sprizzanti ferma convinzione.
Una venuzza pulsante comparve sulla sua fronte spaziosa. Quel tipo doveva essere duro di comprendonio o era animato da un incosciente ottimismo per pensare di poter stringere tranquillamente un accordo con lui, senza neanche promettergli qualcosa di concreto in cambio. Il suo radicato orgoglio non ci teneva proprio a essere implicato in un’altra collaborazione che non stava né in cielo né in terra. Non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno, era in grado di battere tutti anche da solo. Di contro la sua vena opportunistica gli suggeriva di fingere di piegarsi a quel compromesso. Avrebbe potuto servirsi dell’offerta di un passaggio per raggiungere i suoi fini e poi disfarsi di quella banda di inutili sempliciotti.
Mantenendo un atteggiamento sostenuto, Capitan Vegeta incrociò le braccia, abbassando di sfuggita il mento a sancire il suo implicito assenso.
Goku, che non aveva interrotto il contatto visivo con lui neanche per un attimo, al suo lieve e riluttante cenno smise di trattenere il fiato: - In marcia, signori! Torniamo alla Speedy! – incitò il resto della malconcia e dimezzata ciurma a seguirlo, mettendosi in testa al gruppo, divorato dall’impazienza di riprendere quell’esaltante esplorazione.
- Hey! Aspettate! E adesso chi mi ripagherà di quest’oltraggio? – tentò invano di fermarli Pilaf, correndogli dietro e apostrofandoli con minacce e ingiurie. Ma le sue assillanti proteste restarono inascoltate, tanto più dopo essersi fatto sfuggire come gran parte della sua ricchezza non derivasse propriamente da un legittimo lascito ereditario.
- Come credi che la prenderà il Capitano Muten? – bisbigliò dubbioso Yamcha, chinandosi all’orecchio di Crilin, mentre tutti e due si accodavano al loro avventato superiore.
Il guardiamarina si strinse nelle piccole spalle, non sapendo realmente come rispondere alla sua lecita perplessità.

Sul ponte della Speedy Cloud non volava una mosca, mentre l’attempato comandante del vascello, lo sguardo rugoso schermato dalle lenti scurite, passava severamente in rassegna i volti estranei, sfregiati dal sale e dall’immoralità, degli uomini appena saliti a bordo. Aveva ascoltato quanto riferitogli per sommi capi dal suo effervescente secondo di bordo, chiudendosi in un silenzio meditante e sconcertato, auspicando che, per via del suo consunto apparato uditivo, ci fosse stato un fraintendimento.
Nella sua precoce ma già molto promettente carriera aveva rischiato ben più d’una volta di essere degradato o espulso dalla marineria militare a causa di quelle sue inadempienze e insubordinazioni, eppure sentiva che nelle schiette parole del tenente Son Goku non vi era stato alcun intento menzognero. Ingenuo, semplice e onesto come sempre, credeva fermamente in ciò che gli aveva poc’anzi enunciato.
Lui, d’altro canto, era un uomo realistico e navigato e non poteva fare a meno di diffidare circa la ragionevolezza di un’alleanza con soggetti tanto intemperanti, riottosi e inaffidabili quali erano quel famigerato pirata e la banda di tagliagole che lo accompagnava.
- Mettete sotto chiave questa marmaglia! – dispose con un tono che non ammetteva repliche il Capitano Muten, pregando nello stesso istante dentro di sé che quel suo ordine rigoroso non destasse una rivolta dei suddetti briganti.
- Credo che il nostro caro Goku si sia appena giocato la promozione … – tornò a spifferare con puntuta ironia Yamcha, mentre Crilin si mordeva il labbro, dandogli, controvoglia, ragione. Stavolta il suo amico si era spinto troppo oltre con quel suo ultimo azzardo, e nonostante la sua buona fede, non era riuscito a tenere il punto.
- Forse voi al momento avete più informazioni sul suo conto, ma io conosco Freezer meglio di chiunque altro – inaspettatamente la voce aspra e sprezzante di Vegeta si sollevò sul persistente mormorio, respingendo con un movimento stizzoso del braccio i soldati che lo avevano attorniato per accingersi ad imprigionarlo – Voglio uccidere quel fottuto bastardo più di chiunque altro. E lo farò. Lo ridurrò in un’informe poltiglia, non avrà più neanche un’infinitesima possibilità di ritornare a infestare i sette mari con la sua abominevole persona.
Al risuonare di quel minaccioso giuramento intriso di un odio tangibile, feroce, senza pari, coloro che gli erano più vicini si scansarono, intimoriti dalle sue manifeste intenzioni omicide e dalla sua espressione infiammata e fumante.
Il Capitano Muten, ritto nel suo scranno, poso un indice sul dorso del naso, scostando gli occhialetti quel poco che bastava a scrutarlo apertamente: - Dunque è solo questo che volete? Vendetta?
Il pirata rimase a fissarlo impassibile e a sostenere obliquamente il suo sguardo indagatore, un leggero solco tra le folte sopracciglia corrugate, la mandibola serrata, il corpo come irrigidito dal trattenere lo spasmo di scatenarsi e dimostrare a tutti di essere degno della sua cattiva reputazione, di essere capace di compiere qualunque efferatezza, anche una strage.
- Molto bene – tossicchiò il vecchio Capitano, tornando impettito – Tenente Son! Da ora e fino alla conclusione della nostra spedizione, il qui presente masnadiero sarà sotto la vostra responsabilità – stabilì recuperando il suo contegno autorevole senza profondersi in altri commenti, per non dare a vedere quanto fosse combattuto da quella decisione.
Goku si portò la mano destra sul capo, un gesto che sapeva di obbedienza e gratitudine, mentre Capitan Muten, impartito l’ordine di impostare la nuova rotta, si congedò nella sua cabina, continuando a macerarsi in quel tumultuoso dissidio interiore.
Aveva già accolto con sé un impostore e adesso altri malfattori, sperava che l’intuizione del suo allievo fosse giusta. Si fidava ciecamente delle sue capacità, ma avrebbe saputo tenere a bada quell’inafferrabile avanzo di galera?


A qualche lega di distanza le correnti fredde e impetuose dell’oceano settentrionale soffiavano con regolare intensità, increspando le acque grigie e profonde, gonfiando le vele rappezzate di un vetusto bovo che ospitava a bordo tre soli intrepidi ed eterogenei passeggeri. Non avevano niente in comune tra loro e non si conoscevano per nulla, quando erano scesi a patti per affrontare insieme quella lunga traversata.
Il crescente bagliore dell’alba rischiarava la superficie delle onde, filtrando pallidamente tra gli stralci di nubi che si erano addensate negli strati più bassi dell’atmosfera, formando una coltre plumbea e pesante di vapore acqueo, che minacciava di precipitare.
La temperatura era alquanto mite e l’assenza di temporali aveva reso la navigazione piuttosto tranquilla, eppure Pikkoro, da che aveva calpestato quelle assi consunte dalla salsedine, non aveva smesso un attimo di sentirsi assediato e irrequieto.
Suo padre, il Supremo, lo aveva inviato sulla Terra perché imparasse a conoscere, comprendere e rispettare gli esseri umani, promettendogli che solo se si fosse dimostrato altruista, compassionevole e disinteressato, gli avrebbe ceduto il suo trono e i suoi poteri.
Così da qualche anno, con riluttanza, stava sforzandosi di ottemperare a quella richiesta, adattandosi a vivere alle loro condizioni, senza sfruttare le sue sovrumane abilità, come quella, utilissima e liberatoria, di volare.
Una facoltà che in quei quasi sette giorni di mal di mare non gli sarebbe dispiaciuto di poter adoperare. La vita degli umani, con tutte le sue difficoltà e i suoi limiti, gli era parsa ancora di più come qualcosa di davvero infimo e disprezzabile.
Gli uomini che aveva incontrato finora erano esseri spregevoli, selvaggi ed egoisti, avidi e corruttibili, quasi tutti immeritevoli di redenzione.
Quella femmina umana a cui aveva messo in subbuglio la casa e la sorte, tuttavia si era incaponita a seguirlo, non era riuscito a scoraggiarla né il suo atteggiamento burbero e insofferente, né il doversi trovare a stretto contatto con quell’altro reticente energumeno, né le incognite di quel viaggio, e neppure il nascituro che portava in grembo.
Aveva un carattere ardimentoso e deciso.
Irriflessivamente, reggendo il timone, le sue pupille aliene si soffermarono a sfiorare il suo profilo arrotondato, mentre pensierosa con una piccola mano si accarezzava il ventre.
- Ve l’ho già detto. Mancano almeno altri due mesi – lo rimbrottò seccamente Chichi, cogliendo la sua furtiva e critica occhiata, riavvolgendosi nello scialle e spostandosi a prua.
Era risalita sopra coperta per prendere una boccata d’aria, dopo una nottata costellata di risvegli frequenti e sogni agitati. Quei due tipi loschi con cui aveva dovuto avventurarsi non le piacevano per niente.
Pur se con lei si erano comportati con rispetto, non si era ricreduta del tutto sul loro conto, perciò aveva preso precauzioni, dormendo con un pugnale sotto il cuscino, che adesso aveva occultato in una fascia avvolta attorno alla vita, detestandosi per dover tenere tanto vicino al suo bambino un simile spregevole strumento.
Ad ogni buon conto, pensò, quei compagni di bordo era meglio tenerli il più possibile alla larga, non erano tipi con cui poter fare conversazione
In quel momento l’omone dai capelli rossicci dal quale era quasi stata rapita, incrociandola le indirizzò un composto cenno di saluto, per poi passarle accanto e fermarsi a studiare lo starnazzare in volo di alcuni cormorani che si contendevano dei guizzanti merluzzi.
- Ci stiamo avvicinando alla terraferma – sussurrò pacatamente Sedici, guardando nella direzione dello straniero col turbante, il quale, trascorsi alcuni secondi, senza spendere altre parole, corresse la loro rotta.


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